La Rivoluzione Industriale
Con la rivoluzione industriale la società contadina si trasformò in operaia e si
delineò una nuova politica e una nuova classe sociale: il capitalismo e la
borghesia.
Questo processo iniziò in Inghilterra con la concentrazione fondiaria
dell'aristocrazia terriera, nel XVI secolo, per costituire vaste estensioni di
terra per l'allevamento dei montoni da lana, materia prima della futura
industria tessile inglese, sostituendo al maggese le colture foraggere e
soppiantando così i contadini che andarono ad ingrossare la folla dei poveri.
Il contemporaneo rapido sviluppo dell'industria estrattiva e manifatturiera
obbligò i contadini privati delle terre all'emigrazione verso le città a
costituirne una manodopera miserabile e sovrabbondante. Le prime generazioni
operaie vissero nelle terribili condizioni di sfruttamento capitalistico che ben
conosciamo, molto simili alle condizioni di schiavitù dell'epoca faraonica con
l'apparente eccezione del diritto padronale di vita o di morte: in realtà il
licenziamento poteva equivalere a una condanna a morte.
I contadini, abbandonati a sè stessi, accettarono questo grosso rischio -
considerando cioè lo sfruttamento spietato come un male minore rispetto alla
povertà della vita dei campi e abbandonarono le campagne per stabilirsi in città
, poi divenute metropoli. I maggiori economisti dell'epoca sostennero che il
governo non doveva interferire, che il segreto del progresso consisteva nel
lasciare industria e commercio svilupparsi senza restrizioni. Presto o tardi le
leggi della domanda e dell'offerta avrebbero automaticamente portato beneficio a
tutti, mentre invece l'interferenza dello stato avrebbe solo impedito il
progresso.
Malthus e il "Saggio sul principio della popolazione"
Il Rev. Malthus, pastore anglicano dei primi anni della rivoluzione industriale,
nel famoso "saggio sul principio della popolazione" (17:8) afferma: l'assistenza
dello stato è nefasta perchè alleviando la miseria nel breve periodo favorisce
il matrimonio e la procreazione degli indigenti e finisce, sul lungo periodo, ad
estendere ed aggravare la miseria. In assenza di limitazioni le popolazioni
umane aumentano in progressione geometrica (1,2,4,8,16,32...) ogni 24 anni
mentre la produzione alimentare aumenta invece in progressione aritmetica
(1,2,3,4,5...). La soluzione, ai suoi occhi, stava nella limitazione volontaria
della natalità senza però usare "diabolici" sistemi di contraccezione, neanche
tra le coppie sposate, e raccomanda di non sposarsi senza essere in grado di
mantenere la famiglia, osservando nel frattempo una condotta perfettamente
morale.
I neomalthusiani tolsero il pesante veto alla contraccezione, ma queste tesi
furono combattute da Marx che addusse al capitalismo la responsabilità della
miseria, ritenendo il salario e il reclutamento precoce dei fanciulli fattori
che spingono gli operai alla prolificità . Le generazioni successive di operai,
con l'aumentare della ricchezza generale (e, in definitiva, quando lo permise la
ragion di stato), acquistarono il diritto allo sciopero: gli antichi schiavi e
servi della gleba erano diventati operai.
Lo sviluppo industriale e le miniere di ferro e di carbone, affamate di
manodopera portarono, di riflesso, nuove tecniche all'agricoltura, tendenti
all'aumento dello sfruttamento della terra, tecniche necessarie per alimentare
una popolazione metropolitana in espansione (nel XIX secolo la popolazione
europea passò da 187 a 400 milioni di anime), senza per questo elevare la
qualità della vita delle comunità contadine che continuarono a restare in uno
stato sociale inferiore rispetto ai lavoratori dell'industria. I contadini,
infatti, erano indissolubilmente legati ai lenti cicli stagionali della terra, e
ai capricci atmosferici, mentre la produzione industriale cominciava a possedere
una certa pianificazione ed un futuro prevedibile e gli operai poterono, in un
secondo tempo, formare corporazioni che consentivano loro di avere una (debole)
voce in capitolo.
