Mesopotamia ed Egitto
I primi e più influenti centri di civiltà si svilupparono nei territori bagnati
da grandi fiumi: in Cina il fiume Giallo, in India il Gange e l'Indo, nel Vicino
Oriente il Tigri, l'Eufrate e il Nilo. Le civiltà mesopotamica ed egizia furono
il risultato di un lungo e travagliato processo, che trasformò gli uomini da
cacciatori e raccoglitori in produttori di cibo, portando a una
sedentarizzazione delle popolazioni e all'affermazione di un'economia basata
sull'agricoltura. Nel III millennio a.C. i contadini di quella vasta zona che
unisce la Mesopotamia all'Egitto, passando per le regioni che si affacciano sul
Mediterraneo orientale (denominata comunemente "mezzaluna fertile"), avevano
superato fasi cruciali dello sviluppo culturale: avevano addomesticato il cane,
la pecora, il maiale, il bue; vivevano in villaggi abbastanza popolosi o in
città; sapevano non solo irrigare le terre, ma drenare e arginare i corsi
d'acqua; producevano una ceramica di pregio. La metallurgia aveva compiuto
notevoli progressi. Si filavano e tessevano il lino e la lana.
Nel Il millennio a.C. si registrava sia in Mesopotamia sia in Egitto uno
straordinario slancio delle attività economiche; si produceva molto e i traffici
fervevano anche con l'estero; si moltiplicavano gli strumenti giuridici e
amministrativi.
I centri urbani erano sedi del potere, delle manifatture, del commercio, della
vita culturale e controllavano ciascuno l'area agricola circostante.
L'agricoltura rendeva moltissimo grazie alle piene dei fiumi che depositavano
sul terreno un miscuglio fertilissimo, il limo. Ma le piene dovevano essere
regolate con imponenti opere di canalizzazione, e questo era il primo pensiero
degli amministratori pubblici, che si servivano di valenti ingegneri. La Mesopotamia fece scuola di idraulica a tutti gli altri paesi mediterranei. Il
modello statale era teocratico, cioè il re rappresentava la divinità.
Mesopotamia antica
La civiltà sumero - mesopotamica è la prima che abbia
codificato un sistema di scrittura, detta cuneiforme, riscoperta
nei primi decenni del XX secolo che sta rivoluzionando le conoscenze precedenti
su tali antiche civiltà. I sumeri avevano varie conoscenze
astronomiche, per esempio sapevano che Nettuno era di colore verde-blu, e la loro
matematica era basata su uno strano sistema di numerazione: il sistema sessantesimale e, nella forma più semplice, il sistema
dodicesimale. Ed
effettivamente conserviamo, dai sumeri, la divisione del
giorno in 24 ore, dell'ora in 60 minuti e dell'angolo giro in 360 gradi, e la
"dozzina", cioè la quantità 12.
Per noi uomini moderni risulta "naturale" una aritmetica decimale (su base 10),
cioè basata sulle dieci dita delle nostre mani, e risulta logicamente
consistente anche la matematica ventesimale maya (su base 20), supponendo che
usassero le dita delle mani e dei piedi per contare, mentre risulta totalmente
incomprensibile e misterioso il sistema di numerazione sumero basato sulla sessantina o sulla
dozzina (cioè su base 60 o 12), a meno che non avessero sei dita per ogni
mano...
I miti sumeri: Marduk, Assur, Tiamat e Gilgamesh
Le tavolette di Ninive riportano, nel poema Enuma Elish i
miti religiosi sumeri relativi alla creazione del mondo. Marduk era l'eroe del
poema (che risale ad un originale sumerico del II millennio a.C., ma ci è giunto
in una versione assira del VII secolo a.C.) dove è narrato come egli
sopraffacesse la dea Tiamat. Gli assiri accreditarono invece, all'interno della
stessa leggenda, il dio Assur per la morte di Tiamat, così è possibile pensare
che Assur e Marduk fossero in realtà la stessa divinità
All'inizio erano Apsu e Tiamat, dei degli oceani, dolce ed amaro. Tiamat è anche
ricordata come "il Mostro del Caos". Da essi nacquero Lahmu e Lahamu, fratello e
sorella, marito e moglie, e Anshar e Kishar, che sorpassarono i loro genitori in
forza, bellezza ed abilità. Anshar e Kishar, oltre a molti altri dei, generarono
Enlil, il dio del vento, e Anu, il dio del cielo, il quale generò
Enki o Ea, il
dio della sapienza e della magia, assai più grande del padre. Anu, benché fosse
in teoria il sommo, aveva un'influenza minima nelle cose umane ed era Enlil, il
suo braccio destro, che governava la Terra.
Ma i giovani dei erano chiassosi e disturbavano il sonno del vecchio Apsu, il
quale andò da sua moglie e le disse: Li distruggerò, così potrò dormire. Tiamat
ne fu sconvolta e gridò in preda all'ira: Non distruggiamo ciò che noi stessi
abbiamo creato! Ma Apsu volle fare a modo suo e partì per vendicarsi dei figli e
dei nipoti. Ea tuttavia, il più grande fra gli dei, lo avvolse nella sua magia e
lo uccise, trasformandolo in una montagna dove Ea risiedette maestoso con sua
moglie Damkina. Lì nacque Marduk/Assur, dio del sole e della vegetazione, il più
grande degli dei e protettore di Babilonia (e, come Assur, di Ninive).
Nel frattempo Tiamat aveva meditato sul destino dello sposo Apsu e il suo cuore
era colmo d'ira. Decise perciò di attaccare gli dei e distruggerli, e perfino Ea
fu preso dal terrore. Alla fine, soltanto Marduk osò affrontare Tiamat in
combattimento e, con l'aiuto di un forte vento che soffiava nella bocca della
dea così da impedirle di chiuderla, Marduk scoccò una freccia che le si infilò
in gola e la raggiunse al cuore. Quando Tiamat fu morta, Marduk tagliò in due il
suo corpo, creando con una metà il cielo e con l'altra la terra. E Marduk fu
esaltato come Re degli dei.
Marduk organizzò poi l'universo e creò l'uomo dalla creta e dal sangue della dea Tiamat.
Ogni anno, in primavera, il sacerdote e il popolo recitavano il mito della
creazione, assieme al mito che trattava della morte e della resurrezione di
Marduk.
Marduk riceveva l'attributo di dio della vegetazione, Tammuz, marito e figlio
della dea madre Isthar. Isthar compare anche nella mitologia ebraica e si fonde
con la dea Iside nel tardo mondo ellenistico. Più tardi, sotto la dominazione assira, Marduk fu eclissato da Assur (Ashshur) ma successivamente il potere si
spostò nuovamente su Babilonia e Marduk fu riabilitato.
Gli scritti assiri e babilonesi mostrano assai chiaramente che il popolo
considerava quei cambiamenti politici in Mesopotamia come il risultato dei
sommovimenti nel regno degli dei.
Benché le feste di primavera fossero connesse al mito egizio di Osiride,
l'atteggiamento religioso dei sumeri verso la morte era alquanto diverso. I
sumeri si identificavano col morente e risorgente Tammuz - Marduk al fine di
recuperare la salute piuttosto che per assicurarsi l'immortalità. Il poema epico
Gilgamesh dimostra infatti che essi alla fine si adattavano all'idea della morte
del corpo. L'eroe Gilgamesh, dopo aver visto il compagno morto Enkidu, immobile
e senza respiro, parte alla ricerca di Ut-Napishtim, il corrispondente
babilonese di Noè, al quale era stato svelato da Enlil il segreto
dell'immortalità, dono che gli dei mesopotamici tenevano con gran cura celato
agli uomini: Ut-Napishtim era perciò l'unico uomo che possedesse la vita eterna.
Egli parla a Gilgamesh di una pianta che dà l'eterna giovinezza, e Gilgamesh
infine trova la pianta ma solo per venirne derubato da un serpente; è costretto
a intraprendere la via del ritorno e ad affrontare l'ineluttabilità della morte.
