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Sommario

bulletMesopotamia ed Egitto
bulletMesopotamia antica
bulletI miti sumeri: Marduk, Assur, Tiamat e Gilgamesh
bulletAssiri
bulletL'era di Sennacherib
bulletAntico Egitto
bulletIl tempo di Orione
bulletLe pietre di Baalbeck
bulletGrecia antica
bulletRoma antica
bulletLa schiavitù nell'antichità
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Mesopotamia ed Egitto

I primi e più influenti centri di civiltà si svilupparono nei territori bagnati da grandi fiumi: in Cina il fiume Giallo, in India il Gange e l'Indo, nel Vicino Oriente il Tigri, l'Eufrate e il Nilo. Le civiltà mesopotamica ed egizia furono il risultato di un lungo e travagliato processo, che trasformò gli uomini da cacciatori e raccoglitori in produttori di cibo, portando a una sedentarizzazione delle popolazioni e all'affermazione di un'economia basata sull'agricoltura. Nel III millennio a.C. i contadini di quella vasta zona che unisce la Mesopotamia all'Egitto, passando per le regioni che si affacciano sul Mediterraneo orientale (denominata comunemente "mezzaluna fertile"), avevano superato fasi cruciali dello sviluppo culturale: avevano addomesticato il cane, la pecora, il maiale, il bue; vivevano in villaggi abbastanza popolosi o in città; sapevano non solo irrigare le terre, ma drenare e arginare i corsi d'acqua; producevano una ceramica di pregio. La metallurgia aveva compiuto notevoli progressi. Si filavano e tessevano il lino e la lana.

Nel Il millennio a.C. si registrava sia in Mesopotamia sia in Egitto uno straordinario slancio delle attività economiche; si produceva molto e i traffici fervevano anche con l'estero; si moltiplicavano gli strumenti giuridici e amministrativi. I centri urbani erano sedi del potere, delle manifatture, del commercio, della vita culturale e controllavano ciascuno l'area agricola circostante. L'agricoltura rendeva moltissimo grazie alle piene dei fiumi che depositavano sul terreno un miscuglio fertilissimo, il limo. Ma le piene dovevano essere regolate con imponenti opere di canalizzazione, e questo era il primo pensiero degli amministratori pubblici, che si servivano di valenti ingegneri. La Mesopotamia fece scuola di idraulica a tutti gli altri paesi mediterranei. Il modello statale era teocratico, cioè il re rappresentava la divinità.

Mesopotamia antica

La civiltà sumero - mesopotamica è la prima che abbia codificato un sistema di scrittura, detta  cuneiforme, riscoperta nei primi decenni del XX secolo che sta rivoluzionando le conoscenze precedenti su tali antiche civiltà. I sumeri avevano varie conoscenze astronomiche, per esempio sapevano che Nettuno era di colore verde-blu, e la loro matematica era basata su uno strano sistema di numerazione: il sistema sessantesimale e, nella forma più semplice, il sistema dodicesimale. Ed effettivamente conserviamo, dai sumeri, la divisione del giorno in 24 ore, dell'ora in 60 minuti e dell'angolo giro in 360 gradi, e la "dozzina", cioè la quantità 12.

Per noi uomini moderni risulta "naturale" una aritmetica decimale (su base 10), cioè basata sulle dieci dita delle nostre mani, e risulta logicamente consistente anche la matematica ventesimale maya (su base 20), supponendo che usassero le dita delle mani e dei piedi per contare, mentre risulta totalmente incomprensibile e misterioso il sistema di numerazione sumero basato sulla sessantina o sulla dozzina (cioè su base 60 o 12), a meno che non avessero sei dita per ogni mano...

I miti sumeri: Marduk, Assur, Tiamat e Gilgamesh

Le tavolette di Ninive riportano, nel poema Enuma Elish i miti religiosi sumeri relativi alla creazione del mondo. Marduk era l'eroe del poema (che risale ad un originale sumerico del II millennio a.C., ma ci è giunto in una versione assira del VII secolo a.C.) dove è narrato come egli sopraffacesse la dea Tiamat. Gli assiri accreditarono invece, all'interno della stessa leggenda, il dio Assur per la morte di Tiamat, così è possibile pensare che Assur e Marduk fossero in realtà la stessa divinità

All'inizio erano Apsu e Tiamat, dei degli oceani, dolce ed amaro. Tiamat è anche ricordata come "il Mostro del Caos". Da essi nacquero Lahmu e Lahamu, fratello e sorella, marito e moglie, e Anshar e Kishar, che sorpassarono i loro genitori in forza, bellezza ed abilità. Anshar e Kishar, oltre a molti altri dei, generarono Enlil, il dio del vento, e Anu, il dio del cielo, il quale generò Enki o Ea, il dio della sapienza e della magia, assai più grande del padre. Anu, benché fosse in teoria il sommo, aveva un'influenza minima nelle cose umane ed era Enlil, il suo braccio destro, che governava la Terra.

Ma i giovani dei erano chiassosi e disturbavano il sonno del vecchio Apsu, il quale andò da sua moglie e le disse: Li distruggerò, così potrò dormire. Tiamat ne fu sconvolta e gridò in preda all'ira: Non distruggiamo ciò che noi stessi abbiamo creato! Ma Apsu volle fare a modo suo e partì per vendicarsi dei figli e dei nipoti. Ea tuttavia, il più grande fra gli dei, lo avvolse nella sua magia e lo uccise, trasformandolo in una montagna dove Ea risiedette maestoso con sua moglie Damkina. Lì nacque Marduk/Assur, dio del sole e della vegetazione, il più grande degli dei e protettore di Babilonia (e, come Assur, di Ninive).

Nel frattempo Tiamat aveva meditato sul destino dello sposo Apsu e il suo cuore era colmo d'ira. Decise perciò di attaccare gli dei e distruggerli, e perfino Ea fu preso dal terrore. Alla fine, soltanto Marduk osò affrontare Tiamat in combattimento e, con l'aiuto di un forte vento che soffiava nella bocca della dea così da impedirle di chiuderla, Marduk scoccò una freccia che le si infilò in gola e la raggiunse al cuore. Quando Tiamat fu morta, Marduk tagliò in due il suo corpo, creando con una metà il cielo e con l'altra la terra. E Marduk fu esaltato come Re degli dei.

Marduk organizzò poi l'universo e creò l'uomo dalla creta e dal sangue della dea Tiamat.

Ogni anno, in primavera, il sacerdote e il popolo recitavano il mito della creazione, assieme al mito che trattava della morte e della resurrezione di Marduk.

Marduk riceveva l'attributo di dio della vegetazione, Tammuz, marito e figlio della dea madre Isthar. Isthar compare anche nella mitologia ebraica e si fonde con la dea Iside nel tardo mondo ellenistico. Più tardi, sotto la dominazione assira, Marduk fu eclissato da Assur (Ashshur) ma successivamente il potere si spostò nuovamente su Babilonia e Marduk fu riabilitato.

Gli scritti assiri e babilonesi mostrano assai chiaramente che il popolo considerava quei cambiamenti politici in Mesopotamia come il risultato dei sommovimenti nel regno degli dei.

