Nasce nel 1552 da una
famiglia originaria di
Acqui Terme, che si
trasferisce a Savona un
secolo prima per motivi
economici e commerciali,
in una casa vicino a
piazzetta dei Consoli,
nel centro storico e
muore a Savona nel 1638.
Ebbe una vita
travagliata, a 7 anni gli
muore il padre e la mamma
passa a seconde nozze.
Questo fatto condiziona
la vita del giovane
Gabriello, tanto è vero
che la madre lo manda
presso uno zio a Roma,
ove frequenta le scuole
dei padri gesuiti, quindi
ha una formazione colta.
Interessante è che col
passare del tempo,
acquisendo cultura,
capacità e avendo in se
questa
caratteristica,
questa facilità al
verso, allo scrivere, si
procura l’amicizia,
molto importante, di
tanti letterati. Quando a
Roma, muore suo zio,
entra alla corte del
Cardinale Fornaro e
questo gli spalanca le
porte del mondo
ecclesiastico, però
causa di una vendetta è
costretto a lasciare Roma
e inizia una vita di
fermento, viene ferito in
una rissa a causa di una
donna e non ritorna a
Roma se non prima del
1585, tuttavia in Savona
continua a tornare ed ha
degli incarichi pubblici
che però non lo hanno
mai distolto
dall’approfondimento
dai suoi studi letterari
e storici. Compie molti
viaggi per approfondire i
suoi studi e si reca a
Firenze, Mantova, Torino.
E' accolto alla corte dei
granduchi di Toscana,
Ferdinando I, Cosimo II e
Ferdinando II, dai duchi
di Mantova, Vincenzo e
Francesco Gonzaga, da
Carlo Emanuele I di
Savoia, dal cardinale
Matteo Barberini, eletto
poi papa con il nome di
Urbano VIII e questa
amicizia segna in modo
fondamentale la sua vita.
Una caratteristica di
Chiabrera è quella che,
pur conoscendo, tanti
principi, tanti uomini
politici, ecclesiastici
del tempo, non si è mai
sbilanciato, non si è
mai completamente
avvicinato in modo totale
all’uno piuttosto che
all’altro. Questi
principi gli hanno
concesso molti onori, lo
hanno sempre considerato
con la massima stima,
tanto è vero che aveva
ottenuto molte pensioni,
molti vitalizi, ma non è
stato mai vincolato a
nessuno di essi, e questa
libertà questo essere
capace, essere amico di
frequentare tante
personalità, anche con
idee diverse, non è
certo una cosa facile,
anche perché era facile
per la sua capacità
scrittoria comporre rime
encomiastiche a favore
dell’uno o
dell’altro, in quanto
questi principi e
cardinali erano
committenti e queste sue
composizioni sia
encomiastiche sia
drammatiche che
riprendono la vita di
alcuni personaggi
importanti fanno si che
il Chiabrera gode dei
frutti positivi dei
grandi signori del tempo.
Scrisse molto, opere
poetiche, drammatiche,
poemi eroici, compose
canzonette, laudi sacre e
morali, scrisse scherzi
poetici, poemetti
sacri e profani, quindi
ha veramente una capacità
di spaziare nel mondo
della poesia greca e
questo lo rende
particolarmente capace di
stimolare gli interessi
di varie parti. Gli
piaceva molto la musica
ed una cosa che tutti gli
riconoscono è la sua
capacità di rendere la
rima,
musicale e cercò
di abbinare la parola
della sua poesia con il
ritmo della poesia
stessa, alla musica del
tempo e compose veramente
degli spartiti per parola
che poi sono state tutte
adattate e musicate da
grandi compositori del
suo tempo e questo andava
nello spirito del suo
secolo. Il Chiabrera è
un personaggio, che
meglio di tanti altri,
anche se considerato un
minore da certi critici,
come il De Sanctis; il
Carducci invece non ha
questa chiusura nei
confronti del Chiabrera,
ma loda il suo impegno
tecnico e lo ricorda per
tutte le composizioni
tanto è vero che
dice ' fece risorgere la
lirica che era stagnante
del suo tempo dandogli un
impulso movimento, un
principio di organica
verità'.