Ma trasferendoci dalla descrizione politica alla realtà ambientale l'aumento
della produzione di cibo fu ottenuto abbattendo e bruciando le foreste per far
posto alle monoculture, selezionando le sementi, impiegando nuove macchine e i
nuovi fertilizzanti sintetici e gli anticrittogamici che l'industria chimica
aveva cominciato a immettere sul mercato in quantità crescenti. I risultati iniziali
furono sbalorditivi: il rendimento della terra crebbe miracolosamente e i
rifiuti industriali immessi nella biosfera erano, pur con qualche difficoltà ,
riassorbiti dalla superficie del pianeta. Tutto sembrava andar bene, il
capitalismo industriale era il roseo futuro d'Europa e del mondo.
Verso la fine del XIX secolo apparvero sul mercato numerosi nuovi prodotti
destinati alla classe media: il telefono, il fonografo, la luce elettrica, il
motore a combustione interna, infine l'aeroplano. L'uomo borghese romantico,
lanciato sulla scia delle grandi invenzioni e delle imprese pionieristiche
doveva essere aggressivo ed ambizioso, ed il simbolo del prossimo secolo la
VELOCITA' di dannunziano ricordo. I grandi progressi della scienza portarono a una
sorta di culto della scienza stessa: furono messe in dubbio le fedi religiose, e
persino le istituzioni: siamo in pieno romanticismo, amante della morte più che
della vita, nato per contrasto alla arida Ragione illuminista. L'istruzione
elementare di masse sempre più grandi di popolazione ( e lo sviluppo
dell'industria editoriale) incrementò il pubblico degli scrittori romantici, in
un fenomeno di nessun precedente storico. Tipico rappresentante, Friedrich
Nietzsche attaccò il cristianesimo (la moralità degli schiavi) e le masse (gli
schiavi), vagheggiando la comparsa di superuomini, forti e nobili condottieri
come unica alternativa per la salvezza del mondo, spianando forse la strada ai
regimi totalitari dei decenni successivi. Ma se la borghesia si avviava ad
essere la nuova classe dominante, il proletariato, più numeroso, era molto
debole. La minaccia della fame costringeva gli operai a una dipendenza totale
dai loro datori di lavoro. L'espansione delle città industriali aveva
inghiottito le loro piccole fattorie: ora il cibo doveva essere comprato con il
salario, ed il salario era terribilmente scarso: l'assistenza agli anziani era
affidato a patetiche organizzazioni filantropiche.
Si cominciarono comunque a raggiungere velocità e volumi produttivi prima
impensabili, i grandi lavori ferroviari e stradali aumentavano sempre di più i
volumi di produzione e i commerci assunsero dimensioni mondiali. Anche
l'evoluzione umana aumentò di velocità a mezzo della trasmissione culturale
operata dai nascenti mass-media.
La situazione economico sociale e politica dell'Europa
settecentesca mostra importanti segni di dinamismo. Un primo dato riguarda la
crescita demografica fenomeno che si manifesta sensibilmente nella seconda metà
dei secolo, dovuto sia alla diminuzione della mortalità (in particolare per la
scomparsa della peste), sia al decisivo miglioramento delle diete: la diffusione
della patata e dei mais si inseriscono all'interno di un generale incremento
della produzione agricola.
Esiste poi una correlazione positiva fra incremento demografico e crescita della
produzione manifatturiera, particolarmente sensibile a partire dagli anni
quaranta dei secolo, favorita da un analogo andamento dei prezzi. Ma il settore
nel quale si registra i( dinamismo più accentuato è quello dei grandi commerci
internazionali, legati a un balzo in avanti nell'affermazione del colonialismo
europeo.
Dal punto di vista sociale, cresce l'importanza della borghesia, tesa a
rivendicare il proprio ruolo economico e politico nei confronti
dell'aristocrazia. Occorre tuttavia ricordare che in questo periodo vi sono
ancora ampie zone d'Europa, particolarmente quelle centrorientali, in cui questa
classe sociale è dei tutto marginale, o è ancora limitata a piccoli nuclei. Solo
in Inghilterra e in Olanda esiste, alla metà dei Settecento, una borghesia
sufficientemente estesa e caratterizzata da una vera identità culturale e
politica, La Francia mostra una situazione più complessa, perché se è certamente
significativo il conflitto che oppone la borghesia commerciale e imprenditoriale
all'aristocrazia, non va trascurata la tendenza, in atto dal secolo precedente,
che vede il borghese teso in primo luogo a nobilitarsi, investendo il suo denaro
per garantirsi un titolo, una carica pubblica, uno stile di vita e un prestigio
sociale affini a quelli degli aristocratici.