Benché le feste di primavera fossero connesse al mito egizio di Osiride, l'atteggiamento religioso dei sumeri verso la morte era alquanto diverso. I sumeri si identificavano col morente e risorgente Tammuz - Marduk al fine di recuperare la salute piuttosto che per assicurarsi l'immortalità. Il poema epico Gilgamesh dimostra infatti che essi alla fine si adattavano all'idea della morte del corpo. L'eroe Gilgamesh, dopo aver visto il compagno morto Enkidu, immobile e senza respiro, parte alla ricerca di Ut-Napishtim, il corrispondente babilonese di Noè, al quale era stato svelato da Enlil il segreto dell'immortalità, dono che gli dei mesopotamici tenevano con gran cura celato agli uomini: Ut-Napishtim era perciò l'unico uomo che possedesse la vita eterna. Egli parla a Gilgamesh di una pianta che dà l'eterna giovinezza, e Gilgamesh infine trova la pianta ma solo per venirne derubato da un serpente; è costretto a intraprendere la via del ritorno e ad affrontare l'ineluttabilità della morte. La stessa concezione appare nel mito di Adapa, il quale rappresenta il genere umano: Adapa offende Anu, il dio del cielo, e si reca da lui per spiegargli il suo atto, dopo aver ricevuto da Ea, dio delle acque, l'avvertimento di non bere né mangiare nulla. Anu rimane colpito da Adapa a tal punto che gli offre il cibo e l'acqua della vita, ma Adapa li rifiuta senza rendersi conto di perdere così l'immortalità.

Gilgamesh ottenne anche dagli dei degli inferi che lo spirito di Enkidu ritornasse a parlargli della condizione dei defunti, dicendo: "Egli (il dio degli inferi) mi conduce alla casa dell'oscurità..., da cui una volta entrati non si esce più, per la strada dalla quale non c'è ritorno, alla casa i cui abitanti sono privati della luce, ove la polvere è il nutrimento e la creta il cibo. Sono vestiti d'ali come gli uccelli e non vedono la luce dimorando nell'oscurità".

I documenti mesopotamici descrivono l'aldilà come un triste, oscuro paese abitato da esseri "vestiti d'ali" che si cibano di terra e di creta.

Il palazzo regio ed il tempio erano chiari simboli di un potere gestito non sempre in armonia da re e sacerdoti. Dopo i sacerdoti, una classe di alti funzionari formava l'élite dei privilegiati. Produttori e commercianti partecipavano della ricchezza del paese da cui invece erano esclusi i contadini per lo più affittuari oppressi dalla fatica e dalle tasse. Per non parlare degli schiavi, considerati poco più che bestie.

Non molto diversa era la situazione in Egitto dove il faraone, figlio di Ra (il dio Sole), era padrone dei sudditi e di quasi tutta la terra. Anche qui una casta di privilegiati, sacerdoti e funzionari, deteneva la maggior parte della ricchezza. Il paese dipendeva dalle piene del Nilo, e ai suoi amministratori si ponevano impegnativi problemi gestionali e ingegneristici.

Assiri

Gli assiri erano un popolo di guerrieri, stabilitisi ad Assur intorno al 2000 a.C. Essi conducevano una vita dura poiché le loro terre non erano fertili, e quando cercavano di conquistare più terra erano sistematicamente respinti entro i loro confini dagli Ittiti, dai Babilonesi, dagli Egiziani, dagli Aramei. Obbligata ad aggredire per sopravvivere, l'Assiria ebbe infine una serie di governanti che adottarono una spietata politica di espansione. Assurnazirpal II (883-859 a.C.) sconfisse gli Aramei ad ovest ed arrivò fino al Mediterraneo. Egli e i suoi successori dell'VIII e VII secolo a.C. trattavano crudelmente i loro nemici vinti impalandoli e bruciandoli vivi. Con tali sistemi Tiglat Pileser III oppresse Babilonia e la Siria, Sargon II fece prigioniere 10 delle 12 tribù di Israele, e Sennacherib distrusse le città babilonesi ribelli e fondò la nuova capitale a Ninive, dove costruì un acquedotto che faceva parte di un canale lungo 50 chilometri, che portava acqua ai campi intorno a Ninive. Il re assiro Assurbanipal (669-631 a.C.) imparò il sumero, fece redigere un dizionario sumerico e una biblioteca di 22.000 tavolette d'argilla che comprendevano opere sui rituali religiosi babilonesi, sulla storia, sulla medicina, sull'astronomia e sulla matematica.

Gli assiri dovettero il loro successo alle imprese militari compiute da un esercito organizzato: tutti gli uomini dovevano fare il servizio militare; uomini a cavallo e arcieri su carri fungevano da truppe veloci e tutto l'esercito combatteva secondo una tattica militare prestabilita che comprendeva azioni di ricognizione, manovre di accerchiamento e battaglie di assedio. Gli ingegneri assiri fecero dell'assedio un'arte: costruirono enormi piattaforme armate e le portavano fin sotto le mura delle città assediate in modo che gli arcieri potessero tirar frecce sul nemico all'interno, e arieti a testa di ferro che demolivano quasi tutto, eccetto le mura più robuste.

Eridu, Lagash, Uruk e la mitica Ur sono solo alcuni dei centri abitati che sorsero in questa regione, cui in seguito si aggiunsero Ninive e Assur, entrambe sul Tigri, quando sorse la stella degli Assiri sotto l'egida del dio Assur (Asushur).

Gli Assiri ebbero il massimo splendore intorno al 700 a.C. e dominarono tutta la mesopotamia fino al sorgere dei Medi, circa un secolo dopo, e Ninive fu distrutta. Nel corso del tempo, anche Babilonia era stata più volte distrutta e ricostruita, fino al declino di tutta quella civiltà.

Nella prima metà del XX secolo, furono ritrovate le rovine della città di Ninive, capitale degli Assiri, e nella sua biblioteca furono ritrovate le 22.000 tavolette di argilla di Assurbanipal, piene di caratteri cuneiformi che hanno permesso agli studiosi di conoscere la storia di Ninive, dell'Assiria e di Sumer.

L'era di Sennacherib (700 a.C.)

La società assira al tempo di Sennacherib, figlio di Sargon, Re dei Re, Signore dei Quattro Angoli della Terra, ruotava attorno alla figura del re che era una figura religiosa, il "servo di Assur", e la cui volontà era la volontà del dio. Sennacherib spinse le sue conquiste fino in Palestina, e la stessa Bibbia ne riporta memoria nel secondo libro dei Re:

[e nel quattordicesimo anno del Re Ezechia, Sennacherib re d'Assiria salì contro tutte le città fortificate di Giuda e le prendeva. Ezechia re di Giudea mandò dunque al re d'Assiria a Lachis dicendo: "Ho peccato. Ritirati di contro a me. Qualunque cosa tu m'imponga l'adempirò. Pertanto il re d'Assiria impose a Ezechia re di Giuda trecento talenti d'argento e trenta talenti d'oro. Perciò Ezechia diede tutto l'argento che si trovava nella casa di Geova e nei tesori della casa del re. In quel tempo Ezechia stroncò le porte del tempio di Geova e gli stipiti che Ezechia re di Giuda aveva rivestiti (d'oro) e li diede quindi al re d'Assiria].

Il futuro re assiro veniva scelto, da un pool di figli prediletti tra i numerosi figli del re loro padre Sennacherib, dai sacerdoti di Assur osservando le viscere del ginu, una capra sacrificale. Per primi venivano proposti al dio i figli delle mogli legittime del re, e se il dio non dava il suo consenso per loro, venivano quindi proposti i figli che il re aveva avuto dalle numerose concubine nella casa delle donne, l'harem personale del re posto dietro il palazzo reale di Ninive. Le donne, nella società maschilista e guerriera degli assiri, non avevano alcun peso politico e le mogli o gli schiavi avevano, apparentemente, solo un prezzo di mercato; le donne a volte erano prigioniere di guerra o costituivano il tributo che i re delle città minori pagavano ai grandi re, di Ninive o di Babilonia, cui erano soggetti.

