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1° Maggio 2003
Forse finalmente riesco a trovare il tempo di scrivere
qualcosa sullo scorso giovedì. Che guarda un po', era il primo maggio.
Scusate ma è veramente un po' lungo, mi sono montato la testa, ecco che cosa
capita a fare i complimenti a chi non se li merita.
Ci eravamo dati appuntamento in tre, telematicamente parlando, a Porta Susa alle
11.20, per fare il biglietto bici+treno alla volta del Mayday milanese: Marco
Sicuro, Novecento e il sottoscritto.
Marco ed io ci troviamo alla stazione addirittura in anticipo. Mentre aspettiamo
Novecento, ci telefona Berto, hey gente, just a moment, ci sono anch'io, let's
go together to Milano.
Intanto si aggiungono a sorpresa anche Ricke e due altri amici (perdonatemi, non
ricordo i nomi); arrivano Berto e 900, ci dotiamo di titolo di viaggio -non
senza un pizzico di allegra confusione alla biglietteria- e cominciamo a
dirigerci al binario 3.
Tanto per sicurezza, prima però andiamo a chiedere ai Dirigenti Movimento dove
sta la carrozza con vano bici. Il ferroviere interpellato non telefona a Porta
Nuova, ma ci dice: "in testa, di solito sta sempre in testa al treno".
Insistiamo, facendo presente che siamo in tanti... il solerte funzionario si
decide a telefonare, sbuffando come se gli avessimo mandato a monte noi il
giorno festivo.
Inutile dire che la carrozza con vano bici è in coda.
Grazie Dirigente, ci dirigiamo subito.
Da lontano vediamo altri due ciclomassici: Francesca e Sergio, che arrivano
all'ultimo minuto, ma ce la fanno a timbrare tutti e tre i biglietti (personale,
bici, tagliando bici da incollare alla stessa) e raggiungerci.
Più tardi, a Chivasso, sarà dei nostri anche Paolo, massaciclico eporediese
appena sceso dal canavese col treno da Aosta.
In tutto siamo 10: una bella sorpresa, per chi era partito con l'idea di uno
striminzito terzetto.
A Porta Susa, però, non siamo i soli a salire con un mezzo di trasporto: una
ragazza straniera dall'aspetto nordico si imbarca sul convoglio, nientemeno che
con una canoa.
Ebbene, è il primo maggio, e a tutti i ferrovieri, evidentemente, lavorare il
giorno festivo -QUESTO giorno festivo- fa lo stesso effetto di inserire i propri
maschili attributi in un frullatore.
Il controllore (capotreno?) in servizio, sui cinquant'anni abbondanti, accento
partenopeo, decide che quello strano oggetto arancio dall'aspetto idrodinamico
può agevolmente racchiudere in sé tutta la rabbia e la frustrazione del
momento. Da qualche parte, nel Regolamento, ci dev'essere scritto che un
bagaglio deve essere lungo al massimo x, largo al massimo y, alto al massimo z.
La canoa, al primo colpo d'occhio, NON rientra nelle prescrizioni; non abbiamo
fatto ancora in tempo a sederci, che lo vediamo dirigersi minaccioso verso la
ragazza straniera, bofonchiando a voce bassa "no, chesta robba lì nun ce
po' stà, chesta -la ragazza- se ne deve scendere, essa co' tutt'a bbarca
..."
Tentiamo di venire in aiuto della ragazza, dicendo al controllore che la canoa
non ci dà fastidio, non dà fastidio a nessuno, ma lui non vuole sentire
ragioni.
"Mo' vado a chiamare il mio collega che sa l'inglese, che glielo dice lui,
a chista, che se ne deve scendere d'o treno".
Mentre scompare provvisoriamente dalla vista, scambiamo due parole con la povera
turista straniera.
Alla faccia dell'aspetto nordico, arriva dall'estremo Sud del mondo: la Nuova
Zelanda! Ci dice di chiamarsi Wendy, di aver trascorso qualche settimana in
Corsica, mentre di solito abita in Svizzera, dove ha trovato lavoro in una
località turistica. Sta in Europa per un anno e forse anche più. Per la storia
del treno+canoa, ci dice di non intrometterci, lei farà finta di non capire
(d'altronde, non parla l'italiano) in modo da scoraggiare i ferrovieri e
arrivare fino a Milano, da dove prenderà un treno svizzero.
Il ferroviere vesuviano ricompare con un collega grosso modo conterraneo, che
spiaccica qualche parola d'inglese. Li vediamo sparire con la neozelandese
dietro la porta del comparto bici. Dal vetro vediamo che stanno litigando, i
ferrovieri si sono fatti aggressivi, la ragazza non è più tanto sicura, è
chiaramente al limite della sopportazione per questi due arroganti che la stanno
forse insultando. Per loro, lei deve scendere a Santhià, con tutta la sua
canoa, e non risalire mai più sul treno.
