REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
2a SEZ. CIV.
in persona del giudice, dott. Antonio Lamorgese, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa di primo grado iscritta al n. 50397 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 1997, trattenuta in decisione all'udienza di discussione del 18-11-1999, promossa da
MOVIMENTO FEDERATIVO DEMOCRATICO
associazione con sede in Roma, v. Pompeo Magno n. 10/b, in persona del segretario
nazionale e legale rappresentante, Giovanni Moro, rappresentata e difesa,
per delega in atti, dagli avv.ti Sergio e Andrea Barenghi, presso il cui studio
in Roma, v. Monte Santo n. 2, è elettivamente domiciliata
nei confronti di
ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA
con sede in Roma, in persona del presidente e legale rappresentante p.t.,
Maurizio Sella, rappresentata e difesa, per delega in atti, dagli avv.ti Salvatore
Maccarone e Lucia Stazi, presso il cui studio in Roma, v. dei Crociferi n.
44, è elettivamente domiciliata - convenuta
BANCA POPOLARE DI MILANO SOC. COOP. R.L.
con sede in Milano, p.za F. Meda n. 4, in persona dei legali rappresentanti,
Gianfranco Toni e Adriano Parrini, rappresentata e difesa, per delega in atti,
dagli avv.ti Giorgio De Nova e Salvatore Maccarone, presso il cui studio in
Roma, v. dei Crociferi n. 44, è elettivamente domiciliata - convenuta
BANCA FIDEURAM S.P.A.
con sede in Milano, c.so di Porta Romana n. 46, in persona dell'amministratore
delegato, Ugo Ruffolo, rappresentata e difesa, per delega in atti, dagli avv.ti
Emilio Girino e Francesco Ruggieri, presso il cui studio in Roma, v. Gramsci
n. 54, è elettivamente domiciliata - convenuta - convenuto
con l'intervento di
COMITATO CONSUMATORI ALTROCONSUMO
con sede in Milano, v. Valassina n. 22, in persona del presidente e legale
rappresentante, Paolo Martinello, rappresentato e difeso, per delega in atti,
dagli avv.ti Sergio e Andrea Barenghi, presso il cui studio in Roma, v. Monte
Santo n. 2, è elettivamente domiciliato - interventore
Conclusioni: come da verbale di udienza del 7-7-1999
ed allegati.
Ogg.: contratti bancari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 17-12-1997, il
Movimento Federativo Democratico (MFD) ha convenuto in giudizio l'Associazione
Bancaria Italiana (ABI), la Banca Popolare di Milano (BPM) e la Banca Fideuram
(BF) e chiesto al giudice di accertare, ai sensi degli artt.1469 bis ss. c.c.,
la vessatorietà e, di conseguenza, di inibire l'utilizzazione - tanto
nei rapporti futuri che in quelli già in essere - di ottantasei clausole
contenute nelle condizioni generali di contratto <<utilizzate, raccomandate,
auspicate o suggerite>> dall'ABI (elencate dai nn. 72 a 86) ed <<utilizzate>>
dalla BPM (nn. 1-42) e dalla BF (nn. 43-71), di ordinarne la rettifica mediante
lettera circolare con la menzione degli estremi del presente giudizio, da
indirizzare, quanto alle predette banche, alla clientela e, quanto all'ABI,
alle associate e di disporre la pubblicazione integrale o per estratto dell'emananda
sentenza, a cura e spese dei convenuti, sui quotidiani nazionali Il Sole
24 Ore, La Repubblica, Il Corriere della Sera, con rifusione delle spese
processuali.
I convenuti, costituitisi separatamente, hanno chiesto il rigetto delle domande
attoree, con rifusione delle spese processuali, deducendo: la carenza di legittimazione
attiva del MFD, passiva dell'ABI, l'inammissibilità ed infondatezza
delle domande.
Con ordinanza in data 18-6-1998 il g.i. ha rigettato il ricorso cautelare
proposto dal MFD, ai sensi degli artt.1469 sexies, comma 2, c.c. e 669 bis
ss. c.p.c.., al fine di far accertare con urgenza la vessatorietà di
alcune delle clausole già impugnate e di inibirne ai convenuti l'utilizzazione.
