La giustizia civile tra tutela dei diritti

e progetti di privatizzazione*

di Francesco Vigorito

La possibilità di affermare e realizzare i diritti sociali e di cittadinanza con gli strumenti del sistema giuridico privatistico è stata ed è una delle idee cardine di una politica del diritto che concepisce la giurisdizione anche come strumento di liberazione individuale e collettiva e non solo come mezzo di definizione dei conflitti intersoggettivi.

Ormai da qualche decennio l’obiettivo dell’ampliamento dei diritti di cittadinanza si è realizzato anche attraverso le trasformazioni che hanno portato allo slittamento progressivo del sistema dei diritti, e di quelli "privati" in particolare, da "strumento di sostegno dei rapporti di mercato a sistema antagonista proprio della logica di mercato e dei rapporti che questo produce" (1).

Non è certo mio compito (e me ne mancherebbe la competenza) esporre il processo che ha portato il diritto privato moderno, che si era andato strutturando intorno al diritto di proprietà (sia "pur condizionato e limitato dalla contemporanea ed inscindibile realizzazione dell’interesse pubblico" (2) e che aveva (ed ha, tuttora) la finalità sostanziale di realizzare le condizioni migliori per lo svolgimento delle attività economiche private, a riconoscere la tutela ad un catalogo sempre più ampio di "diritti quotidiani" e di "diritti sociali".

Si tratta di un fenomeno che, come altri analoghi dell’era del welfare state, ha coniugato l’accresciuta coscienza dell’importanza della tutela giurisdizionale delle posizioni collettive e non solo di quelle individuali con la finalità di realizzare una più completa modernizzazione della società e del mercato; è un processo che, fatalmente, è entrato in crisi con il deperimento della funzione di governo dell’economia che aveva caratterizzato lo stato sociale di diritto, con il passaggio, prospettato ma, forse, non ancora completato "dallo stato sociale allo stato aziendale" (3), con lo svilupparsi su scala mondiale di quel "processo attraverso il quale mercato e produzione nei diversi paesi diventano sempre più dipendenti tra loro, a causa della dinamica di scambio di beni e di servizi e attraverso i movimenti di capitale e tecnologia" (4) definito in maniera semplificata ma efficace con l’espressione "globalizzazione".

Ma nel rapporto tra sviluppo della dinamica sociale e sistema della giustizia civile è emersa nel corso dell’ultimo decennio una contraddizione: proprio mentre il sistema sociale di riferimento viveva una radicale trasformazione, si è assistito all’affermazione definitiva (talvolta con ritardi di decenni), negli orientamenti giurisprudenziali, di diritti legati alla salute, all’ambiente, alla riservatezza delle persone, all’informazione, alla produzione ed al consumo, che sono il cardine del concetto di cittadinanza sociale e, per altro verso, si è data attuazione ad un modello processuale, quello delineato dalla riforma del ‘90, che consente una più ampia garanzia proprio di tali diritti.

Con riferimento al riconoscimento di diritti "nuovi", ad esempio, è di pochi giorni fa la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in tema di risarcibilità autonoma del danno soggettivo, molto vicino per contenuto a quello esistenziale, anche se formalmente qualificato come morale, "anche in mancanza di una lesione all’integrità psico- fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo, a favore di soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenza e patemi d’animo) di natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita" (5).

Per altro verso, si è assistito alla reiterpretazione di fattispecie contrattuali che, per molti anni, erano state regolate da principi che ignoravano l’oggettiva debolezza di una delle parti del rapporto. Significativa, in questo senso, è tutta la giurisprudenza degli ultimi anni della Corte di Cassazione sul tema dei contratti bancari (dall’affermazione dell’illegittimità del trattamento differenziato di banca e cliente in relazione all’anatocismo bancario (6), alla illegittimità di clausole di rinvio agli usi (7), al divieto di applicazione di tassi divenuti usurari in corso di rapporto (8), e quella, ad esempio, del Tribunale di Roma, in tema di clausole abusive (9).