Interveniamo.
Diciamo la nostra al Gatto e la Volpe, spieghiamo che quel bagaglio ingombrante
non dà fastidio, ma loro si incazzano ancora di più, sostenendo che la canoa
pregiudica il passaggio (ma a chi credono di darla a bere?) Comunque, visto che
lì non può stare, portiamo la canoa nello scompartimento e la carichiamo sulle
bagagliere, fermandola con un elastico. Il Gatto e la Volpe non ci vedono più.
Diventano più verdi della giacca che indossano e urlano che loro chiamano la
Polizia e ci fanno sbattere in galera (sai che novità...)
Ma in qualche modo riusciamo a farli desistere. Spariscono.
Festeggiamo con una bottiglia di Erbaluce di Caluso, provvidenzialmente portata
da Sergio, mentre il treno riprende la sua corsa verso Milano, dove arriviamo
puntuali.
Fortuna vuole che il treno svizzero parta dal binario a fianco di quello su cui
arriviamo: in quattro e quattr'otto trasbordiamo la canoa neozelandese da un
convoglio all'altro, portandola in due, in bici, pedalando lungo il marciapiede.
Marco scatta le foto di gruppo alla stazione: ci congediamo da Wendy (non senza
averle lasciato tutti i vari indirizzi di MC e nostri) e proseguiamo Porta
Ticinese.
La nostra guida è Novecento, che conosce Milano e sa come districarsi in quel
dedalo di vie disordinate (ma quant'è bella Torino, tutta squadrata, sai sempre
dove stai andando...)
In realtà Milano, in un giorno di festa, non è poi così male.
Traffico ridottissimo (ma un tamarro con un macchinone targato San Marino riesce
lo stesso a fare le solite scene mentre pedaliamo in una corsia dei taxi),
strade silenziose, un gran caldo, gerani alle finestre delle case nel centro
storico. Pedaliamo tranquilli fino a Porta Ticinese, vicino alla Darsena; l'idea
di prendere "il treno prima" è stata azzeccata, arriviamo quando
ancora la calca è poca e facciamo in tempo a prenderci una simil-piadina in un
bar dei dintorni (scelta gastronomica che qualcuno rimpiangerà poco dopo, per
la scarsa qualità della stessa). Alberto è il primo a riconoscere, tra i
massaciclici che vanno assembrandosi, qualche faccia reduce dalla
Turinciclowoodstock.
Al momento della partenza del corteo, veniamo avvisati di "passare
avanti": polizia e carabinieri hanno fatto andare tutte le bici davanti,
formando un cordone tra Massa Critica e i manifestanti a piedi. All'inizio ci
muoviamo lenti, mentre le lose sconnesse delle strette vie milanesi ci
massacrano i raggi e il deretano.
Veniamo "canalizzati" su un percorso ad anello che si ripiega
prestissimo su se stesso: le bici riempiono tutto lo spazio disponibile, la
Massa è ferma, con la testa che guarda sconsolata la coda, che ancora quasi non
si è mossa. Il corteo, dietro, è sempre là.
Stiamo fermi un bel po', sempre nelle vicinanze di Porta Ticinese; ma ad un
certo punto si decide, ripartiamo, stacchiamoci dal corteo e facciamo Massa
Critica a modo nostro: e da lì in poi è una volata per le vie del centro,
veloci nei meandri della città. Per un attimo, la Massa si muove silenziosa,
rapida ma senza clamore: il ronzio di centinaia di catene è surreale.
La quiete prima della tempesta.
E' Novecento a rompere platealmente l'equilibrio: all'acme del silenzio, quando
proprio nessuno stava nemmeno sussurrando a bassa voce, fa partire un lungo
sibilo col fischietto. E' il segnale: tutti si lanciano a scampanellare,
strombettare, suonare il corno (ce n'erano due!) o il tamburo montato sul
portapacchi della bici. Da lì in poi, il casino non cesserà più: la Massa,
allegra e rumorosa, colonizza piazza Duomo, fa il giro multiplo di piazza
Fontana (Strazio, dov'eri?), entra nella Galleria e inscena una manifestazione
con fumogeni colorati e sollevamento in aria delle bici, in cerchio.
I milanesi appiedati sono perplessi, i turisti giapponesi allibiti.
C'è chi scatta delle foto sorridendo.
