Alto medioevo
Lo sfondo storico nel quale si collocano le vicende, racchiuso fra la crisi e
caduta dell'impero romano d'Occidente (III-V secolo d.C.) e la formazione di un
nuovo organismo imperiale a opera di Carlo Magno VIII-IX secolo), è dominato da
alcuni fenomeni ed eventi fondamentali che definiscono il trapasso dall'età
tardo antica a quella alto medievale.
Prima ancora della formale "caduta" dell'impero romano d'Occidente, occorre
segnalare l'affermazione del cristianesimo, che da culto appena tollerato e
talora perseguitato diviene religione ufficiale dello stato, dotata di una
propria struttura organizzativa in grado di sopravvivere allo stesso organismo
imperiale. La separazione fra Occidente e Oriente, già affacciatasi con
Diocleziano, poi rafforzata dal trasferimento, con Costantino, della capitale
imperiale a Bisanzio, è infine sancita dal diverso destino delle due parti
dell'impero: un Occidente terra di conquista per popolazioni barbariche, un
Oriente capace di conservare potenza e splendida civiltà ancora per diversi
secoli.
Occorre poi considerare il ruolo della Chiesa
cattolica, che dopo il "naufragio" del grande impero si costituisce come unico
punto di riferimento in un mondo travagliato dalle incursioni di popolazioni
nomadi, dai tentativi di riconquista giustinianea entro un progetto di
restaurazione imperiale, dal primo espandersi della nuova potenza musulmana. E'
la Chiesa che, in assenza di ogni potere laico, assume funzioni di direzione
politica, di assistenza materiale, di guida spirituale, di conservazione della
memoria culturale, forte di un prestigio straordinario e della capillare
diffusione del monachesimo benedettino; ed è alla Chiesa che i sovrani carolingi guarderanno per legittimare le proprie ambizioni di ricostituire un
nuovo impero sacro e romano: un impero europeo, non più mediterraneo.
Con la conversione al cristianesimo di Clodoveo, re dei franchi, nel 456, e il
successivo spostamento delle popolazioni franche dai territori intorno a Parigi
alla regione lungo il Reno, si resero disponibili nuovi ambiti di comunicazione
tra la cultura romana e quella barbarica. Nelle zone fra il Reno e la Loira
vennero infatti a fondersi elementi tardo romani cristiani e germanici che
posero le basi per lo sviluppo di una cultura assimilata poi in larga parte dal
cristianesimo.
Per secoli ha pesato sul periodo medioevale il pregiudizio
ottocentesco che la leggeva, semplicemente, come un periodo di
decadenza.
La spiegazione storica
più accreditata oggi è quella che attribuisce al sempre maggior peso della cultura
delle province di Roma (anche all'interno della stessa capitale). Dopo
aver diffuso un certo tipo di cultura in tutta Europa, cercando di fonderla a
quelle che erano le componenti della cultura locale, Roma sarebbe stata
"invasa", culturalmente, dalla periferia dell'impero che, sbarazzatasi della
cultura greco-ellenistica imposta dall'invasore, e mai realmente accettata,
risvegliava e riportava in luce la propria cultura ancestrale.
Le nuove esigenze si erano da tempo presentate nella stessa Roma: era il
desiderio, per esempio, di dare maggior peso a elementi espressivi e spirituali,
che minavano in certo senso la base tutta carnale e fisica del mondo classico.
Questa nuova tendenza più astratta viene generalmente imputata all'emergere
della cultura cristiana; ma tale tensione si era manifestata già nel mondo
pagano, e il mondo cristiano aveva profittato dei risultati formali che da essa
erano scaturiti.
Dopo l'anno mille
All'aprirsi del nuovo millennio, l'Europa era ancora una realtà
geograficamente, socialmente e culturalmente molto diversa da quella che sarebbe
stata un secolo dopo.
Verso il Mille l'Europa cristiana si estendeva su un'area
che andava dai Pirenei ai fiume Elba, una regione minuscola se confrontata con le
immense estensioni controllate dall'Islam. Ed era anche economicamente povera e
culturalmente arretrata a paragone con l'impero bizantino o con gli stati
musulmani del Mediterraneo. L'Europa era una distesa di boschi, praterie e
paludi, interrotta qua e là da qualche castello feudale da villaggi dispersi, da
città che faticavano a riempire le rovine degli antichi insediamenti romani. La
risorsa principale era l'agricoltura, ma l'uomo dell'anno Mille non sarebbe
sopravvissuto senza forme di economia ancora più primitive, come la raccolta dei
frutti selvatici, la caccia e la pastorizia.
