Gabriello Chiabrera

Su Giacomo Boselli Paolo Boselli Antonio Brilla Paolo Gerolamo Brusco Gabriello Chiabrera Agostino Chiodo Luigi Corsi Antonio Frascheri Pietro Giuria Orazio Grassi Famiglia Guidobono Leon Pancaldo Vittorio Poggi Famiglia Ratti Giò Stefano Robatto Pietro Sbarbaro  
Nasce nel 1552 da una famiglia originaria di Acqui Terme, che si trasferisce a Savona un secolo prima per motivi economici e commerciali, in una casa vicino a piazzetta dei Consoli, nel centro storico e muore a Savona nel 1638.
Ebbe una vita travagliata, a 7 anni gli muore il padre e la mamma passa a seconde nozze.
Questo fatto condiziona la vita del giovane Gabriello, tanto è vero che la madre lo manda presso uno zio a Roma, ove frequenta le scuole dei padri gesuiti, quindi ha una formazione colta. Interessante è che col passare del tempo, acquisendo cultura, capacità e avendo in se questa  caratteristica, questa facilità al verso, allo scrivere, si procura l’amicizia, molto importante, di tanti letterati. Quando a Roma, muore suo zio, entra alla corte del Cardinale Fornaro e questo gli spalanca le porte del mondo ecclesiastico, però causa di una vendetta è costretto a lasciare Roma e inizia una vita di fermento, viene ferito in una rissa a causa di una donna e non ritorna a Roma se non prima del 1585, tuttavia in Savona continua a tornare ed ha degli incarichi pubblici che però non lo hanno mai distolto dall’approfondimento dai suoi studi letterari e storici. Compie molti viaggi per approfondire i suoi studi e si reca a Firenze, Mantova, Torino. E' accolto alla corte dei granduchi di Toscana, Ferdinando I, Cosimo II e Ferdinando II, dai duchi di Mantova, Vincenzo e Francesco Gonzaga, da Carlo Emanuele I di Savoia, dal cardinale Matteo Barberini, eletto poi papa con il nome di Urbano VIII e questa amicizia segna in modo fondamentale la sua vita.
Una caratteristica di Chiabrera è quella che, pur conoscendo, tanti principi, tanti uomini politici, ecclesiastici del tempo, non si è mai sbilanciato, non si è mai completamente avvicinato in modo totale all’uno piuttosto che all’altro. Questi principi gli hanno concesso molti onori, lo hanno sempre considerato con la massima stima, tanto è vero che aveva ottenuto molte pensioni, molti vitalizi, ma non è stato mai vincolato a nessuno di essi, e questa libertà questo essere capace, essere amico di frequentare tante personalità, anche con idee diverse, non è certo una cosa facile, anche perché era facile per la sua capacità scrittoria comporre rime encomiastiche a favore dell’uno o dell’altro, in quanto questi principi e cardinali erano committenti e queste sue composizioni sia encomiastiche sia drammatiche che riprendono la vita di alcuni personaggi importanti fanno si che il Chiabrera gode dei frutti positivi dei grandi signori del tempo. Scrisse molto, opere poetiche, drammatiche, poemi eroici, compose canzonette, laudi sacre e morali, scrisse scherzi  poetici, poemetti sacri e profani, quindi ha veramente una capacità di spaziare nel mondo della poesia greca e questo lo rende particolarmente capace di stimolare gli interessi di varie parti. Gli piaceva molto la musica ed una cosa che tutti gli riconoscono è la sua capacità di rendere la rimamusicale e cercò di abbinare la parola della sua poesia con il ritmo della poesia stessa, alla musica del tempo e compose veramente degli spartiti per parola che poi sono state tutte adattate e musicate da grandi compositori del suo tempo e questo andava nello spirito del suo secolo. Il Chiabrera è un personaggio, che meglio di tanti altri, anche se considerato un minore da certi critici, come il De Sanctis; il Carducci invece non ha questa chiusura nei confronti del Chiabrera, ma loda il suo impegno tecnico e lo ricorda per tutte le composizioni  tanto è vero che dice ' fece risorgere la lirica che era stagnante del suo tempo dandogli un impulso movimento, un principio di organica verità'.