All'udienza del 3-3-1999, fissata per i provvedimenti ex art.184 c.p.c., ha
proposto intervento volontario nel processo il Comitato difesa consumatori
Altroconsumo (CCA) che ha chiesto l'accoglimento delle domande proposte dal
MFD e la rifusione delle spese processuali.
All'udienza del 7-7-1999, cui è seguita la discussione orale il 18-11-1999,
le parti hanno precisato le conclusioni:
1) il MFD ha confermato le conclusioni iniziali riducendo (anche rispetto
a quelle indicate in sede di precisazione delle domande ex art.183, comma
4-5, c.p.c.) il numero delle clausole impugnate a quelle (in totale quarantadue)
identificate con i nn. 72, 77-78, 83-84 dell'ABI, nn. 2, 4-8, 14-17, 23-24,
30-31, 32, 35, 37-42 della BPM e nn. 44, 46-52, 54, 56-59, 62 e 66 della BF
e confermando la richiesta (già precisata in corso di causa) di ordinare
alle banche <<la eliminazione e la rettifica mediante eliminazione
dei motivi di vessatorietà nonché, in secondo luogo ed ove ciò
sia ritenuto necessario, la positiva rettifica delle condizioni generali di
contratto con lettera da indirizzare (
)>>;
2) i convenuti hanno confermato le conclusioni iniziali e riproposto le eccezioni
di inammissibilità dell'intervento del CCA e della domanda attorea,
considerata <<nuova>>, di <<positiva rettifica
delle condizioni generali di contratto>>;
3) l'interventore ha aderito alle conclusioni del MFD.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) L'ammissibilità dell'intervento del CCA.
Il CCA ha proposto, ai sensi dell'art.105 c.p.c., intervento volontario, qualificato
"in via autonoma e litisconsortile", all'udienza fissata
per i provvedimenti di cui all'art.184 c.p.c. (dopo la presentazione delle
memorie autorizzate delle parti ex art.183, ultimo comma, c.p.c.) e chiesto
l'accoglimento delle domande del MFD.
I convenuti hanno eccepito la tardività e, quindi, l'inammissibilità
dello stesso.
Benché l'art.268, comma 1, c.p.c. - a norma del quale <<L'intervento
può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni>>
- non sia stato modificato dalle recenti novelle processuali, una parte della
dottrina, alla quale i convenuti fanno riferimento a sostegno della propria
eccezione, ha ritenuto che il sistema di preclusioni semirigido, qual è
quello introdotto dal legislatore degli anni '90, abbia inciso anche sul regime
dell'intervento in causa. Secondo questa dottrina, il citato art.268, comma
1, c.p.c. riguarderebbe soltanto il cosiddetto intervento adesivo dipendente,
che è quello con il quale non viene fatto valere un diritto proprio
ma si vogliono sostenere le ragioni di una delle parti del processo: il terzo,
in tal caso, non proponendo una domanda autonoma, potrebbe intervenire sino
all'udienza di precisazione delle conclusioni e subirebbe soltanto le limitazioni
alla propria attività processuale previste nel successivo comma 2 (<<Il
terzo non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono
più consentiti ad alcuna altra parte
>>); gli interventi
adesivo autonomo (o litisconsortile), con il quale viene fatto valere un diritto
autonomo ma solo nei confronti di una delle parti del processo, ovvero principale,
con il quale viene affermata l'esistenza di un diritto incompatibile rispetto
a quello di cui sono portatrici tutte le parti originarie del processo, concretandosi
proprio nella formulazione di domande nuove rispetto a quelle introdotte dalle
parti originarie, incorrerebbero nelle preclusioni operanti nei confronti
delle parti originarie, con la conseguenza che, se l'interesse del terzo sorge
dalla domanda attrice, egli deve intervenire (e proporre le domande) nel termine
fissato dagli artt.166 e 167 c.p.c. per la costituzione del convenuto (o quanto
meno nei venti giorni prima della prima udienza di trattazione ex art.183
c.p.c.), analogamente a quanto è disposto dall'art.419 c.p.c. nel rito
del lavoro.