Con l'eccezione dell'Olanda e dell'Inghilterra, il modello politico dominante in
Europa è quello dell'assolutismo, che è stato detto "illuminato" perché vede i
sovrani impegnati in una politica di riforme che, nella seconda metà dei secolo,
assume notevole rilievo e organicità, e trova le sue ragioni più profonde nella
necessità di risolvere i grandi problemi dello stato moderno nel suo rapporto
con l'economia e la società. In primo luogo lo sforzo dei sovrani è quello di
aumentare le entrate favorendo lo sviluppo economico del paese e razionalizzando il sistema fiscale. Provvedimenti rivolti in
questa direzione si ritrovano nella politica di tutti i sovrani europei:
sostegno alle manifatture, lotta contro le corporazioni, riduzione dei vincoli
di alienazione della proprietà terriera, miglioramento delle reti di
comunicazione e facilitazione amministrativa dei commerci, riduzione dei
privilegi e delle esenzioni fiscali. Anche la politica religiosa seguita nella
seconda metà del Settecento dai sovrani europei è dovuta all'esigenza di
affermare l'autorità politica ed economica dello stato sulle istituzioni
ecclesiastiche. Si cercò di attaccare in maniera radicale la proprietà terriera
ecclesiastica e di ridurre l'entità numerica del clero regolare. Le istituzioni
assistenziali e sanitarie e quelle scolastiche statali furono contrapposte, ogni
volta che fu possibile, a quelle della Chiesa, giudicate inefficienti e
culturalmente arretrate. Si tratta di una tendenza politica complessiva, nella
quale confluiscono, oltre a ragioni di ordine economico e politico, anche
fattori culturali, quali la crescente laicizzazione della società, la volontà di
porre fine alle chiusure controriformiste, il diffondersi degli ideali di
tolleranza. A questi principi sono da attribuire anche la riforma del codice
penale, con l'abolizione della tortura e dei trattamenti disumani, e la
diffusione dell'istruzione pubblica a spese dello stato. In generale, tuttavia,
la politica di riforme non mette seriamente in discussione le strutture portanti
della società dell'ancien regime: l'aristocrazia rimane ceto dirigente e
sostegno principale della monarchia.
In questa società in profonda evoluzione si fa strada una cultura dei mutamento,
una ideologia della trasformazione, che ricusa il passato e la tradizione e
propone una nuova concezione dei mondo, razionalista e scientista Una rassegna
schematica delle caratteristiche dell'illuminismo può partire dalla metafora
della "luce", che è comune alle Lumières francesi, alla Aufklárung tedesca, all'Enlightenment
inglese, ai Lumi italiani. La stessa metafora della luce contiene, in sé il
termine antitetico delle tenebre e, in quanto Ia luce è conoscenza,
di qui la battaglia illuminista contro il pregiudizio, la superstizione, il fanatismo, il dogmatismo, contro tutto ciò che il
"tribunale della ragione"
(l'espressione è Kantiana) giudica illegittimo e infondato. L'illuminismo
critica le religioni
positive, consolidate in dogmi, apparati, riti, alle quali vengono contrapposti
i principi di una religione naturale o razionale. Il richiamo alla ragione e al
diritto naturale guida la lotta contro i privilegi e le disuguaglianze fondate
sulla nascita. La ragione non è più la facoltà dei principi eterni, garantiti
metafisicamente da Dio, ma uno strumento di indagine e ricerca della verità, che
nega valore alla trascendenza come principio normativo superiore alla ragione
stessa. In ogni campo l'illuminismo è convinto della destinazione sociale dei
sapere, dei suo valore operativo, della sua capacità di trasformare la realtà
per realizzare la felicità sia individuale sia pubblica: da qui l'interesse per
lo studio della società e dell'uomo in una prospettiva storica, da cui emergano
le conquiste dei progresso, nel quale i filosofi dell'età dei Lumi hanno enorme
fiducia. Questa visione pragmatica dei sapere si traduce in una particolare
concezione del filosofo e dell'intellettuale, che si pongono come avanguardia di
una civiltà emergente, con il compito di indirizzare il corso delle cose nel
senso indicato dalla ragione.
Senza voler ravvisare una causalità meccanica tra le idee illuministiche e le
rivoluzioni di fine secolo, bisogna tuttavia sottolineare che sia gli americani
sia i francesi si ribellarono in nome dei principi basilari dell'illuminismo.