La giurisprudenza di merito ha, poi, affermato, di recente, importanti principi in materia di responsabilità per emotrasfusione, di tutela dei cittadini dai campi elettromagnetici (10), di tutela del diritto fondamentale di autodeterminazione del corpo umano, ancora in materia del danno alla salute e l’elenco potrebbe agevolmente continuare.

Nello stesso periodo si è andati verso il superamento di due ostacoli (uno di tipo culturale, l’altro di tipo strutturale) che per lungo tempo si erano frapposti alla tutela efficace di tali diritti; mi riferisco alla debolezza degli enti esponenziali dei diritti di cittadini e consumatori (contrapposta alla centralità che questi soggetti collettivi avevano avuto per l’affermazione dei diritti civili e di cittadinanza, negli altri paesi ad economia avanzata, ed in particolare in quelli di common law,) ed alla inefficienza del sistema processuale.

Riguardo al primo fenomeno, deve considerarsi che, in questi ultimi anni, alla crisi dei soggetti politici e delle forme tradizionali di rappresentanza collettiva, ha corrisposto la crescita di enti rappresentativi di interessi parziali che, proprio prendendo a modello la tradizione dei paesi di common law, hanno iniziato a spostare le modalità di tutela dei diritti dal piano della rivendicazione politica o, al più, della tutela penale, alla giurisdizione civile riequilibrando lo sbilanciamento "di potere economico e informativo tra professionista e consumatore" (11).

L’altro ostacolo che si era frapposto all’effettività della tutela dei diritti di cittadinanza sociale era costituito dalla struttura del vecchio processo civile (per come si era andata realizzando nella prassi) e dalla sua durata.

Nel sistema processuale precedente alla riforma del ’90, ad eccezione di poche "isole felici" il giudice non poteva che esercitare un ruolo di direzione del processo, di fatto, molto limitato (per l’alto numero di cause sul ruolo, per le prassi che si erano andate formando, per la mancanza di personale, di mezzi, di strutture) e ciò comportava, in molti casi, uno squilibrio tra i soggetti del processo (che avevano mezzi economici e culturali diversi) con la conseguente impossibilità di garantire la sua regolarità sostanziale "come unica possibile garanzia positiva della giustizia del risultato" (12).

Inoltre i tempi lunghi del giudizio e, spesso, della successiva fase esecutiva comportavano l’inevitabile svuotamento della efficacia della tutela e, talvolta, scoraggiavano l’uso del canale giudiziario.

La grave crisi che viveva il processo civile aveva, quindi, avuto un ruolo non secondario nell’impedire il pieno dispiegarsi della spinta al cambiamento del sistema ed alla ridefinizione dei valori cardine del diritto privato che vi era stata nei decenni precedenti.

La riforma processuale del 1990 (13) nacque dalla esigenza di determinare una inversione di tendenza nella situazione di degrado in atto con interventi limitati che non intendevano incidere sulle scelte di fondo del legislatore del 1940-42 (14) ma, unitamente alle successive riforme ordinamentali e processuali (15), ha finito per modificare in profondità, in molte realtà giudiziarie, il modo concreto di esercitare la giurisdizione civile consentendo al giudice di regolare e disciplinare il processo, di dirigerlo, di dare un sia pur limitato impulso istruttorio.

Un processo nel quale il giudice, pur senza essere fornito di poteri discrezionali suscettibili di incidere sul contenuto della decisione, eserciti, in concreto, i poteri ordinatori e intervenga nella fase di individuazione e precisazione dell’oggetto del giudizio e dei mezzi istruttori, oltre, ovviamente, che nella direzione dell’assunzione delle prove, è un modello processuale che garantisce meglio l’equilibrio tra i soggetti del giudizio e l’attuazione dei diritti (16).

Tuttavia la riforma non ha avuto un effetto positivo uniforme su tutte le realtà giudiziarie ed, in mancanza di ulteriori interventi che incidano sulla ripartizione della competenza (17), sulle circoscrizioni giudiziarie, su strutture, organici della magistratura e del personale amministrativo, sulla razionalizzazione di alcuni strumenti processuali (18), il modello non solo delineato ma concretamente realizzato dalla riforma è destinato a perdere effettività ed il processo a rifluire verso le vecchie prassi (con una inevitabile danno per la piena tutela della legalità).