La stessa concezione appare nel mito di Adapa, il quale rappresenta il genere
umano: Adapa offende Anu, il dio del cielo, e si reca da lui per spiegargli il
suo atto, dopo aver ricevuto da Ea, dio delle acque, l'avvertimento di non bere
né mangiare nulla. Anu rimane colpito da Adapa a tal punto che gli offre il cibo
e l'acqua della vita, ma Adapa li rifiuta senza rendersi conto di perdere così
l'immortalità.
Gilgamesh ottenne anche dagli dei degli inferi che lo spirito di Enkidu
ritornasse a parlargli della condizione dei defunti, dicendo: "Egli (il dio
degli inferi) mi conduce alla casa dell'oscurità..., da cui una volta entrati
non si esce più, per la strada dalla quale non c'è ritorno, alla casa i cui
abitanti sono privati della luce, ove la polvere è il nutrimento e la creta il
cibo. Sono vestiti d'ali come gli uccelli e non vedono la luce dimorando
nell'oscurità".
I documenti mesopotamici descrivono l'aldilà come un triste, oscuro paese
abitato da esseri "vestiti d'ali" che si cibano di terra e di creta.
Il palazzo
regio ed il tempio erano chiari simboli di un potere gestito non sempre in armonia
da re e sacerdoti. Dopo i sacerdoti, una classe di alti funzionari formava
l'élite dei privilegiati. Produttori e commercianti partecipavano della
ricchezza del paese da cui invece erano esclusi i contadini per lo più
affittuari oppressi dalla fatica e dalle tasse. Per non parlare degli schiavi,
considerati poco più che bestie.
Non molto diversa era la situazione in Egitto dove il faraone, figlio di Ra (il
dio Sole), era padrone dei sudditi e di quasi tutta la terra. Anche qui una
casta di privilegiati, sacerdoti e funzionari, deteneva la maggior parte della
ricchezza. Il paese dipendeva dalle piene del Nilo, e ai suoi amministratori si
ponevano impegnativi problemi gestionali e ingegneristici.
Assiri
Gli assiri erano un popolo di guerrieri, stabilitisi ad
Assur
intorno al 2000 a.C. Essi conducevano una vita dura poiché le loro terre non
erano fertili, e quando cercavano di conquistare più terra erano
sistematicamente respinti entro i loro confini dagli Ittiti, dai Babilonesi,
dagli Egiziani, dagli Aramei. Obbligata ad aggredire per sopravvivere, l'Assiria
ebbe infine una serie di governanti che adottarono una spietata politica di
espansione. Assurnazirpal II (883-859 a.C.) sconfisse gli Aramei ad ovest ed
arrivò fino al Mediterraneo. Egli e i suoi successori dell'VIII e VII secolo
a.C. trattavano crudelmente i loro nemici vinti impalandoli e bruciandoli vivi.
Con tali sistemi Tiglat Pileser III oppresse Babilonia e la Siria, Sargon II
fece prigioniere 10 delle 12 tribù di Israele, e Sennacherib distrusse le città
babilonesi ribelli e fondò la nuova capitale a Ninive, dove costruì un
acquedotto che faceva parte di un canale lungo 50 chilometri, che portava acqua
ai campi intorno a Ninive. Il re assiro Assurbanipal (669-631 a.C.) imparò il
sumero, fece redigere un dizionario sumerico e una biblioteca di 22.000
tavolette d'argilla che comprendevano opere sui rituali religiosi babilonesi,
sulla storia, sulla medicina, sull'astronomia e sulla matematica.
Gli assiri dovettero il loro successo alle imprese militari compiute da un
esercito organizzato: tutti gli uomini dovevano fare il servizio militare;
uomini a cavallo e arcieri su carri fungevano da truppe veloci e tutto
l'esercito combatteva secondo una tattica militare prestabilita che comprendeva
azioni di ricognizione, manovre di accerchiamento e battaglie di assedio. Gli
ingegneri assiri fecero dell'assedio un'arte: costruirono enormi piattaforme
armate e le portavano fin sotto le mura delle città assediate in modo che gli
arcieri potessero tirar frecce sul nemico all'interno, e arieti a testa di ferro
che demolivano quasi tutto, eccetto le mura più robuste.
Eridu, Lagash, Uruk e la mitica Ur sono solo alcuni dei centri abitati che
sorsero in questa regione, cui in seguito si aggiunsero Ninive e Assur, entrambe
sul Tigri, quando sorse la stella degli Assiri sotto l'egida del dio Assur (Asushur).
Gli Assiri ebbero il massimo splendore intorno al 700 a.C. e dominarono tutta la
mesopotamia fino al sorgere dei Medi, circa un secolo dopo, e Ninive fu
distrutta. Nel corso del tempo, anche Babilonia era stata più volte distrutta e
ricostruita, fino al declino di tutta quella civiltà.
Nella prima metà del XX secolo, furono ritrovate le rovine della città di Ninive,
capitale degli Assiri, e nella sua biblioteca furono ritrovate le 22.000
tavolette di argilla di Assurbanipal, piene di caratteri cuneiformi che hanno
permesso agli studiosi di conoscere la storia di Ninive, dell'Assiria e di Sumer.
L'era di Sennacherib (700 a.C.)
La società assira al tempo di Sennacherib, figlio di
Sargon, Re dei Re, Signore
dei Quattro Angoli della Terra, ruotava attorno alla figura del re che era una
figura religiosa, il "servo di Assur", e la cui volontà era la volontà del dio.
Sennacherib spinse le sue conquiste fino in Palestina, e la stessa Bibbia ne
riporta memoria nel secondo libro dei Re:
[e nel quattordicesimo anno del Re Ezechia, Sennacherib re d'Assiria salì contro
tutte le città fortificate di Giuda e le prendeva. Ezechia re di Giudea mandò
dunque al re d'Assiria a Lachis dicendo: "Ho peccato. Ritirati di contro a me.
Qualunque cosa tu m'imponga l'adempirò. Pertanto il re d'Assiria impose a
Ezechia re di Giuda trecento talenti d'argento e trenta talenti d'oro. Perciò
Ezechia diede tutto l'argento che si trovava nella casa di Geova e nei tesori
della casa del re. In quel tempo Ezechia stroncò le porte del tempio di Geova e
gli stipiti che Ezechia re di Giuda aveva rivestiti (d'oro) e li diede quindi al
re d'Assiria].
Il futuro re assiro veniva scelto, da un pool di figli prediletti tra i numerosi
figli del re loro padre Sennacherib, dai sacerdoti di Assur osservando le
viscere del ginu, una capra sacrificale. Per primi venivano proposti al dio i
figli delle mogli legittime del re, e se il dio non dava il suo consenso per
loro, venivano quindi proposti i figli che il re aveva avuto dalle numerose
concubine nella casa delle donne, l'harem personale del re posto dietro il
palazzo reale di Ninive. Le donne, nella società maschilista e guerriera degli
assiri, non avevano alcun peso politico e le mogli o gli schiavi avevano,
apparentemente, solo un prezzo di mercato; le donne a volte erano prigioniere di
guerra o costituivano il tributo che i re delle città minori pagavano ai grandi
re, di Ninive o di Babilonia, cui erano soggetti.
Comunque fosse, le donne
ricevevano una educazione di sottomissione all'uomo, essendo vendibili dai loro
padri, mariti e padroni, e non esisteva la "famiglia" come la intendiamo oggi.
