Usi e costumi: feste e fistini

di Paolo Cassone – Foto d’epoca

 

 

Ø         Gli uomini e le cose

Ø         Il lavoro e i frutti della terra

Ø         San Giuseppe

Ø         Il ciclo della Pasqua

Ø         Feste e fistini

Ø         La festa di San Sebastiano

Ø         La ricorrenza dei defunti

Ø         Il Natale

 

 

 

 

Quando tutte le chiese del paese erano agibili, durante il corso dell’anno, ogni chiesa di Ferla festeggiava un santo particolare o celebrava qualche accadimento riferito a fatti locali o alla liturgia ecclesiastica. Le principali manifestazioni religiose erano e sono la S. Pasqua, la festa del Patrono S. Sebastiano e del Protettore S. Antonio, festeggiati nelle omonime chiese monumentali, ove fino agli anni cinquanta operavano le rispettive confraternite. Particolarmente sentita è ancora oggi la festa del SS. Crocifisso nella chiesa di S. Maria, di S. Francesco e dell’Addolorata nella Chiesa dei Cappuccini, la Madonna delle Grazie nella chiesa omonima ove è particolarmente venerata l’effige della S. Madre delle Grazie, chiamata dai nostri contadini e dai massari “a Scauzza”, invocata dagli stessi sopratutto per intercedere la pioggia in periodi di siccità; nella chiesa di S. Sofia si festeggia S. Lucia e nella chiesa del Carmine la Madonna del Carmelo e S. Paolo.

 

L’Epifania tutte le feste porta via. A Ferla era chiamata “a festa de  tri  Re”. Le celebrazioni liturgiche erano appannaggio della chiesa di Sant’Antonio, ove si svolgevano varie celebrazioni che culminavano con la “curruta da stidda”.

 

Una tradizione si perpetua a Ferla dagli anni della ricostruzione, dopo il sisma del 1693, sono le “quarant’ore di adorazione” del Santissimo che si tengono nei giorni 9, 10 e 11 gennaio, per ricordare quel luttuoso ed infausto evento che recò morte e distruzione al nostro popolo e per invocare protezione da tali sciagure.

 

Ascensione. Fino ad alcuni anni fa celebravamo la vigilia di questa festa religiosa con grandi falò e luminarie in ogni quartiere. I ragazzi cercavano in tutto il vicinato fascine da ardere, qualche volta le... rubavano. Si gareggiava a chi faceva il falò più grande. Quando le fiamme si abbassavano, i giovani saltavano da una parte all’altra del falò, in mezzo al fuoco.

Era  probabilmente un rito di origine pagana  per dare l’addio alla brutta stagione e salutare il risveglio della natura.

 

Il 17 Gennaio Festa di S. Antonio Abate sanciva, fino a non molti anni or sono, l’apertura o entrata nel periodo carnevalesco. Da tale data iniziavano i cosiddetti fistini di ballo, ovvero feste in casa in cui ci si riuniva in allegria e si ballava. Durante il periodo carnevalesco era usanza il parlare scurrile, gli scherzi ed i lazzi. Una particolare usanza era quella di dare a indovinare le cosiddette “numinagghie”, ovvero risolvere degli indovinelli o degli astrusi ragionamenti detti “sciugghiri nu dubbio”. Caratteristico era, per iniziare il gioco o passatempo, che di solito si svolgeva nelle sartorie o nelle botteghe di artigiani, dire “numinagghia, numinagghia chi fa l’uovo nmenzu a pagghia?.” Ognuno proponeva il suo indovinello o dubbio e la bravura a risolverli o meno era premiata o sanzionata da penitenze o pagamento di pegno.

I “fistini” servivano anche a intrecciare relazioni e a combinare matrimoni. Durante il festino c’erano delle regole precise da osservare. Ogni cavaliere invitava a turno tutte le ragazze, facendo un inchino; la dama doveva ballare con tutti i cavalieri: il rifiuto veniva considerato un oltraggio. Non erano visti di buon occhio balli ripetuti con lo stesso cavaliere. Gli anziani, seduti intorno al braciere con tizzoni ardenti, “a conca”, commentavano i balli e tessevano le trame per i matrimoni o i fidanzamenti. Si offrivano agli invitati dolciumi e liquori o vino. I festini iniziavano subito dopo cena, per concludersi intorno alla mezzanotte; i giorni privilegiati erano il mercoledì, il sabato e la domenica. Molto ricercati ed invitati erano coloro capaci di dirigere la quadriglia, con la quale si concludeva il festino.

Durante il periodo carnevalesco, coloro che non erano invitati a festini erano soliti mascherarsi e bussare nelle case dove si tenevano i festini, per chiedere di effettuare un ballo. I mascherati in questo modo andavano a curiosare, specialmente se avevano qualche interesse “amoroso”. Ogni partecipante al festino cercava di individuare chi si celasse nelle sembianze mascherate. I costumi erano spiritosi ed eleganti.

Alcune figure caratteristiche del carnevale degli anni della nostra infanzia erano: “don Nello”, che piroettava da solo, con molta grazia e signorilità, intorno ad un fazzoletto colorato che reggeva con il pollice e l’indice della mano destra. Altra coppia era composta da “ U zi’ Pippino Bellofiore e Salvatore Giansiracusa”, che ballavano una furiosa polca girando all’incontrario.

Nelle case dei popolani, un tempo, si ballava al suono di fischietti e tamburi, poi sostituiti dalla fisarmonica; mentre nelle case dei più abbienti si ballava al suono del pianoforte; fino agli ultimi tempi in cui si pagava la tassa sui pianoforti, a Ferla, erano iscritti a ruolo ben sei. Strumenti soppiantati, in tempi più recenti, dal grammofono e dal giradischi.

Altri tempi: bastava poco per divertirsi!