Era una persona che
cercava la bellezza, gli
piaceva, la primavera, i
fiori, la danza, il
gioco, cercava di trovare
una “medicina” alla
tristezza del tempo con
queste composizioni così
effervescenti, così
liriche, così musicali e
soprattutto cercava di
andare oltre la bruttezza
della caducità delle
cose terrene, guardava
oltre dopo la morte, dopo
la fine fisica di ognuno
di noi, si sforzava di
trovare una prospettiva
ulteriore del dopo di
noi. Ha dato origine alle
poesie anacreontiche che
sono delle lodi, che
certamente partono dal
poeta Anacreonte, che nel
secolo del Chiabrera fu
rispolverato e
ristudiato, ma Chiabrera
lo interpreta, attraverso
una pubblicazione del
1554, fatta da Guido
Stefano, suo amico, e
cerca di trovare le
affinità tra la poesia
greca di Anacreonte e la
realtà italiana del suo
tempo e quindi fa uno
studio approfondito sulla
lirica italiana prima di
lui, attraverso la
sensibilità del verso,
la metrica, la scoperta
di Anacreonte e questo è
un grande passo avanti
poiché scopre quanto sia
interessante la semplicità
e il senso dell’umano
contenuto nella lirica
greca, ed è questo che
interessa a Chiabrera, e
in questa lirica
d’amore greca, cerca
sempre il lato umano e
quindi è
un’esaltazione
dell’intelligenza e del
fare dell’uomo.
Chiabrera riflette quindi
una certa galanteria alla
francese, galanteria per
quanto riguarda il
sentimento verso le
donne, quello che era una
scrittura in prosa di
testi francesi dove
troviamo sussurri,
sospiri per l’amata.
Quindi un modo suo molto
originale di porsi in
queste odi d’amore è
un po’ uno specchio di
quello che era il tempo,
voleva ritrovare
attraverso i suoi versi
di rendere moderno il suo
tempo nella ricerca
dell’uomo di allora. E'
interessante la sua
autobiografia, i dialoghi
sull’arte politica, le
lettere familiari che
sono state raccolte in
volume, una produzione
talmente ampia e
interessante che anche
oggi si riescono a
trovare nelle biblioteche
italiane e anche a Savona
sono state trovate di
recente nella biblioteca
del seminario, dei testi
che sono stati musicati e
Chiabrera da questo punto
di vista può farci
scoprire qualcosa di
nuovo. E' forse uno dei
primi, a sentire lo
spirito di un Italia
unita, diversa non
separata, divisa sotto il
dominio di tanti principi
e per fare questo si rifà
molto alle figure dei
padri Della Rovere e di
Cristoforo Colombo. Qui
si sente molto il suo
grande desiderio di novità,
dice l’uomo va avanti,
prosegue in un
miglioramento della
cultura, perché è
spinto da questo grande
desiderio di novità e
questa è una
caratteristica di tutto
il ‘600, quella di
perseguire strade nuove.
Quindi è una poesia
eroica che vuole
scrollare il popolo
italiano a trovare unità
in quel sentimento verso
il nuovo, che potrebbe
essere un’Italia nuova,
coesa, non frazionata da
tanti governi e quindi
molti studiosi indagano
il Chiabrera il problema
sotto questo punto di
vista.
