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New Age Italy - Terzo Millennio

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Sommario

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Alto medioevo

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Dopo l'anno mille

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L'Italia nel XII secolo

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Apogeo e declino della civiltà feudale

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Alto medioevo

Lo sfondo storico nel quale si collocano le vicende, racchiuso fra la crisi e caduta dell'impero romano d'Occidente (III-V secolo d.C.) e la formazione di un nuovo organismo imperiale a opera di Carlo Magno VIII-IX secolo), è dominato da alcuni fenomeni ed eventi fondamentali che definiscono il trapasso dall'età tardo antica a quella alto medievale.

Prima ancora della formale "caduta" dell'impero romano d'Occidente, occorre segnalare l'affermazione del cristianesimo, che da culto appena tollerato e talora perseguitato diviene religione ufficiale dello stato, dotata di una propria struttura organizzativa in grado di sopravvivere allo stesso organismo imperiale. La separazione fra Occidente e Oriente, già affacciatasi con Diocleziano, poi rafforzata dal trasferimento, con Costantino, della capitale imperiale a Bisanzio, è infine sancita dal diverso destino delle due parti dell'impero: un Occidente terra di conquista per popolazioni barbariche, un Oriente capace di conservare potenza e splendida civiltà ancora per diversi secoli.

Occorre poi considerare il ruolo della Chiesa cattolica, che dopo il "naufragio" del grande impero si costituisce come unico punto di riferimento in un mondo travagliato dalle incursioni di popolazioni nomadi, dai tentativi di riconquista giustinianea entro un progetto di restaurazione imperiale, dal primo espandersi della nuova potenza musulmana. E' la Chiesa che, in assenza di ogni potere laico, assume funzioni di direzione politica, di assistenza materiale, di guida spirituale, di conservazione della memoria culturale, forte di un prestigio straordinario e della capillare diffusione del monachesimo benedettino; ed è alla Chiesa che i sovrani carolingi guarderanno per legittimare le proprie ambizioni di ricostituire un nuovo impero sacro e romano: un impero europeo, non più mediterraneo.

Con la conversione al cristianesimo di Clodoveo, re dei franchi, nel 456, e il successivo spostamento delle popolazioni franche dai territori intorno a Parigi alla regione lungo il Reno, si resero disponibili nuovi ambiti di comunicazione tra la cultura romana e quella barbarica. Nelle zone fra il Reno e la Loira vennero infatti a fondersi elementi tardo romani cristiani e germanici che posero le basi per lo sviluppo di una cultura assimilata poi in larga parte dal cristianesimo.

Per secoli ha pesato sul periodo medioevale il pregiudizio ottocentesco che la leggeva, semplicemente, come un periodo di decadenza.

La spiegazione storica più accreditata oggi è quella che attribuisce al sempre maggior peso della cultura delle province di Roma (anche all'interno della stessa capitale). Dopo aver diffuso un certo tipo di cultura in tutta Europa, cercando di fonderla a quelle che erano le componenti della cultura locale, Roma sarebbe stata "invasa", culturalmente, dalla periferia dell'impero che, sbarazzatasi della cultura greco-ellenistica imposta dall'invasore, e mai realmente accettata, risvegliava e riportava in luce la propria cultura ancestrale.

Le nuove esigenze si erano da tempo presentate nella stessa Roma: era il desiderio, per esempio, di dare maggior peso a elementi espressivi e spirituali, che minavano in certo senso la base tutta carnale e fisica del mondo classico.

Questa nuova tendenza più astratta viene generalmente imputata all'emergere della cultura cristiana; ma tale tensione si era manifestata già nel mondo pagano, e il mondo cristiano aveva profittato dei risultati formali che da essa erano scaturiti.

Dopo l'anno mille

All'aprirsi del nuovo millennio, l'Europa era ancora una realtà geograficamente, socialmente e culturalmente molto diversa da quella che sarebbe stata un secolo dopo.

Verso il Mille l'Europa cristiana si estendeva su un'area che andava dai Pirenei ai fiume Elba, una regione minuscola se confrontata con le immense estensioni controllate dall'Islam. Ed era anche economicamente povera e culturalmente arretrata a paragone con l'impero bizantino o con gli stati musulmani del Mediterraneo. L'Europa era una distesa di boschi, praterie e paludi, interrotta qua e là da qualche castello feudale da villaggi dispersi, da città che faticavano a riempire le rovine degli antichi insediamenti romani. La risorsa principale era l'agricoltura, ma l'uomo dell'anno Mille non sarebbe sopravvissuto senza forme di economia ancora più primitive, come la raccolta dei frutti selvatici, la caccia e la pastorizia.