Comunque fosse, le donne ricevevano una educazione di sottomissione all'uomo, essendo vendibili dai loro padri, mariti e padroni, e non esisteva la "famiglia" come la intendiamo oggi. Quasi ogni anno, infatti, contingenti di assiri partivano per qualche campagna di guerra, e se rimanevano uccisi, le loro mogli o concubine o schiave potevano solo cercare un altro marito-padrone, oppure diventare "prostitute da taverna" e, al ritorno dell'esercito dalla campagna, spogliare i soldati del loro bottino di guerra, e continuare a vivere. Esisteva anche la prostituzione sacra, al tempio di Isthar, una tradizione molto onorevole a cui tutte le donne si sottoponevano: ogni giovinetta, prima di essere presa in moglie, si recava al tempio di Isthar, ed aspettava che uno sconosciuto le offrisse una moneta d'argento e prendesse la sua verginità: ciò era ritenuto di buon augurio e la dea Isthar le avrebbe donato la fertilità. Questa moneta veniva poi cucita nell'abito da sposa, e mai spesa.

Le concubine del re erano invece prigioniere nella casa delle donne, luogo dove solo il re e qualche eunuco aveva accesso, ed allevavano i principini (fratelli da parte del padre, ma di madri diverse) nella casa delle donne, in comune fino all'età di nove anni.

I re di Assiria, per diminuire la competizione che i figli prediletti avrebbero ricevuto dai loro nobili fratelli facevano castrare i principini più "deboli", che sarebbero divenuti scribi nella casa delle tavolette, mentre i più forti venivano avviati alla casa della guerra dove imparavano l'arte e la strategia militare, e fiancheggiavano il regale fratello nella gestione del regno, assumendo per esempio la reggenza delle città minori..

A differenza di altri popoli contadini senza re e senza esercito che impugnavano le armi solo in caso di necessità (e quindi sottoposti al "rischio" di essere sobillati da qualche "facinoroso" che, approfittando di fattori contingenti, assurgeva al ruolo di condottiero, non avendone il carattere, né la cultura, né le capacità amministrative, e, alla lunga, portando la città alla rovina), i soldati assiri erano una vera e propria casta sociale, e l'esercito assiro raggiunse un elevato livello tecnico-strategico. Il dominio assoluto del re riunì i popoli mesopotamici sotto un'unica bandiera e la pace forzata, all'interno del regno, consentì lo sviluppo delle città e della loro civiltà.

Non vi era allora il concetto di "Patria" o "Nazione", e gli uomini di una determinata confederazione erano uniti sotto la stessa divinità. Così gli assiri erano "il popolo di Assur", come i babilonesi erano "il popolo di Marduk". Essendo il re scelto dal dio mediante il rito del ginu, non vi erano fazioni divisorie nel popolo, e i sumeri per primi, e poi gli assiri, con questa struttura sociale dominarono il mondo antico finché anche i Medi non si organizzarono sotto l'egida di un dio protettore, (Zarathustra) che dava potere al loro re e forza ed unione al popolo.

Quindi più che mai gli dei dell'antichità erano fattore di unione del popolo e di sviluppo della civiltà.

Antico Egitto

4000 anni prima di Cristo un popolo cominciò a coltivare la valle del Nilo, le cui acque fecondavano la terra e il cui corso forniva una via di navigazione per il commercio. Protetti dal mare, dalle montagne e dal deserto, questi contadini prosperarono e fondarono parecchi piccoli staterelli lungo 880 chilometri del corso del fiume finché, nel 3200 a.C. Mene (l'eletto) li riunì in una unica nazione, retta da un solo faraone, e questa struttura sociale e religiosa fu la loro caratteristica per i successivi 3000 anni.. Le loro credenze religiose conferivano al faraone la condizione unica di figlio o incarnazione degli dei. Fra le divinità egizie emerse la divinità solare, dietro il cui culto stava quello di un dio del cielo che dispensava la vita e il fuoco e generava la pioggia e le tempeste. Questa credenza è simile al mito del dio-falco Orus, che successivamente assunse le caratteristiche di una deità solare e più tardi fu descritto come il figlio di Ra, altra versione del dio solare, che a sua volta si identificò con Atum, creatore e padre degli dei.

Breve storia dell'Egitto

Secondo l'archeologia ufficiale, durante la III dinastia, Soser (2700-2678 a.C.) ordinò la costruzione della prima piramide. Durante la V e la VI dinastia i faraoni si avventurarono all'interno dell'Africa alla ricerca di incenso, ebano, avorio, oro e pelli di pantera. A nord commerciarono coi Siriani in legno di cedro. Ma nonostante questi intensi commerci l'Egitto si indebolì poiché il crescente potere dei nobili (e, secondo gli archeologi, l'immane sforzo economico profuso nella costruzione delle piramidi), indebolirono l'autorità del faraone finché nel 2300 a.C., popoli invasori asiatici occuparono la zona del delta del Nilo mettendo fine all'antico regno.

Il regno medio ebbe inizio nel 2050 a.C. quando i re dell'XI dinastia, Amenemhet e i Sesostri riunificarono l'Egitto spingendo la loro influenza fino alla Siria e all'interno dell'Africa. Qui costruirono grandi fortezze, alla seconda cateratta del Nilo per controllare le vie del commercio con la Nubia, e a est del delta per tenere lontani gli invasori. Ma il medio regno cadde sotto gli invasori Hiksos (principi del deserto) che guidavano carri da guerra trainati da cavalli, i primi veicoli a ruota che gli egiziani avessero mai visto. Nonostante gli Hiksos avessero in seguito adottati i costumi degli egiziani, questi non li accettarono mai e nel 1570 a.C. i re di Tebe li cacciarono dalla valle del Nilo.

L'egitto entra così ella fase del nuovo regno. I re della XVIII dinastia conquistarono la palestina e la Siria, avendo Tutmose III condotto 17 campagne in Asia con un esercito di 20.000 uomini. Seguirono commercio e prosperità, ma le guerre scoppiate durante la XIX dinastia segnarono l'inizio di lunghe lotte tra l'Egitto e gli Ittiti dell'Asia Minore, lotte dall'esito incerto. Più tardi Ramsete III (1189-1157 a.C.) si trovò ad affrontare un popolo sconosciuto che aveva distrutto anche il regno degli Ittiti. Ramsete riuscì a riportare la vittoria, ma verso la fine del XII secolo a.C., l'Egitto perse il controllo sui possedimenti asiatici: l'impero egiziano volgeva al suo termine, e nonostante una breve ripresa sotto la XXVI dinastia (663-525 a.C.), nel 525 a.C. l'Egitto fu conquistato dal persiano Cambise.

Gli egiziani mantennero la loro civiltà per 3000 anni. A questa stabilità contribuirono la struttura sociale e le credenze religiose. L'egitto contava diversi milioni di abitanti, in maggioranza contadini che venivano assegnati dal faraone ai nobili proprietari e ai templi; vivevano in casupole di fango mentre i ricchi nobili possedevano grandi case con bagni, cortili e vestiboli. I contadini coltivavano frumento, orzo, lino, allevavano bestiame, pecore e maiali; gli artigiani fabbricavano martelli, seghe, trivelle di bronzo e rame; i gioiellieri creavano ornamenti d'oro, di turchese e di corniola.