Era una persona che cercava la bellezza, gli piaceva, la primavera, i fiori, la danza, il gioco, cercava di trovare una “medicina” alla tristezza del tempo con queste composizioni così effervescenti, così liriche, così musicali e soprattutto cercava di andare oltre la bruttezza della caducità delle cose terrene, guardava oltre dopo la morte, dopo la fine fisica di ognuno di noi, si sforzava di trovare una prospettiva ulteriore del dopo di noi. Ha dato origine alle poesie anacreontiche che sono delle lodi, che certamente partono dal poeta Anacreonte, che nel secolo del Chiabrera fu rispolverato e ristudiato, ma Chiabrera lo interpreta, attraverso una pubblicazione del 1554, fatta da Guido Stefano, suo amico, e cerca di trovare le affinità tra la poesia greca di Anacreonte e la realtà italiana del suo tempo e quindi fa uno studio approfondito sulla lirica italiana prima di lui, attraverso la sensibilità del verso, la metrica, la scoperta di Anacreonte e questo è un grande passo avanti poiché scopre quanto sia interessante la semplicità e il senso dell’umano contenuto nella lirica greca, ed è questo che interessa a Chiabrera, e in questa lirica d’amore greca, cerca sempre il lato umano e quindi è un’esaltazione dell’intelligenza e del fare dell’uomo. Chiabrera riflette quindi una certa galanteria alla francese, galanteria per quanto riguarda il sentimento verso le donne, quello che era una scrittura in prosa di testi francesi dove troviamo sussurri, sospiri per l’amata. Quindi un modo suo molto originale di porsi in queste odi d’amore è un po’ uno specchio di quello che era il tempo, voleva ritrovare attraverso i suoi versi di rendere moderno il suo tempo nella ricerca dell’uomo di allora. E' interessante la sua autobiografia, i dialoghi sull’arte politica, le lettere familiari che sono state raccolte in volume, una produzione talmente ampia e interessante che anche oggi si riescono a trovare nelle biblioteche italiane e anche a Savona sono state trovate di recente nella biblioteca del seminario, dei testi che sono stati musicati e Chiabrera da questo punto di vista può farci scoprire qualcosa di nuovo. E' forse uno dei primi, a sentire lo spirito di un Italia unita, diversa non separata, divisa sotto il dominio di tanti principi e per fare questo si rifà molto alle figure dei padri Della Rovere e di Cristoforo Colombo. Qui si sente molto il suo grande desiderio di novità, dice l’uomo va avanti, prosegue in un miglioramento della cultura, perché è spinto da questo grande desiderio di novità e questa è una caratteristica di tutto il ‘600, quella di perseguire strade nuove.
Quindi è una poesia eroica che vuole scrollare il popolo italiano a trovare unità in quel sentimento verso il nuovo, che potrebbe essere un’Italia nuova, coesa, non frazionata da tanti governi e quindi molti studiosi indagano il Chiabrera il problema sotto questo punto di vista.
Chiabrera appare essere una personalità molto complessa e in questa sua complessità dobbiamo considerare anche il suo sentimento legato a Savona che è un sentimento, che pur conoscendo la corte dei Medici, pur conoscendo tante persone importanti a Mantova, tanti cardinali a Roma, lui non andrà mai via da Savona, anzi vede Savona talmente in modo ideale da dire di arrivare a questa sua poesia aulica, alla ricerca del mondo, soltanto a Savona. Cioè Savona, una città che sorge in un lembo di terra naturale così bella, così protetta dai venti, così calda per il clima mitigato dal mare e Savona diventa il nido, lo ‘studiolo’ geografico, naturalistico dal quale non può allontanarsi, ma anzi solo a Savona riesce a trovare quella concentrazione, quel clima morale, spirituale dove solo qui da fuoco è virtù al suo genio poetico e questo è molto bello perchè trova ispirazione solo in questa città. Questa è una cosa curiosa che lo rende unico perchè un personaggio così noto, con importanti frequentazioni, verrebbe da dirsi cosa sta a fare a Savona,: dove tra l’altro era una città che in quel periodo aveva una grave crisi economica e culturale, in piena crisi legata ai fatti bellici con Genova. Questa crisi, dal punto di vista economico non lo tocca, una ragione per la quale continua a rimanere in questa città proprio perché ha tante provvigioni, molte risorse che gli vengono da personaggi che lo pagano. La fortunata posizione climatica della città, sostenuta con insistenza dal Chiabrera nelle sue lettere, giustifica ogni insufficienza che può riscontrarsi nella città stessa. Dice Agostino Maria De Monti, storico del ‘600, la città è rimasta con circa 9000 abitanti, dopo la guerra con Genova, e viveva degli stanziamenti dei genovesi, vive di assistenza da parte di Genova, non ha più un suo spirito imprenditoriale. Prima del 1628 ne aveva 20000. Quindi la repubblica di Genova vede Savona un suo dominio Savona, infatti dice De Monti ‘Savona costituiva un prolungamento di Genova un centro per dominare i paesi del ponente e limitare le mire espansionistiche dei Savoia’.