Alle soglie dell'XI secolo l'Europa iniziò un cammino di sviluppo che toccò
tutti gli aspetti della sua civiltà. In primo luogo, si formò una struttura
economica compiutamente basata sull'agricoltura, in cui le attività silvopastorali si riducevano progressivamente, si moltiplicarono i dissodamenti
di nuove terre e le fondazioni di nuovi villaggi.
Come effetto di una poderosa
crescita demografica, le città si ripopolarono e con esse risorsero le attività
artigianali e commerciali. Si aprirono regolari correnti di traffici che
andavano dal Vicino Oriente al mare del Nord, nelle quali i mercanti italiani e
francesi svolgevano il ruolo di intermediari. Di regione in regione, con i ritmi
lenti ma regolari delle fiere e dei trasporti a soma, si muovevano per l'Europa
manufatti, idee, persone. L'Europa cristiana, contadina e feudale allargava i
suoi confini: si espandeva verso est, erodendo lo spazio degli slavi; premeva
nella penisola iberica, lentamente guadagnando terreno nei confronti della
splendida civiltà islamica; si spingeva a oriente, con un movimento espansivo
che trovava la sua parola d'ordine nella riconquista del Santo Sepolcro.
Tutto ruotava ancora, in questa fase della vita dell'Occidente cristiano,
intorno alla religione e alla sua espressione istituzionale la Chiesa. Nelle campagne le abbazie e le pievi rappresentavano non solo il
principale punto di agglomerazione sociale per le popolazioni ma anche uno dei
grandi motori dello sviluppo agricolo: si deve ai cistercensi di Fossanova, per
esempio, l'inizio della bonifica delle pianure pontine e ai benedettini di
Morimondo, in Lombardia, l'introduzione del sistema delle marcite, appezzamenti
di terreno che sfruttavano la pendenza, l'insolazione e l'irrigazione per dare i
primi prodotti già nei mese di marzo. Nelle città italiane, poi, dove l'autonomia dei comuni venne sostenuta anche dai vescovi, la cattedrale era
l'emblema del risveglio della coscienza cittadina, ma anche della rinascita
delle attività mercantili e artigiane.
Fu da un monastero, quello benedettino di Cluny, che prese le mosse il
principale movimento di protesta contro la corruzione del clero, il suo
bassissimo livello culturale, la perdita di autorevolezza morale delle
gerarchie ecclesiastiche. I cluniacensi proponevano la "riforma" monastica,
fondata sul ritorno ai principi fondamentali della regola benedettina. Un
disegno di straordinaria forza organizzativa, oltre che spirituale, che fece di Cluny, indipendente dal vescovo e soggetta soltanto al papa, la casa madre di
tutti i monasteri decisi a rivendicare la propria autonomia dai signori feudali
come dall'epíscopato corrotto. Cluny divenne così un centro religioso, politico
ed economico di grande importanza, che alla metà dell'XI secolo affiliava già un
centinaio di monasteri in tutta Europa. il monastero borgognone fu anche un
eccezionale centro di vita intellettuale, dal quale si irradiarono l'arte e la
cultura romaniche.
Il XII secolo, epoca del risveglio, fu anche una stagione di grandi imprese
collettive (si pensi alle fortificazioni dei crociati in Terrasanta), di strette
relazioni internazionali (ricordiamo i normanni), di conquiste (in Spagna e
nell'Europa slava), di aggregazioni monastiche (cluniacensi, cistercensi), di viaggiatori, mercanti, pellegrini.
L'Italia nel XII secolo
Per delineare brevemente la situazione storico-culturale della penisola
italiana, diremo che il conflitto fra i grandi poteri universalistici,
l'impero ed il papato, si intrecciava con le nuove aspirazioni autonomistiche
delle città e dei comuni, cui la ripresa commerciale e artigianale restituiva
progressivamente una funzione primaria.
Uno dei principali fattori della crisi della Chiesa era dato dal fatto
che la nomina del pontefice veniva decisa
dalle famiglie feudali romane. Nel 1032 si arrivò a eleggere papa un bambino di
dodici anni, Benedetto IX.
La debolezza dell'autorità pontificia diede spazio alle iniziative del potere
imperiale. Mentre fedeli ed eretici nelle città italiane lottavano contro la
corruzione del clero, l'imperatore Enrico III si fece interprete delle loro
istanze e intervenne con decisione: nel 1046 depose il papa Benedetto IX e nei
successivi dieci anni continuò a designare egli stesso i pontefici, scegliendoli
tra i vescovi tedeschi.