Quasi ogni anno, infatti, contingenti di assiri partivano per qualche campagna
di guerra, e se rimanevano uccisi, le loro mogli o concubine o schiave potevano
solo cercare un altro marito-padrone, oppure diventare "prostitute da taverna"
e, al ritorno dell'esercito dalla campagna, spogliare i soldati del loro bottino
di guerra, e continuare a vivere. Esisteva anche la prostituzione sacra, al
tempio di Isthar, una tradizione molto onorevole a cui tutte le donne si
sottoponevano: ogni giovinetta, prima di essere presa in moglie, si recava al
tempio di Isthar, ed aspettava che uno sconosciuto le offrisse una moneta
d'argento e prendesse la sua verginità: ciò era ritenuto di buon augurio e la
dea Isthar le avrebbe donato la fertilità. Questa moneta veniva poi cucita
nell'abito da sposa, e mai spesa.
Le concubine del re erano invece prigioniere
nella casa delle donne, luogo dove solo il re e qualche eunuco aveva accesso, ed
allevavano i principini (fratelli da parte del padre, ma di madri diverse) nella
casa delle donne, in comune fino all'età di nove anni.
I re di Assiria, per diminuire la competizione che i figli prediletti avrebbero
ricevuto dai loro nobili fratelli facevano castrare i principini più "deboli",
che sarebbero divenuti scribi nella casa delle tavolette, mentre i più forti
venivano avviati alla casa della guerra dove imparavano l'arte e la strategia
militare, e fiancheggiavano il regale fratello nella gestione del regno,
assumendo per esempio la reggenza delle città minori..
A differenza di altri popoli contadini senza re e senza esercito che impugnavano
le armi solo in caso di necessità (e quindi sottoposti al "rischio" di essere
sobillati da qualche "facinoroso" che, approfittando di fattori contingenti,
assurgeva al ruolo di condottiero, non avendone il carattere, né la cultura, né
le capacità amministrative, e, alla lunga, portando la città alla rovina), i
soldati assiri erano una vera e propria casta sociale, e l'esercito assiro
raggiunse un elevato livello tecnico-strategico. Il dominio assoluto del re
riunì i popoli mesopotamici sotto un'unica bandiera e la pace forzata,
all'interno del regno, consentì lo sviluppo delle città e della loro civiltà.
Non vi era allora il concetto di "Patria" o "Nazione", e gli uomini di una determinata
confederazione erano uniti sotto la stessa divinità. Così gli assiri erano "il
popolo di Assur", come i babilonesi erano "il popolo di Marduk". Essendo il re
scelto dal dio mediante il rito del ginu, non vi erano fazioni divisorie nel
popolo, e i sumeri per primi, e poi gli assiri, con questa struttura sociale
dominarono il mondo antico finché anche i Medi non si organizzarono sotto
l'egida di un dio protettore, (Zarathustra) che dava potere al loro re e forza
ed unione al popolo.
Quindi più che mai gli dei dell'antichità erano fattore di unione del popolo e
di sviluppo della civiltà.
Antico Egitto
4000 anni prima di Cristo un popolo cominciò a coltivare la
valle del Nilo, le cui acque fecondavano la terra e il cui corso forniva una via
di navigazione per il commercio. Protetti dal mare, dalle montagne e dal
deserto, questi contadini prosperarono e fondarono parecchi piccoli staterelli
lungo 880 chilometri del corso del fiume finché, nel 3200 a.C. Mene (l'eletto)
li riunì in una unica nazione, retta da un solo faraone, e questa struttura
sociale e religiosa fu la loro caratteristica per i successivi 3000 anni.. Le
loro credenze religiose conferivano al faraone la condizione unica di figlio o
incarnazione degli dei. Fra le divinità egizie emerse la divinità solare, dietro
il cui culto stava quello di un dio del cielo che dispensava la vita e il fuoco
e generava la pioggia e le tempeste. Questa credenza è simile al mito del
dio-falco Orus, che successivamente assunse le caratteristiche di una deità
solare e più tardi fu descritto come il figlio di Ra, altra versione del dio
solare, che a sua volta si identificò con Atum, creatore e padre degli dei.
Breve storia dell'Egitto
Secondo l'archeologia ufficiale, durante la III dinastia, Soser (2700-2678 a.C.)
ordinò la costruzione della prima piramide. Durante la V e la VI dinastia i
faraoni si avventurarono all'interno dell'Africa alla ricerca di incenso, ebano,
avorio, oro e pelli di pantera. A nord commerciarono coi Siriani in legno di
cedro. Ma nonostante questi intensi commerci l'Egitto si indebolì poiché il
crescente potere dei nobili (e, secondo gli archeologi, l'immane sforzo
economico profuso nella costruzione delle piramidi), indebolirono l'autorità del
faraone finché nel 2300 a.C., popoli invasori asiatici occuparono la zona del
delta del Nilo mettendo fine all'antico regno.
Il regno medio ebbe inizio nel 2050 a.C. quando i re dell'XI dinastia, Amenemhet
e i Sesostri riunificarono l'Egitto spingendo la loro influenza fino alla Siria
e all'interno dell'Africa. Qui costruirono grandi fortezze, alla seconda
cateratta del Nilo per controllare le vie del commercio con la Nubia, e a est
del delta per tenere lontani gli invasori. Ma il medio regno cadde sotto gli
invasori Hiksos (principi del deserto) che guidavano carri da guerra trainati da
cavalli, i primi veicoli a ruota che gli egiziani avessero mai visto. Nonostante
gli Hiksos avessero in seguito adottati i costumi degli egiziani, questi non li
accettarono mai e nel 1570 a.C. i re di Tebe li cacciarono dalla valle del Nilo.
L'egitto entra così ella fase del nuovo regno. I re della XVIII dinastia
conquistarono la palestina e la Siria, avendo Tutmose III condotto 17 campagne
in Asia con un esercito di 20.000 uomini. Seguirono commercio e prosperità, ma
le guerre scoppiate durante la XIX dinastia segnarono l'inizio di lunghe lotte
tra l'Egitto e gli Ittiti dell'Asia Minore, lotte dall'esito incerto. Più tardi
Ramsete III (1189-1157 a.C.) si trovò ad affrontare un popolo sconosciuto che
aveva distrutto anche il regno degli Ittiti. Ramsete riuscì a riportare la
vittoria, ma verso la fine del XII secolo a.C., l'Egitto perse il controllo sui
possedimenti asiatici: l'impero egiziano volgeva al suo termine, e nonostante
una breve ripresa sotto la XXVI dinastia (663-525 a.C.), nel 525 a.C. l'Egitto
fu conquistato dal persiano Cambise.
Gli egiziani mantennero la loro civiltà per 3000 anni. A questa stabilità
contribuirono la struttura sociale e le credenze religiose. L'egitto contava
diversi milioni di abitanti, in maggioranza contadini che venivano assegnati dal
faraone ai nobili proprietari e ai templi; vivevano in casupole di fango mentre
i ricchi nobili possedevano grandi case con bagni, cortili e vestiboli. I
contadini coltivavano frumento, orzo, lino, allevavano bestiame, pecore e
maiali; gli artigiani fabbricavano martelli, seghe, trivelle di bronzo e rame; i
gioiellieri creavano ornamenti d'oro, di turchese e di corniola.
Il popolo egizio onorava il faraone come un dio. La religione contava più di
2000 dei che governavano i vari eventi della vita come la nascita, la morte, la
lingua, i numeri e così via. Osiride, dio della morte e Ra, dio del sole erano
gli dei principali, onorati in tutto il territorio. Tutto l'egitto apparteneva
al faraone ma molte famiglie ereditavano, di generazione in generazione, i
possedimenti mediante il "documento della casa", trasmessi per linea materna,
poiché le donne ricoprivano una certa importanza nella società egizia ed alcune
divennero anche faraone (Nefertari, Nefertiti o Nafteta). Questa è una
importantissima differenza rispetto a tutte le altre civiltà che sorsero
nell'antichità, tutte basate su un sistema maschilista e patriarcale. Non era
stato inventato il denaro come forma di moneta, i tributi venivano pagati in
grano e con questo i faraoni pagavano i servi e alimentavano l'Egitto durante le
carestie. I faraoni, sebbene potentissimi, avevano bisogno di sacerdoti e scribi
per mantenere il regno a tale livello di civiltà poiché essi soltanto
conoscevano l'astronomia, la matematica e una forma di scrittura per
registrarle. I geroglifici non erano così efficienti come i caratteri sumeri, e
la loro notazione matematica era molto poco pratica. Gli egiziani avevano ideato
un sistema di cifre che permetteva loro di contare fino ad un milione, ma era un
sistema mal costruito che richiedeva 27 cifre per scrivere il numero 999!