Il popolo egizio onorava il faraone come un dio. La religione contava più di 2000 dei che governavano i vari eventi della vita come la nascita, la morte, la lingua, i numeri e così via. Osiride, dio della morte e Ra, dio del sole erano gli dei principali, onorati in tutto il territorio. Tutto l'egitto apparteneva al faraone ma molte famiglie ereditavano, di generazione in generazione, i possedimenti mediante il "documento della casa", trasmessi per linea materna, poiché le donne ricoprivano una certa importanza nella società egizia ed alcune divennero anche faraone (Nefertari, Nefertiti o Nafteta). Questa è una importantissima differenza rispetto a tutte le altre civiltà che sorsero nell'antichità, tutte basate su un sistema maschilista e patriarcale. Non era stato inventato il denaro come forma di moneta, i tributi venivano pagati in grano e con questo i faraoni pagavano i servi e alimentavano l'Egitto durante le carestie. I faraoni, sebbene potentissimi, avevano bisogno di sacerdoti e scribi per mantenere il regno a tale livello di civiltà poiché essi soltanto conoscevano l'astronomia, la matematica e una forma di scrittura per registrarle. I geroglifici non erano così efficienti come i caratteri sumeri, e la loro notazione matematica era molto poco pratica. Gli egiziani avevano ideato un sistema di cifre che permetteva loro di contare fino ad un milione, ma era un sistema mal costruito che richiedeva 27 cifre per scrivere il numero 999! Sebbene l'Egitto fosse meno evoluto della mesopotamia, la sua civiltà prosperò con successo anche attraverso i secoli in cui la mesopotamia era stata colpita dalle guerre e da semi-barbarie.

Nel XIV secolo a.C. Ekhnaton tentò di sostituire alla religione ortodossa un unico dio, Aton, simboleggiato da un disco solare, ma la nuova religione sovvertiva l'ordine sociale, che voleva che l'ordine cosmico dipendesse dal faraone e dal culto sacerdotale di Ammone-Ra (il "re degli dei") che circondava il faraone. Alla sua morte il nuovo faraone, Tutankhamon ripristinò il culto ortodosso di Ra. Poiché il faraone era l'intermediario fra gli dei e gli uomini in una società dove la sopravvivenza dipendeva dall'organizzazione dell'agricoltura, il culto del sole era la chiave non solo dell'ordine sociale ma anche della fertilità, e gli egizi collegarono l'immortalità del faraone col culto di Osiride, a simboleggiare la morte e la resurrezione che si verifica durante il ciclo annuale della vita vegetale, e si attribuì ad Osiride il governo dei defunti in un altro regno. A questo riguardo la religione egizia era assai complessa: c'era il Ka o spirito custode, che era l'essenza dell'individualità, e c'era il Ba o soffio, che dava vita al corpo. Nel rito noto come "Apertura della bocca" (che impiegava una "ascia sacra" di origine meteoritica), che simboleggiava l'immortalità, del faraone, l'anima veniva risoffiata nella mummia a commemorazione del dio Osiride, che ucciso e smembrato dal dio Seth, fu riportato in vita a quel modo dal proprio figlio Orus (Oro).

Il tempo di Orione

Nell'820 d.C. il califfo Abdullah Al Mamun tentò di violare la Grande Piramide di Cheope. Alcune carte in suo possesso gli indicavano, all'interno della piramide, l'esistenza di una stanza colma di grandi ricchezze. Il califfo fece aprire un varco nei grandi massi fino a scoprire, tra mille difficoltà, quello che oggi è chiamato il "corridoio ascendente" che porta in quella che, nelle speranze di Al Mamun, doveva essere la stanza del tesoro. In realtà, l'aspetto del locale era più simile a quello di una stanza funeraria, tanto che vi era pure un sarcofago. Di tesori neanche l'ombra, e anche il sarcofago che avrebbe dovuto contenere la mummia del faraone era vuoto.

Ma perché il sarcofago era vuoto se la piramide, sino ad allora inviolata, era destinata a contenere il corpo del faraone? Forse lo scopo della Grande Piramide non era quello considerato dall'archeologia ufficiale?

La piramide di Cheope misura 230 metri di lunghezza per ciascun lato, e 147 metri in altezza, occupa una superficie di 5,3 ettari e contiene 2.300.000 massi perfettamente squadrati alcuni dei quali pesano oltre le 15 tonnellate. Gli studiosi hanno versato fiumi di inchiostro cercando di immaginare come popoli appena usciti dal neolitico, quali gli antichi egizi, avessero potuto costruire le grandiose piramidi che li contraddistinguono. Con quali tecniche ingegneristiche avrebbero potuto tagliare, squadrare, trasportare e collocare con estrema precisione enormi macigni del peso di decine di tonnellate? Se nella Grande Piramide di Giza sono stati calcolati 2.300.000 blocchi di pietra, allora Cheope avrebbe dovuto organizzare un'impresa edile grandiosa, capace di posare un blocco di pietra ogni quattro minuti, ventiquattr'ore al giorno, per trenta anni di seguito (tale era la vita media allora) affinché alla sua morte potesse accogliere il suo corpo semi-divino usando esclusivamente corde, carrucole, tronchi, piani inclinati e attrezzature in pietra. Tutte queste spiegazioni, che hanno dominato la cultura della seconda metà del ventesimo secolo cominciano, negli anni novanta, a sgretolarsi dinanzi a più ardite teorie, suffragate da prove non ignorabili, che spostano la datazione delle piramidi egizie nella piana di Giza da quattromila anni fa ad almeno diecimila anni fa mentre la Sfinge sembra essere antica 10500 anni fa.

L'Autore rimanda il lettore ai numerosi testi di archeologia "ufficiale" per fantasticare sulle teorie di costruzione delle piramidi. Qui si fa notare soltanto che il corpo di Cheope non fu mai trovato. Anche le piramidi di Chefren e Micerino non contenevano il corpo dei faraoni.

Gli egittologi, speculando sulla Grande Piramide, hanno trovato molte particolarità di carattere matematico-geometrico, ed hanno accreditato agli antichi egizi del 2500 a.C. grandi conoscenze matematico-astronomiche, come l'esatta misura della Terra, il suo peso e la sua densità, la distanza Terra-Sole, la durata dell'anno solare, la conoscenza del pigreco. Ma in realtà, come abbiamo detto, la matematica egiziana non avrebbe potuto arrivare a tanto, e le loro conoscenze di geometria erano di carattere "pratico", sufficienti solo per ristabilire i confini delle coltivazioni dopo le piene del Nilo, e la loro "astronomia" era, più che altro, simile alla "astrologia".

Che gli egiziani non fossero poi in definitiva così evoluti come le piramidi, erroneamente ad essi attribuite potrebbero far credere, lo si può dedurre dalle mummie faraoniche e dai pur pregevoli corredi funerari: gli egizi avevano scoperto una parte del potere della piramide, cioè quello di preservare a lungo i corpi morti (e, sembra, anche quello di affilare o spuntare le lamette da barba, in base posizione della luna), e inoltre usavano delle sostanze che conservavano (malamente) i corpi morti dei sovrani o di alti dignitari, quasi a voler sottolineare il potere della piramide, ma niente di più: Le loro concezioni di scienza e medicina si collocano secondo gli standard dell'epoca neolitica o del bronzo: non avevano, per esempio, coscienza della funzione del cervello, e le eventuali altre loro "invenzioni", quali delle presunte batterie rame-ferro (le pile di Baghdad), che se mai furono da loro inventati, sono da inquadrare come fenomeni casuali e inconsapevoli il cui uso sembra fosse comunque limitato alla galvanostegia (la doratura di metalli), o riferiti a queste misteriose civiltà o divinità, come gli altrettanto misteriosi strati di mica di cui è infarcita la roccia di alcune costruzioni nella città maya di Teotihuacàn.

Permangono così molti interrogativi cui la scienza ufficiale non sa rispondere: le particolarità di carattere matematico-astronomico nell'architettura delle piramidi sono da attribuire agli egizi storici del II millennio a.C., nonostante la loro matematica alquanto limitata? E il culto della divinità solare, tipica di popoli tecnicamente evoluti, pur nelle sue innumerevoli varianti, è propria di un popolo dedito alla magia e alle superstizioni quale quello egizio? Se consideriamo la nuova datazione delle piramidi (quelle più antiche nella piana di Giza) e della sfinge, non arriviamo a chiamare in causa la mitica civiltà di Atlantide, scomparsa, secondo la leggenda, più di 10.000 anni fa? Per cui la storia dell'antico Egitto è ancora tutta da scoprire...