Alle soglie dell'XI secolo l'Europa iniziò un cammino di sviluppo che toccò tutti gli aspetti della sua civiltà. In primo luogo, si formò una struttura economica compiutamente basata sull'agricoltura, in cui le attività silvopastorali si riducevano progressivamente, si moltiplicarono i dissodamenti di nuove terre e le fondazioni di nuovi villaggi.

Come effetto di una poderosa crescita demografica, le città si ripopolarono e con esse risorsero le attività artigianali e commerciali. Si aprirono regolari correnti di traffici che andavano dal Vicino Oriente al mare del Nord, nelle quali i mercanti italiani e francesi svolgevano il ruolo di intermediari. Di regione in regione, con i ritmi lenti ma regolari delle fiere e dei trasporti a soma, si muovevano per l'Europa manufatti, idee, persone. L'Europa cristiana, contadina e feudale allargava i suoi confini: si espandeva verso est, erodendo lo spazio degli slavi; premeva nella penisola iberica, lentamente guadagnando terreno nei confronti della splendida civiltà islamica; si spingeva a oriente, con un movimento espansivo che trovava la sua parola d'ordine nella riconquista del Santo Sepolcro.

Tutto ruotava ancora, in questa fase della vita dell'Occidente cristiano, intorno alla religione e alla sua espressione istituzionale la Chiesa. Nelle campagne le abbazie e le pievi rappresentavano non solo il principale punto di agglomerazione sociale per le popolazioni ma anche uno dei grandi motori dello sviluppo agricolo: si deve ai cistercensi di Fossanova, per esempio, l'inizio della bonifica delle pianure pontine e ai benedettini di Morimondo, in Lombardia, l'introduzione del sistema delle marcite, appezzamenti di terreno che sfruttavano la pendenza, l'insolazione e l'irrigazione per dare i primi prodotti già nei mese di marzo. Nelle città italiane, poi, dove l'autonomia dei comuni venne sostenuta anche dai vescovi, la cattedrale era l'emblema del risveglio della coscienza cittadina, ma anche della rinascita delle attività mercantili e artigiane.

Fu da un monastero, quello benedettino di Cluny, che prese le mosse il principale movimento di protesta contro la corruzione del clero, il suo bassissimo livello culturale, la perdita di autorevolezza morale delle gerarchie ecclesiastiche. I cluniacensi proponevano la "riforma" monastica, fondata sul ritorno ai principi fondamentali della regola benedettina. Un disegno di straordinaria forza organizzativa, oltre che spirituale, che fece di Cluny, indipendente dal vescovo e soggetta soltanto al papa, la casa madre di tutti i monasteri decisi a rivendicare la propria autonomia dai signori feudali come dall'epíscopato corrotto. Cluny divenne così un centro religioso, politico ed economico di grande importanza, che alla metà dell'XI secolo affiliava già un centinaio di monasteri in tutta Europa. il monastero borgognone fu anche un eccezionale centro di vita intellettuale, dal quale si irradiarono l'arte e la cultura romaniche.

Il XII secolo, epoca del risveglio, fu anche una stagione di grandi imprese collettive (si pensi alle fortificazioni dei crociati in Terrasanta), di strette relazioni internazionali (ricordiamo i normanni), di conquiste (in Spagna e nell'Europa slava), di aggregazioni monastiche (cluniacensi, cistercensi), di viaggiatori, mercanti, pellegrini.

L'Italia nel XII secolo

Per delineare brevemente la situazione storico-culturale della penisola italiana, diremo che il conflitto fra i grandi poteri universalistici, l'impero ed il papato, si intrecciava con le nuove aspirazioni autonomistiche delle città e dei comuni, cui la ripresa commerciale e artigianale restituiva progressivamente una funzione primaria.

Uno dei principali fattori della crisi della Chiesa era dato dal fatto che la nomina del pontefice veniva decisa dalle famiglie feudali romane. Nel 1032 si arrivò a eleggere papa un bambino di dodici anni, Benedetto IX.