Rilevante ai fini della soluzione del problema è la qualificazione
dell'intervento del CCA, che è condivisibile ritenere come autonomo-litisconsortile:
l'effetto processuale della domanda del CCA, benché limitata all'accoglimento
delle domande del MFD, dà luogo indubbiamente, nonostante la sostanziale
identità delle azioni (del MFD e del CCA) nel petitum e nella
causa petendi, all'ampliamento del tema decisorio, il quale dovrà
riguardare anche la valutazione del fatto costitutivo dell'azione ex art.1469
sexies c.c. sotto il profilo soggettivo, con riferimento al requisito della
rappresentatività dell'associazione intervenuta, cioè della
titolarità in capo alla stessa dell'interesse ad agire nell'interesse
dei consumatori e degli utenti.
La tesi poc'anzi riassunta non è condivisibile. Si osserva, infatti,
che: a differenza di quanto stabilito nel rito del lavoro (v. art.419 c.p.c.),
l'art.268 c.p.c. non prevede affatto che l'intervento debba avvenire entro
il termine stabilito per la costituzione del convenuto ma, al contrario, ammette
l'intervento di terzi, senza alcuna distinzione, fino al momento della precisazione
delle conclusioni; l'asserita inammissibilità dell'intervento principale
e litisconsortile, in quanto avvenuto oltre il termine per la costituzione
del convenuto ovvero dopo la prima udienza di trattazione, sembra porsi in
contrasto anche con la qualità di parte che il terzo acquista per effetto
della mera costituzione in giudizio, ai sensi dell'art.267 c.p.c. (è
significativo che, con riguardo all'art.419 c.p.c., si sia ritenuto che l'interventore
tardivo resta pur sempre parte del giudizio, tanto da essere legittimato a
proporre regolamento di giurisdizione: v. Cass. n. 3097/1985, Giur. it.,
1987, 354); se l'art.344 c.p.c. consente finanche in appello l'intervento
dei terzi (tra i quali rientrano gli interventori principale ed adesivo autonomo)
che potrebbero proporre opposizione ai sensi dell'art.404 c.p.c., ancorché
tale intervento costituisca indubbiamente una domanda nuova, inammissibile
in sede di gravame ex art. 345 c.p.c., non si vede per quale ragione lo stesso
intervento non debba essere consentito anche in primo grado; dubbi potrebbero
sorgere, al più, per l'ipotesi in cui il terzo debba svolgere anche
un'attività istruttoria e probatoria, mentre, qualora l'unica attività
sia quella assertiva (che è coessenziale all'intervento principale
e litisconsortile: v. Cass. 14-5-1999, n. 4771), nessuna preclusione può
dirsi operante nei confronti dell'interventore, verso il quale non vale infatti
il divieto, che vincola le parti originarie, di proporre domande nuove (la
citata sent. n. 4771/99 ha stabilito che la preclusione sancita dall'art.
268, comma 2, c.p.c. riguarda soltanto l'attività istruttoria che l'interventore
non può svolgere qualora, per la fase avanzata del procedimento, la
stessa non sia più consentita alle parti originarie; v. Trib. Milano,
1-7-1997, Giur. it., 1998, 1156, in motiv., che ha stabilito l'ammissibilità
dell'intervento adesivo autonomo sino all'udienza di precisazione delle conclusioni).
L'intervento del CCA, pertanto, deve ritenersi ammissibile, anche in considerazione
del fatto che è stato pienamente rispettato il diritto di difesa dei
convenuti (ai quali è stato concesso, sull'accordo delle parti, il
termine per memorie di replica) e che nessuna attività istruttoria/probatoria
è stata chiesta e svolta dallo stesso interventore.
2) La legittimazione attiva del MFD e del CCA.
2 a) La rilevanza della legge 30 luglio 1998, n. 281 (Disciplina dei diritti
dei consumatori e degli utenti).
