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Benedetta Marinetti
MORTE DI FILIPPO TOMMASO MARINETTI

gennaio 1945

IIl primo dicembre l'alba, dietro i monti del centro lago di Como, sollevava appena le tenebre, Marinetti fu sveglio. Marinetti rifuggiva da queste ore di trapasso dalla notte al giorno; così per abitudine accendevo molte lampade e parlavamo.

Quell'alba parlò Marinetti. Scagliò contro la fuliggine sporca che opprimeva il cielo d'Italia rancore dolore fede, il suo dramma. Ritornando dal fronte sul Don dove 30 gradi sotto zero avevano leso il suo cuore, in 23 mesi paziente speranza e volontà di guarire aveva potenziate chiarificate sublimate al massimo le proprie possibilità spirituali ma sempre in pericolo mortale per ogni minimo sforzo fisico.

Marinetti poteva solo essere pensiero azione. Concluse: "Benedetta fammi uscire da questo tormento altrimenti muoio". Simili stati d'animo gli nuocevano. Mi chiese un calmante. Si assopì. La cima del monte Crocione era già imbevuta d'oro e le pallide nebbie su Cadenabbia vinte quanto si svegliò.

Marinetti guardò felice al sole, al giorno luminoso nitido senza decoro di foglie, ingioiellato dall'aria rigida, cesellato in ogni tono e forma. "Sono contento", disse, "nel dormiveglia ho precisato un poema per l'Italia". Quando il sole era alto, scese a riva lago dove l'acqua madreperla rosa viola si sforzava di plagiare trasparenze blu capresi. Ricordi di vita solare. Ora la fuga a toni degradante dolcissimi dei promontori portava lo sguardo in alto al candore delle nevi circonfuse di luce e di azzurro.

Marinetti fu a lungo assorto, costruiva un suo nuovo libro sul paesaggio manzoniano. Lo stupì e interessò un volo opaco pesante cieco: andava tornava a fior d'acqua davanti alla nostra ringhiera, un piccolo pipistrello fuori tempo e luogo. Segnava forse già la pausa nera del destino.

Poi, scolaro diligente compito d'esame bene eseguito, volle proprio scrivere lui il poema sulla X MAS e proprio volle sul quaderno della primogenita Vittoria incitamento gara colla esuberante giovinezza tormentata e altalenante fra indolenza oriente letteratura e passione azione vita, universitaria aspirante ausiliaria. "Come me", diceva, "sono responsabile, se il mio ritratto".

Lesse a lei e a me il suo poema.

Finita la breve cena un libro americano in mano di una signora belga scatenò in lui una delle tipiche conversazioni monologo in francese: essenza della poesia del romanzo universalità precisione stilistica psicologia immaginazione primato italiano.

Alle 1 e 20' del 2 dicembre la sua voce calma mi chiama: "Scusami. Già sveglio ho voluto lavorare troppo intensamente. Ho un po' d'affanno".

La crisi precipita. Il cuore si bloccava.

Mi guardò concentrando nello sguardo una sorprendente potenza di pensiero disperato interrogante, mentre la bocca disegnava non espresso un violento canto alla vita.

Dio mi concesse un sorriso per confortarlo. E fu nel cielo della notte lunare.

Marinetti lo hai detto alle stelle conquistate a 20 anni con il tuo primo libro il tuo ultimo canto, e il tuo pensiero lo  hai consegnato al Cuore Divino.

Velocemente come sapevi tu cancellare le distanze terrestri da nord a sud da Continente a Continente sei passato oltre il fronte della vita. Lottando per l'Italia con la tua arma che crea e non uccide e la sapevi mirabilmente usare.

Vincendo per la Poesia una nuova quota.

Sei partito da noi come partivi in guerra per agire.

"Finalmente", dirai, "posso senza divieti e limiti ispirare proteggere guarire la nostra adorata Italia ferita ma immortale".

Le avevi dato fantasia idee sentimenti volontà ubbidienza sofferenza disperazione non potendole dare sul campo di battaglia soldato il tuo sangue il tuo cuore si è fermato.

Marinetti, il tuo sangue ha seminato i campi del cielo il 2 gennaio, per i fiori della primavera italiana.

L'hai promessa con questo poema ai soldati della nostra Italia Repubblicana.

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