Altro fatto interessante è che molti nobili genovesi, considerando questa una loro terra di conquista, individuano nella zona di Legino, una zona climatica, ambientale interessante perché non lontana dal mare, perché bagnata dalle amorevoli onde di questo mare e costruiscono le loro ville, quindi nel ‘600 Savona ha un’espansione urbanistica veramente particolare, nel centro esiste solo espansione urbanistica religiosa, quindi solo conventi, chiese, oratori.
Legino è una delle parti della città che vede il Chiabrera presente, perché a Legino, il Chiabrera, che possedeva terre della sua famiglia, decide di costruire una casa. Chiabrera considera questo posto come una zona franca e qui ritrova quel sentimento spirituale per cui può concentrarsi, scrivere e scrive ‘Legino, che lui chiama ‘Leze’, è un posto che vede presente i moderni, cioè i nobili, sia savonesi che genovesi e dove c’è persino il palazzo del cardinale Spinola, di origine genovese, quindi fa costruire una casa e scrive faccio fare un piccolo dormitorio in villa il quale è fornito di ogni cosa e qui, stanco sempre di stare in mezzo agli artisti, di ascoltare sempre querele, cordogli, pubblici e privati desidererà rifugiarsi e dice ‘io non abbandono la voglia di vivere in Toscana e ritornarmene per Lombardia e poi riposarmi nell’eremo, per lui proprio è un riposare, non solo il corpo ma lo spirito e proprio perché vuol stare lontano da quelle querele, cordogli, pubblici e privati, di cui Savona è permeata. Descriverà la festa della vendemmia che è ambientata a Legino, tra quelle vigne, tra quei filari e per lui è un vero e proprio ritorno alla vita. Costruisce quadretti di paesaggio dell’anima attraverso le parole, è una specie di ricerca di una pace bucolica e georgica che proveniva dalle antiche letture greche e lui la ricerca in questa zona del nostro circondario savonese. Per lui la guerra è una gravissima bestemmia e il vino è un succo di nettare, capace di curare ogni male e di richiamare le Muse. I versi che compone sono versi difficili perché in italiano del ‘600, però hanno un ritmo, una cadenza, hanno questo richiamo a questa voglia di serenità che trova solo a Legino, che si contrappone alla gravissima bestemmia della guerra che i genovesi hanno imposto ai savonesi e che ha creato disagio, querele e cordogli pubblici e privati, frase molto sintetica che la dice lunga sulle morti, lutti, ma i cordogli non sono solo fisici ma anche culturali, materiali. Gli piaceva banchettare, amava i piaceri della vita, la cucina e il bere, ed il vino è un’altra di quelle figure poetiche che gli servono a dire ‘sono disposto ad abbandonare tutto eccetto due cose, di due non posso privarmi, una si è bere alquanto presto, l’altra è maneggiare la maledetta e benedetta penna ’, in queste semplicissime frasi abbiamo un riscontro psicologico della sua personalità. Chiaramente può fare a meno di tutto e lo fa nella vita, fa a meno della gloria che gli possono dare i nobili a cui lui scriveva i componimenti perché non si schiera a favore di nessuno, anzi sta lontano talmente da Firenze, Mantova, Roma e Torino per vivere a Savona, anzi a Legino. Quindi non si può privare di due cose, bere alquanto presto e maneggiare la maledetta e benedetta penna, e qui la dice lunga sul potere della parola, sull’essere libero dello scrivere il proprio pensiero, sul benedire le poesie che possono portare soavità, serenità in un momento che per i Savonesi e non solo per loro, non era certamente dei migliori ma può anche essere la penna maledetta perché può richiamare invidie può portare ad essere oggetto di violenze, di risse e delitti.
In Legino, questa isola felice, questo dormitorio, come lo chiama lui, trova il posto 'dove si allontana dalla bestemmia gravissima della guerra' e dice che 'il vino, succo di nettare prodotto dai filari di quelle viti strappate in quella pianura di Legino con intorno le colline', è proprio qualcosa che sente e che vede per se stesso e per la propria anima.