Chiabrera appare essere
una personalità molto
complessa e in questa sua
complessità dobbiamo
considerare anche il suo
sentimento legato a
Savona che è un
sentimento, che pur
conoscendo la corte dei
Medici, pur conoscendo
tante persone importanti
a Mantova, tanti
cardinali a Roma, lui non
andrà mai via da Savona,
anzi vede Savona talmente
in modo ideale da dire di
arrivare a questa sua
poesia aulica, alla
ricerca del mondo,
soltanto a Savona. Cioè
Savona, una città che
sorge in un lembo di
terra naturale così
bella, così protetta dai
venti, così calda per il
clima mitigato dal mare e
Savona diventa il nido,
lo ‘studiolo’
geografico, naturalistico
dal quale non può
allontanarsi, ma anzi
solo a Savona riesce a
trovare quella
concentrazione, quel
clima morale, spirituale
dove solo qui da fuoco è
virtù al suo genio
poetico e questo è molto
bello perchè trova
ispirazione solo in
questa città. Questa è
una cosa curiosa che lo
rende unico perchè un
personaggio così noto,
con importanti
frequentazioni, verrebbe
da dirsi cosa sta a fare
a Savona,: dove tra
l’altro era una città
che in quel periodo aveva
una grave crisi economica
e culturale, in piena
crisi legata ai fatti
bellici con Genova. Questa
crisi, dal punto di vista
economico non lo tocca,
una ragione per la quale
continua a rimanere in
questa città proprio
perché ha tante
provvigioni, molte
risorse che gli vengono
da personaggi che lo
pagano. La fortunata
posizione climatica della
città, sostenuta con
insistenza dal Chiabrera
nelle sue lettere,
giustifica ogni
insufficienza che può
riscontrarsi nella città
stessa. Dice Agostino
Maria De Monti, storico
del ‘600, la città è
rimasta con circa 9000
abitanti, dopo la guerra
con Genova, e viveva
degli stanziamenti dei
genovesi, vive di
assistenza da parte di
Genova, non ha più un
suo spirito
imprenditoriale. Prima
del 1628 ne aveva 20000.
Quindi la repubblica di
Genova vede Savona un suo
dominio Savona, infatti
dice De Monti ‘Savona
costituiva un
prolungamento di Genova
un centro per dominare i
paesi del ponente e
limitare le mire
espansionistiche dei
Savoia’.
Altro fatto interessante
è che molti nobili
genovesi, considerando
questa una loro terra di
conquista, individuano
nella zona di Legino, una
zona climatica,
ambientale interessante
perché non lontana dal
mare, perché bagnata
dalle amorevoli onde di
questo mare e
costruiscono le loro
ville, quindi nel ‘600
Savona ha un’espansione
urbanistica veramente
particolare, nel centro
esiste solo espansione
urbanistica religiosa,
quindi solo conventi,
chiese, oratori.
Legino è una delle parti
della città che vede il
Chiabrera presente, perché
a Legino, il Chiabrera,
che possedeva terre della
sua famiglia, decide di
costruire una casa.
Chiabrera considera
questo posto come una
zona franca e qui ritrova
quel sentimento
spirituale per cui può
concentrarsi, scrivere e
scrive ‘Legino, che lui
chiama ‘Leze’, è un
posto che vede presente i
moderni, cioè i nobili, sia savonesi che
genovesi e dove c’è
persino il palazzo del
cardinale Spinola, di
origine genovese, quindi
fa costruire una casa e
scrive faccio fare un
piccolo dormitorio in
villa il quale è fornito
di ogni cosa e qui,
stanco sempre di stare in
mezzo agli artisti, di
ascoltare sempre querele,
cordogli, pubblici e
privati desidererà
rifugiarsi e dice ‘io
non abbandono la voglia
di vivere in Toscana e
ritornarmene per
Lombardia e poi riposarmi
nell’eremo, per lui
proprio è un riposare,
non solo il corpo ma lo
spirito e proprio perché
vuol stare lontano da
quelle querele, cordogli,
pubblici e privati, di
cui Savona è permeata.