Sebbene l'Egitto fosse meno evoluto della mesopotamia, la sua civiltà prosperò
con successo anche attraverso i secoli in cui la mesopotamia era stata colpita
dalle guerre e da semi-barbarie.
Nel XIV secolo a.C. Ekhnaton tentò di sostituire alla religione ortodossa un
unico dio, Aton, simboleggiato da un disco solare, ma la nuova religione
sovvertiva l'ordine sociale, che voleva che l'ordine cosmico dipendesse dal
faraone e dal culto sacerdotale di Ammone-Ra (il "re degli dei") che circondava
il faraone. Alla sua morte il nuovo faraone, Tutankhamon ripristinò il culto
ortodosso di Ra. Poiché il faraone era l'intermediario fra gli dei e gli uomini
in una società dove la sopravvivenza dipendeva dall'organizzazione
dell'agricoltura, il culto del sole era la chiave non solo dell'ordine sociale
ma anche della fertilità, e gli egizi collegarono l'immortalità del faraone col
culto di Osiride, a simboleggiare la morte e la resurrezione che si verifica
durante il ciclo annuale della vita vegetale, e si attribuì ad Osiride il
governo dei defunti in un altro regno. A questo riguardo la religione egizia era
assai complessa: c'era il Ka o spirito custode, che era l'essenza
dell'individualità, e c'era il Ba o soffio, che dava vita al corpo. Nel rito
noto come "Apertura della bocca" (che impiegava una "ascia sacra" di origine
meteoritica), che simboleggiava l'immortalità, del faraone, l'anima veniva
risoffiata nella mummia a commemorazione del dio Osiride, che ucciso e smembrato
dal dio Seth, fu riportato in vita a quel modo dal proprio figlio Orus (Oro).
Il tempo di Orione
Nell'820 d.C. il califfo Abdullah Al Mamun tentò di violare la Grande Piramide
di Cheope. Alcune carte in suo possesso gli indicavano, all'interno della
piramide, l'esistenza di una stanza colma di grandi ricchezze. Il califfo fece
aprire un varco nei grandi massi fino a scoprire, tra mille difficoltà, quello
che oggi è chiamato il "corridoio ascendente" che porta in quella che, nelle
speranze di Al Mamun, doveva essere la stanza del tesoro. In realtà, l'aspetto
del locale era più simile a quello di una stanza funeraria, tanto che vi era
pure un sarcofago. Di tesori neanche l'ombra, e anche il sarcofago che avrebbe
dovuto contenere la mummia del faraone era vuoto.
Ma perché il sarcofago era vuoto se la piramide, sino ad allora inviolata, era
destinata a contenere il corpo del faraone? Forse lo scopo della Grande Piramide
non era quello considerato dall'archeologia ufficiale?
La piramide di Cheope misura 230 metri di lunghezza per ciascun lato, e 147
metri in altezza, occupa una superficie di 5,3 ettari e contiene 2.300.000 massi
perfettamente squadrati alcuni dei quali pesano oltre le 15 tonnellate. Gli
studiosi hanno versato fiumi di inchiostro cercando di immaginare come popoli
appena usciti dal neolitico, quali gli antichi egizi, avessero potuto costruire
le grandiose piramidi che li contraddistinguono. Con quali tecniche
ingegneristiche avrebbero potuto tagliare, squadrare, trasportare e collocare
con estrema precisione enormi macigni del peso di decine di tonnellate? Se nella
Grande Piramide di Giza sono stati calcolati 2.300.000 blocchi di pietra, allora
Cheope avrebbe dovuto organizzare un'impresa edile grandiosa, capace di posare
un blocco di pietra ogni quattro minuti, ventiquattr'ore al giorno, per trenta
anni di seguito (tale era la vita media allora) affinché alla sua morte potesse
accogliere il suo corpo semi-divino usando esclusivamente corde, carrucole,
tronchi, piani inclinati e attrezzature in pietra. Tutte queste spiegazioni, che
hanno dominato la cultura della seconda metà del ventesimo secolo cominciano,
negli anni novanta, a sgretolarsi dinanzi a più ardite teorie, suffragate da
prove non ignorabili, che spostano la datazione delle piramidi egizie nella
piana di Giza da quattromila anni fa ad almeno diecimila anni fa mentre la
Sfinge sembra essere antica 10500 anni fa.
L'Autore rimanda il lettore ai numerosi testi di archeologia "ufficiale" per
fantasticare sulle teorie di costruzione delle piramidi. Qui si fa notare
soltanto che il corpo di Cheope non fu mai trovato. Anche le piramidi di Chefren
e Micerino non contenevano il corpo dei faraoni.
Gli egittologi, speculando sulla Grande Piramide, hanno trovato molte
particolarità di carattere matematico-geometrico, ed hanno accreditato agli
antichi egizi del 2500 a.C. grandi conoscenze matematico-astronomiche, come
l'esatta misura della Terra, il suo peso e la sua densità, la distanza
Terra-Sole, la durata dell'anno solare, la conoscenza del pigreco. Ma in realtà,
come abbiamo detto, la matematica egiziana non avrebbe potuto arrivare a tanto,
e le loro conoscenze di geometria erano di carattere "pratico", sufficienti solo
per ristabilire i confini delle coltivazioni dopo le piene del Nilo, e la loro
"astronomia" era, più che altro, simile alla "astrologia".
Che gli egiziani non fossero poi in definitiva così evoluti come le piramidi,
erroneamente ad essi attribuite potrebbero far credere, lo si può dedurre dalle
mummie faraoniche e dai pur pregevoli corredi funerari: gli egizi avevano
scoperto una parte del potere della piramide, cioè quello di preservare a lungo
i corpi morti (e, sembra, anche quello di affilare o spuntare le lamette da
barba, in base posizione della luna), e inoltre usavano delle sostanze che
conservavano (malamente) i corpi morti dei sovrani o di alti dignitari, quasi a
voler sottolineare il potere della piramide, ma niente di più: Le loro
concezioni di scienza e medicina si collocano secondo gli standard dell'epoca
neolitica o del bronzo: non avevano, per esempio, coscienza della funzione del
cervello, e le eventuali altre loro "invenzioni", quali delle presunte batterie
rame-ferro (le pile di Baghdad), che se mai furono da loro inventati, sono da
inquadrare come fenomeni casuali e inconsapevoli il cui uso sembra fosse
comunque limitato alla galvanostegia (la doratura di metalli), o riferiti a
queste misteriose civiltà o divinità, come gli altrettanto misteriosi strati di
mica di cui è infarcita la roccia di alcune costruzioni nella città maya di
Teotihuacàn.
Permangono così molti interrogativi cui la scienza ufficiale non sa rispondere:
le particolarità di carattere matematico-astronomico nell'architettura delle
piramidi sono da attribuire agli egizi storici del II millennio a.C., nonostante
la loro matematica alquanto limitata? E il culto della divinità solare, tipica
di popoli tecnicamente evoluti, pur nelle sue innumerevoli varianti, è propria
di un popolo dedito alla magia e alle superstizioni quale quello egizio? Se
consideriamo la nuova datazione delle piramidi (quelle più antiche nella piana
di Giza) e della sfinge, non arriviamo a chiamare in causa la mitica civiltà di
Atlantide, scomparsa, secondo la leggenda, più di 10.000 anni fa? Per cui la
storia dell'antico Egitto è ancora tutta da scoprire...
Il primo mistero è il fatto che l'interno di queste grandi piramidi non contiene
geroglifici o disegni, a differenza di quelle di Nefertari o di Tutankhamon.
