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(Notizie ed approfondimenti)

 

Il termine "evangelico"

 

Il termine “evangelico” significa “che appartiene all’Evangelo” (o “vangelo”) come esposto dai quattro vangeli (Matteo, Marco, Luca, e Giovanni), oppure pertinente alle dottrine di base dell’Evangelo (enunciate nel complesso del Nuovo Testamento). Per estensione “evangelico” significa chi è devoto all’Evangelo (lett. “buona, gioiosa notizia”) della grazia redentrice di Dio in Gesù Cristo. L’apostolo Paolo riassume il contenuto dell’Evangelo in 1 Corinzi 15:1-4. Qui egli afferma il contenuto centrale della predicazione delle prime chiese missionarie, cioè che Gesù Cristo è morto per i nostri peccati, che fu sepolto, che risorse il terzo giorno e che fu visto, e che questi fatti realizzarono le Scritture profetiche al riguardo dei propositi di grazia e di salvezza tesi a procurare redenzione all’uomo peccatore.

Secondo il suo significato profano, euaggelion, nella lingua greca, non si riferiva semplicemente a notizie su avvenimenti ordinari, ma poteva anche essere usato per falsi racconti di vittoria fabbricati in tempo di guerra per tirar su il morale degli armati. L’avvenimento /parola di Gesù Cristo, però – la Sua incarnazione, insegnamento, morte, risurrezione, ed esaltazione – furono in grado di particolarizzare il termine evaggelion come “buona notizia”. Termini collegati descrivono il messaggero, o portatore, delle buone notizie (euaggelos), e l’evangelista, chi proclama la buona notizia, designato dalla parola rara euaggelistes, che ricorre tre volte nel N. T. (At. 21:8; Ef. 4:11, 2 Ti. 4:5).

Nella storia cristiana susseguente, evolve una differenza fra “evangelico” ed “evangelistico”, il primo che designa la conformità ad i fatti e verità fondamentali del cristianesimo, il secondo per designare il senso di compassione ed urgenza missionaria. Il cristianesimo primitivo, però, non conosceva una categoria di credenti che non avesse pure una mentalità missionaria, né l’evangelismo cristiano era compatibile con la defezione dalla verità della rivelazione. Negare la morte vicaria e la risurrezione di Gesù Cristo significa pregiudicare gravemente l’Evangelo, il tema centrale della fede cristiana e la predicazione, come pure la sufficienza esclusiva di Gesù Cristo e della Sua opera per la nostra salvezza.

Il termine “evangelico”, quindi, categorizza un impegno di fondo, non una negazione o un atteggiamento divisorio. Il suo contenuto originale è fornito dalla predicazione apostolica, prima nella sua forma orale e poi scritta, perché la sostanza della buona notizia è comunicata dai vangeli e dal Nuovo Testamento nel suo insieme. I cristiani evangelici sono dunque caratterizzati dalla loro devozione alla certa parola della Bibbia; essi sono legati alle Scritture ispirate come la divina regola di fede e di pratica. Essi affermano le dottrine fondamentali dell’Evangelo, inclusa l’incarnazione e la nascita verginale di Cristo, la Sua vita esente da peccato, e la Sua risurrezione fisica come base del perdono dei peccatori da parte di Dio, la giustificazione per sola fede, e la rigenerazione spirituale di tutti coloro che confidano nell’opera redentrice di Gesù Cristo.

Carl F. H. Henry, in The New International Dictionary of The Christian Church, redatto da J. D. Douglas. Grand Rapids, Michigan: Zondervan, 1974, p. 358.

 

La definizione di "evangelico"

 

di Joseph P. Braswell (The Chalcedon Foundation, 1998)

Da una prospettiva strettamente etimologica, “evangelico” denota qualcuno o qualcosa per cui l’evangelo serve in qualche modo come caratteristica significante e distintiva alla quale possa riferirsi come segno identificatore, rendendo “evangelico” un’etichetta adeguatamente descrittiva per propositi di identificazione. Qualcosa o qualcuno può essere etichettato come “evangelico” in quanto l’Evangelo è la caratteristica prominente e notabile dell’identità di una persona o cosa (incluse le idee) tanto da porsi come mezzo sufficiente di caratterizzazione che ci permetta di classificarlo e di differenziarlo per confronto e contrasto rispetto ad altri od altro. Di conseguenza, essere evangelico significa identificarsi con l’Evangelo, o vangelo, tanto che questa identificazione sia per noi il contrassegno d’onore più ambito e valutato: gloriarsi nella Croce e portare la testimonianza del nostro Signore Gesù Cristo. Io sarei estremamente fiero di essere considerato un evangelico in questo senso, perché questo indicherebbe che io ho lasciato che la mia luce risplendesse davanti agli uomini.