Il primo mistero è il fatto che l'interno di queste grandi piramidi non contiene geroglifici o disegni, a differenza di quelle di Nefertari o di Tutankhamon. Viene insomma il dubbio che in realtà le piramidi della piana di Giza non avessero, in origine, la funzione di tombe reali.

Hancock e Bauval hanno trovato che la disposizione delle piramidi corrisponde a quella di alcune stelle della costellazione di Orione, sacra per gli egizi, che la identificavano con la dimora di Osiride.

Forse allora le piramidi non erano tombe, ma edifici di culto. Da queste constatazioni, negli anni sessanta, furono scritte alcune entusiasmanti pagine dell'egittologia come lo studio dell'allineamento del condotto di areazione della "Camera del Re" con Zeta Orionis mentre il condotto meridionale puntava su Sirio, la stella di Iside, nella posizione in cui queste stelle dovevano trovarsi nel 10.450 a.C.

La piana di Giza rappresenta quindi una specie di orologio stellare che segna l'epoca di Osiride, l'epoca del "primo tempo"? Un'epoca che, ufficialmente appartiene al mito, "l'età dell'oro" della mitologia greca. Un altro famoso monumento della piana di Giza, la Sfinge, da recenti studi di paleoclimatologia, sembra confermare questa data. Ma chi, nel 10.500 a.C. costruì questi imponenti monumenti-messaggio?

Le pietre di Baalbek:

Tutte le opere titaniche presenti sul nostro pianeta si possono così definire "incognite archeologiche". Sono irrisolte tutte le problematiche connesse al trasporto e alla collocazione dei materiali relativi alla costruzione di questi monumenti.

Ma i colossali monoliti del Perù o le pietre squadrate delle piramidi egizie, per nominarne alcuni, sono di modeste proporzioni in confronto alle pietre di Baalbek, una antica città libanese (vedi foto).

Le pietre che formano la piattaforma della città libanese sono infatti opera di un misterioso popolo che mise in posa massi pesanti in media 750 tonnellate. La piattaforma ha una estensione di circa un milione e mezzo di metri quadrati, e alcuni dei blocchi che formano il basamento, chiamato "Trilithon" misurano 25 metri di lunghezza, 4,60 metri di larghezza e 5 metri di altezza. La cava principale da cui sono stati estratti i blocchi è situata a circa un chilometro di distanza della città. Ancor oggi vi si può ammirare il macigno di granito tagliato più grande del mondo, chiamato "Hadjar El Houbla", (la Pietra del Sud), pesante ben oltre 2000 tonnellate. Oggi non esiste ancora alcuna macchina capace di spostare simili pesi. Chi o che cosa avrebbe potuto fare tanto in un remoto passato?.

Una leggenda araba narra che Nimrod, re del Libano, inviò una tribù di giganti a costruire la città. Un'altra leggenda adduce a Caino la costruzione di Baalbek per scampare all'ira di Jahveh e creare un popolo di giganti all'interno delle mura della città.

La storia di Ugarit, distrutta da un misterioso fuoco nel XIV secolo a.C. ci aiuta a focalizzare il quadro di una situazione fuori dal comune. Abiminiki, re di Tiro, scrisse al faraone Amenofi IV: "La reale città di Ugarit è stata distrutta dal fuoco, la metà del centro cittadino è bruciata e l'altra non esiste più". Terra vetrificata, muri sfondati e massi di parecchie tonnellate scagliati a notevole distanza non sono certo imputabili a catastrofi naturali! In Libano si trovano, in effetti, frammenti di roccia vetrificati, le cosiddette "tettidi", in cui l'americano Stair scoprì isotopi radioattivi dell'alluminio. Ma quale guerra e quali armi avrebbero potuto provocare ciò, oltre 3000 anni fa?

Un dio che presso i cananei ebbe un ruolo preminente fu Baal, lo stesso a cui fu intitolata l'enigmatica Baalbek e contro cui i profeti della Bibbia combatterono aspramente, preoccupati per il dilagare del suo culto, tanto da arrivare a demonizzarlo. Il nome Belzebù deriva appunto da Baal (Baal-Zebub), che nei testi epici di Ugarit viene indicato come "il Signore del cielo". Egli è il corrispettivo del sumero Enlil, il "Dio dell'aria" del popolo degli Anunnachi, che sappiamo essere la popolazione proveniente da Nibiru, il dodicesimo pianeta del sistema solare, responsabile di tutta la cultura sumera.

Restano, dopo migliaia di anni, le mute piattaforme ciclopiche di Baalbek; ma forse non sono proprio mute perché, a ben guardarle, la loro superficie è inequivocabilmente calcinata, come lo sono le odierne piattaforme di lancio dei nostri razzi vettori. Infatti, sempre in Libano si trovano ancora monoliti che oggi possono essere ritenute rappresentazioni di navi spaziali Una stele molto suggestiva rappresenta il dio El, la sua consorte Asherat e un "palo sacro" puntato verso il cielo, come un razzo vettore odierno. Nella nuova concezione che questo studio vuole rafforzare, basato sulle ricerche di innumerevoli studiosi e scienziati, dove il contributo principale apportato dall'Autore riguarda soprattutto la nuova interpretazione della Bibbia, i "pali sacri" libanesi non rappresentano "simboli della fertilità", cioè enormi peni maschili eretti slanciati verso il cielo, bensì il ricordo di missili vettori dell'antichità. Non abbiamo alcuna illustrazione di ciò che poteva essere Baalbek all'epoca di Gilgamesh, ma "sappiamo" ciò che poteva esserci in seguito, all'epoca dei Fenici. Lo sappiamo perché questa piattaforma, circondata da un recinto, sostiene un razzo spaziale poggiato su un piedistallo a croce come è raffigurato su una moneta di Byblos. Nell'epopea di Gilgamesh viene però descritto un posto chiamato "Luogo di atterraggio nel Libano", dal quale l'eroe mesopotamico vede sollevarsi un velivolo simile ad un razzo. Affermare che Baalbek, in Libano, sia stata anticamente un centro spaziale, potrebbe sembrare azzardato, ma alcuni ritrovamenti nella vicina Turchia forniscono conferme che avvalorano questa ipotesi, come una scultura ritrovata a Toprakkale, l'antica Tuspa, che assomiglia ai moderni razzi vettori (tipo shuttle), con il pilota all'interno vestito da una tuta spaziale simile a quella dei primi astronauti sovietici e dove sono riconoscibili alcuni tubi di respirazione al disotto del mento. Il museo di Istanbul conserva gelosamente questa statuetta, che non è esposta al pubblico. Dicono che la sua origine non è confermata, ma allora perché è così gelosamente custodita?


E' bello bagnarsi nel laghetto con Te

scendere in acqua con Te

e a Te mostrarmi nella mia bellezza

avvolta in finissimi lini regali

con un pesce rosso tra le dita.

Vieni a vedermi…

(Poesia dedicata dalla principessa Nafteta o Nefertiti al faraone Amenophi III)

Grecia antica

Nella prima metà del I millennio a.C. nella Grecia arcaica si posero le fondamenta della civiltà europea. Dopo l'invasione dorica degli anni intorno al 1200 a.C., il tessuto ellenico si ricostituì laboriosamente grazie alla comunanza sostanziale della lingua, della religione, dei costume, e lo sbocco di questo processo fu la polis, la città stato, elemento unificatore dei mondo ellenico. La polis era un'entità autonoma e indipendente, ma non impermeabile; anzi la sua apertura era notevole, sotto il profilo culturale. E l'apertura valeva come disponibilità a dare e a ricevere, a profittare degli apporti in ogni campo, dalla filosofia al costume, dalle formule di governo all'arte, dalla tecnologia ai mille aspetti dell'esistenza quotidiana. L'ambiente geografico ne condizionava fortemente le caratteristiche, ma anche a questo proposito non è difficile individuare un modello prevalente.