Viene insomma il dubbio che in realtà le piramidi della piana di Giza non
avessero, in origine, la funzione di tombe reali.
Hancock e Bauval hanno trovato che la disposizione delle piramidi corrisponde a
quella di alcune stelle della costellazione di Orione, sacra per gli egizi, che
la identificavano con la dimora di Osiride.
Forse allora le piramidi non erano tombe, ma edifici di culto. Da queste
constatazioni, negli anni sessanta, furono scritte alcune entusiasmanti pagine
dell'egittologia come lo studio dell'allineamento del condotto di areazione
della "Camera del Re" con Zeta Orionis mentre il condotto meridionale puntava su
Sirio, la stella di Iside, nella posizione in cui queste stelle dovevano
trovarsi nel 10.450 a.C.
La piana di Giza rappresenta quindi una specie di orologio stellare che segna
l'epoca di Osiride, l'epoca del "primo tempo"? Un'epoca che, ufficialmente
appartiene al mito, "l'età dell'oro" della mitologia greca. Un altro famoso
monumento della piana di Giza, la Sfinge, da recenti studi di paleoclimatologia,
sembra confermare questa data. Ma chi, nel 10.500 a.C. costruì questi imponenti
monumenti-messaggio?
Le pietre di Baalbek:
Tutte le opere titaniche presenti sul nostro pianeta si possono così definire
"incognite archeologiche". Sono irrisolte tutte le problematiche connesse al
trasporto e alla collocazione dei materiali relativi alla costruzione di questi
monumenti.
Ma i colossali monoliti del Perù o le pietre squadrate delle piramidi egizie,
per nominarne alcuni, sono di modeste proporzioni in confronto alle pietre di
Baalbek, una antica città libanese (vedi foto).
Le pietre che formano la piattaforma della città libanese sono infatti opera di
un misterioso popolo che mise in posa massi pesanti in media 750 tonnellate. La
piattaforma ha una estensione di circa un milione e mezzo di metri quadrati, e
alcuni dei blocchi che formano il basamento, chiamato "Trilithon" misurano 25
metri di lunghezza, 4,60 metri di larghezza e 5 metri di altezza. La cava
principale da cui sono stati estratti i blocchi è situata a circa un chilometro
di distanza della città. Ancor oggi vi si può ammirare il macigno di granito
tagliato più grande del mondo, chiamato "Hadjar El Houbla", (la Pietra del Sud),
pesante ben oltre 2000 tonnellate. Oggi non esiste ancora alcuna macchina capace
di spostare simili pesi. Chi o che cosa avrebbe potuto fare tanto in un remoto
passato?.
Una leggenda araba narra che Nimrod, re del Libano, inviò una tribù di giganti a
costruire la città. Un'altra leggenda adduce a Caino la costruzione di Baalbek
per scampare all'ira di Jahveh e creare un popolo di giganti all'interno delle
mura della città.
La storia di Ugarit, distrutta da un misterioso fuoco nel XIV secolo a.C. ci
aiuta a focalizzare il quadro di una situazione fuori dal comune. Abiminiki, re
di Tiro, scrisse al faraone Amenofi IV: "La reale città di Ugarit è stata
distrutta dal fuoco, la metà del centro cittadino è bruciata e l'altra non
esiste più". Terra vetrificata, muri sfondati e massi di parecchie tonnellate
scagliati a notevole distanza non sono certo imputabili a catastrofi naturali!
In Libano si trovano, in effetti, frammenti di roccia vetrificati, le cosiddette
"tettidi", in cui l'americano Stair scoprì isotopi radioattivi dell'alluminio.
Ma quale guerra e quali armi avrebbero potuto provocare ciò, oltre 3000 anni fa?
Un dio che presso i cananei ebbe un ruolo preminente fu Baal, lo stesso a cui fu
intitolata l'enigmatica Baalbek e contro cui i profeti della Bibbia combatterono
aspramente, preoccupati per il dilagare del suo culto, tanto da arrivare a
demonizzarlo. Il nome Belzebù deriva appunto da Baal (Baal-Zebub), che nei testi
epici di Ugarit viene indicato come "il Signore del cielo". Egli è il
corrispettivo del sumero Enlil, il "Dio dell'aria" del popolo degli Anunnachi,
che sappiamo essere la popolazione proveniente da Nibiru, il dodicesimo pianeta
del sistema solare, responsabile di tutta la cultura sumera.
Restano, dopo migliaia di anni, le mute piattaforme ciclopiche di Baalbek; ma
forse non sono proprio mute perché, a ben guardarle, la loro superficie è
inequivocabilmente calcinata, come lo sono le odierne piattaforme di lancio dei
nostri razzi vettori. Infatti, sempre in Libano si trovano ancora monoliti che
oggi possono essere ritenute rappresentazioni di navi spaziali Una stele molto
suggestiva rappresenta il dio El, la sua consorte Asherat e un "palo sacro"
puntato verso il cielo, come un razzo vettore odierno. Nella nuova concezione
che questo studio vuole rafforzare, basato sulle ricerche di innumerevoli
studiosi e scienziati, dove il contributo principale apportato dall'Autore
riguarda soprattutto la nuova interpretazione della Bibbia, i "pali sacri"
libanesi non rappresentano "simboli della fertilità", cioè enormi peni maschili
eretti slanciati verso il cielo, bensì il ricordo di missili vettori
dell'antichità. Non abbiamo alcuna illustrazione di ciò che poteva essere
Baalbek all'epoca di Gilgamesh, ma "sappiamo" ciò che poteva esserci in seguito,
all'epoca dei Fenici. Lo sappiamo perché questa piattaforma, circondata da un
recinto, sostiene un razzo spaziale poggiato su un piedistallo a croce come è
raffigurato su una moneta di Byblos. Nell'epopea di Gilgamesh viene però
descritto un posto chiamato "Luogo di atterraggio nel Libano", dal quale l'eroe
mesopotamico vede sollevarsi un velivolo simile ad un razzo. Affermare che
Baalbek, in Libano, sia stata anticamente un centro spaziale, potrebbe sembrare
azzardato, ma alcuni ritrovamenti nella vicina Turchia forniscono conferme che
avvalorano questa ipotesi, come una scultura ritrovata a Toprakkale, l'antica
Tuspa, che assomiglia ai moderni razzi vettori (tipo shuttle), con il pilota
all'interno vestito da una tuta spaziale simile a quella dei primi astronauti
sovietici e dove sono riconoscibili alcuni tubi di respirazione al disotto del
mento. Il museo di Istanbul conserva gelosamente questa statuetta, che non è
esposta al pubblico. Dicono che la sua origine non è confermata, ma allora
perché è così gelosamente custodita?
E' bello bagnarsi nel laghetto con Te
scendere in acqua con Te
e a Te mostrarmi nella mia bellezza
avvolta in finissimi lini regali
con un pesce rosso tra le dita.
Vieni a vedermi…
(Poesia dedicata dalla principessa Nafteta o Nefertiti al faraone
Amenophi III)
Grecia antica
Nella prima metà del I millennio a.C. nella Grecia arcaica si posero le
fondamenta della civiltà europea. Dopo l'invasione dorica degli anni
intorno al 1200 a.C., il tessuto ellenico si ricostituì laboriosamente grazie
alla comunanza sostanziale della lingua, della religione, dei costume, e lo
sbocco di questo processo fu la polis, la città stato, elemento unificatore dei
mondo ellenico. La polis era un'entità autonoma e indipendente, ma non
impermeabile; anzi la sua apertura era notevole, sotto il profilo culturale. E
l'apertura valeva come disponibilità a dare e a ricevere, a profittare degli
apporti in ogni campo, dalla filosofia al costume, dalle formule di governo
all'arte, dalla tecnologia ai mille aspetti dell'esistenza quotidiana.