Descriverà la festa
della vendemmia che è
ambientata a Legino, tra
quelle vigne, tra quei
filari e per lui è un
vero e proprio ritorno
alla vita. Costruisce
quadretti di paesaggio
dell’anima attraverso
le parole, è una specie
di ricerca di una pace
bucolica e georgica che
proveniva dalle antiche
letture greche e lui la
ricerca in questa zona
del nostro circondario
savonese. Per lui la
guerra è una gravissima
bestemmia e il vino è un
succo di nettare, capace
di curare ogni male e di
richiamare le Muse. I
versi che compone sono
versi difficili perché
in italiano del ‘600,
però hanno un ritmo, una
cadenza, hanno questo
richiamo a questa voglia
di serenità che trova
solo a Legino, che si
contrappone alla
gravissima bestemmia
della guerra che i
genovesi hanno imposto ai
savonesi e che ha creato
disagio, querele e
cordogli pubblici e
privati, frase molto
sintetica che la dice
lunga sulle morti, lutti,
ma i cordogli non sono
solo fisici ma anche
culturali, materiali. Gli
piaceva banchettare,
amava i piaceri della
vita, la cucina e il
bere, ed il vino è
un’altra di quelle
figure poetiche che gli
servono a dire ‘sono
disposto ad abbandonare
tutto eccetto due cose,
di due non posso
privarmi, una si è bere
alquanto presto,
l’altra è maneggiare
la maledetta e benedetta
penna ’, in queste
semplicissime frasi
abbiamo un riscontro
psicologico della sua
personalità. Chiaramente
può fare a meno di tutto
e lo fa nella vita, fa a
meno della gloria che gli
possono dare i nobili a
cui lui scriveva i
componimenti perché non
si schiera a favore di
nessuno, anzi sta lontano
talmente da Firenze,
Mantova, Roma e Torino
per vivere a Savona, anzi
a Legino. Quindi non si
può privare di due cose,
bere alquanto presto e
maneggiare la maledetta e
benedetta penna, e qui la
dice lunga sul potere
della parola,
sull’essere libero
dello scrivere il proprio
pensiero, sul benedire le
poesie che possono
portare soavità, serenità
in un momento che per i
Savonesi e non solo per
loro, non era certamente
dei migliori ma può
anche essere la penna
maledetta perché può
richiamare invidie può
portare ad essere oggetto
di violenze, di risse e
delitti.
In Legino, questa isola
felice, questo
dormitorio, come lo
chiama lui, trova il
posto 'dove si allontana
dalla bestemmia
gravissima della guerra'
e dice che 'il vino,
succo di nettare prodotto
dai filari di quelle viti
strappate in quella
pianura di Legino con
intorno le colline', è
proprio qualcosa che
sente e che vede per se
stesso e per la propria
anima.
Ma come uomo pubblico,
uomo delle arti, uomo
aperto alla città, ha un
altro rifugio molto
importante che è 'Siracusa'.
Siracusa, come Legino
sono molto citate in
letteratura, negli
scritti del Chiabrera e
anche nella letteratura
locale, perché la vita
del Chiabrera è
certamente legata a
Savona. Quindi in Legino
ha questa oasi, in
Savona, Siracusa, vede,
sente, vive la tempesta
di quei tempi e avverte
le avvisaglie di quella
tempesta economica
culturale. Di Siracusa
dice che è un’immagine
di un rifugio
aristocratico provinciale
e non è rinunzia, ma è
una creazione fantastica,
questa casa diventa in
modo singolare, proprio
un suo capolavoro
poetico, perché li
riesce ad esaltare, ad
essere originale nel suo
ruolo vero e proprio di
letterato, di poeta del
suo tempo, di poeta
lirico e classicista ma
anche di grande
sperimentatore. Lui
sperimenta, fa ricerca,
sperimenta sui modi di
far baciare le rime,
sulle regole quaternarie
ecc. Tutto questo non lo
fa a Legino, a Legino
ozia, va per rilassarsi,
per riposare dalle
fatiche. Sono due realtà
che troviamo legate tra
Chiabrera e la città di
Savona. E’ l’unico
personaggio savonese così
legato a Savona.
Siracusa è una piccola
casa con un giardino,
dietro la chiesa di S.
Lucia, chiesa molto
antica e in
questa piccola
abitazione riceve amici,
letterati, poeti,
pittori, politici e
diventa un punto focale
degli incontri. Quando
lui non si sposta, fa
venire da Roma, da
Mantova da Firenze i
grandi poeti, letterati,
artisti, tutti suoi amici
e questo lo sappiamo dal
suo carteggio e tra le
personalità vediamo
quale rete di relazioni
aveva intrecciato con
tanti personaggi del suo
tempo. Tra le personalità
più importanti del
‘600 pittorico italiano
fa venire a Siracusa il
Bordone e il Bernardo
Castello che avevano
progettato di affrescare
le due stanze della casa.