L'insediamento di solito avveniva su un rilievo, il cui punto più alto l'acropoli in qualche modo manteneva la funzione difensiva propria della rocca micenea. E questo d'altronde uno schema che ritroviamo in tutto il mondo antico: la città, tranne eccezioni connesse con forti motivazioni economiche, tendeva a ubicarsi non a ridosso dei mare, in aree magari fertili e di facile accessibilità però esposte alle aggressioni e spesso insalubri per la presenza di paludi malariche bensì in posizioni elevate, su monti e colli, che a popolazioni di entità numerica ancora modesta offrivano maggiore varietà di risorse minerali, forestali, foraggiere agricole, idriche Certo, la vicinanza dei mare era importante, addirittura cruciale per un paese come la Grecia di ardua viabilità interna, ma ci si adattava a che il porto fosse a distanza anche considerevole dal centro urbano.

Nelle immediate adiacenze dell'acropoli erano collocati i luoghi di culto maggiori e l'agorà sede di affari, di mercato, luogo di scambio e di assemblea, il cuore della città. Tutt'intorno le abitazioni private, gli orti e i giardini e nelle immediate vicinanze le terre coltivate e i pascoli, possesso della comunità, dei santuari, dei privati.

Nel periodo di formazione, le città greche non persero mai i contatti con la campagna circostante o con i villaggi: il flusso della gente dalla città alla campagna e viceversa seguiva puntualmente il ritmo delle stagioni.

Fu dunque l'organizzazione dei villaggio a determinare l'evoluzione della città; le tradizioni rurali, senza troppe barriere tra le classi e le professioni, comprendevano l'usanza di mettere in comune le decisioni più importanti. Si potrebbe dire che la principale ragione alla base della fusione dei villaggi in città fosse di coinvolgere nelle scelte e nelle decisioni riguardanti la comunità una cerchia più vasta di persone.

In sostanza, il termine polis, più che indicare che lo stato era costituito da una città, sottolinea il fatto che in un centro urbano unico, o di gran lunga più importante di altri, si concentravano potere, culto religioso, cultura, attività amministrativa.

La polis era un mondo aperto, si è detto, in cui le idee circolavano, i contatti erano stretti e continui, la partecipazione dei cittadini alla vita collettiva (più o meno, ovviamente, secondo le epoche e le forme dei sistema politico) era effettiva. Siamo in un ambito tutto diverso da quello della Mesopotamia e dell'Egitto: lì i luoghi dove si elaboravano i valori culturali e il sapere all'insegna dei quali la società viveva ed escludevano chiunque non appartenesse alla ristretta élite dei privilegiati, membri dei l'aristocrazia, alti funzionari, sacerdoti. Il sapere quindi non circolava, rimaneva chiuso nel palazzo e nel tempio e non poteva diventare patrimonio comune.

Il sapere della polis nasceva invece proprio all'interno dei clima di libera circolazione e di confronto tra città e tra individui. Esso tendeva a misurarsi coi reale, in quanto legato a esigenze particolari. Poiché la produzione artistica aveva un grande spazio nell'ideologia della polis, la sua struttura diventa un ottimo scenario entro il quale collocare i fenomeni artistici e attraverso il quale cercare di comprenderne il senso e le caratteristiche. In altre parole, le caratteristiche della polis impregnate, oltre che di realismo, di individualismo, di tensione indipendentistica, di apertura e disponibilità quasi voraci, di estrema elasticità mentale, di perentoria volontà partecipativa, di amore per il dibattito e il confronto quanto si riflettevano e in che modo sull'arte? La risposta al quesito passa attraverso il riconoscimento dell'antropornorfismo, proprio della cultura e della mentalità elleniche Così il filosofo Protagora nel V secolo a.C., all'apogeo dell'età classica, riassumeva questo valore nella sentenza: ,<L'uomo è la misura di tutte le cose>. E l'uomo era al centro dell'attenzione anche dell'artista greco.


Come l'arte, anche la democrazia ateniese perché di Atene si deve più propriamente parlare, per il Vi e il V secolo a.C. non si era conformata a modelli precostituiti: essa nacque dal quotidiano "essere cittadini che è poi il significato etimologico dei far politica, cioè far parte della polis Via via che quei comportamenti si sperimentavano e apparivano buoni, essi si consolidavano come paradigmatici, cioè degni di essere ripetuti e imitati: diventavano così dei modelli.

In questi termini è corretto parlare di analogia tra processi artistici e politici in Grecia. In fondo, non c'è molta differenza tra l'artigiano, che traeva dall'osservazione del reale quelli che gli sembravano gli aspetti migliori, e poi li assemblava in un insieme capace di proporsi come modello cui tendere, e il cittadino che, dalla verifica quotidiana dei comportamenti e dei problemi, cercava di enucleare le soluzioni più opportune, e di fissare quelle migliori in uno schema, in un criterio organizzativo che facesse da punto di riferimento. Per questa via, la bellezza è altrettanto praticabile della politica e della virtù, da parte di tutti e di ciascuno. Risulta così chiara l'omogeneità intrinseca del "caso ateniese", derivante da questa stretta fusione tra politica, arte, filosofia. Il ruolo dell'arte, in questo contesto, sembra essere quello di esemplificare, rendere visibile questo equilibrio armonico, questa visione dell'uomo e dei mondo secondo coordinate di razionalità e verificabilità. L'arte fornisce anche, come si è detto, un modello propositivo e assolve perciò a una funzione pedagogica. Siamo dunque di fronte a un insieme in cui tutto si collega: arte, cultura, politica, ideologia. Atene è la città in cui questo processo tocca la sua espressione più organica e completa, oltre che i suoi risultati più alti. Perciò è la città egemone della Grecia nel V secolo a.C.

Nonostante le distruzioni dovute all'invasione persiana dei 480 a.C., Atene trovò la forza per reagire.

Perché restasse perenne memoria dell'invasione, era stato fatto divieto di ricostruire i luoghi sacri distrutti dai persiani. Dopo la pace di Kallias dei 449 a.C. (che poneva fine alle guerre persiane sancendo la supremazia ateniese sul mare e in Asia), tale divieto fu revocato e si assisté a un vasto e ambizioso boom edilizio.

Per realizzare un programma così imponente, era indispensabile l'equilibrio politico che Pericle, il capo dei Il partito" democratico che egemonizzò la vita pubblica ateniese dal 460 al 430 a.C., ottenne con un prodigioso senso della misura: l'assenza di tensioni sociali interne, la prosperità economica e l'unità di direttive garantite da Pericle fecero di questo periodo un modello difficilmente uguagliabile. Questa concentrazione di eventi artistici nell'ambito della polis ha dei prodigioso, e ne ha ancor più se pensiamo che alla concentrazione


spaziale si accompagnò un'estrema concentrazione temporale, giacché ci muoviamo pur sempre nel breve arco di pochi decenni.

Lo scoppio della guerra nel Peloponneso, conseguenza inevitabile dei contrasto tra Atene e Sparta per la supremazia sulla Grecia, le epidemie che decimarono Atene, la fallimentare spedizione in Sicilia obbligarono la cultura ateniese ad affievolire, nell'arco di una generazione, quella coralità di iniziative che era stata dell'età di Pericle Manifestazioni artistiche più isolate, anche se spesso di altissimo pregio, non raggiunsero l'organicità di quelle realizzate nel periodo precedente.