L'alleanza tra imperatore e riformatori ebbe però vita breve: a partire dal 1060
il movimento riformatore si emancipò dalla tutela politica dell'imperatore e
anzi entrò in lotta aperta con esso. Furono due capi del movimento, Anselmo da Baggio e
Ildebrando di Soana, ascesi al soglio pontificio con i nomi
rispettivamente di Alessandro Il (1061 - 73) e di Gregorio VII (1075 - 85), a
rovesciare la situazione, affermando la subordinazione dell'imperatore al papa.
Lo scontro
culminò con la cosiddetta lotta per le investiture, che vide Gregorio VII dare
la scomunica a Enrico IV che si arrogava il diritto di dare l'investitura
religiosa ai vescovi. Il compromesso fra i due poteri, sancito con il concordato
di Worms del 1122, stabili due diversi regimi in Italia e in Germania e sancì
una sorta di primato politico del pontefice nella penisola.
Ma la lotta continuò nei decenni successivi: la contesa per il controllo della
Toscana, il grande feudo che Matilde di Canossa, morendo senza eredi, aveva
lasciato in eredità alla Chiesa (mentre la legge prescriveva che i beni feudali,
in caso di estinzione di una casata, tornassero all'imperatore), si intrecciò
con il conflitto fra l'imperatore e i comuni, organismi politici spesso protetti
dal vescovo e tendenzialmente indipendenti dall'autorità imperiale. Lo scontro
fra l'imperatore Federico Barbarossa da un lato, i comuni e il papa dall'altro,
iniziò nel 1154 e si concluse nel 1183, con la pace di Costanza. L'imperatore si
vide riconosciuta l'autorità sulla Toscana, ma dovette accettare che i comuni
della Lega Lombarda eleggessero liberamente i propri magistrati. Per le città
della pianura padana era una grande vittoria, mentre per la Toscana si apriva la
possibilità di un progressivo superamento delle strutture feudali.
Il Mezzogiorno era invece diviso, alla metà dell'XI secolo, in principati
longobardi, città libere e potenti, zone abitate da coloni greci, piccole
presenze arabe: furono i normanni, con Ruggero I e Ruggero li, a realizzare
l'unificazione di quest'area, a partire dalla conquista della Sicilia avvenuta
nel 1072.
Le situazioni che i conquistatori trovarono nel sud erano assai differenziate.
In Campania, una costellazione di piccoli feudi sorgeva accanto a grandi città
autonome come Gaeta, Napoli, Amalfi; in Puglia, città fiorenti sulla costa,
arricchite dai nuovi traffici con l'Oriente e, all'interno, grandi territori
fertili; in Sicilia, infine, la civiltà araba si era sovrapposta alla tradizione
bizantina, mentre greche restavano ancora molte popolazioni nel Salento e nella
Calabria.
Apogeo e declino della civiltà feudale
I secoli XIII e XIV ci fanno assistere infatti al massimo
sviluppo di quella fase espansiva dell'economia europea nata con gli inizi del
nuovo millennio e, successívamente, alla crisi di quel modello e all'aprirsi di
una nuova epoca, che si suole convenzionalmente definire "moderna".
Nel Duecento l'Europa feudale e cristiana giunse alla sua massima estensione
territoriale: i contadini e i mercanti tedeschi si erano spinti a colonizzare la
Polonia e il mar Baltico, i cavalieri spagnoli incalzavano gli arabi nella
penisola iberica, le città marinare italiane detenevano il controllo mercantile
del Mediterraneo; gli europei avevano addirittura fondato nuovi stati feudali in
Oriente, come l'impero latino d'Oriente e i vari regni crociati in Terrasanta.
L'Europa non era mai stata così densamente popolata, neppure al tempo dei
romani; le città non erano mai state così prospere e numerose. Era il momento di
massimo splendore della civiltà europea medievale.
Tuttavia, nel corso del Trecento gli equilibri sui quali tale civiltà si era
retta entrarono in crisi ed essa parve aver raggiunto i propri limiti. La crisi
fu innanzitutto di carattere economico e investì prevalentemente le campagne,
ove si ruppe quel rapporto favorevole tra popolazione e risorse che era stato
alla base della rinascita dopo il Mille. Ormai le nuove terre messe a coltura
erano povere e poco redditizie, mentre le tecniche agricole non avevano subito
significative innovazioni. Le risorse alimentari dunque scarseggiavano e bastava
qualche annata di cattivo raccolto per scatenare vere e proprie carestie.