La debolezza dell'autorità pontificia diede spazio alle iniziative del potere imperiale. Mentre fedeli ed eretici nelle città italiane lottavano contro la corruzione del clero, l'imperatore Enrico III si fece interprete delle loro istanze e intervenne con decisione: nel 1046 depose il papa Benedetto IX e nei successivi dieci anni continuò a designare egli stesso i pontefici, scegliendoli tra i vescovi tedeschi.

L'alleanza tra imperatore e riformatori ebbe però vita breve: a partire dal 1060 il movimento riformatore si emancipò dalla tutela politica dell'imperatore e anzi entrò in lotta aperta con esso. Furono due capi del movimento, Anselmo da Baggio e Ildebrando di Soana, ascesi al soglio pontificio con i nomi rispettivamente di Alessandro Il (1061 - 73) e di Gregorio VII (1075 - 85), a rovesciare la situazione, affermando la subordinazione dell'imperatore al papa. Lo scontro culminò con la cosiddetta lotta per le investiture, che vide Gregorio VII dare la scomunica a Enrico IV che si arrogava il diritto di dare l'investitura religiosa ai vescovi. Il compromesso fra i due poteri, sancito con il concordato di Worms del 1122, stabili due diversi regimi in Italia e in Germania e sancì una sorta di primato politico del pontefice nella penisola.

Ma la lotta continuò nei decenni successivi: la contesa per il controllo della Toscana, il grande feudo che Matilde di Canossa, morendo senza eredi, aveva lasciato in eredità alla Chiesa (mentre la legge prescriveva che i beni feudali, in caso di estinzione di una casata, tornassero all'imperatore), si intrecciò con il conflitto fra l'imperatore e i comuni, organismi politici spesso protetti dal vescovo e tendenzialmente indipendenti dall'autorità imperiale. Lo scontro fra l'imperatore Federico Barbarossa da un lato, i comuni e il papa dall'altro, iniziò nel 1154 e si concluse nel 1183, con la pace di Costanza. L'imperatore si vide riconosciuta l'autorità sulla Toscana, ma dovette accettare che i comuni della Lega Lombarda eleggessero liberamente i propri magistrati. Per le città della pianura padana era una grande vittoria, mentre per la Toscana si apriva la possibilità di un progressivo superamento delle strutture feudali.

Il Mezzogiorno era invece diviso, alla metà dell'XI secolo, in principati longobardi, città libere e potenti, zone abitate da coloni greci, piccole presenze arabe: furono i normanni, con Ruggero I e Ruggero li, a realizzare l'unificazione di quest'area, a partire dalla conquista della Sicilia avvenuta nel 1072.

Le situazioni che i conquistatori trovarono nel sud erano assai differenziate. In Campania, una costellazione di piccoli feudi sorgeva accanto a grandi città autonome come Gaeta, Napoli, Amalfi; in Puglia, città fiorenti sulla costa, arricchite dai nuovi traffici con l'Oriente e, all'interno, grandi territori fertili; in Sicilia, infine, la civiltà araba si era sovrapposta alla tradizione bizantina, mentre greche restavano ancora molte popolazioni nel Salento e nella Calabria.

Apogeo e declino della civiltà feudale

I secoli XIII e XIV ci fanno assistere infatti al massimo sviluppo di quella fase espansiva dell'economia europea nata con gli inizi del nuovo millennio e, successívamente, alla crisi di quel modello e all'aprirsi di una nuova epoca, che si suole convenzionalmente definire "moderna".

Nel Duecento l'Europa feudale e cristiana giunse alla sua massima estensione territoriale: i contadini e i mercanti tedeschi si erano spinti a colonizzare la Polonia e il mar Baltico, i cavalieri spagnoli incalzavano gli arabi nella penisola iberica, le città marinare italiane detenevano il controllo mercantile del Mediterraneo; gli europei avevano addirittura fondato nuovi stati feudali in Oriente, come l'impero latino d'Oriente e i vari regni crociati in Terrasanta. L'Europa non era mai stata così densamente popolata, neppure al tempo dei romani; le città non erano mai state così prospere e numerose. Era il momento di massimo splendore della civiltà europea medievale.

Tuttavia, nel corso del Trecento gli equilibri sui quali tale civiltà si era retta entrarono in crisi ed essa parve aver raggiunto i propri limiti. La crisi fu innanzitutto di carattere economico e investì prevalentemente le campagne, ove si ruppe quel rapporto favorevole tra popolazione e risorse che era stato alla base della rinascita dopo il Mille. Ormai le nuove terre messe a coltura erano povere e poco redditizie, mentre le tecniche agricole non avevano subito significative innovazioni. Le risorse alimentari dunque scarseggiavano e bastava qualche annata di cattivo raccolto per scatenare vere e proprie carestie.