Ma come uomo pubblico, uomo delle arti, uomo aperto alla città, ha un altro rifugio molto importante che è 'Siracusa'. Siracusa, come Legino sono molto citate in letteratura, negli scritti del Chiabrera e anche nella letteratura locale, perché la vita del Chiabrera è certamente legata a Savona. Quindi in Legino ha questa oasi, in Savona, Siracusa, vede, sente, vive la tempesta di quei tempi e avverte le avvisaglie di quella tempesta economica culturale. Di Siracusa dice che è un’immagine di un rifugio aristocratico provinciale e non è rinunzia, ma è una creazione fantastica, questa casa diventa in modo singolare, proprio un suo capolavoro poetico, perché li riesce ad esaltare, ad essere originale nel suo ruolo vero e proprio di letterato, di poeta del suo tempo, di  poeta lirico e classicista ma anche di grande sperimentatore. Lui sperimenta, fa ricerca, sperimenta sui modi di far baciare le rime, sulle regole quaternarie ecc. Tutto questo non lo fa a Legino, a Legino ozia, va per rilassarsi, per riposare dalle fatiche. Sono due realtà che troviamo legate tra Chiabrera e la città di Savona. E’ l’unico personaggio savonese così legato a Savona.
Siracusa è una piccola casa con un giardino, dietro la chiesa di S. Lucia, chiesa molto antica e in   questa piccola abitazione riceve amici, letterati, poeti, pittori, politici e diventa un punto focale degli incontri. Quando lui non si sposta, fa venire da Roma, da Mantova da Firenze i grandi poeti, letterati, artisti, tutti suoi amici e questo lo sappiamo dal suo carteggio e tra le personalità vediamo quale rete di relazioni aveva intrecciato con tanti personaggi del suo tempo. Tra le personalità più importanti del ‘600 pittorico italiano fa venire a Siracusa il Bordone e il Bernardo Castello che avevano progettato di affrescare le due stanze della casa. Oggi non c’è nulla all’interno, solo un affresco che è stato restaurato sulla chiesa di S. Lucia, un mistico del Chiabrera, ma all’interno non c’è alcuna figura e non sappiamo perché questo progetto non è stato portato avanti.
La chiesa di S.Lucia, che è molto antica, è costruita su uno scoglio ove il mare arriva proprio sotto, e per quello che a Chiabrera, piaceva sentire quell’onda che si frangeva, vedere quella prospettiva aperta; il Chiabrera nel 1621 fa costruire questa sua casetta che lui definisce modesta, per concessione avuta nel 1620, dai rettori della chiesa cattedrale e con l’approvazione del vescovo genovese Francesco Costa. A questa casetta era annesso un piccolo giardino dietro la chiesa S. Lucia. Il Chiabrera era innamorato di questo posto che lo toglieva dalle noie cittadine e gli permetteva di ricreare l’animo suo e si recava sovente colà a conversar con le Muse, come egli scrive in una sua lettera all’età di 70 anni. Questa ricerca di avere sempre una ispirazione, di conversare con le Muse, della musica, della danza è un modo di ristorare il proprio animo e di avere una visione più chiara. Alla morte del Chiabrera che avvenne il 28 ottobre 1638 lui scrive nel testamento che questa piccola casa, passi all’oratorio e alla chiesa di S. Lucia. Poi però col passare del tempo, alcune misure militari hanno fatto modifiche alla casa, viene occupato il giardino e rimangono gli avanzi della casa e diventò un posto per batterie e la piazzola stessa e i locali furono annessi agli uffici sanitari del porto e poi ai canottieri guardacoste. Nel 1857, il ministero delle Finanze diede in affitto, per 60 anni al Comune, questi locali, dismessi dal ministero della guerra e per contratto, nel 1898, gli avanzi della casa del Chiabrera detta la Siracusa passarono di proprietà dello Stato che poi cedette l’opera per uso di sacrestia all’oratorio. Interessante è che il Chiabrera ha lasciato scritto la sua intenzione, la sua volontà di fare rinfrescare la casa da Bernardo Castello e Luciano Bordone che gli avevano promesso di illustrare le pareti del suo alberghetto, con i loro pennelli, ed era intenzione del poeta di dichiarare la sua devozione verso alcuni grandi principi alla cui memoria rimaneva obbligato per benefizi singolari, Ferdinando III, Cosimo de Medici e papa Urbano VIII. Quindi voleva far affrescare sulle pareti le immagini o le allegorie che si riferivano a Ferdinando III, Cosimo de Medici e papa Urbano VIII.