L'ambiente geografico ne condizionava fortemente le caratteristiche, ma anche a
questo proposito non è difficile individuare un modello prevalente.
L'insediamento di solito avveniva su un rilievo, il cui punto più alto
l'acropoli in qualche modo manteneva la funzione difensiva propria della rocca
micenea. E questo d'altronde uno schema che ritroviamo in tutto il mondo antico:
la città, tranne eccezioni connesse con forti motivazioni economiche, tendeva a
ubicarsi non a ridosso dei mare, in aree magari fertili e di facile
accessibilità però esposte alle aggressioni e spesso insalubri per la presenza
di paludi malariche bensì in posizioni elevate, su monti e colli, che a
popolazioni di entità numerica ancora modesta offrivano maggiore varietà di
risorse minerali, forestali, foraggiere agricole, idriche Certo, la vicinanza
dei mare era importante, addirittura cruciale per un paese come la Grecia di
ardua viabilità interna, ma ci si adattava a che il porto fosse a distanza anche
considerevole dal centro urbano.
Nelle immediate adiacenze dell'acropoli erano collocati i luoghi di culto
maggiori e l'agorà sede di affari, di mercato, luogo di scambio e di assemblea,
il cuore della città. Tutt'intorno le abitazioni
private, gli orti e i giardini e nelle immediate vicinanze le terre coltivate e
i pascoli, possesso della comunità, dei santuari, dei privati.
Nel periodo di formazione, le città greche non persero mai i contatti con la
campagna circostante o con i villaggi: il flusso della gente dalla città alla
campagna e viceversa seguiva puntualmente il ritmo delle stagioni.
Fu dunque
l'organizzazione dei villaggio a determinare l'evoluzione della città; le tradizioni rurali, senza troppe barriere tra
le classi e le professioni, comprendevano l'usanza di mettere in comune le
decisioni più importanti. Si potrebbe dire che la principale ragione alla base
della fusione dei villaggi in città fosse di coinvolgere nelle scelte e nelle
decisioni riguardanti la comunità una cerchia più vasta di persone.
In sostanza, il termine polis, più che indicare che lo stato era costituito da
una città, sottolinea il fatto che in un centro urbano unico, o di gran lunga
più importante di altri, si concentravano potere, culto religioso, cultura,
attività amministrativa.
La polis era un mondo aperto, si è detto, in cui le idee circolavano, i contatti
erano stretti e continui, la partecipazione dei cittadini alla vita collettiva
(più o meno, ovviamente, secondo le epoche e le forme dei sistema politico) era
effettiva. Siamo in un ambito tutto diverso da quello della Mesopotamia e
dell'Egitto: lì i luoghi dove si elaboravano i valori culturali e il sapere
all'insegna dei quali la società viveva ed escludevano chiunque non appartenesse
alla ristretta élite dei privilegiati, membri dei l'aristocrazia, alti
funzionari, sacerdoti. Il sapere quindi non circolava, rimaneva chiuso nel
palazzo e nel tempio e non poteva diventare patrimonio comune.
Il sapere della polis nasceva invece proprio all'interno dei clima di libera
circolazione e di confronto tra città e tra individui. Esso tendeva a misurarsi
coi reale, in quanto legato a esigenze particolari. Poiché la produzione
artistica aveva un grande spazio nell'ideologia della polis, la sua struttura
diventa un ottimo scenario entro il quale collocare i fenomeni artistici e
attraverso il quale cercare di comprenderne il senso e le caratteristiche. In
altre parole, le caratteristiche della polis impregnate, oltre che di realismo,
di individualismo, di tensione indipendentistica, di apertura e disponibilità
quasi voraci, di estrema elasticità mentale, di perentoria volontà
partecipativa, di amore per il dibattito e il confronto quanto si riflettevano e
in che modo sull'arte? La risposta al quesito passa attraverso il riconoscimento
dell'antropornorfismo, proprio della cultura e della mentalità elleniche Così il
filosofo Protagora nel V secolo a.C., all'apogeo dell'età classica, riassumeva
questo valore nella sentenza: ,<L'uomo è la misura di tutte le cose>. E l'uomo
era al centro dell'attenzione anche dell'artista greco.
Come l'arte, anche la democrazia ateniese perché di Atene si deve più
propriamente parlare, per il Vi e il V secolo a.C. non si era conformata a
modelli precostituiti: essa nacque dal quotidiano "essere cittadini che è poi il
significato etimologico dei far politica, cioè far parte della polis Via via che
quei comportamenti si sperimentavano e apparivano buoni, essi si consolidavano
come paradigmatici, cioè degni di essere ripetuti e imitati: diventavano così
dei modelli.
In questi termini è corretto parlare di analogia tra processi artistici e
politici in Grecia. In fondo, non c'è molta differenza tra l'artigiano, che
traeva dall'osservazione del reale quelli che gli sembravano gli aspetti
migliori, e poi li assemblava in un insieme capace di proporsi come modello cui
tendere, e il cittadino che, dalla verifica quotidiana dei comportamenti e dei
problemi, cercava di enucleare le soluzioni più opportune, e di fissare quelle
migliori in uno schema, in un criterio organizzativo che facesse da punto di
riferimento. Per questa via, la bellezza è altrettanto praticabile della
politica e della virtù, da parte di tutti e di ciascuno. Risulta così chiara
l'omogeneità intrinseca del "caso ateniese", derivante da questa stretta fusione
tra politica, arte, filosofia. Il ruolo dell'arte, in questo contesto, sembra
essere quello di esemplificare, rendere visibile questo equilibrio armonico,
questa visione dell'uomo e dei mondo secondo coordinate di razionalità e
verificabilità. L'arte fornisce anche, come si è detto, un modello propositivo e
assolve perciò a una funzione pedagogica. Siamo dunque di fronte a un insieme in
cui tutto si collega: arte, cultura, politica, ideologia. Atene è la città in
cui questo processo tocca la sua espressione più organica e completa, oltre che
i suoi risultati più alti. Perciò è la città egemone della Grecia nel V secolo
a.C.
Nonostante le distruzioni dovute all'invasione persiana dei 480 a.C., Atene
trovò la forza per reagire.
Perché restasse perenne memoria dell'invasione, era stato fatto divieto di
ricostruire i luoghi sacri distrutti dai persiani. Dopo la pace di Kallias dei
449 a.C. (che poneva fine alle guerre persiane sancendo la supremazia ateniese
sul mare e in Asia), tale divieto fu revocato e si assisté a un vasto e
ambizioso boom edilizio.
Per realizzare un programma così imponente, era indispensabile l'equilibrio
politico che Pericle, il capo dei Il partito" democratico che egemonizzò la vita
pubblica ateniese dal 460 al 430 a.C., ottenne con un prodigioso senso della
misura: l'assenza di tensioni sociali interne, la prosperità economica e l'unità
di direttive garantite da Pericle fecero di questo periodo un modello
difficilmente uguagliabile. Questa concentrazione di eventi artistici
nell'ambito della polis ha dei prodigioso, e ne ha ancor più se pensiamo che
alla concentrazione
spaziale si accompagnò un'estrema concentrazione temporale, giacché ci muoviamo
pur sempre nel breve arco di pochi decenni.
Lo scoppio della guerra nel Peloponneso, conseguenza inevitabile dei contrasto
tra Atene e Sparta per la supremazia sulla Grecia, le epidemie che decimarono
Atene, la fallimentare spedizione in Sicilia obbligarono la cultura ateniese ad
affievolire, nell'arco di una generazione, quella coralità di iniziative che era
stata dell'età di Pericle Manifestazioni artistiche più isolate, anche se spesso
di altissimo pregio, non raggiunsero l'organicità di quelle realizzate nel
periodo precedente.
