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Quando Dio arma gli eserciti 
 

di UMBERTO GALIMBERTI 


VORREI spendere una parola inutile contro la guerra che l' Occidente sembra apprestarsi a scatenare contro il mondo dell'Islam. "Inutile" perché è noto a tutti quanto gli strumenti della ragione siano deboli contro la potenza dei singoli che annullano le differenze, infiammano i cuori, dopo avere assopito o addirittura ottenebrato le menti. La storia umana è uscita dalla dimensione simbolica solo da due secoli e limitatamente all'Occidente, che con l'illuminismo ha promosso il primato della ragione e quel suo corollario che è l'ateismo, essendo Dio il fondamento di ogni dimensione simbolica. 

Prima di allora la «guerra santa» o, come dicono gli arabi la «jihad» , era comune tanto al mondo islamico quanto all'Occidente cristiano, e affondava le sue radici nell'antica cultura ebraica, il cui Dio era un dio di guerra, capace di scatenare venti e tempeste, tuoni e fulmini, calamità di ogni genere in aiuto alle genti poste sotto la sua protezione, aggiungendo alla confusione del campo di battaglia quello delle potenze naturali, controllate dalla sua soprannaturale potenza.
La «guerra santa» ebraica finì nel ‘70 dopo Cristo con la distruzione del tempio di Gerusalemme, ma a raccogliere l'eredità fu il Cristianesimo che già con l'Apocalisse di Giovanni riesuma l'iconografia della guerra santa per la raffigurazione di Cristo, cinto di una corona d'oro, nella mano una falce affilata, con un angelo ai suoi ordini, per fare vendemmia della terra e depositarla nel torchio dell'ira divina (Apocalisse 9,19).
Il Cristianesimo diverrà religione dell'Occidente sotto il segno della guerra quando Costantino vide nel sole di mezzogiorno qualcosa che assomigliava al segno della croce: «In hoc signo vinces» . Con quel segno si convertirono in seguito le popolazioni del nord, dette «barbari» , che invadevano l'Impero romano, sotto quel segno si riunirono le truppe di Carlo Magno che diedero origine al Sacro Romano Impero separato dall'Impero d'Oriente di fede ortodossa e dall'Islam che aveva fatto la sua comparsa nel VII secolo in Arabia Saudita con Maometto.
Maometto non ripudiava né la rivelazione ebraica né quella cristiana, rivendicava tra i suoi predecessori il patriarca Abramo, distruttore di idoli e adoratori di Allah, solo insisteva sul carattere definitivo della sua rivelazione rispetto a quella ebraica e cristiana, negando la proclamata divinità di Gesù Cristo.
L'allora mondo conosciuto si divise in tre parti: l'Ortodossia occupò, a partire da Costantinopoli, il mondo slavo, mentre nel Mediterraneo rimasero a contendersi le terre l'Islam e il Cristianesimo, entrambi a colpi di «guerre sante» o come da noi si diceva «crociate» , dove gli arabi distinguevano la terra della pace (dar alIslam) dalla terra della guerra (dar alharb), a cui corrispondeva da parte cristiana la terra dei fedeli (partes fidelium) da quella degli infedeli (partes infedelium).
Questa mentalità, nel mondo cristiano non si estingue con il Medioevo, ma inaugura l'età moderna con Cristoforo Colombo che nel suo «Giornale di bordo» precisa gli obiettivi della sua avventura. Il primo è quello di un figlio devoto della cristianità che vuol salvare il mondo portando il battesimo ai pagani. Il secondo è quello in cui il mondo moderno si riconoscerà: riportare in patria tanto oro ( «il Signore nella sua bontà mi faccia trovare questo oro» , 23 dicembre 1492). Costo dell'operazione: quella «moltitudine di ignudi e indifesi» , come li chiama Colombo nel suo Giornale di bordo, erano sette milioni al suo arrivo e saranno appena quindicimila sedici anni dopo.
Esportare battesimi e importare ricchezza è stato il senso di questa guerra santa cristiana, e insieme, pur nel mutar dei nomi e delle forme, il senso della «modernità» , avanzata a colpi di colonialismo prima territoriale e oggi economico.
Da questo breve excursus storico appare evidente che la «guerra santa» o «jihad» non è una prerogativa del mondo islamico e neppure un'arretratezza medioevale (dal momento che percorre l'intero arco della storia moderna), ma è un tratto tipico delle religione monoteiste, che in buona fede, trovano in Dio la giustificazione dei delitti più esecrabili compiuti in suo nome. Nulla allora di più benefico della «morte di Dio» proclamata da Nietzsche e anticipata un secolo prima dall'ateismo illuminista.