I convenuti hanno eccepito il difetto di legittimazione ad agire del MFD,
per mancanza dei requisiti di rappresentatività stabiliti dall'art.5
della citata l. n. 281/98 (che ha attuato la dir. 98/27/CE), a norma del quale
è stato costituito presso il Ministero dell'industria un elenco (nel
quale il CCA è stato iscritto con d.m. industria del 13 settembre 1999)
delle associazioni dei consumatori e degli utenti (in possesso di determinati
requisiti: avvenuta costituzione da almeno tre anni, ordinamento a base democratica,
scopo esclusivo della tutela dei consumatori e degli utenti, attività
continuativa nei tre anni precedenti, numero di iscritti non inferiore a determinati
limiti parametrati in misura percentuale sulla popolazione nazionale ecc.)
ritenute rappresentative sul piano nazionale ed alle quali è stata
attribuita la legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi
di tali categorie (v. art.3).
Tale legge, quindi, avrebbe interpretato in modo autentico e con effetti retroattivi
la norma di cui all'art.1469 sexies cit., che attribuisce, invece, senza ulteriori
specificazioni, alle associazioni ritenute di volta in volta dal giudice <<rappresentative
dei consumatori (
)>> la legittimazione ad agire in giudizio
per far inibire l'uso di clausole e condizioni di cui sia accertata la vessatorietà,
secondo i parametri stabiliti dalla legge 6 febbraio 1996, n. 52 (attuativa
della dir. 93/13/CE).
L'entrata in vigore successivamente all'introduzione del presente giudizio
sarebbe argomento sufficiente per escludere la rilevanza della legge n. 281/98
ai fini della valutazione della "rappresentatività" e, quindi,
della legittimazione del MFD ma tale conclusione è sostenuta anche
da altre considerazioni.
L'operatività dell'elenco previsto dal citato art.5 della l. n. 281/98,
cui consegue l'asserito effetto costitutivo della legittimazione ad agire,
non ha coinciso con l'entrata in vigore della l. n. 281/98 ma è stata
differita al 31 dicembre 1999, data successiva anche all'udienza di discussione
della presente causa, sicché non è possibile affermare a priori
la carenza di legittimazione del MFD per la mancata iscrizione a tale elenco.
Nonostante la contraria affermazione del Consiglio di Stato (v. ord. sez.
VI, 15 dicembre 1998, n. 1884, Codacons c. Ministero trasporti, Foro it.,
1999, III, 74), è ragionevole ritenere che la partecipazione al Consiglio
nazionale dei consumatori e degli utenti per effetto della norma transitoria
di cui all'art.8 (in forza della quale, fino al 31 dicembre 1999, tale organo
avente funzioni consultive e propulsive in materia, istituito dall'art. 4
della l. n. 281 cit., è composto dai membri della Consulta dei consumatori
istituita presso il Ministero dell'industria) sia sintomatica anche della
legittimazione del MFD ad agire, in fase transitoria, per la tutela dei diritti
e degli interessi dei consumatori.
La contestazione dei convenuti circa la partecipazione del MFD alla Consulta
dei consumatori e poi al Consiglio nazionale, è contraddetta dal d.m.
11-11-1994 (v. doc. 4/attore) nel quale risulta che Giustino Trincia, vicesegretario
nazionale del MFD (v. verbale notarile allegato allo statuto del MFD in data
16-7-1993 ed atto costitutivo in data 3-4-1981, docc. 2-3), è componente
della Consulta.
Ulteriore argomento, di carattere generale, a sostegno dell'affermata irrilevanza,
nella presente controversia, dei parametri stabiliti dalla l. n. 281/98 in
punto di legittimazione delle associazioni dei consumatori, deriva dal principio
(che è pertinente richiamare data la premessa dei convenuti secondo
cui la nuova legge sarebbe votata a regolamentare l'intera materia degli interessi
collettivi dei consumatori e degli utenti) espresso dal brocardo lex posterior
generalis non derogat priori speciali, in considerazione della specialità
della precedente normativa introdotta dall'art.1469 bis ss. (v. sexies), che,
nella particolare materia dei contratti di cui siano parti consumatori, ha
attribuito a qualunque associazione, di cui il giudice possa apprezzare la
rappresentatività senza particolari limitazioni, il potere di chiedere
al giudice di inibire l'uso di clausole di cui sia accertata l'abusività
(a differenza della tutela inibitoria generale ed atipica azionata dalle associazioni
rappresentative ex lege, ai sensi dell'art.3 della l. n. 281/98).