Se continuiamo a limitarci all’etimologia, al fine che una persona, un gruppo, un movimento o una teologia possa qualificarsi come “evangelico”, in qualche modo l’Evangelo di Gesù Cristo deve essere basilare, centrale e costitutivo della sua identità, particolarmente caratteristico dell’enfasi che pone in ogni cosa. L’Evangelo deve essere per esso di importanza primaria, di interesse principale, e quest’enfasi deve essere espressa in modo chiaro e indubitabile. Essere veramente “evangelici” significa definire la propria identità in funzione dell’Evangelo, identificarsi nell’Evangelo, orientarsi all’Evangelo, essere guidati dall’Evangelo. Certamente quest’enfasi sull’Evangelo potrebbe probabilmente cadere in una forma di riduzionismo (“nient’altro che l’Evangelo”), oppure questo Evangelo potrebbe essere definito in maniera troppo stretta, ma una tale identificazione dell’evangelicalismo non è né implicita né necessaria nella sua derivazione etimologica. Quest’enfasi sull’Evangelo deve essere solo l’accento rispetto alla sua necessità (il sine qua non del cristianesimo autentico), non la sua presunta sufficienza (come se fosse tutto ciò che davvero importi). Un evangelico deve solo asserire che l’Evangelo stia nel cuore e nell’anima stessa del cristianesimo autentico, e tutto il resto, in qualche modo ne fluirà, deve essere compreso nei suoi termini, od esserne collegato in modo vitale. Dovrà solo sostenere che l’Evangelo illumina l’intero “pacchetto” della fede e della vita cristiana; è il nostro punto di partenza esistenziale, perché è costitutivo per la comprensione che il cristianesimo ha di sé stesso, qualcosa di genuino per l’identità stessa del cristiano. Egli, quindi, insisterebbe che ogni altra dottrina debba essere portata in rapporto all’Evangelo in quanto implicitamente ivi contenuta, che ogni altra affermazione de la Fede semplicemente esplichi la fede dell’Evangelo nella sua confessione, spiegazione, espressione ed applicazione.

Un tale evangelicalismo è chiaramente espresso nel principio materiale della Riforma protestante, e la Riforma del XVI secolo è veramente un movimento evangelico nel senso migliore del termine: Sola Gratia, Sola Fide, Solus Christus sono affermazioni dell’Evangelo. Lutero sosteneva che l’Evangelo (la giustificazione per fede) è quell’articolo sul quale si regge o cade la Chiesa e, nei suoi sforzi di riforma egli giudicava ogni cosa nella misura in cui essa “predicasse Cristo”. Lungi dall’essere inteso in modo stretto o riduzionista, questi principi della Riforma seguono semplicemente le impronte dell’Apostolo Paolo, che si era riproposto di non sapere altro fra i Corinzi che Cristo Gesù crocifisso, insistendo sul fatto che la nostra fede è vana se Cristo non è risorto secondo l’Evangelo ricevuto. Qualunque siano le dottrine che noi possiamo cogliere dall’epistola di Paolo ai Romani (così ricca di contenuto dottrinale da essere spesso considerata il compendio dell’intera teologia), essa non dovrà che essere esplicazione dell’Evangelo come potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, attraverso la quale la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede. Secondo la comprensione evangelica del compito confessionale e dogmatico, noi entriamo nel campo della teologia cristiana in tutto il suo spessore e latitudine attraverso una comprensione più profonda e piena dell’Evangelo, e lo studio teologico evangelico è fede – fede evangelica – che cerca di comprendere.

 

 

 

 

 

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