L'Europa dei primi decenni del Trecento era dunque popolata da un'umanità povera e debilitata dalla diffusa denutrizione. Su di essa si abbatté una catastrofe senza precedenti: la peste, che negli anni intorno al 1348 falcidiò le popolazioni di quasi tutto il continente. Un distruttivo ciclo di carestie ed epidemie fece sì che alla fine del Trecento la popolazione europea fosse dimezzata, molte terre e villaggi abbandonati, mentre la tensione sociale, nelle campagne come nelle città, si scaricava in periodiche esplosioni di violenza, alimentate dalla disperazione dei contadini poveri e dei ceti popolari che affollavano le città alla ricerca di una pur miserabile sopravvivenza.

E' difficile per noi valutare l'impatto che la "morte nera", come venne chiamata la peste, poté avere su una popolazione peraltro già avvezza a un quotidiano rapporto con la morte, ma la ricorrenza di questo tema nella letteratura e nell'iconografia dell'epoca ci aiuta comprendere che esso ebbe una forza inaudita, accresciuta dal fatto che le ultime pestilenze risalivano ormai, in Europa, a molti secoli prima. Di fronte a questo flagello che seminava morte e distruzione l'uomo del Medioevo non disponeva di altri modelli interpretativi che quelli biblici del giudizio universale e delle piaghe d'Egitto: il terrore per la tremenda ma giusta punizione inflitta d Dio a un'umanità empia e corrotta.
Altri motivi di profonda crisi e di grande incertezza sorgevano nella sfera delle istituzioni politiche: nel Trecento, infatti, si assistette alla crisi di quei due grandi poteri universalistici, l'impero e il papato, che combattendosi aspramente avevano sempre fornito alla società e alla cultura medievali la cornice fondamentale entro cui pensare la vita morale e politica.

Con la metà del XIII secolo, in seguito al fallimento del progetto di Federico il di ricostituire un grande organismo imperiale unitario, si aprì per l'impero una fase di grande debolezza: l'autorità dell'imperatore era ormai quasi solo nominale e non riusciva più imporsi né sui principi e sui grandi feudatari, né sulle città. L'evoluzione dell'impero nel corso del XIV secolo lo lo portò di fatto a rinunciare alle pretese di dominio universale e ad allentare il suo legame con l'Italia e con il papato, avviandosi a costituire un organismo politico essenzialmente tedesco. Anche l'altro grande potere universalistico, il papato, entrò in una fase di profonda crisi. Vi fu il tentativo, da parte di Bonifacio VIII, di riaffermare il primato del pontefice su ogni altra autorità temporale ma esso si scontrò con l'opposizione del re di Francia Filippo il Bello, che giunse a fare imprigionare il pontefice. Era ormai chiaro che una nuova forma di potere statuale si andava delineando in Europa, la monarchia nazionale, preludio alla formazione dei grandi stati moderni.


Alla morte di Bonifacio VIII (1303) fu eletto papa un cardinale francese e la sede pontificia fu trasferita in Provenza, ad Avignone, dove rimase per quasi settant'anni sotto il controllo dei sovrani francesi, mentre gravi fenomeni di corruzione e di declino della spiritualità attraversavano l'istituzione della Chiesa cattolica. In questa situazione, il grande fervore religioso che nel Duecento aveva condotto alla formazione di nuovi ordini, come il francescano e il domenicano, si espresse nella diffusione di movimenti riformatori ed ereticali, nei quali sovente l'esigenza di un profondo rinnovamento nella vita della Chiesa, basato su un ritorno alla purezza del messaggio evangelico di povertà, si alimentava del disagio sociale e delle sofferenze che colpivano i ceti più poveri. La dura repressione di tali movimenti come i catari, i vaidesi, gli albigesi non valse alla Chiesa un recupero della propria stabilità e autorità: tra il 1378 e il 1409 il Grande scisma divise profondamente la cristianità, portando all'elezione di due papi, uno a Roma, l'altro eletto dal clero francese. Solo con la metà del Quattrocento la Chiesa ritroverà la propria unità, ma le esigenze di rinnovamento rimaste insoddisfatte apriranno nel mondo cristiano nuove lacerazioni e con esse nuove strade.

 

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Ultimo aggiornamento: 25-11-05