L'Europa dei primi decenni del Trecento era dunque popolata da un'umanità povera
e debilitata dalla diffusa denutrizione. Su di essa si abbatté una catastrofe
senza precedenti: la peste, che negli anni intorno al 1348 falcidiò le
popolazioni di quasi tutto il continente. Un distruttivo ciclo di carestie
ed epidemie fece sì che alla fine del Trecento la popolazione europea fosse
dimezzata, molte terre e villaggi abbandonati, mentre la tensione sociale, nelle
campagne come nelle città, si scaricava in periodiche esplosioni di violenza, alimentate dalla
disperazione dei contadini poveri e dei ceti popolari che affollavano le città
alla ricerca di una pur miserabile sopravvivenza.
E' difficile per noi valutare l'impatto che la "morte nera", come venne
chiamata la peste, poté avere su una popolazione peraltro già avvezza a un quotidiano
rapporto con la morte, ma la ricorrenza di questo tema nella letteratura e
nell'iconografia dell'epoca ci aiuta comprendere che esso ebbe una forza
inaudita, accresciuta dal fatto che le ultime pestilenze risalivano ormai, in
Europa, a molti secoli prima. Di fronte a questo flagello che seminava morte e
distruzione l'uomo del Medioevo non disponeva di altri modelli interpretativi
che quelli biblici del giudizio universale e delle piaghe d'Egitto: il terrore per
la tremenda ma giusta punizione inflitta d Dio a
un'umanità empia e corrotta.
Altri motivi di profonda crisi e di grande incertezza sorgevano nella sfera delle
istituzioni politiche: nel Trecento, infatti, si assistette alla crisi di quei
due grandi poteri universalistici, l'impero e il papato, che combattendosi
aspramente avevano sempre fornito alla società e alla cultura medievali la cornice fondamentale entro cui pensare la vita morale e politica.
Con la metà del XIII
secolo, in seguito al fallimento del progetto di Federico il di ricostituire un
grande organismo imperiale unitario, si aprì per l'impero una fase di grande
debolezza: l'autorità dell'imperatore era ormai quasi solo nominale e non
riusciva più imporsi né sui principi e sui grandi feudatari, né sulle città.
L'evoluzione dell'impero nel corso del XIV secolo lo lo portò di fatto a rinunciare
alle pretese di dominio universale e ad allentare il suo legame con l'Italia e
con il papato, avviandosi a costituire un organismo politico essenzialmente
tedesco. Anche l'altro grande potere universalistico, il papato, entrò in una fase
di profonda crisi. Vi fu il tentativo, da parte di Bonifacio VIII, di riaffermare
il primato del pontefice su ogni altra autorità temporale ma esso si scontrò con
l'opposizione del re di Francia Filippo il Bello, che giunse a fare
imprigionare il pontefice. Era ormai chiaro che una nuova forma di potere statuale
si andava delineando in Europa, la monarchia nazionale, preludio alla formazione
dei grandi stati moderni.
Alla morte di Bonifacio VIII (1303) fu eletto papa un cardinale francese e la
sede pontificia fu trasferita in Provenza, ad Avignone, dove rimase per quasi settant'anni sotto il controllo dei sovrani francesi, mentre gravi fenomeni di
corruzione e di declino della spiritualità attraversavano l'istituzione
della Chiesa cattolica. In questa situazione, il grande fervore religioso che
nel Duecento aveva condotto alla formazione di nuovi ordini, come il francescano
e il domenicano, si espresse nella diffusione di movimenti riformatori ed
ereticali, nei quali sovente l'esigenza di un profondo rinnovamento nella vita
della Chiesa, basato su un ritorno alla purezza del messaggio evangelico di
povertà, si alimentava del disagio sociale e delle sofferenze che colpivano i
ceti più poveri. La dura repressione di tali movimenti come i catari, i vaidesi,
gli albigesi non valse alla Chiesa un recupero della propria stabilità e
autorità: tra il 1378 e il 1409 il Grande scisma divise profondamente la
cristianità, portando all'elezione di due papi, uno a Roma, l'altro eletto dal
clero francese. Solo con la metà del Quattrocento la Chiesa ritroverà la propria
unità, ma le esigenze di rinnovamento rimaste insoddisfatte apriranno nel mondo
cristiano nuove lacerazioni e con esse nuove strade.