Ellenismo è una definizione moderna, nel mondo antico non esisteva; fu introdotta nella prima metà dell'Ottocento, per indicare un tempo e uno spazio precisi: il tempo, tra la fine dei IV secolo e quella dei I secolo a.C.; lo spazio, tutta la vasta area degli antichi imperi della "mezzaluna fertile" e il mondo greco continentale e insulare. Si tratta tuttavia più di un concetto culturale che di un termine propriamente storiografico o geografico. Ma se moderna è la definizione, non lo è il vocabolo: esso nacque con l'epoca, e serviva a indicare un atteggiamento "grecizzante", cioè parlare, vestirsi, atteggiarsi al modo dei greci. Con tale epiteto venivano indicati, per esempio, gli ebrei che parlavano greco e che, più in generale, avevano assorbito lo spirito della cultura greca. La diffusione di un tale modello era stata resa possibile dall'affermarsi dell'impero di Alessandro, ma il peso, la diffusione e lo spessore di questo fenomeno andarono al di là della sua durata politica, e continuarono a cementare un'unità di cultura e di costume anche dopo il crollo della grande costruzione dei giovane condottiero.

Dunque, dalla fine dei IV secolo a.C. assistiamo a una massiccia ellenizzazione di tutto il Mediterraneo orientale, nonché dei territori dell'interno fino alla Mesopotamia. L'età ellenistica si presenta con i caratteri dell'omogeneità e della disomogeneità al tempo stesso. I primi risiedono nella coerenza culturale che legò le varie monarchie nelle quali si scisse l'impero di Alessandro; i secondi invece consistono nell'affermarsi di specificità regionali e statali accompagnate a una vasta e varia mobilità sociale. Il grande merito delle monarchie ellenistiche fu quello di aver promosso un comune sviluppo sociale, modelli statali analoghi, una cultura sostanzialmente unitaria: ma le rivalità reciproche, la fragilità militare si evidenziarono quando si trovarono di fronte alla nuova potenza che si era andata formando a occidente, cioè Roma. Nel giro di due secoli, dall'inizio dei Il alla fine dei i a.C., gli stati ellenistici vennero progressivamente travolti dall'espansione della potenza romana.
 

Roma antica

Alle origini Roma visse stretta da un'egemonia incombente da nord, quella etrusca, che ne condizionò la fondazione stessa e le vicende. A sud era chiusa dalla potenza delle città greche e dall'espansionismo cartaginese che le impediva ogni accesso al mare. Tutt'intorno, popolazioni autoctone bellicose e aggressive mai tolleravano questa nuova intrusa.

Secondo la tradizione storiografica romana, il periodo repubblicano cominciò nel 509 a.C. La leggendaria cacciata dell'ultimo re, appartenente alla famiglia dei Tarquini, rimanda a un fenomeno reale: la progressiva autonomia di Roma dagli etruschi. Nel corso dei V secolo a.C. Roma cominciò a costruire la sua supremazia nel Lazio, mentre all'interno si consumava la divisione tra patrizi e plebei e si arrivava a una progressiva militarizzazione delle istituzioni, con la sostituzione dei consoli con tribuni militari. Il IV secolo a.C. si aprì con l'invasione della città da parte dei galli che non interruppe l'espansione romana ai danni dei latini e dei sanniti.

Nel 326 a.C. i romani presero Napoli e nel 310 inflissero una dura sconfitta agli etruschi. Il III secolo a.C. cominciò con le guerre contro Taranto, conclusesi nel 272 con la presa della città: era il primo contatto con la civiltà della Magna Grecia. Solo due anni dopo Roma espugnava Reggio e completava la conquista dell'Italia meridionale.

Le ostilità con i cartaginesi: sarebbero durate oltre un secolo, fino al 146 a.C. Nel corso delle guerre puniche in cui la famiglia degli Scipioni ebbe un ruolo di eccezionale rilievo, Roma si espanse nei Mediterraneo: nel 259 i romani sbarcano in Corsica, nel 241 prendono la Sicilia e nei 238 la Sardegna.

A questo punto l'espansione romana conosce una straordinaria accelerazione: nel 222 a.C. viene sottomessa la Gallia Cisalpina, nel 206 la Spagna. L'inizio del Il secolo a.C. coincise con l'espansione verso oriente: i romani intervennero prima in Macedonia e in Grecia (196 a.C.), poi in Siria (188 a.C.).

Con la conquista dell'Italia meridionale e della Grecia si produsse nella cultura romana uno scarto significativo. Dopo essersi servita di artisti etruschi e italici per soddisfare le scarse esigenze artistiche della sua sobria vita tesa alla lotta di conquista, Roma si assoggettò all'egemonia artistica greca. Il tramite furono le sue conquiste nella Magna Grecia prima e poi in Grecia e in Oriente, tra il II e il I secolo a.C.

La convinzione, diffusa tra numerosi intellettuali e tra le classi dirigenti, che la frivola mollezza dell'arte greco orientale avrebbe corrotto i severi costumi romani portò a opporre una fiera resistenza a questa penetrazione culturale. Un effetto significativo di questa idea fu che l'arte venne sempre considerata attività indegna di un civis romanus, anche dopo che si fu diffusa la nuova sensibilità estetica. Ma le esigenze stesse della conquista con la conseguente necessità di costruire infrastrutture (strade, città, templi, fori, porti, ponti, acquedotti) imposero ai romani di affrontare problemi nuovi che avevano un rapporto diretto con la produzione artistica, Partendo dalla ruvida solidità delle costruzioni di pubblica utilità, cominciò emergere una nuova estetica romana, prima in architettura, poi nella scultura e nella pittura, I modelli delle le altre civiltà vennero usati non più in maniera passiva ma come contenitori di messaggi tipicamente romani: orgoglio nazionale, eroismo militare, virtù civili.

Gli uomini di cultura furono chiamati a svolgere una funzione di particolare importanza nella conquista dei consenso al grande progetto augusteo. Sotto Augusto, Roma e i suoi domini si trasformarono: nuovi acquedotti si aprirono, nuove terme e fontane si riprodussero nella capitale, come nelle più lontane città di provincia.

Nell'età giulio claudia (27 a.C. 68 d.C.), il fervore delle opere pubbliche fu eccezionale: si costruì il nuovo porto a nord della foce dei Tevere, si levarono le arcate possenti degli acquedotti Claudio; con Tiberio il successore di Augusto, il Palatino si trasformò in una sontuosa dimora imperiale. Inizia con Nerone la nuova struttura del palazzo imperiale, nuova "casa dei dio", edificio di rappresentanza che doveva dare l'immagine della ricchezza, della potenza del princeps: si chiamò Domus aurea, e fu solo il primo elemento di una serie, che continuò col palazzo di Domiziano e sarebbe culminato (a Spalato e non più a Roma) col palazzo di Diocleziano, un nuovo impulso all'arte venne dalle imprese di Traiano (98 117 d.C.), che diedero ampio campo alle celebrazioni figurative e all'erezione di nuovi monumenti, non solo a Roma, ma anche nelle province.

Il periodo che va da Nerva (96 98 d.C.) a Marco Aurelio (161 180 d.C.) fu considerato dagli antichi il più felice e questi anni sono ricordati anche sulle monete come "felicia tempora''; in particolare Traiano sarebbe stato sempre ricordato come optimus princeps Nel periodo dell'impero di Traiano sono da collocare due fenomeni fondamentali che avranno grande riflesso sulle arti figurative: la creazione di un'aristocrazia romanizzata nelle province che portò a un rinnovamento della classe senatoria, e il rafforzamento dei potere imperiale attorno alla cui autorità si rimodellò tutto il sistema politico romano.

La grande diffusione nell'impero di opere monumentali, se rispose alla ragione politica di rendere visibile e viva la presenza del genio dell'imperatore, d'altro canto offrì l'occasione di leggere la traduzione provinciale delle grandi opere della capitale. Come esisteva, accanto alla lingua letteraria di Roma (il sermo illustris), una parlata plebea (il sermo vulgaris dal quale, più che dalla lingua letteraria, nasceranno le parlate romanze).