Ellenismo è una definizione moderna, nel mondo antico non esisteva; fu
introdotta nella prima metà dell'Ottocento, per indicare un tempo e uno spazio
precisi: il tempo, tra la fine dei IV secolo e quella dei I secolo a.C.; lo
spazio, tutta la vasta area degli antichi imperi della "mezzaluna fertile" e il
mondo greco continentale e insulare. Si tratta tuttavia più di un concetto
culturale che di un termine propriamente storiografico o geografico. Ma se
moderna è la definizione, non lo è il vocabolo: esso nacque con l'epoca, e
serviva a indicare un atteggiamento "grecizzante", cioè parlare, vestirsi,
atteggiarsi al modo dei greci. Con tale epiteto venivano indicati, per esempio,
gli ebrei che parlavano greco e che, più in generale, avevano assorbito lo
spirito della cultura greca. La diffusione di un tale modello era stata resa
possibile dall'affermarsi dell'impero di Alessandro, ma il peso, la diffusione e
lo spessore di questo fenomeno andarono al di là della sua durata politica, e
continuarono a cementare un'unità di cultura e di costume anche dopo il crollo
della grande costruzione dei giovane condottiero.
Dunque, dalla fine dei IV secolo a.C. assistiamo a una massiccia ellenizzazione
di tutto il Mediterraneo orientale, nonché dei territori dell'interno fino alla
Mesopotamia. L'età ellenistica si presenta con i caratteri dell'omogeneità e
della disomogeneità al tempo stesso. I primi risiedono nella coerenza culturale
che legò le varie monarchie nelle quali si scisse l'impero di Alessandro; i
secondi invece consistono nell'affermarsi di specificità regionali e statali
accompagnate a una vasta e varia mobilità sociale. Il grande merito delle
monarchie ellenistiche fu quello di aver promosso un comune sviluppo sociale,
modelli statali analoghi, una cultura sostanzialmente unitaria: ma le rivalità
reciproche, la fragilità militare si evidenziarono quando si trovarono di fronte
alla nuova potenza che si era andata formando a occidente, cioè Roma. Nel giro
di due secoli, dall'inizio dei Il alla fine dei i a.C., gli stati ellenistici
vennero progressivamente travolti dall'espansione della potenza romana.
Roma antica
Alle origini Roma visse stretta da un'egemonia incombente da nord, quella
etrusca, che ne condizionò la fondazione stessa e le vicende. A sud era chiusa
dalla potenza delle città greche e dall'espansionismo cartaginese che le
impediva ogni accesso al mare. Tutt'intorno, popolazioni autoctone bellicose e
aggressive mai tolleravano questa nuova intrusa.
Secondo la tradizione storiografica romana, il periodo
repubblicano cominciò nel 509 a.C. La leggendaria cacciata dell'ultimo re,
appartenente alla famiglia dei Tarquini, rimanda a un fenomeno reale: la
progressiva autonomia di Roma dagli etruschi. Nel corso dei V secolo a.C. Roma
cominciò a costruire la sua supremazia nel Lazio, mentre all'interno si
consumava la divisione tra patrizi e plebei e si arrivava a una progressiva
militarizzazione delle istituzioni, con la sostituzione dei consoli con tribuni
militari. Il IV secolo a.C. si aprì con l'invasione della città da parte dei
galli che non interruppe l'espansione romana ai danni dei latini e dei sanniti.
Nel 326 a.C. i romani presero Napoli e nel 310 inflissero una dura sconfitta
agli etruschi. Il III secolo a.C. cominciò con le guerre contro Taranto,
conclusesi nel 272 con la presa della città: era il primo contatto con la
civiltà della Magna Grecia. Solo due anni dopo Roma espugnava Reggio e
completava la conquista dell'Italia meridionale.
Le ostilità con i cartaginesi: sarebbero durate
oltre un secolo, fino al 146 a.C. Nel corso delle guerre puniche in cui la
famiglia degli Scipioni ebbe un ruolo di eccezionale rilievo, Roma si espanse
nei Mediterraneo: nel 259 i romani sbarcano in Corsica, nel 241 prendono la
Sicilia e nei 238 la Sardegna.
A questo punto l'espansione romana conosce una straordinaria accelerazione: nel
222 a.C. viene sottomessa la Gallia Cisalpina, nel 206 la Spagna. L'inizio del
Il secolo a.C. coincise con l'espansione verso oriente: i romani intervennero
prima in Macedonia e in Grecia (196 a.C.), poi in Siria (188 a.C.).
Con la conquista dell'Italia meridionale e della Grecia si produsse nella
cultura romana uno scarto significativo. Dopo essersi servita di
artisti etruschi e italici per soddisfare le scarse esigenze artistiche della
sua sobria vita tesa alla lotta di conquista, Roma si assoggettò all'egemonia
artistica greca. Il tramite furono le sue conquiste nella Magna Grecia prima e
poi in Grecia e in Oriente, tra il II e il I secolo a.C.
La convinzione, diffusa
tra numerosi intellettuali e tra le classi dirigenti, che la frivola mollezza
dell'arte greco orientale avrebbe corrotto i severi costumi romani portò a
opporre una fiera resistenza a questa penetrazione culturale. Un effetto
significativo di questa idea fu che l'arte venne sempre considerata attività
indegna di un civis romanus, anche dopo che si fu diffusa la nuova sensibilità
estetica. Ma le esigenze stesse della conquista con la conseguente necessità di
costruire infrastrutture (strade, città, templi, fori, porti, ponti, acquedotti)
imposero ai romani di affrontare problemi nuovi che avevano un rapporto diretto
con la produzione artistica, Partendo dalla ruvida solidità delle costruzioni di
pubblica utilità, cominciò emergere una nuova estetica romana, prima in architettura, poi nella scultura e nella pittura,
I modelli delle le altre civiltà vennero usati non più in maniera
passiva ma come contenitori di messaggi
tipicamente romani: orgoglio nazionale, eroismo militare, virtù civili.
Gli uomini di cultura furono chiamati a svolgere una funzione di particolare
importanza nella conquista dei consenso al grande progetto augusteo. Sotto
Augusto, Roma e i suoi domini si trasformarono: nuovi acquedotti si aprirono,
nuove terme e fontane si riprodussero nella capitale, come nelle più lontane
città di provincia.
Nell'età giulio claudia (27 a.C. 68 d.C.), il fervore delle opere pubbliche fu
eccezionale: si costruì il nuovo porto a nord della foce dei Tevere, si levarono
le arcate possenti degli acquedotti Claudio; con Tiberio il
successore di Augusto, il Palatino si trasformò in una sontuosa dimora
imperiale. Inizia con Nerone la nuova struttura del palazzo imperiale, nuova
"casa dei dio", edificio di rappresentanza che doveva dare l'immagine della
ricchezza, della potenza del princeps: si chiamò Domus aurea, e fu solo il primo
elemento di una serie, che continuò col palazzo di Domiziano e sarebbe culminato
(a Spalato e non più a Roma) col palazzo di Diocleziano, un nuovo
impulso all'arte venne dalle imprese di Traiano (98 117 d.C.), che diedero ampio
campo alle celebrazioni figurative e all'erezione di nuovi monumenti, non solo a
Roma, ma anche nelle province.
Il periodo che va da Nerva (96 98 d.C.) a Marco Aurelio (161 180 d.C.) fu
considerato dagli antichi il più felice e questi anni sono ricordati anche sulle
monete come "felicia tempora''; in particolare Traiano sarebbe stato sempre
ricordato come optimus princeps Nel periodo dell'impero di Traiano sono da
collocare due fenomeni fondamentali che avranno grande riflesso sulle arti
figurative: la creazione di un'aristocrazia romanizzata nelle province che portò
a un rinnovamento della classe senatoria, e il rafforzamento dei potere
imperiale attorno alla cui autorità si rimodellò tutto il sistema politico
romano.
La grande diffusione nell'impero di opere monumentali, se rispose alla ragione
politica di rendere visibile e viva la presenza del genio dell'imperatore,
d'altro canto offrì l'occasione di leggere la traduzione provinciale delle
grandi opere della capitale. Come esisteva, accanto alla lingua letteraria di
Roma (il sermo illustris), una parlata plebea (il sermo vulgaris dal quale, più
che dalla lingua letteraria, nasceranno le parlate romanze).
