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26 Aprile 2003

Massa singola?

Ma no, eravamo ben 6!
Ma tu a che ora sei arrivato? La mini-massa si è coagulata in realtà intorno alle 15.30 (qualcuno era già in loco dalle 15.15, però).
Data la scarsa consistenza, abbiamo optato per un profilo meno "combattivo" e più da gitanti domenicali, che non ci ha però privato di alcune soddisfazioni.
Tanto per cominciare, in via Palazzo di Città, alle 15.45 abbiamo incontrato Mike, insieme ad amici (parenti?) dalla faccia sbigottita, al vederci scampanellanti e salutanti. Il losco individuo :-P , a quanto pare, aveva calcolato che a quell'ora la massa avrebbe dovuto già essere transitata da piazza Castello... invece, inchiodato al muro dai fatti, ha dovuto giustificarsi balbettando una scarna confessione di colpevolezza.
Dopo qualche scampanellante ghirigoro intorno alle fontane della spianata, la minimassa si è diretta lungo l'asse di via Roma, dove la tradizione è stata rispettata: puntualmente qualche tamarro collo stereo a palla non ha mancato di strombettare e lamentarsi con il suo forbito vocabolario interculturale.
Si è proseguito per via Sacchi, che in teoria, data l'assenza di controviali, la sosta in doppia fila, eccetera, si presentava come un buon terreno. In realtà, non c'era quasi nessuno!
Svolta per corso Sommeiller, gran premio del cavalcavia con salita del 22% e arrivo in volata al semaforo di via Nizza.
La massa ha imboccato via Valperga Caluso, dove le rotaie sono state un aiuto, più che un impedimento, per la causa massociclistica: infatti, con la scusa di disporsi uno a sinistra - uno al centro - uno a destra del binario, anche essendo solo in sei, ci siamo ripresi la strada per un bel tratto. Perepè di clacson, sgummamenti, scampanellii alla valà che vai bene.
E' ora il turno di via Ormea, la cui variegata popolazione agli angoli delle strade ci ha dato motivo di condurre discussioni sociologiche su Torino. Qui abbiamo cooptato due persone: un ragazzo straniero, un po' intimidito da questo gruppo di ciclisti vocianti, che ha condiviso con noi tutto il percorso fino a corso Vittorio, e una signora dai capelli grigi in giro per commissioni, che ha fatto con noi solo pochi metri, da corso Marconi fino presso il mercato di piazza Madama Cristina.
I prodi ciclanti hanno poi seguito lo stesso asse viario, percorrendo le sconnesse e infide lose di via San Massimo, fino a via Po, sulle cui sconnesse e infide lose si sono diretti con giubilo fino alla Gran Madre, impegnando il superbo ponte antistante. Giro intorno alla chiesa (la curva parabolica che circonda la stessa è uno spasso) e ritorno al semaforo tra il ponte e corso Casale. A questo punto si è posto il dubbio: andiamo dritto o svoltiamo a destra per corso Casale? Un massacritico sagace propone: "svoltiamo a destra, poi facciamo tutto corso San Maurizio" (non guardate me: non sono stato io). Qualcuno gli fa gentilmente notare che manca un ponte... sarà stato entusiasmo acritico verso le folli proposte di sventramento urbano del Chiampa?
Comunque, in corso San Maurizio ci siamo andati lo stesso, ritornando sui nostri passi e poi svoltando a destra una volta raggiunta piazza Vittorio.
Dopo corso San Maurizio, è stata la volta di un giro al Balon, raggiunto percorrendo rotonda Rivella, via Fiochetto, piazza della Repubblica, via Borgo Dora. Da Piazza Borgo Dora abbiamo attraversato il ponte ferroviario-pedonale, e di lì è stato tutto uno zigzagare tra la sponda destra e sinistra della Dora, percorrendo diversi ponti.
Stabilizzatici sulla sinistra orografica, abbiamo proseguito la pedalata fino al ponte di corso Novara/Tortona, e di lì fino a Vanchiglietta su lungo Dora Voghera. Ritorno da Lungo Po Antonelli fino a piazzale Regina Margherita; da lì corso Regina e poi via Vanchiglia, dove un'autosaura impaziente e inacidita ci ha sperepettato il suo patetico clacson fino a Corso San Maurizio (e sì che andavamo, eh...)
Da via Vanchiglia abbiamo continuato lungo via Verdi; in prossimità di Palazzo Nuovo, sosta di un minuto in silenzio ed in raccoglimento, come segno di lutto per la pista ciclabile, definitivamente scomparsa. A mo' di lapide, rimane solo un moncone di metri tre, con freccia bianca e doppia striscia bianco-gialla.
Da via Verdi abbiamo raggiunto piazza Castello, dove il nostro occhio capta una bici superaccessoriata tra i portici antistanti il Regio, mentre il nostro orecchio viene agganciato da note di chitarra e parole cantate pestacchiate nel malfunzionare di un amplificatore. Abbiamo incontrato Alberto (non Pignocchino, che stava già pedalando con noi da ore), cantautore di strada, che usa la bici come mezzo di trasporto per il suo sound system alimentato a batteria.
Quando gli abbiamo spiegato chi siamo, che cosa facciamo e che cosa è Turincyclowoodstock, si è quasi giustificato: "sì, ma io la bici la uso solo come mezzo di trasporto per l'impianto, non è che sono uno di quelli che vanno sempre in bici..."
"Ma ogni quanto sei in giro a suonare?"
"Tutti i giorni."
"Ah, beh..."
Ci ha spiegato che la bici, un tempo, era attrezzata per trasportare gli strumenti di lavoro per pulire le vetrine. Scala, secchio... Poi
Alberto ha fatto la sua scelta per l'arte di strada, e l'idea della trasformazione della bici da ciclopulitore a ciclomusicista gli è venuta spontanea.
E' seguito uno scambio di numeri, ci terremo in contatto, ripasseremo di lì, e chissà che l'anno prossimo non si riesca ad avere il cantautore Alberto alla Turinciclowoodstock.
La minimassacritica si è conclusa sotto una pioggerellina indecisa, con un'ultima pedalata alla volta dell'egiziano di via Milano, dove un falafel con il tè alla menta ci ha rifocillato dopo le cicliche fatiche.
Tutto sommato, anche in pochi, è stata divertente!

Ablonzitov