Ma degli interventi necessari per consentire la funzionalità del processo non vi è stata traccia nella prima fase dell’attività dell’attuale governo di centro-destra né, peraltro, nell’ultima fase dell’attività del precedente governo di centro-sinistra.

E qui torniamo alla contraddizione iniziale: mentre il sistema della giustizia civile svolge ancora una funzione propulsiva per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale il modello sociale ed istituzionale di riferimento è andato in crisi e si è diffusa l’idea che la "modernizzazione" della società, del mercato, delle istituzioni sia un valore in sé, indipendentemente dai contenuti, che la funzione di mediazione sociale che aveva caratterizzato l'ordinamento statuale in tutta la fase del Novecento maturo (19) sia superata, che lo stato sociale sia, ormai, un peso da eliminare, un fattore di disturbo che ostacola il pieno dispiegarsi del mercato in tutte le sue potenzialità (20).

La conseguenza di questo nuovo modello sociale è che anche la rivendicazione di diritti sociali e di cittadinanza è considerata un ostacolo all’efficace funzionamento del sistema e che l’efficienza di quella che, ormai, per molti, è divenuta l’azienda giustizia si pone come un obiettivo da perseguire solo perché le lentezze producono perdita di ricchezza e non perché le inefficienze incidano sulla effettività delle tutele di tutte le posizioni soggettive.

Il riflesso sulla giustizia civile di questo nuovo orizzonte, che non è solo degli schieramenti politici conservatori (21), è stato immediato ed era stato colto, in anticipo, dai più attenti interpreti della realtà giudiziaria (22).

Già il governo di centro-sinistra aveva sottratto al giudice naturale dei diritti (qual è il giudice ordinario) e attribuito al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva nelle controversie in cui sia parte una P.A. (peraltro identificata oramai genericamente in qualsiasi soggetto o ente che svolge un’attività di interesse pubblico) in intere importanti materie (servizi pubblici, edilizia ecc.), a prescindere dalla consistenza giuridica delle posizioni soggettive del privato, così avviando la tendenza al superamento del criterio costituzionale del riparto di giurisdizione fondato sul binomio "diritti soggettivi = giudice ordinario, interessi legittimi = giudice amministrativo".

La conseguenza di questa riforma (23) è la trasformazione, implicitamente voluta, del giudice amministrativo in giudice della P.A., con grave minaccia al principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: si pensi solo che nei confronti della stessa P.A. (la quale, si noti, è sottoposta alla direzione dell’autorità governativa) vige un modello di tutela differenziato rispetto a quello che vige nei rapporti tra privati ed alla riduzione della funzione nomofilattica della Cassazione che è direttamente strumentale alla realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (24).

Successivamente si era proposta una modifica del codice di procedura civile che sottraeva "al non necessario intervento del giudice quella fase iniziale del processo che, già oggi, riserva al giudice soltanto la limitata funzione della assegnazione di termini alle parti per lo svolgimento di loro attività" (25) pur con la premessa che, in tal modo, non si volesse minimamente "sottovalutare il "processo" rispetto al "giudizio", e che non era possibile una sorta di "privatizzazione" del primo per riservare al giudice soltanto il secondo" essendovi un essenziale rapporto di interdipendenza tra processo e giudizio.

In realtà è proprio nella fase iniziale del processo (la cui semplificazione, peraltro, è auspicata da tutti) che il giudice non deve limitarsi ad "assegnare termini alle parti" ma, secondo il disegno del legislatore del 1990, assumere un ruolo attivo nella individuazione e precisazione dell’oggetto del giudizio e dei mezzi istruttori (26) e nel tentare la conciliazione delle parti ed è in questa fase che il giudice opera per garantire l’equilibrio tra le parti.