Una morte (e qui bisogna che si presti una grande attenzione) che non lascia solo orfani ma anche eredi. E tra gli eredi non fatichiamo ad annoverare quanti, lasciata alle spalle la «guerra santa» , oggi approdano alla «guerra giusta» . Dove la nozione di «giustizia» , tra due contendenti senza un arbitro, difficilmente si scosta dalla nozione di «vendetta» , che attorciglia la storia in una spirale i cui risvolti tragici nessuno fatica a immaginare.
Israeliani e palestinesi, nel loro piccolo, ci hanno già raccontato il futuro. Un esercito tra i più attrezzati del mondo e una povertà tra le più disperate del mondo da cinquant'anni sono l'uno nelle mani dell'altro. Se questo decidiamo sia il nostro futuro, non abbiamo che da seguire passivamente la storia.
L'Islam è ancora immerso nella dimensione simbolica, la più terribile, perché i simboli lavorano con la legge del tutto o nulla, categoria religiosa che prevede solo salvezza o dannazione. L'Occidente è appena uscito dalla dimensione simbolica ed è approdato all'uso illuministico della ragione, non grazie al Cristianesimo che parla di pace senza avere le carte in regola, ma grazie alla scristianizzazione dell'Occidente, che, lasciate alle spalle le figure apocalittiche della fede, ha incominciato a frequentare i percorsi più angusti, più modesti se si vuole, ma più efficaci della ragione che, senza una verità precostituita alle spalle, non dimette il lavoro duro della ricerca e della comprensione.
Ora è necessario che l'Occidente non rinneghi se stesso e gli strumenti razionali che ha faticosamente guadagnato nel corso della sua storia, e non ripiombi nel simbolico e nella violenza che sempre accompagna questa dimensione, per la quale il bene sta tutto da una parte e il male dall'altro: «O con noi o contro di noi» come inopportunamente dice il presidente Bush con chiaro riferimento alla lettera e allo spirito biblico madre e padre di tutte le «jihad» .
La cristianità teocratica del Medioevo da un lato e la teocrazia islamica dall'altro avevano trasmesso alla «modernità» il loro paradigma universalistico. In forza di un privilegio stabilito da Dio toccava all'Islam su un versante e alla cristianità sull'altro difendere le proprie forme culturali fino ai confini della terra. L'Islam è rimasto prigioniero di questa vocazione.
Non vorrei che l'Occidente, che ritiene di essersene liberato, grazie al processo di scristianizzazione che nel suo seno è in corso da due secoli, oggi non riprenda, sotto nuove forme e nuovi metodi, la vocazione messianica in cui è cresciuto per diciotto secoli. E con la forza delle armi e del denaro scelga, di fronte a un'aggressione terribile, la via della distruzione e dell'integrazione, proponendo se stesso come «totalità» , invece di cogliere la possibilità di crescita umana implicita nel confronto con la «diversità» .
Ogni tanto la storia si incarica di rendere la soluzione dei problemi non più rinviabile. E chiede una scelta. Per quanto riguarda noi occidentali la scelta è se proseguire, sia pure in forme laicizzate, la vocazione messianica che fa coincidere l'Occidente con la totalità umana, o se invece non è meglio percorrere l'altra via che visualizza l'Occidente come una parte nell'orizzonte più ampio della totalità umana.
Nel primo caso quel che seguirà ai preparativi bellici che l'Occidente sta approntando, anche se non sarà chiamata «guerra santa» , in nulla si distinguerà da una vera e propria «jihad» , perché quando il bene è tutto da una parte e il male tutto dall'altra il simbolico ha già fatto il suo lavoro più importante e devastante, e l'Occidente avrà rinunciato alla sua prerogativa, che è poi quella dell'uso costante della ragione, da salvaguardare ogni giorno dalla potenza devastante dei simboli che, sotto la protezione delle religioni, ancora regola gran parte dell'umanità. E gli effetti, non da oggi, sono sotto gli occhi di tutti. 

(da la Repubblica, 25 settembre 2001)

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