Oggi non c’è nulla
all’interno, solo un
affresco che è stato
restaurato sulla chiesa
di S. Lucia, un mistico
del Chiabrera, ma
all’interno non c’è
alcuna figura e non
sappiamo perché questo
progetto non è stato
portato avanti.
La chiesa di S.Lucia, che
è molto antica, è
costruita su uno scoglio
ove il mare arriva
proprio sotto, e per
quello che a Chiabrera,
piaceva sentire
quell’onda che si
frangeva, vedere quella
prospettiva aperta; il
Chiabrera nel 1621 fa
costruire questa sua
casetta che lui definisce
modesta, per concessione
avuta nel 1620, dai
rettori della chiesa
cattedrale e con
l’approvazione del
vescovo genovese
Francesco Costa. A questa
casetta era annesso un
piccolo giardino dietro
la chiesa S. Lucia. Il
Chiabrera era innamorato
di questo posto che lo
toglieva dalle noie
cittadine e gli
permetteva di ricreare
l’animo suo e si recava
sovente colà a conversar
con le Muse, come egli
scrive in una sua lettera
all’età di 70 anni.
Questa ricerca di avere
sempre una ispirazione, di
conversare con le Muse,
della musica, della danza
è un modo di ristorare
il proprio animo e di
avere una visione più
chiara. Alla morte del
Chiabrera che avvenne il
28 ottobre 1638 lui
scrive nel testamento che
questa piccola casa,
passi all’oratorio e
alla chiesa di S. Lucia.
Poi però col passare del
tempo, alcune misure
militari hanno fatto
modifiche alla casa,
viene occupato il
giardino e rimangono gli
avanzi della casa e
diventò un posto per
batterie e la piazzola
stessa e i locali furono
annessi agli uffici
sanitari del porto e poi
ai canottieri
guardacoste. Nel 1857, il
ministero delle Finanze
diede in affitto, per 60
anni al Comune, questi
locali, dismessi dal
ministero della guerra e
per contratto, nel 1898,
gli avanzi della casa del
Chiabrera detta la
Siracusa passarono di
proprietà dello Stato
che poi cedette l’opera
per uso di sacrestia
all’oratorio.
Interessante è che il
Chiabrera ha lasciato
scritto la sua
intenzione, la sua volontà
di fare rinfrescare la
casa da Bernardo Castello
e Luciano Bordone che gli
avevano promesso di
illustrare le pareti del
suo alberghetto, con i
loro pennelli, ed era
intenzione del poeta di
dichiarare la sua
devozione verso alcuni
grandi principi alla cui
memoria rimaneva
obbligato per benefizi
singolari, Ferdinando III,
Cosimo de Medici e papa
Urbano VIII. Quindi
voleva far affrescare
sulle pareti le immagini
o le allegorie che si
riferivano a Ferdinando
III, Cosimo de Medici e
papa Urbano VIII.
Invece quello che è
rimasto dell’idea di
voler affrescare le
pareti, è
quell’immagine di S.
Lucia che è posta sulla
chiesa, al di sotto della
quale, il Chiabrera ha
fatto scrivere questi
versi: 'Lucida lucenti
lucescis, Lucia luce lux
mea, lucescat Lucia luce
tua'. Altri versi li
troviamo scritti sulla
torretta verso il mare e
dedicati a Leon Pancaldo,
‘In mare irato, in
subita procella, invoco
Te nostra benigna stella
’.
L’intenzione del
Chiabrera per la
Siracusa, era anche
quella di ricordare,
oltre Ferdinando III,
Cosimo de Medici e papa
Urbano VIII, altri intimi
amici come don Vincenzo
d’Ermellino,
G.B.Castello e Lorenzo
Cuneo in quanto solean
compiacer radunar seco
lui, lettere e arti in
quel della Siracusa. Don
V. d’Ermellino sarà
quello che
preparerà la
lapide della sua tomba.
Chiabrera chiese di
essere sepolto nella
chiesa di S. Giacomo che
era il Pantheon dei
Savonesi.