Quella americana (1775) fu la prima rivendicazione di autonomia di una colonia,
in base al principio di rappresentanza, di elezione, di consenso
alle imposte, di autoregolamentazione. Quella francese (1789), segnando il
fallimento dell'ipotesi riformista dell'assolutismo illuminato, percorse con
grande rapidità il ventaglio delle ipotesi politiche elaborate nel corso dei
secolo, dal liberalismo costituzionale al democratismo egualitario, e riassunse
in sé aspirazioni, istanze, tensioni ideali che erano state proprie della
cultura dei Lumi.
Lo stato autoritario creato da Bonaparte in Francia ed esportato nelle zone
conquistate durante le varie "campagne" napoleoniche è anch'esso nuovo rispetto
alle monarchie tradizionali: rappresentante diretto del popolo, da cui è
legittimato con frequenti plebisciti a suffragio universale, promuove la
modernizzazione dei paese favorendo gli strati sociali intermedi, che trovano
occasioni di carriera e di prestigio negli apparati dello stato.
La situazione in Italia
Con le guerre di successione polacca (1733 38) e austriaca (1740 48) in Italia
si stabilisce una situazione di equilibrio tra gli Asburgo (che dominano
Lombardia e Toscana) e i Borbone (presenti nel Meridione), che avviano, tra il
1760 e il 1780, programmi di riforme intese a riorganizzare lo stato in senso
moderno e assoluto. Si trattava di ridurre il potere della nobiltà e dei clero,
di aprire le istituzioni ai ceti emergenti rompendo l'intreccio tra potere
politico, proprietà terriera e privilegio giuridico. I risultati furono diversi
a seconda degli stati: nella Toscana di Pietro Leopoldo e nella Lombardia di
Maria Teresa e Giuseppe Il d'Austria le riforme (politiche, fiscali, giuridiche)
furono avviate in modo deciso e coerente; nel napoletano e in Sicilia la
politica antifeudale si risolse in correttivi parziali e inefficaci; nel
Piemonte sabaudo un assolutismo rigido e non illuminato costrinse all'esilio gli
intellettuali più aperti all'illuminismo europeo. Le campagne napoleoniche in
Italia (1796 97) apparvero ai democratici dei vari stati come l'occasione di
liberazione, ma furono in realtà vere e proprie spedizioni di conquista e le
repubbliche giacobine (la più importante è quella Cisalpina, con capitale
Milano, proclamata nel 1796), nate sull'onda dell'entusiasmo filofrancese,
ebbero vita breve e drammatica (a Napoli i giacobini della Repubblica Partenopea
dei 1799 verranno sconfitti nel sangue dai contadini sanfedisti e da una nutrita
coalizione antifrancese).
Le vistose trasformazioni economiche che, nel corso
dell'Ottocento, contribuiscono a mutare radicalmente il volto della società
europea e mondiale sono in stretta correlazione con quella che va sotto il nome
di Il prima rivoluzione industriale": un fenomeno che, come vedremo anche più
avanti, interessa, con intensità e tempi diversi, tutta l'Europa. Si tratta di
un profondo mutamento economico e sociale, dovuto a numerosi e diversi fattori.
L'aumento della produttività agricola e l'incremento demografico permettono
l'accumulazione di capitali e la liberazione di manodopera da destinare
all'industria Le innovazioni tecnologiche, come l'introduzione della macchina a
vapore, facilitano la meccanizzazione della produzione industriale. Lo
spostamento dei lavoro dalle attività agricole a quelle che producono beni
industriali e servizi ha enormi conseguenze sulla società e sulla vita degli
individui. Inizia allora un lento ma inesorabile processo di spopolamento delle
campagne e di urbanizzazione, che nella seconda metà dei secolo porterà alla
trasformazione delle capitali in metropoli. La sostituzione delle grandi
fabbriche alle aziende familiari spersonalizza il lavoro, lo rende meccanico,
così come indebolisce i rapporti individuali tra i lavoratori, mentre rafforza
quelli politici, fondati sulla coscienza di appartenere a una classe.
Aumenta la produzione diretta ai mercati nazionali e internazionali, mentre
diminuisce quella destinata all'autoconsumo o ai mercati locali: si apre l'epoca
delle grandi esposizioni universali, dove i vari paesi reclamizzano le proprie
merci e mostrano al mondo la potenza raggiunta.