Una diversa interpretazione, che limitasse la legittimazione ex art.1469 sexies
cit. solo alle associazioni iscritte nell'elenco di cui all'art.5 l. n. 281/98,
finirebbe per frustrare lo spirito della riforma introdotta dalla legge n.
52 del 1996 che è di tutelare il consumatore rispetto alle pratiche
negoziali illecite, obiettivo al qual ben può contribuire l'azione
di associazioni non iscritte in quell'elenco, e porrebbe dubbi di costituzionalità
(in riferimento agli artt.3 e 24 Cost.) in quanto finirebbe per incidere sfavorevolmente
su situazioni giuridiche soggettive preesistenti, quali sono quelle degli
enti esponenziali che, pur essendo rappresentative secondo parametri diversi,
verrebbero ad essere private della tutela giurisdizionale, con ripercussioni
sull'interesse dei singoli associati; inoltre, sarebbe contraddittoria rispetto
alla stessa l. n. 281/98 che, all'art.1, comma 2, lett. f), ha riconosciuto
il fondamentale diritto <<alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo
libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti>>.
Si può aggiungere che, nel nostro ordinamento, il riconoscimento della
legittimazione ad agire consegue direttamente alla titolarità di un
interesse giuridico in capo al soggetto, sia esso individuale o soggettivo,
che intende impugnare l'atto di cui trattasi (v. gli artt.26 del r.d. 26 giugno
1924, n. 1054, che attribuisce al Consiglio di Stato di decidere sulle impugnative
contro atti o provvedimenti <<che abbiano per oggetto un interesse
di individui o di enti morali giuridici
>>, e 9 della l. 7-8-1990,
n. 241, che <<nel prevedere l'azionabilità degli interessi
"diffusi" nell'ambito del procedimento amministrativo estende la
loro tutela a qualunque specie
>>: in tal senso, v. Tar Puglia,
19-5-1994, n. 958, Foro amm., 1994, 2209); è anche significativo
che, sulla base di questa implicita premessa, il Consiglio di Stato (sez.
VI, 7-2-1996, n. 182, Foro it., 1996, 496; conf. Tar Sardegna, 25-5-1992,
n. 610, in Rep. Foro it., 1994, voce Ambiente, n. 122),
annullando la sentenza di primo grado che aveva ritenuto il difetto di legittimazione
ad agire di un'associazione di tutela dell'ambiente che, all'epoca del ricorso,
non era riconosciuta in sede amministrativa, abbia stabilito il seguente principio:
<<L'art.18 l. 8 luglio 1986 n. 349 ha introdotto un duplice sistema
di accertamento della legittimazione ad agire in giudizio delle associazioni
ambientaliste, nel senso che l'esistenza di un potere di individuazione del
ministro dell'ambiente, ai sensi dell'art.13 l.cit., non esclude il concorrente
potere del giudice dei accertare, caso per caso, la sussistenza della legittimazione
di una determinata associazione ad impugnare provvedimenti lesivi di interessi
ambientali>>.
2 b) La "rappresentatività" del MFD.
Per decidere sulla legittimazione ad agire del MFD e del CCA occorre aver
riguardo alla loro "rappresentatività", secondo quanto stabilito
dall'art.1469 sexies c.c., che, tuttavia, non precisa i criteri da adottare
a tal fine ma rimette all'interprete il compito di effettuare tale valutazione
caso per caso.