Ma se la "privatizzazione" del processo era negata, almeno in via di principio, nel disegno di legge dell’Ulivo, il progetto di privatizzazione del processo è stato enunciato espressamente nei programmi del partito di maggioranza relativa che ha vinto le elezioni e nel programma del Ministro della giustizia.

Nel programma elettorale di Forza Italia si leggeva che: " occorre ristrutturare il processo in modo da far intervenire il giudice solo quando c'è bisogno della sua opera giurisdizionale, prevedendo che la stessa attività istruttoria possa svolgersi senza il suo coinvolgimento".

Nel programma illustrato alla Camera dal Ministro Castelli si legge: " Il codice pone il giudice al centro del processo civile e tale impostazione è stata mantenuta anche dalle numerose novelle che non hanno modificato l'originaria architettura processualistica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: procedure drammaticamente lunghe e un irragionevole carico di lavoro per i magistrati. La situazione è inoltre aggravata dalla rigidità imposta dalla legge a ogni causa, dettando un ritmo uniforme per ogni processo indipendentemente dalla sua rilevanza.

È necessario ripensare alla struttura del processo civile, al fine di assicurare il servizio giustizia e di utilizzare le risorse umane e organizzative dell'apparato nel modo più funzionale possibile. Le linee programmatiche di intervento legislativo sono volte a una forma di razionalizzazione del processo, delegando alle parti stesse l'attività istruttoria e assicurando l'intervento del giudice, oltre che nella fase decisoria, solo su specifiche istanze istruttorie formulate dalle parti in relazione al materiale documentale avanzato. La finalità dell'intervento deve essere, da un lato, quella di evitare lo spreco di attività giudiziale, e dall'altro quella di stroncare tutti gli interventi dilatori di interesse di una delle parti che abbia convenienza a ritardare le decisioni e che attualmente è ampiamente agevolata nel suo intento proprio dalla struttura del processo, in particolare l'irrealistica pretesa di far seguire ogni fase delle cause dal giudice e di farle marciare sempre al medesimo ritmo predeterminato in astratto dalla legge".

Il progetto di limitare l’intervento del giudice alla sola "decisione degli aspetti controversi della lite" ha ottenuto significativi consensi da alcune associazioni forensi (27).

A completare il quadro è intervenuto il disegno di legge delega al Governo "per la riforma dell’Ordinamento giudiziario", approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 marzo 2002 che si pone l’espresso obiettivo di trasformare in senso verticistico l’assetto ordinamentale (28) della magistratura con una evidente ricaduta sulle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale.

Si potrebbe, a questo punto, dire, in maniera pessimistica, che il cerchio si chiude e che il sistema processuale civile e l’ordinamento giudiziario si adeguano alla logica del mercato limitando la funzione della giurisdizione a quella "produttivistica" della decisione di controversie i cui caratteri sono definiti altrove, in base ai rapporti di forza esistenti tra le parti del conflitto, abbandonando il processo, secondo la definizione di Salvatore Satta (29), " al dominio dei litiganti" e riducendo "il giudice, cioè lo Stato ad una semplice o anche complicata macchina per fabbricare sentenze" con un inevitabile progressivo svuotamento dell’effettività della tutela dei diritti sociali e di cittadinanza.

Tuttavia il percorso non è ancora segnato.

Sotto l’aspetto tecnico-giuridico, il progetto di privatizzazione del processo civile trova resistenze significative tra giuristi (30) ed operatori del diritto (31), e si fa rilevare, per un verso, come sia privo di senso stravolgere un modello processuale che è operativo, nella sua conformazione attuale, da poco più di due anni (e che, in questi anni, ha portato, peraltro, ad una sintomatica riduzione dei giudizi pendenti) e, per altro verso, che negli ordinamenti dove si sono adottati modelli processuali di tipo privatistico, si sono prodotti ritardi in precedenza sconosciuti ed un notevole aumento di costi per le parti.

La scelta del modello privatistico è, quindi, una opzione tutta ideologica, parallela alle scelte di "privatizzazione" di buona parte dei servizi pubblici, della scuola, della sanità.