La diffusione dei nuovi mezzi di produzione porta alla nascita di nuove classi
sociali, in particolare il proletariato urbano che, per sopravvivere, dispone
esclusivamente della possibilità di vendere il proprio lavoro, e i capitalisti
imprenditori, proprietari delle terre e dei mezzi di produzione. I primi fanno
valere il proprio "monopolio" dei lavoro, e su questa base rivendicano il
diritto alla giustizia sociale; i secondi rivendicano il primato, nella
gerarchia, dei valore e dei potere sociale in nome dei possesso dei capitale,
sfidando l'antica aristocrazia.
Un fenomeno altrettanto interessante, che contribuisce a rendere più complessa e
meno trasparente la
dinamica sociale dei capitalismo, e giustifica la definizione di "società
borghese" usata per caratterizzare la nuova società in formazione, è costituito
dall'affermarsi della classe media: cioè dal moltiplicarsi di ceti più o meno
collegati ai poli estremi del dualismo di classe, che rappresentano l'elemento
principale di coesione sociale e offrono la base di massa all'affermarsi delle
nuove ideologie politiche liberali e democratiche.
Liberalismo e democrazia sono le due principali ideologie della prima metà dei
secolo, il periodo in cui si sviluppa il romanticismo. Se la tendenza odierna è
di identificare i due termini, e agli inizi dell'Ottocento essi possono ancora
essere confusi, derivando entrambi dalla rivoluzione francese, verso il 1830 la
distinzione appare netta: democrazia è sinonimo di suffragio universale, di
governo dei popolo, mentre il liberalismo identifica il governo di una èlite
Nella sua più genuina ispirazione filosofica il liberalismo è l'estensione al
più diversi aspetti della vita sociale, politica, culturale, dei principio del
valore assoluto della libertà individuale e di coscienza. Esso è ostile alle
corporazioni, agli ordini, a tutte le forme di associazione che tendono a
vincolare l'individuo. La stessa diffidenza si manifesta nel confronti dello
stato, il cui potere deve essere limitato in quanto ostacolo alla libertà
individuale. La sovranità, per il liberalismo classico, è della nazione, ma il
suo esercizio spetta a una minoranza di cittadini: quelli che per condizioni
economiche e istruzione possono farne un uso responsabile e maturo.
Associando direttamente la libertà politica all'uguaglianza dei cittadini e al
suffragio universale, la democrazia si fonda invece sull'idea di uno stato che
interviene attivamente nella società civile, per correggere le differenze di
partenza dei cittadini, contribuendo alla loro elevazione sociale e culturale e
rendendoli capaci di una partecipazione consapevole alla vita della
collettività.
Strettamente connessa al diffondersi di ideologie politiche come quelle liberali
e democratiche è la formazione, nella prima metà dell'Ottocento, soprattutto
negli Stati Uniti e nell'Europa nordoccidentale, dell'opinione pubblica. La
piena libertà di stampa, fino al
l'abolizione totale di ogni censura, costituisce una delle principali richieste
dei movimenti liberali, convinti che la libera circolazione delle idee e il loro
confronto favoriscano la crescita culturale e civile della società, della quale
beneficia anche il sistema politico nel suo insieme. Al contrario, per i governi
conservatori che al congresso di Vienna tentano di seppellire l'esperienza della
rivoluzione francese, l'opinione pubblica è solo fonte di possibili dissensi e
opposizioni, se non di movimenti insurrezionali.
Lo sviluppo della stampa, che con l'invenzione dei telegrafo e della rotativa
accelera enormemente la ricezione, l'elaborazione e la diffusione delle notizie,
favorisce un notevole aumento dei pubblico dei lettori. L'incremento progressivo
dei livelli di alfabetizzazione, la crescita dell'istruzione superiore, il
diffondersi delle professioni liberali, lo sviluppo delle grandi città
permettono la circolazione dei pensiero e dell'informazione in strati di
popolazione assai più vasti che in passato. Il nuovo pubblico di lettori chiede
informazioni, conoscenze, istruzione agli intellettuali, che in questi anni
assumono un ruolo importantissimo nella società e nella politica europee. Il
loro compito non è più semplicemente quello di esprimere la società
contemporanea, ma soprattutto di indicarne le cattive tendenze e le
degenerazioni; in altre parole, di incarnare la coscienza critica dei loro
tempo. Se nel secoli precedenti l'uomo di pensiero era costretto all'alternativa
tra il mestiere di "consigliere dei principe" e un ruolo marginale nella
società, ora è trascinato nel vivo della battaglia politica e ne diviene
protagonista. 1 principali movimenti politici moltiplicatisi in un clima di
straordinaria effervescenza di idee si costituiscono e strutturano attorno a
riviste e giornali, veicoli di diffusione delle loro passioni, di educazione e
orientamento dei lettori e di aggregazione delle energie intellettuali.