Poi è la volta del viale antistante il Castello, poi la stazione Cadorna: i
nodi cruciali del traffico milanese vengono assediati dai (quattrocento?
cinquecento? mille?) massaciclici, che circondano allegramente i pochi autosauri
del primo maggio. I "ghisa" milanesi (i cugini dei "civich")
non possono fare altro che fermare, canalizzare, deviare il traffico delle
scatolette puzzolenti verso altre direttrici, che noi però invadiamo a stretto
giro di pedali. Un vigile in moto viene "distaccato" per partecipare
alla Massa, segnalare dove si dirige la testa e aiutare i colleghi ad evitare
agli autosauri l'umiliazione di rimanere intrappolati in un cerchio di
biciclette. Ma è un arduo compito, noi continuiamo a riprenderci le strade, e
per una volta ce le riprendiamo proprio, davvero.
Lo spettacolo vale il biglietto, ma il finale non è un granché: la Massa si
ricongiunge al corteo del 1° maggio, ma in coda, ed è un'idea infelice, perché
ci disperdiamo tra la folla a piedi, nessuno riesce più a trovare gli altri
ciclanti con cui aveva condiviso chilometri e chilometri di scorrerie poco
prima. Si va a passo d'uomo -anzi, di lumaca- isolati bipedi con bici
accompagnata, in mezzo al frastuono dei sound-system dei centri sociali
milanesi. Non resta che prendere una via parallela (sperando che lo rimanga, a
Milano il concetto di "via parallela" non è duraturo come da noi),
avanzare e riportarsi presso il corteo, vedendolo sfilare: gli altri
massaciclici ricompariranno ad uno ad uno.
Effettivamente ci ritroviamo quasi tutti, in piazza Cordusio, dove si ricoagula
un assembramento di ciclisti statici.
Qui decidiamo: si sta o si torna a casa, si resta e si partecipa alla Massa
serale milanese, o si va e si fa la Massa torinese.
Saremo in quattro a tornare a Torino, Marco, Novecento, Paolo da Ivrea e il
sottoscritto.
Ad Alberto, o a Ricke, o a chi vuole, lascio l'incarico di descrivere com'è
andata la sera milanese.
Noi che siam tornati all'ovile, dopo una veloce cena a casa di Marco, siamo
stati lieti di partecipare al nostro consueto appuntamento di piazza Palazzo di
Città.
Eravamo pochini, per la verità, ma abbiamo comunque pedalato per una Massa
Critica memorabile: siamo andati nel cuore dell'Impero Motorizzato Senza Freno,
quel Lingotto che fu edificato per produrre le orride scatolette, e che oggi sta
lì come un luccicante monumento all'inconsistenza dell'utopia dell'auto per
tutti, vuoto, pulito,candido, improduttivo.
Ma andiamo con ordine. A quel punto della serata, ero talmente cotto che non mi
ricordo da dove siamo arrivati a piazza Carducci. Ma da lì il percorso per il
Lingotto è uno ed uno solo, ovvero l'orribile via Nizza a senso unico, regno
dell'automobile rombante in sol minore.
E' un luogo che conosco bene, ma devo dire che gli automobilisti lì
sono molto più gentili e partecipativi che altrove.
Dalla piazza in giù, infatti, numerosi automuniti hanno preso parte alla nostra
esigua Massa, partecipando con roboanti sgasate e allegri colpi di clacson, che
la loro euforia festante spingeva a prolungare assai.
Anche il loro forbito interloquire ci spronava all'azione: tipiche loro frasi
sono state "toglietevi dalle palle!" (una chiara esortazione a
spezzare le catene che legano ognuno di noi alla "palla al piede" del
traffico) oppure "perché non ve ne andate affanculo?" (gentile invito
di un autosauro a fargli visita a casa sua).
Giunti al Lingotto, senza nessuna opposizione, siamo entrati nella "8
Gallery" ed abbiamo percorso tutta la rampa elicoidale che porta sul tetto.
Vincitore del Gran Premio della Montagna è risultato -manco a dirlo- Novecento.
Peccato non aver pestato coi nostri soavi pneumatici la meravigliosa e
futuristica pista sul tetto, con le sue mega curve paraboliche...
Purtroppo, dice un cartello appeso alle porte, la pista è chiusa per
manutenzione fino al 15 giugno...
Ci fermiamo per dieci minuti in vetta, assaporando il gusto di aver fatto
qualcosa di diverso ed unico. Poi, in un silenzio quasi totale, ridiscendiamo la
rampa: tanto è stata dura la salita, tanto è dolce e comoda la discesa... In
mezzo a qualche sguardo stupito (ma non più di tanto) degli avventori della
galleria commercial-cinematografica, usciamo e riprendiamo la strada verso il
centro, circondati dallo stesso entusiasmo di prima, da parte degli autosauri.
E' finita una giornata memorabile.
E adesso finisce anche questo mio messaggio, ché a forza di schiacciare i tasti
mi sono venuti i crampi ai muscoli trapezi e a svariati adduttori e abduttori
del tronco.
Ciao a tutti
Ablonzitov