Nella biblioteca del
seminario, è stato
trovato uno spartito
musicale del Chiabrera
molto singolare, di
alcune poesie, musicate,
quindi non solo parole,
ma parole con musica, che
sono state studiate per
la prima volta quando è
stato fatto un convegno
internazionale dedicato
al Chiabrera nel 1993.
Nel libro a lui dedicato
si parla di Chiabrera
savonese e nazionale e di
Chiabrera fra dilettanti
e professionisti dello
spettacolo. Infatti
queste odi che Chiabrera
componeva per le grandi
corti del tempo, per le
feste di carnevale,
allora molto in voga,
davano origine a
spettacoli nei giardini
all’italiana della
famiglia Medici e quindi
venivano costruite delle
vere e proprie macchine
per illustrare delle
scenografie che
sfruttavano i fuochi
d’artificio. In alcune
scene illustrate da
Chiabrera si parla di 253
colpi di fuochi
d’artificio sparati per
illustrare le sue poesie,
quindi l’interesse del
Chiabrera è un interesse
vastissimo. Chiabrera è
la mente musicale romana
che ebbe importantissimi
musicisti romani della
musica del ‘600.
Altro aspetto
significativo per Savona
e la sua cultura, è
notare come dalla Siracusa,
Chiabrera invita amici
fiorentini per le sue
poesie e dice che a
questi uomini grandi,
ogni loco si è donato in
tutto e per tutto, cioè
si è donato
completamente, dal punto
di vista dell’ingegno e
della sua poesia. Questo
incontro porterà alla
realizzazione
dell’accademia degli
Accesi, che rispecchiava
la cerchia degli
intellettuali di allora e
che aveva una funzione di
dialogo con la città,
non solo con la città
colta ma cercava anche il
dialogo con la città
tutta. Questi
intellettuali sentivano
che in Savona c’era
grandissimo rischio di
una dissolvenza e
disgregazione della vita
sociale, della una cultura,
perché la cultura porta
aggregazione, scambio di
idee, miglioramento della
vita e soprattutto
educazione al rispetto
altrui, alla solidarietà
verso gli altri nel
rispetto delle opinioni
di ognuno. In quel
momento così buio e
triste per la città si
sentiva questa possibilità
di dissolvenza della vita sociale, e gli
accademici la cercano di
rivitalizzare. Fra gli
accademici c’erano
Ambrogio Salinieri, G.B.
Ferrero e G.B. Caboto.
Per capire cosa era,
possiamo dedurre notizie
da un lavoro del
Chiabrera, intitolato
‘Il forzano’; questo
dialogo, ricorda un
discorso fatto
all’accademia sotto un
sonetto del Petrarca e di
qui veniamo a conoscenza
di chi erano i componenti
dell’accademia e
qual’era il loro scopo.
L’accademia degli
Accesi cambia nome in
accademia degli
Sconosciuti.
A Savona l’accademia
non ha mai avuto vita
facile, è stata sempre
vista di malocchio, è
sembrata una cosa
aristocratica, nobile,
fatta da persone nobili,
di ceto sociale troppo
elevato quindi non è
stata capita, tanto è
vero che Ricci venne
condannato per fare parte
dell’accademia. Però
abbiamo notizie
interessanti su chi erano
gli amici di Chiabrera,
di chi faceva parte
dell’accademia, perché
ce lo dice lui, ed
abbiamo così un elenco e
leggendolo sappiamo in
modo orientativo chi era
l’intelligenza del
tempo, chi si impegnava
nel riportare una vita
sociale. C’erano anche
molte donne, come
Bertussone Maria, nata
nel 1570, moglie di
Bonifacio Naselli, del
Regno di Napoli,
uno che fu dottore
e lettore di leggi e
avvocato nel Regno di
Napoli, il Chiabrera lo
condusse a Roma per
difendere una sua causa
contro la camera
apostolica, morì a
Savona nel 1650, a 75
anni e nelle sue lettere,
il Chiabrera lo dice
amicissimo. C’era Nicolò
Cuneo, poeta savonese,
figlio di Sebastiano
Nicolò che morì a
Napoli nel 1656, G.B.