In contrapposizione alla cultura della Restaurazione, e a essa intrecciata, si
diffonde l'idea di nazione, intesa come comunità di persone unite dalla storia e
dalla lingua, al di là della sottomissione a governi stranieri, decisa al tavolo
dei trattati internazionali. I moti indipendentisti, ispirati agli ideali
nazionali, caratterizzano la storia della prima metà dell'Ottocento sia in
Europa sia in America latina. In essi si intrec
ciano la rivolta contro i governi stranieri occupanti, la lotta per
l'emancipazione dalla schiavitù degli indios e dei neri, le rivendicazioni
sociali dei ceto medio e dei nascente proletariato urbano. 1 modelli ispiratori
dei nazionalismo ottocentesco sono essenzialmente due, contrapposti tra loro.
Alla rivoluzione francese si rifanno gran parte delle versioni liberali e
democratiche. L'idea e l'esempio di una sollevazione popolare contro l'antico
regime, il diritto de' popoli a disporre di se stessi, il rifiuto della
concezione patrimoniale o teocratica dello stato diventano patrimonio comune di
tutti i popoli che vengono a contatto con la Francia durante le campagne
napoleoniche. L'altra fonte dei nazionalismo ottocentesco è rappresentata dal
"tradizionalismo", che interpreta in modo originale lo storicismo romantico.
Mentre il nazionalismo nato dalla rivoluzione è universalistico, lo storicismo
pone al contrario l'accento sulla singolarità dei destini nazionali e
sull'affermazione delle diversità. Questa corrente è strettamente legata alla
riscoperta dei proprio passato storico, alla rivendicazione della lingua
nazionale e della religione. In polemica contro l'astratto cosmopolitismo
illuministico e al di là dello scisma della Riforma, si risale al passato
medievale, quando la religione cristiana forniva alle nazioni europee il terreno
unitario su cui si innervavano le diversità culturali, linguistiche e nazionali
di ciascun popolo. L'ambivalenza dell'ideale nazionalistico è proprio nel
conflitto tra la generalità degli ideali di autodeterm i nazione dei popoli e di
libertà dagli oppressori, e il particolarismo in essi implicito. La solidarietà
iniziale dei differenti movimenti nazionali fu esaltata dalla comune ostilità
contro le autocrazie che ne umiliavano le istanze di indipendenza, ma questa non
avrebbe tardato a dar luogo a forme di nazionalismo aggressivo, espansionista,
irrispettoso dei diritti nazionali degli altri popoli, nel momento in cui fosse
stata raggiunta l'indipendenza e si fossero costituiti i diversi stati su base
nazionale. Nel corso dell'età della Restaurazione la necessità di un fronte
comune delle nazioni oppresse contro l'ordine di Vienna sembrò prevalere; ma già
i pensatori più acuti, come Giuseppe Mazzini, si resero conto dei pericolo che
l'Europa si trasformasse nel campo di battaglia di "nazionalismi gretti, gelosi,
ostili".
Il quadro strutturale entro cui si svolgono ricerca e
produzione artistica nella seconda metà dell'Ottocento è segnato dagli sviluppi
di quel processo di industrializzazione che, dal XVIII secolo, con intensità e
in forme diverse in differenti situazioni locali, regionali o nazionali, aveva
cominciato a investire la società europea.
Il trentennio seguito al 1848 fu contraddistinto da uno sviluppo economico e
sociale senza precedenti, caratterizzato da crescita demografica, mobilità della
popolazione sviluppo delle città, aumento della produzione agricola e sviluppo
industriale. In poco più di vent'anni il commercio mondiale triplicò,
travolgendo barriere e confini consolidati, unendo quello che la politica si
sforzava di tenere diviso, mettendo in crisi economie tradizionali e imponendo
una rapida modernizzazione.