La giurisprudenza ha elaborato i criteri sulla base dei quali, come già
ritenuto da questo tribunale in analoghi giudizi promossi dal MFD (in tal
senso, v. ord., 8-5-1998, Foro it., 1998, 1989; 27-7-1998 e 29-7-1998,
ivi, 3331), può essere affermata la legittimazione ad agire
della suddetta associazione, avendo riguardo, in particolare: alle previsioni
statutarie, i cui artt.2 e 43 evidenziano la tutela degli interessi dei consumatori
tra gli scopi del MFD (<<Il Movimento promuove e sostiene azioni
individuali e collettive dirette a prevenire, a limitare o a rimuovere posizioni
di soggezione e di sudditanza, situazioni di sofferenza, di disagio e di discriminazione,
pericoli per le libertà individuali e collettive, attentati all'integrità
fisica e psichica e alla dignità delle persone, che si producono, in
particolare, negli ambiti dei servizi pubblici e sociali, dell'informazione,
dei consumi privati>>; <<il Movimento pone la sua azione
nel contesto europeo e internazionale e all'interno del più vasto movimento
consumerista. Esso agisce per la tutela dei diritti dei consumatori e degli
utenti e a salvaguardia dell'ambiente, del territorio e della salute individuale
e collettiva>>), non potendosi attribuire rilievo negativo alla
concomitanza con quello consumeristico di altri scopi, strettamente connessi
con quelli tradizionali di tutela del consumo, funzionali alla tutela dei
diritti di cittadinanza in senso lato e di libertà (anche economica)
del cittadino; alla partecipazione ad organismi pubblici (si è detto
della presenza del movimento alla Consulta dei consumatori e poi al Consiglio
nazionale dei consumatori e degli utenti); al riconoscimento ottenuto da autorità
pubbliche (la Direzione generale XXIV della Commissione europea ha accordato
al MFD il sostegno al progetto di azioni giurisdizionali a tutela dei consumatori
di cui è espressione anche la presente controversia: v. docc. b, g,
h); alla serietà, dimostrata anche dall'organizzazione di convegni
sui temi in questione, dell'attività di monitoraggio e controllo svolta
dal movimento a tutela degli utenti in vari settori (postale, ferroviario,
sanitario, del catasto ecc.: v. docc. a, d, e, f), alla capillarità
dell'organizzazione, al radicamento su gran parte del territorio nazionale
e, seppur non vi sia prova del numero di iscritti, al numero consistente dei
simpatizzanti (circa 350mila è il numero dei partecipanti alle elezioni
primarie del movimento) (v. doc. a).
2 c) La "rappresentatività" del CCA.
La generica contestazione al riguardo svolta dall'ABI non è condivisibile.
La legittimazione ad agire ex art.1469 sexies cit. è stata riconosciuta
al CCA in analoghi giudizi (v. Trib. Torino, 4-10-1996, 16-8-1996, 14-8-1996,
in Foro it., 1997, 287 ss.; 7-6-1999, CCA c. Autoset s.a.s. e Citroen Italia
s.p.a.; 16-4-1999, CCA c. Fiat Auto s.p.a. e Progetto s.p.a.); lo scopo di
<<promuovere e difendere gli interessi dei consumatori e degli utenti
di beni e servizi (
)>> è espresso nello statuto (v.
art. 2 - doc. 1/CCA); si è già detto che la suddetta associazione
è stata recentemente iscritta nell'elenco delle associazioni rappresentative
dei consumatori, di cui all'art.5 della citata l. n. 281/98; ha fatto parte
della Consulta dei consumatori ed attualmente del Consiglio nazionale dei
consumatori e degli utenti presso il Ministero dell'industria; ha un numero
rilevante di iscritti (300mila); è componente di importanti organismi
internazionali competenti in materia di difesa degli interessi dei consumatori
e degli utenti (es. il Bureau Europeen des Unions de Consommateurs di Bruxelles,
l'European Consumer Law Group di Bruxelles, il Consumers International
- v. docc. 3, 4, 5).
3) La legittimazione passiva dell'ABI.
L'ABI ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva sul presupposto
che le banche associate sarebbero del tutto libere di utilizzare gli schemi
contrattuali da essa elaborati e diffusi mediante circolari; difettando, quindi,
il rapporto con i consumatori, l'ABI non avrebbe interesse rispetto a quell'utilizzazione
e non rappresenterebbe un'associazione di professionisti nei cui confronti
sia possibile pronunciare l'inibitoria di cui all'art.1469 sexies c.c.
L'eccezione è infondata. L'art.7, n. 3, della direttiva CE individuava
come legittimati passivi dell'azione inibitoria in materia di condizioni vessatorie
i professionisti o le associazioni di professionisti che utilizzano <<o
raccomandano>> l'inserzione delle clausole; l'art.1469 sexies cit.
ha stabilito che possono essere convenuti in giudizio <<il professionista
o l'associazione di professionisti che utilizzano condizioni generali di contratto
>>.