Se ne deve, quindi, contestare la validità sotto il profilo funzionale ma, soprattutto, evidenziare l’insostenibilità in relazione ai principi generali dell’ordinamento poiché trascura la funzione propulsiva che la giurisdizione civile deve svolgere in vista della realizzazione dell’eguaglianza sostanziale com’è espressa "in quel capolavoro istituzionale" che è il secondo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione.

Tuttavia anche il disegno di privatizzazione della giustizia civile può essere sconfitto se nella società resterà forte la coscienza che anche "in un mondo in cui la venerazione esclusiva del calcolo economico offre legittimazione rinnovata alle nuove povertà e alle infinite logiche dell’esclusione" (32) i diritti non sono fatti (per richiamare il titolo di questo convegno), per i forti ma per i deboli e che anche in ciò sta, con la felice espressione di Carlo Verardi, l’insopprimibile politicità della giurisdizione civile.


1) RODOTÀ Repertorio di fine secolo, Bari, 1992, 92 ss. che riprende le famose riflessioni di MARSHALL Cittadinanza e classe sociale, Torino, 1976
2) PUGLIATTI Interesse pubblico ed interesse privato nel libro delle obbligazioni in Stato e diritto 1942, pag. 26 e ss. a conferma che l'idea della caduta dell'assolutezza del diritto di proprietà ed i raccordi tra esercizio dei poteri da parte del privato ed interessi della collettività ( sia pur con adattamenti, nel codice del 1942, allo schema corporativo) non è una acquisizione di anni recenti ma un punto d'arrivo della migliore cultura giuridica italiana ed europea del secolo scorso.
3) REVELLI Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo, 213 ss. in INGRAO - ROSSANDA. Appuntamenti di fine secolo, Roma, 1995.
4) Definizione data dall'OCSE e ripresa in NASSISI Postmoderno e globalizzazione, 119 in BONITO OLIVA-NASSISI Estetiche della globalizzazione, Roma, 2000 che evidenzia la globalizzazione è un processo che non coinvolge solo la sfera economica ma tende all'unificazione di modi di vita, linguaggi e culture ( incidendo, inevitabilmente, sui fenomeni artistici) e comporta, tuttavia, una divaricazione tra crescita quantitativa e qualità dello sviluppo umano.
5) Cass. Sez. Un. 21 gennaio 2002 n. 2515.
6) Cass. 16 marzo 1999 n. 2374 in Foro it. 1999, I, 1153; Cass. 30 marzo 1999 n. 3096 in Foro it. 1999, I, 1153 con note di PALMIERI e PARDOLESI, Cass. 11 novembre 1999 n. 12507 in Foro it., 2000, I, 451 con nota di PALMIERI.
7) Cass. 29 novembre 1996 n. 10657.
8) Cass. 17 novembre 2000 n. 14899 in Foro it. 2001, I, 80. L'interpretazione della corte è stata superata dalla legge 28 febbraio 2001 n. 24, adottata a seguito di una intensa campagna di stampa delle autorità bancarie e, di recente, giudicata, in sostanza, costituzionalmente legittima dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza 25 febbraio 2002 n.29.
9) Trib. Roma 21 gennaio 2000 Giud. Lamorgese in Foro it. 2000, I, 2045 e Trib. Roma 5 ottobre 2000 Giud. Ranieri, Movimento Federativo Democratico c/o Ania e Nuova Tirrena S.p.a. , pubblicate entrambe in questa rivista.
10) Trib. Milano 7 ottobre 1999 in Foro it. 2001, I, 141.
11) Questo fenomeno fu segnalato da Carlo Verardi nel suo intervento al XIII congresso di Magistratura democratica, svoltosi a Venezia nel novembre del 2000 e pubblicato sul Foro Italiano 2001, V, 359; già in precedenza ( RODOTÀ Repertorio di fine secolo, Bari, 1992, 173) si era rilevato come "l'arena giudiziaria" fosse "divenuta anche il luogo dove soggetti altrimenti esclusi dai tradizionali luoghi istituzionali" riuscivano "a far sentire la propria voce".
12) La definizione è di FABBRINI Potere del giudice (dir. proc. civ.) voce della Enciclopedia del diritto, XXXIV, Milano 721 e ss.