Inizia in questo periodo il decollo industriale in alcuni paesi, come la
Germania, la Russia e il nord dell'Italia, dove le condizioni politiche e
sociali avevano impedito il processo graduale di accumulazione dei capitali
nelle campagne e di sviluppo del libero mercato attraverso le piccole imprese,
che era stato alla base della precoce industrializzazione dell'Inghilterra; in
questi casi, il motore principale dello sviluppo è lo stato, che commissiona
alle nascenti industrie nazionali forniture per scopi civili e militari, investe
nei trasporti, soprattutto quelli ferroviari, per facilitare i commerci e
"protegge" i mercati interni. La frattura con le zone in cui la rivoluzione
industriale non avviene o fallisce, come il sud dell'Italia, la Spagna e il
Portogallo, la Polonia, la Grecia, diventa insanabile.
Lo squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri, la trasformazione capitalistica
delle campagne, la scomparsa delle attività manifatturiere artigianali, lo
sfruttamento della manodopera femminile e infantile, le ricorrenti crisi
economiche sono all'origine dei vasti movimenti migratori che nella seconda metà
dell'Ottocento spingono verso gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia milioni
di persone provenienti dai paesi europei più deboli.
L'impatto della rivoluzione industriale sui centri abitati, grandi e piccoli,
aveva posto nuovi problemi, essenzialmente legati, da un lato, alla necessità di
riorganizzare il sistema di produzione e di circolazione delle merci e,
dall'altro, all'esigenza di dare alloggio a mas
se di lavoratori arrivati dalla campagna, con il miraggio di salari e condizioni
di vita migliori. Accanto alla definizione di una vera e propria architettura
industriale (occasione di sperimentazione di nuovi materiali costruttivi come il
ferro, il vetro, il cemento), si delinea una ristrutturazione delle città che
tende all'individuazione di zone specializzate, specificamente destinate alla
produzione industriale, al l'immagazzinamento e al trasporto delle merci,
all'alloggio della manodopera. La grande città, espressione di caratteri che si
troveranno enfatizzati e ulteriormente drammatizzati nella metropoli dei XX
secolo, costituisce uno dei luoghi chiave dell'arte dei secondo Ottocento, sia
in positivo sia in negativo. In relazione alla città si definiscono infatti
nuovi tempi e, soprattutto, nuovi modi percettivi e di rappresentazione, legati
ai caratteri propri dell'esperienza urbana, condizionata dalla presenza di
grandi masse, da una nuova velocità e da nuovi ritmi nei rapporti tra le persone
e tra le persone e le cose. Se la città costituisce un fondamentale polo
d'attrazione, fonte di sensibilità e di stimoli nuovi, essa diventa anche,
all'opposto, per i suoi aspetti più duri e alienanti, una realtà da fuggire.
Alla civiltà urbana già in inquietante e totalizzante espansione si
contrappongono così utopie che possono assumere le forme tanto di città ideali e
armoniose, quanto di modelli estetici ed esistenziali estranei alla cultura
occidentale moderna.
L'accelerazione dello sviluppo industriale nella seconda metà dell'Ottocento è
strettamente legata alle scoperte tecnico scientifiche che in questi anni
rivoluzionano sia la produzione sia la vita quotidiana degli individui.
L'introduzione dell'elettricità come fonte di calore, di luce e di energia, e la
trasformazione dell'industria chimica e petrolchimica rendono possibile
l'utilizzo commerciale di materiali, come l'alluminio, che prima comportavano
costi troppo alti di lavorazione. In pochi anni queste condizioni, insieme
all'applicazione sistematica della scienza all'industria aprono la strada a
invenzioni come il motore a combustione interna, il telegrafo senza fili, il
telefono i trasporti pubblici a motore, la lampada elettrica, le prime fibre
sintetiche e altre ancora. Un altro settore in cui il progresso scientifico
modifica enormemente le condizioni di vita nell'Occidente sviluppato è quello
della medicina, con la scoperta, alla fine dei secolo, degli antibiotici, delle vitamine, degli ormoni, con l'invenzione dell'aspirina e l'uso
dell'anestesia. Le nuove conoscenze in campo chimico e biologico permettono
inoltre di incrementare la produzione agricola, in modo da far fronte alla
crescita demografica, favorita dai progressi della medicina.