In applicazione del noto principio secondo cui il diritto interno, specie
se di derivazione comunitaria, dev'essere interpretato in modo conforme alla
lettera ed allo scopo della norma comunitaria, facendo optare per soluzioni
ermeneutiche che portino a conseguire il medesimo risultato di quest'ultima
(v. Corte Giust., 13-11-1990, causa C-106/89, Marleasing c. La Comercial Internacional,
Racc., 1990, I, 4135), la formula espressa dal legislatore italiano
(<<che utilizzano>>) dev'essere interpretata in senso conforme
a quella del testo della direttiva (<<utilizzano o raccomandano>>),
anche in considerazione del fatto che, a norma dell'art.8 della direttiva,
lo Stato italiano non poteva stabilire disposizioni più restrittive
nella tutela dei consumatori rispetto a quelle previste dalla stessa direttiva.
La ragionevolezza di tale soluzione si evince anche dal rilievo che qualora
il legislatore italiano avesse voluto effettivamente intendere che solo le
associazioni di professionisti che utilizzano le clausole (cioè che
stipulino contratti individuali sulla base di condizioni generali predisposte)
possono essere destinatarie di un ordine inibitorio, non avrebbe avuto senso
far espresso riferimento nell'art.1469 sexies c.c. alle associazioni di professionisti
(le quali, infatti, non concludono contratti con i consumatori), essendo stato
sufficiente, a questo fine, il riferimento alla sola categoria dei professionisti.
Nel concetto di utilizzazione devono farsi rientrare anche i comportamenti
che indirettamente e mediatamente sono funzionali all'inserzione delle condizioni
generali nei moduli e formulari usati dai terzi professionisti nei contratti
individuali con i consumatori, cioè ogni attività di predisposizione
di condizioni che siano destinate ad essere utilizzate nelle negoziazioni
delle imprese associate con i singoli consumatori (v. Trib. Roma, 8-5-1998,
cit., che ha affermato la legittimazione passiva dell'associazione nazionale
delle imprese di assicurazione, e Trib. Torino, 4-10-1996, 7-6-1999 e 16-4-1999
cit., che ha ritenuto ammissibile l'inibitoria nei confronti tanto del concessionario
in qualità di diretto utilizzatore delle condizioni generali quanto
della casa costruttrice che ne raccomanda l'utilizzazione).
Una diversa interpretazione (già paventata dalla commissione europea
che, con lettera n. SG-98-D/2844 del 6-4-1998, ha avviato una procedura di
infrazione, n. 98/2026, nei confronti del Governo italiano, ai sensi dell'art.
169 Trattato CE) determinerebbe un contrasto della norma italiana rispetto
a quella comunitaria e ne giustificherebbe la disapplicazione.
Nel caso in questione, non può esservi dubbio sul valore di raccomandazione
o di suggerimento dei testi contrattuali predisposti dall'ABI. Infatti,
come risulta dalla decisione della Commissione comunitaria del 12-12-1986
(in GUCE L 43 del 13-2-1987, n. 51), l'ABI è un'associazione di imprese
che raccomanda alle banche associate di adottare le norme uniformi elaborate
in comune con (e vincolanti per) le stesse banche al fine di determinarne
un comportamento unitario, con il conseguente notorio effetto che per il cliente
non esiste pratica possibilità di sottrarsi alle condizioni generali
che gli sono sottoposte, attesa l'uniformità delle condizioni proposte
dalla totalità (o quasi) delle imprese bancarie (è significativo
che tali condizioni generali siano adottate dalle aziende di credito <<sotto
gli auspici dell'Associazione bancaria italiana>>: v., ad es., i
contratti di deposito titoli della BPM e di conto corrente di corrispondenza
e servizi connessi della BNL - docc. 6, 16 MFD); la Banca d'Italia ha invitato
l'ABI (v. provv. in data 3-12-1994, n. 12, in Banca e Borsa, 1995,
II, 393) a modificare talune disposizioni contenute nei contratti tipo che
integravano gli estremi delle intese limitative della concorrenza, con ciò
riconoscendo che le raccomandazioni rivolte alle imprese associate producono
effetti sul mercato e, quindi, direttamente nei confronti dei consumatori
(né è rilevante, per negare la natura di raccomandazione
delle norme bancarie uniformi, che la Corte di Giustizia CE, con sent.