13) Legge 26 novembre 1990 n. 353 e successive modifiche.
14) PROTO PISANI Dodici anni di riforme per la giustizia civile, Foro it. 2001, V, 91
15)Si tratta della legge istitutiva dei giudici di pace ( legge 21 novembre 1991 n. 374) della legge istitutiva dei giudici onorari aggregati di Tribunale ( legge 22 luglio 1997 n. 276 e successive modificazioni), del decreto legislativo che ha istituito il giudice unico togato di primo grado ( decreto legislativo 19 febbraio 1998 n.52), della legge 16 dicembre 1999 n. 479 che ha devoluto ai giudici di pace ed ai giudici onorari di tribunale le controversie pendenti alla data del 30 aprile 1995 di competenza del Pretore.
16) CIVININI La crisi di effettività della giustizia civile in Europa, Questione giustizia, 1999, 325.
17) La centralità di un intervento sulla competenza è , tra gli altri, evidenziato in PROTO PISANI Il nuovo art. 111 Cost. e il nuovo processo civile in Foro it. 2000, V, 248
18) L'ultima pressante richiesta di interventi di questo tipo è contenuta nella mozione finale del congresso di Salerno della Associazione Nazionale Magistrati tenutosi dal 28 febbraio al 3 marzo 2002.
19) REVELLI Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e toyotismo, 215 ss. in INGRAO - ROSSANDA. Appuntamenti di fine secolo, Roma, 1995.
20) GRECO I diritti nella crisi della società del lavoro in AA. VV. Stato e diritti nel postfordismo, Roma, 1996, 107.
21) Lo ha ricordato, in questi giorni, Giovanni Palombarini sulla "mailing list" di MD nel suo intervento anche "Anche Nanni Moretti dovrà scegliere", pubblicato in questa rivista.
22) Ancora Carlo Verardi al convegno tenutosi all'Isola d'Elba nel giugno 2000 si interrogava sul rischio della privatizzazione della giustizia civile.
23) V. d. lgs. n. 80/1998 e l. n. 205/2000.
24) Spetta alla Corte costituzionale proprio in questi giorni decidere sulla questione sollevata dal Tribunale di Roma ( Trib. Roma 16.11.2000 in Corriere Giuridico) di legittimità costituzionale di questa riforma.
25) Relazione illustrativa al progetto di legge n.4703 della XIII° Legislatura.
26) E' appena il caso di citare il contenuto dell'art. 183 c.p.c. (comma 1: "nella prima udienza di trattazione il giudice istruttore interroga liberamente le parti presenti e, quando la natura della causa lo consente, tenta la conciliazione"; comma 3: "il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuno la trattazione")
27) Da ultimo pur esprimendosi contro la "privatizzazione" vi è stata la richiesta da parte della A.N.F. di limitare nella prima fase "l' intervento del Magistrato in tale fase, o dell'Ufficio del Giudice"solo"per la definizione di eventuali aspetti controversi".
28) La relazione che accompagna il disegno di legge indica espressamente l'obiettivo, in palese contrasto con l'art. 107 comma 3 della Costituzione, di restituire "la Suprema Corte … al suo compito connaturale di vertice della magistratura ordinaria …"
29) Ripresa da PROTO PISANI Appunti e prospettive per il processo civile in Foro it. 2002, V, 1
30) Per una recente riflessione sul tema della riforma del processo civile e sui limiti della proposta definita "miracolistica" della maggioranza parlamentare cfr. PROTO PISANI Appunti e prospettive per il processo civile cit.
31) Cfr. la già citata mozione finale del congresso di Salerno della Associazione Nazionale Magistrati tenutosi dal 28 febbraio al 3 marzo 2002.
32) RODOTÀ Repertorio di fine secolo, Bari, 1992, 102


* Relazione al Convegno "Il diritto dei forti" del 18.3.2002, organizzato da questa Rivista.


 

 

 

 

 

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