Le grandi trasformazioni economiche e sociali della seconda metà dell'Ottocento
vengono spiegate dai filosofi e dagli intellettuali contemporanei all'interno di
teorie generali dello sviluppo storico e dei progresso. La filosofia idealistica
dell a storia, che individua in un principio assoluto di natura spirituale il
motore della "storia universale"; la "filosofia positiva" dell'età industriale,
che secondo Auguste Comte rappresenta lo stadio finale dello sviluppo
dell'umanità, quello in cui le scienze verranno riunificate in modo organico,
garantendo progresso e ordine; il materialismo storico, che utilizza l'economia
per spiegare sia i singoli eventi sia la società nel suo complesso: tutte le
spiegazioni globali della storia dell'umanità in questo periodo rimandano a
un'idea di progresso e di miglioramento come modalità necessaria dei divenire,
come motore ineluttabile della storia.
All'ottimismo nelle "magnifiche sorti e progressive" dell'umanità
(l'espressione, usata in senso ironico, è di Leopardi) si oppongono alcuni
filosofi che rifiutano una concezione della storia come processo necessario di
miglioramento.
Arthur Schopenhauer (rivalutato in Germania soprattutto dopo la delusione per il
fallimento dei moti dei 1848) individua il principio assoluto della realtà, in
evidente opposizione all'idealismo hegeliano, nella Volontà, intesa come forza
cosmica e irrazionale; Soren Kierkegaard rifiuta il primato hegeliano della
storia e delle istituzioni, affermando l'unicità dell'individuo nel suo rapporto
con Dio; Friedrich Nietzsche, nei suoi frammenti e aforismi (programmaticamente
asistematici), scardina il sistema di sicurezze su cui è fondata la fede nel
progresso, mostrando impietosamente il fondamento materialistico, istintuale,
animalesco delle strutture morali, estetiche, religiose.
Le trasformazioni economiche e sociali che caratterizzano la seconda metà
dell'Ottocento determinano profondi mutamenti nella committenza artistica e
nel rapporto tra artisti e pubblico. L'emergere e il diffondersi di una classe
borghese mediamente col. ta, che vive nelle grandi città e partecipa attivamen
te della modernizzazione e dei progresso, portanc allo sviluppo di un mercato
artistico privato e di ur sistema di produzione e di circolazione dell'opera
d'arte indipendente dai canali (come quelli rappre sentati dalle grandi
esposizioni ufficiali e accademi che) che tradizionalmente garantivano i
rapporti tra artisti e pubblico. A sanzionare tale nuova identità dell'opera
d'arte sarebbe presto intervenuta la figura dei coi lezionista critico mercante
(o dei mercante tout court), destinata a diventare il principale tramite tra gli
artisti e il loro pubblico. Questa libertà dalle convenzioni d'accademia
permette di attingere senza preclusioni al "vero" e alla storia contemporanea,
ai soggetti e ai temi legati alla vita e al lavoro delle classi più umili, ai
nuovi linguaggi, motivati dal progetto di un allargamento dei pubblico. Lo stile
"triviale" di Courbet può essere in parte spiegato dal gusto dei frequentatori
delle fiere di periferia, completamente diverso da quello degli habitués dei
Salon ufficiali.
Lo sviluppo della grafica è dovuto sia al minor costo delle riproduzioni
rispetto alle opere uniche, e quindi alla maggiore accessibilità per un vasto
pubblico, sia alla possibilità di produrre immagini alternative, se non
eversive, rispetto agli standard visivi e alle idee dominanti, immagini
indirizzate a un pubblico di massa, popolare, ma anche piccolo borghese.
Contemporaneamente assistiamo alle prime manifestazioni di autonoma gestione dei
proprio prodotto da parte degli stessi artisti, con l'organizzazione di
esposizioni alternative a quelle ufficiali (il Padiglione dei realismo
organizzato polemicamente da Courbet e il Salon des refusés, per esempio, di cui
parleremo più avanti), dove l'eversione rispetto ai canoni estetici tradizionali
diventa la norma. Alla libertà degli artisti di inventare per il proprio lavoro
le forme ritenute più adatte corrisponde d'altra parte la libertà dei pubblico
che frequentava le esposizioni di rifiutare o accettare il nuovo linguaggio
proposto. E' in questi anni che comincia a delinearsi quel solco tra le ricerche
artistiche più avanzate e il pubblico nel suo complesso che diventerà uno dei
caratteri più marcati dei mondo artistico contemporaneo.