Invece quello che è rimasto dell’idea di voler affrescare le pareti, è quell’immagine di S. Lucia che è posta sulla chiesa, al di sotto della quale, il Chiabrera ha fatto scrivere questi versi: 'Lucida lucenti lucescis, Lucia luce lux mea, lucescat Lucia luce tua'. Altri versi li troviamo scritti sulla torretta verso il mare e dedicati a Leon Pancaldo, ‘In mare irato, in subita procella, invoco Te nostra benigna stella ’.
L’intenzione del Chiabrera per la Siracusa, era anche quella di ricordare, oltre Ferdinando III, Cosimo de Medici e papa Urbano VIII, altri intimi amici come don Vincenzo d’Ermellino, G.B.Castello e Lorenzo Cuneo in quanto solean compiacer radunar seco lui, lettere e arti in quel della Siracusa. Don V. d’Ermellino sarà quello che  preparerà la lapide della sua tomba. Chiabrera chiese di essere sepolto nella chiesa di S. Giacomo che era il Pantheon dei Savonesi.
Nella biblioteca del seminario, è stato trovato uno spartito musicale del Chiabrera molto singolare, di alcune poesie, musicate, quindi non solo parole, ma parole con musica, che sono state studiate per la prima volta quando è stato fatto un convegno internazionale dedicato al Chiabrera nel 1993.
Nel libro a lui dedicato si parla di Chiabrera savonese e nazionale e di Chiabrera fra dilettanti e professionisti dello spettacolo. Infatti queste odi che Chiabrera componeva per le grandi corti del tempo, per le feste di carnevale, allora molto in voga, davano origine a spettacoli nei giardini all’italiana della famiglia Medici e quindi venivano costruite delle vere e proprie macchine per illustrare delle scenografie che sfruttavano i fuochi d’artificio. In alcune scene illustrate da Chiabrera si parla di 253 colpi di fuochi d’artificio sparati per illustrare le sue poesie, quindi l’interesse del Chiabrera è un interesse vastissimo. Chiabrera è la mente musicale romana che ebbe importantissimi musicisti romani della musica del ‘600.
Altro aspetto significativo per Savona e la sua cultura, è notare come dalla Siracusa, Chiabrera invita amici fiorentini per le sue poesie e dice che a questi uomini grandi, ogni loco si è donato in tutto e per tutto, cioè si è donato completamente, dal punto di vista dell’ingegno e della sua poesia. Questo incontro porterà alla realizzazione dell’accademia degli Accesi, che rispecchiava la cerchia degli intellettuali di allora e che aveva una funzione di dialogo con la città, non solo con la città colta ma cercava anche il dialogo con la città tutta. Questi intellettuali sentivano che in Savona c’era grandissimo rischio di una dissolvenza e disgregazione della vita sociale, della una cultura, perché la cultura porta aggregazione, scambio di idee, miglioramento della vita e soprattutto educazione al rispetto altrui, alla solidarietà verso gli altri nel rispetto delle opinioni di ognuno. In quel momento così buio e triste per la città si sentiva questa possibilità di dissolvenza della vita sociale, e gli accademici la cercano di rivitalizzare. Fra gli accademici c’erano Ambrogio Salinieri, G.B. Ferrero e G.B. Caboto. Per capire cosa era, possiamo dedurre notizie da un lavoro del Chiabrera, intitolato ‘Il forzano’; questo dialogo, ricorda un discorso fatto all’accademia sotto un sonetto del Petrarca e di qui veniamo a conoscenza di chi erano i componenti dell’accademia e qual’era il loro scopo. L’accademia degli Accesi cambia nome in accademia degli Sconosciuti.