Pera gran capitano che
morì nel 1620, i Ferrero,
i Gavotti, Giò Battista,
figlio di Nicolò e Maria
della Rocca, fratello di
Giò Stefano prete, che
fabbricò la cappella
della famiglia nel duomo
cittadino, Gavotto
Armeria che sposò nel
1640 Alessandro Siri,
Gavotto Giulia che sposò
Vincenzo Ferrero che morì
nel 1638 e destinò
cospicuo lascito alla
Madonna e all’ospedale
S.Paolo e lasciò ai
poveri e alle giovani
senza dote, Gidinzano
medico savonese, che
aveva una figlia
Maddalena che fu
l’unica pittrice del
‘600 e feconda
letterata, Aurelia Farese
nata nel 1595 da Nicolò,
barone di Castelnuovo e
molti altri.
Abbiamo un insieme di
nomi illuminanti che ci
fanno vedere come queste
famiglie savonesi erano
note fino a Napoli, in
Sicilia e come erano
legate da profonda
amicizia con il Chiabrera
e come tutti insieme
vollero dar vita a questa
accademia e come vollero
migliorare la qualità
della città.
L’amicizia per il
Chiabrera era
fondamentale e ha ideato
queste accademie che
potevano essere circoli
culturali, punti di
aggregazione, di
dibattito, di fusione
delle idee e soprattutto
cercava di allargare
questa amicizia intensa a
tutti gli intellettuali
e alla città tutta.
Questo è molto
innovativo e lo lui
sentiva come un dovere
fondamentale.
Scrive
anche opere drammatiche
tra cui Amedeide, che è
dedicata a Carlo Emanuele
I di Savoia. Chiabrera
nel suo portone
principale riporta
proprio in alto questo
tema, vediamo il
Chiabrera che presenta la
Amedeide a Carlo Emanuele
I. E’ un altorilievo
scolpito da Antonio
Brilla nel 1853. Amedeide
è un poema dedicato a
Carlo Emanuele I, suo
protettore e
Brilla riesce a
dare un'espressione
veramente interessante,
perché nella parte
centrale del portone c’è
Savoia e Chiabrera e alla
destra di chi guarda c’è
Gabriello Chiabrera che
è ripreso con la tipica
gorgiera alla spagnola,
un grande collo
plissettato, che si
presenta verso il Savoia
e ha in mano un libro che
rappresenta il testo
della Amedeide. Tutto
intorno a questo grande
lavoro del Brilla, c’è
una scena di uomini,
donne, letterati che fanno un
po’ parte di quei
personaggi, tutti amici
del Chiabrera, che in
qualche modo lo hanno
sorretto in questo suo
essere un poeta, uno
scrittore, un
drammaturgo. Il passo in
avanti verso il duca non
è completato, ha un
po’ timore Chiabrera,
non vuole essere
sfacciato, teme un po’
questa importante
presenza. E'
un’esaltazione delle
gesta del Savoia a cui
era legato da una
amicizia profondissima.Il poema non ha
avuto successo, però è
interessante perchè i
Savoia, a quel tempo,
vengono presi a simbolo
delle lotte per
l’indipendenza
nazionale dagli
stranieri. Infatti Carlo
Emanuele I, combatté sia
gli spagnoli che gli
austriaci. Diventa quindi
quel simbolo che
interessava al Chiabrera
per cui decide di
scrivere il poema che è
suddiviso in molte parti
ma di difficile lettura e
comprensione e deve
essere ricordato per quel
senso di libertà dallo
straniero. Da ricordare
è il suo amore per il
Santuario di Savona in
quanto il Chiabrera era
profondamente devoto alla
Madonna della
Misericordia, tanto è
vero che si fa attore in
prima persona per
convincere Bernardo
Castello, suo amico, ad
affrescare le volte del
Santuario. Nelle volte, ci
sono affrescate le storie
della vita della Vergine,
grazie al pennello di Bernardo Castello
che illustra il Santuario
con la sua arte.
Chiabrera ha dato tanta
importanza alla città e
si sentiva orgoglioso di
essere savonese così
come chi lo aveva
preceduto, come i papi
Sisto IV e Giulio II e lo
scriverà in una sua
lettera del 1628.
A
lui è dedicato il teatro
della città.