Dei resto la provinciaIizzazione dell'impero si rispecchia nel fatto che, a
partire dalla fine dei I secolo d.C., gli imperatori furono nella stragrande
maggioranza provinciali.
Un avvenimento determinante fu lo spostamento della capitale dell'impero a
Bisanzio (attorno al 330 d.C.) voluto da Costantino per motivi di strategia
militare e politica, dopo aver sancito nel febbraio del 313 d.C. con l'editto di
Milano l'unione della Chiesa e dello Stato.
Tuttavia il lento assestamento politico e sociale solo due secoli più tardi
avrebbe portato alla formazione di una cultura e di un'arte propriamente
bizantine.
La schiavitù nell'antichità
Nell'antichità e fino all'impero romano il mondo era basato sulla aggressività e
sulla conquista con le armi: la ricchezza di un uomo era misurabile in termini
di oro e di schiavi posseduti, il suo valore era misurabile come forza fisica,
coraggio e disprezzo della morte.
I poeti cantavano imprese guerresche e
considerati buffoni di corte: gli Dei guerrieri premiavano i favoriti con la
gloria e il potere terreno: non era contemplato che un aldilà triste e
misterioso. Le donne erano considerate territori di caccia e preda dell'uomo e
solo in rari casi passate alla storia.
Con l'avvento del cristianesimo queste "qualità " perdettero di valore per far
posto al medioevo, periodo millenario di barbarie e superstizioni religiose. Le
donne sono adesso creature del diavolo, passate alla storia solo come streghe.
Il cristianesimo non ha sradicato la schiavitù , anzi ha creato la nuova
divisione tra battezzati e pagani e le guerre seguenti mascherarono gli
obiettivi di conquista con moventi religiosi. Si noti che la presenza degli
schiavi era comunque funzionale e necessaria in tutte le grandi civiltà del
passato, si chiamassero essi schiavi o servi della gleba
.
Il lento progresso della conoscenza della natura,
nelle fasi buie del medioevo, ha portato l'umanità appena fuori dall'età del
ferro, iniziata 5000 anni prima, e la conoscenza aristotelica è rimasta
praticamente immutata fino al quindicesimo secolo, epoca delle grandi scoperte
geografiche che completarono la visione del mondo e dell'inizio del metodo
scientifico di Galileo e Newton, e su queste nuove basi l'umanità si è fermata a
meditare per un altro secolo, fino alla rivoluzione francese e all'illuminismo,
che segna l'inizio dell'età moderna, dove si assiste al trionfo della Dea
Ragione che genera la rivoluzione industriale e la ricerca organizzata.
Questa ricostruzione storica riguarda naturalmente la vecchia e corrotta Europa,
che il 12 ottobre 1492 iniziò la colonizzazione dell'America o meglio la sua
conquista, visto che dovette sanguinosamente espropriarla agli indigeni
residenti secondo la vecchia maschera ipocrita di "cristianizzazione".
Le grandi potenze del momento, cioè Francia, Spagna, Inghilterra cominciarono la
politica coloniale che si protrarrà nei secoli successivi. La Spagna in
particolare, essendo stata a suo tempo un baluardo contro i tentativi di
invasione musulmana attraverso Gibilterra, aveva sviluppato e degenerato una
intensa ed ottusa carica religiosa e fu responsabile della distruzione delle
civiltà precolombiane dell'America centrale al solo scopo di rapinarle delle
ricchezze aurifere. L'Inghilterra invece, da sempre potenza marinara e
mercantile vedeva nell'America un nuovo business da sfruttare al massimo e cercò
di imporre la sua egemonia economica alle colonie. Tuttavia i coloni americani,
consci delle enormi ricchezze dei nuovi territori e oppressi dai governi nelle
lontane patrie, si rivoltarono ad essi e dopo una cruenta guerra conquistarono
l'indipendenza delineando così una nuova potenza mondiale.
Nacque il SOGNO AMERICANO e l'epopea del west, che sterminò le trib• pellerossa
e il bufalo americano, loro cibo. La Francia, infine, essendo dilaniata da
guerre interne e di confine, potè svolgere una più debole politica oppressiva
nei confronti delle colonie. L'immane lavoro di sollevamento economico della
nascente America fu in buona parte delegato al lavoro di schiavi negri, che per
l'occasione furono dichiarati esseri inferiori, e negli stati del sud furono
promulgate leggi che proteggevano gli schiavisti dalle insubordinazioni della
manodopera negra, leggi perfettamente valide fino allo scorso secolo.
Con A. Lincoln fu ufficialmente abolita la schiavitù in America, una
consuetudine perdurante da oltre settemila anni, ovvero ininterrottamente da
trecento generazioni: la schiavitù esiste ancora oggi in diverse regioni del
mondo, ed esistono potenti strascichi di questa mentalità oppressiva e
schiavista in tutte le nazioni, trasmessi geneticamente oltre che culturalmente.
La storia degli altri continenti presenta infatti notevoli analogie di fatto con
quella esposta pur avendo alla base differenti filosofie o religioni trainanti.
In alcuni casi queste filosofie frenarono lo sviluppo economico e culturale di
quelle regioni, in altri casi fecero raggiungere elevati livelli di "civiltà ",
ma in tutti i casi sono basati su differenze di valore nelle classi sociali,
dove la società ha struttura piramidale la cui base è il popolo e il vertice il
Re, e dove una classe sfrutta quella inferiore, spesso con un rapporto simile
alla schiavitù.
Come abbiamo visto nell'antichità le guerre producevano grandi quantità di
schiavi: l'abbondanza di una merce ne diminuisce il valore così la vita degli
schiavi poteva essere sacrificata capricciosamente, come per esempio negli
spettacoli di gladiatori.
Una nuova guerra avrebbe rifornito di nuovi schiavi la nazione vincente. Il
cristianesimo, predicando l'uguaglianza tra gli uomini rese meno crudele la
schiavitù durante l'immobilità del medioevo, ottenebrando la mente di servi e
padroni: il padrone feudatario aveva ancora potere di vita o di morte sullo
schiavo servo della gleba, tuttavia doveva giustificare la sua decisione secondo
i canoni della morale religiosa corrente. In realtà il servo della gleba non era
più un prigioniero di guerra bensì il contadino del feudatario, di padre in
figlio, ed essendo i feudatari subordinati all'imperatore vi erano perciò poche
possibilità di acquisire nuova manodopera con la guerra al vicino o col
commercio: infatti, intorno all'anno 100/ il :0% della popolazione era impegnata
nell'agricoltura e la produzione agricola era generalmente scarsa dato che ai
contadini non soltanto mancavano i mezzi e le tecniche agricole progredite, ma
non avevano neppure interesse a produrre di più del necessario per le famiglie e
per il signorotto locale in quanto la produzione di manufatti era minima e il
commercio e le strade inesistenti: uccidere i propri contadini significava
perciò impoverirsi.
Gli schiavi negri usati dai coloni americani erano invece razziati dall'Africa
ed acquistati agli appositi mercati come se fossero una qualsiasi macchina: un
buon negro lavoratore era valutato fino a 2000 dollari dell'epoca. Uno schiavo
negro era quindi un investimento economico, una macchina per l'azienda agricola
latifondista, e il padrone non lo avrebbe mandato a morte capricciosamente,
buttando via il proprio denaro, anzi, proprio come quando una macchina guasta
viene portata dal meccanico, così un buono schiavo negro seriamente ammalato
veniva portato dal dottore. La situazione giunse al paradossale: gli uomini
liberi dei ceti meno abbienti, abbandonati a sè stessi, si trovavano spesso con
problemi di sopravvivenza più grossi degli schiavi che, purchè lavoratori,
venivano automaticamente e necessariamente vestiti, nutriti, curati dai propri
padroni....