A Savona l’accademia non ha mai avuto vita facile, è stata sempre vista di malocchio, è sembrata una cosa aristocratica, nobile, fatta da persone nobili, di ceto sociale troppo elevato quindi non è stata capita, tanto è vero che Ricci venne condannato per fare parte dell’accademia. Però abbiamo notizie interessanti su chi erano gli amici di Chiabrera, di chi faceva parte dell’accademia, perché ce lo dice lui, ed abbiamo così un elenco e leggendolo sappiamo in modo orientativo chi era l’intelligenza del tempo, chi si impegnava nel riportare una vita sociale. C’erano anche molte donne, come Bertussone Maria, nata nel 1570, moglie di Bonifacio Naselli, del Regno di Napoli,
uno che
fu dottore e lettore di leggi e avvocato nel Regno di Napoli, il Chiabrera lo condusse a Roma per difendere una sua causa contro la camera apostolica, morì a Savona nel 1650, a 75 anni e nelle sue lettere, il Chiabrera lo dice amicissimo. C’era Nicolò Cuneo, poeta savonese, figlio di Sebastiano Nicolò che morì a Napoli nel 1656, G.B. Pera gran capitano che morì nel 1620, i Ferrero, i Gavotti, Giò Battista, figlio di Nicolò e Maria della Rocca, fratello di Giò Stefano prete, che fabbricò la cappella della famiglia nel duomo cittadino, Gavotto Armeria che sposò nel 1640 Alessandro Siri, Gavotto Giulia che sposò Vincenzo Ferrero che morì nel 1638 e destinò cospicuo lascito alla Madonna e all’ospedale S.Paolo e lasciò ai poveri e alle giovani senza dote, Gidinzano medico savonese, che aveva una figlia Maddalena che fu l’unica pittrice del ‘600 e feconda letterata, Aurelia Farese nata nel 1595 da Nicolò, barone di Castelnuovo e molti altri.
Abbiamo un insieme di nomi illuminanti che ci fanno vedere come queste famiglie savonesi erano note fino a Napoli, in Sicilia e come erano legate da profonda amicizia con il Chiabrera e come tutti insieme vollero dar vita a questa accademia e come vollero migliorare la qualità della città. L’amicizia per il Chiabrera era fondamentale e ha ideato queste accademie che potevano essere circoli culturali, punti di aggregazione, di dibattito, di fusione delle idee e soprattutto cercava di allargare questa amicizia intensa a tutti gli intellettuali  e alla città tutta. Questo è molto innovativo e lo lui sentiva come un dovere fondamentale.

Scrive anche opere drammatiche tra cui Amedeide, che è dedicata a Carlo Emanuele I di Savoia. Chiabrera nel suo portone principale riporta proprio in alto questo tema, vediamo il Chiabrera che presenta la Amedeide a Carlo Emanuele I. E’ un altorilievo scolpito da Antonio Brilla nel 1853. Amedeide è un poema dedicato a Carlo Emanuele I, suo protettore e Brilla riesce a dare un'espressione veramente interessante, perché nella parte centrale del portone c’è Savoia e Chiabrera e alla destra di chi guarda c’è Gabriello Chiabrera che è ripreso con la tipica gorgiera alla spagnola, un grande collo plissettato, che si presenta verso il Savoia e ha in mano un libro che rappresenta il testo della Amedeide. Tutto intorno a questo grande lavoro del Brilla, c’è una scena di uomini, donne, letterati che fanno un po’ parte di quei personaggi, tutti amici del Chiabrera, che in qualche modo lo hanno sorretto in questo suo essere un poeta, uno scrittore, un drammaturgo. Il passo in avanti verso il duca non è completato, ha un po’ timore Chiabrera, non vuole essere sfacciato, teme un po’ questa importante presenza. E' un’esaltazione delle gesta del Savoia a cui era legato da una amicizia profondissima.Il poema non ha avuto successo, però è interessante perchè i Savoia, a quel tempo, vengono presi a simbolo delle lotte per l’indipendenza nazionale dagli stranieri. Infatti Carlo Emanuele I, combatté sia gli spagnoli che gli austriaci. Diventa quindi quel simbolo che interessava al Chiabrera per cui decide di scrivere il poema che è suddiviso in molte parti ma di difficile lettura e comprensione e deve essere ricordato per quel senso di libertà dallo straniero. Da ricordare è il suo amore per il Santuario di Savona in quanto il Chiabrera era profondamente devoto alla Madonna della Misericordia, tanto è vero che si fa attore in prima persona per convincere Bernardo Castello, suo amico, ad affrescare le volte del Santuario. Nelle volte, ci sono affrescate le storie della vita della Vergine, grazie al pennello di Bernardo Castello che illustra il Santuario con la sua arte.
Chiabrera ha dato tanta importanza alla città e si sentiva orgoglioso di essere savonese così come chi lo aveva preceduto, come i papi Sisto IV e Giulio II e lo scriverà in una sua lettera del 1628.

A lui è dedicato il teatro della città.