Dei resto la provinciaIizzazione dell'impero si rispecchia nel fatto che, a partire dalla fine dei I secolo d.C., gli imperatori furono nella stragrande maggioranza provinciali.


Un avvenimento determinante fu lo spostamento della capitale dell'impero a Bisanzio (attorno al 330 d.C.) voluto da Costantino per motivi di strategia militare e politica, dopo aver sancito nel febbraio del 313 d.C. con l'editto di Milano l'unione della Chiesa e dello Stato.

Tuttavia il lento assestamento politico e sociale solo due secoli più tardi avrebbe portato alla formazione di una cultura e di un'arte propriamente bizantine.

La schiavitù nell'antichità

Nell'antichità e fino all'impero romano il mondo era basato sulla aggressività e sulla conquista con le armi: la ricchezza di un uomo era misurabile in termini di oro e di schiavi posseduti, il suo valore era misurabile come forza fisica, coraggio e disprezzo della morte.

 

I poeti cantavano imprese guerresche e considerati buffoni di corte: gli Dei guerrieri premiavano i favoriti con la gloria e il potere terreno: non era contemplato che un aldilà triste e misterioso. Le donne erano considerate territori di caccia e preda dell'uomo e solo in rari casi passate alla storia.
Con l'avvento del cristianesimo queste "qualità " perdettero di valore per far posto al medioevo, periodo millenario di barbarie e superstizioni religiose. Le donne sono adesso creature del diavolo, passate alla storia solo come streghe.
 

Il cristianesimo non ha sradicato la schiavitù , anzi ha creato la nuova divisione tra battezzati e pagani e le guerre seguenti mascherarono gli obiettivi di conquista con moventi religiosi. Si noti che la presenza degli schiavi era comunque funzionale e necessaria in tutte le grandi civiltà del passato, si chiamassero essi schiavi o servi della gleba

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Il lento progresso della conoscenza della natura, nelle fasi buie del medioevo, ha portato l'umanità appena fuori dall'età del ferro, iniziata 5000 anni prima, e la conoscenza aristotelica è rimasta praticamente immutata fino al quindicesimo secolo, epoca delle grandi scoperte geografiche che completarono la visione del mondo e dell'inizio del metodo scientifico di Galileo e Newton, e su queste nuove basi l'umanità si è fermata a meditare per un altro secolo, fino alla rivoluzione francese e all'illuminismo, che segna l'inizio dell'età moderna, dove si assiste al trionfo della Dea Ragione che genera la rivoluzione industriale e la ricerca organizzata.
 

Questa ricostruzione storica riguarda naturalmente la vecchia e corrotta Europa, che il 12 ottobre 1492 iniziò la colonizzazione dell'America o meglio la sua conquista, visto che dovette sanguinosamente espropriarla agli indigeni residenti secondo la vecchia maschera ipocrita di "cristianizzazione".
Le grandi potenze del momento, cioè Francia, Spagna, Inghilterra cominciarono la politica coloniale che si protrarrà nei secoli successivi. La Spagna in particolare, essendo stata a suo tempo un baluardo contro i tentativi di invasione musulmana attraverso Gibilterra, aveva sviluppato e degenerato una intensa ed ottusa carica religiosa e fu responsabile della distruzione delle civiltà precolombiane dell'America centrale al solo scopo di rapinarle delle ricchezze aurifere. L'Inghilterra invece, da sempre potenza marinara e mercantile vedeva nell'America un nuovo business da sfruttare al massimo e cercò di imporre la sua egemonia economica alle colonie. Tuttavia i coloni americani, consci delle enormi ricchezze dei nuovi territori e oppressi dai governi nelle lontane patrie, si rivoltarono ad essi e dopo una cruenta guerra conquistarono l'indipendenza delineando così una nuova potenza mondiale.
Nacque il SOGNO AMERICANO e l'epopea del west, che sterminò le trib• pellerossa e il bufalo americano, loro cibo. La Francia, infine, essendo dilaniata da guerre interne e di confine, potè svolgere una più debole politica oppressiva nei confronti delle colonie. L'immane lavoro di sollevamento economico della nascente America fu in buona parte delegato al lavoro di schiavi negri, che per l'occasione furono dichiarati esseri inferiori, e negli stati del sud furono promulgate leggi che proteggevano gli schiavisti dalle insubordinazioni della manodopera negra, leggi perfettamente valide fino allo scorso secolo.
Con A. Lincoln fu ufficialmente abolita la schiavitù in America, una consuetudine perdurante da oltre settemila anni, ovvero ininterrottamente da trecento generazioni: la schiavitù esiste ancora oggi in diverse regioni del mondo, ed esistono potenti strascichi di questa mentalità oppressiva e schiavista in tutte le nazioni, trasmessi geneticamente oltre che culturalmente.

La storia degli altri continenti presenta infatti notevoli analogie di fatto con quella esposta pur avendo alla base differenti filosofie o religioni trainanti. In alcuni casi queste filosofie frenarono lo sviluppo economico e culturale di quelle regioni, in altri casi fecero raggiungere elevati livelli di "civiltà ", ma in tutti i casi sono basati su differenze di valore nelle classi sociali, dove la società ha struttura piramidale la cui base è il popolo e il vertice il Re, e dove una classe sfrutta quella inferiore, spesso con un rapporto simile alla schiavitù.

Come abbiamo visto nell'antichità le guerre producevano grandi quantità di schiavi: l'abbondanza di una merce ne diminuisce il valore così la vita degli schiavi poteva essere sacrificata capricciosamente, come per esempio negli spettacoli di gladiatori.
Una nuova guerra avrebbe rifornito di nuovi schiavi la nazione vincente. Il cristianesimo, predicando l'uguaglianza tra gli uomini rese meno crudele la schiavitù durante l'immobilità del medioevo, ottenebrando la mente di servi e padroni: il padrone feudatario aveva ancora potere di vita o di morte sullo schiavo servo della gleba, tuttavia doveva giustificare la sua decisione secondo i canoni della morale religiosa corrente. In realtà il servo della gleba non era più un prigioniero di guerra bensì il contadino del feudatario, di padre in figlio, ed essendo i feudatari subordinati all'imperatore vi erano perciò poche possibilità di acquisire nuova manodopera con la guerra al vicino o col commercio: infatti, intorno all'anno 100/ il :0% della popolazione era impegnata nell'agricoltura e la produzione agricola era generalmente scarsa dato che ai contadini non soltanto mancavano i mezzi e le tecniche agricole progredite, ma non avevano neppure interesse a produrre di più del necessario per le famiglie e per il signorotto locale in quanto la produzione di manufatti era minima e il commercio e le strade inesistenti: uccidere i propri contadini significava perciò impoverirsi.
Gli schiavi negri usati dai coloni americani erano invece razziati dall'Africa ed acquistati agli appositi mercati come se fossero una qualsiasi macchina: un buon negro lavoratore era valutato fino a 2000 dollari dell'epoca. Uno schiavo negro era quindi un investimento economico, una macchina per l'azienda agricola latifondista, e il padrone non lo avrebbe mandato a morte capricciosamente, buttando via il proprio denaro, anzi, proprio come quando una macchina guasta viene portata dal meccanico, così un buono schiavo negro seriamente ammalato veniva portato dal dottore. La situazione giunse al paradossale: gli uomini liberi dei ceti meno abbienti, abbandonati a sè stessi, si trovavano spesso con problemi di sopravvivenza più grossi degli schiavi che, purchè lavoratori, venivano automaticamente e necessariamente vestiti, nutriti, curati dai propri padroni....

 

 

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Ultimo aggiornamento: 25-11-05