del 21-1-1999, Foro it., IV, 130, pur in realtà implicitamente
riconoscendo l'esistenza nel caso di specie di un'intesa tra imprese, abbia
negato la violazione degli artt.85, n. 1, e 86 del Trattato CE da parte di
alcune di queste norme riguardanti determinate operazioni bancarie); l'ABI,
inoltre, come riferito dalla convenuta BPM, ha promosso un protocollo d'intesa
con alcune associazione di consumatori e cioè negoziazioni collettive
per conto e nell'interesse delle imprese bancarie, il che dimostra che trattasi
di schemi negoziali destinati ad essere recepiti dalle imprese associate nella
propria attività negoziale con i consumatori e gli utenti.
4) Il controllo di vessatorietà delle clausole impugnate (riguardanti
il recesso unilaterale della banca, l'individuazione del foro competente ed
il trattamento dei dati personali) nei contratti non stipulati da consumatori,
identificate dall'attore con i nn. 5 (art 6, lett. c, delle norme BPM per
i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi - mod. 2873, ed. 10/96
- doc. 5 MFD), 17 (art. 19 delle norme BPM citate), 30 (art. 19, erroneamente
indicato come 18, dei contratti BPM di negoziazione, sottoscrizione, collocamento
e raccolta ordini concernenti valori mobiliari - mod. 3785, ed. 9/96 - doc.
7), 38 (art. 28 delle norme BPM per il servizio delle cassette di sicurezza
- mod. 3018, ed. 6/96 - doc. 9), 42 (punto 4 della domanda BPM di finanziamento
a medio termine - mod. 5057, ed. 11/96 - doc. 11), 47 (art. 8, comma 1, delle
norme BF sulla prestazione dei servizi bancari e finanziari - mod. 072N01,
dal 16/9/96 - doc. 12), 57 (art. 17 delle norme BF citate).
Ad avviso del MFD e del CCA la tutela generale-preventiva, qual è quella
inibitoria prevista dall'art.1469 sexies c.c. rispetto alle condizioni generali
abusive, sarebbe ammissibile anche indipendentemente dalle limitazioni soggettive
stabilite per la tutela individuale dall'art.1469 bis ss. c.c. che è
riferita, formalmente, solo ai contratti di cui siano parti il consumatore
(<<persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta>>) ed il professionista
(<<persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro
della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizza il contratto
>>).
Tale assunto, a prescindere dal profilo concernente la legittimazione del
MFD e del CCA ad agire nell'interesse anche dei professionisti, non è
condivisibile in considerazione dell'intitolazione (<<dei contratti
del consumatore>>) della disciplina in esame (v. capo XIV bis, tit.
II, libro IV c.c.), delle ragioni ispiratrici della direttiva 93/13/CE e della
lettera dell'art.1469 sexies c.c. che consente al giudice di inibire <<l'uso
delle condizioni di cui sia accertata l'abusività ai sensi del presente
capo>> (v. Trib. Palermo, 22-10-1997, in Foro it., 1997,
3387).
Seguendo la diversa interpretazione, l'accoglimento dell'azione inibitoria
collettiva nei rapporti endocommerciali produrrebbe effetti anche sul piano
individuale, rispetto al quale, contraddittoriamente, non sarebbe invece ammessa
la tutela per il singolo professionista.
Si sostiene anche che non avrebbe avuto senso, altrimenti, l'attribuzione
della legittimazione all'azione collettiva in questione alle <<associazioni
rappresentative dei consumatori e dei professionisti e (
) Camere di
commercio
>> (art.1469 sexies, c.c.).
Si può replicare, tuttavia, come già rilevato dalla dottrina,
che la legittimazione attiva delle associazioni di categoria dei professionisti
all'azione collettiva si giustifica in considerazione dell'interesse ad ottenere
la cessazione degli atti di concorrenza sleale tra professionisti concorrenti
che, per compensare l'uso di clausole inique nei confronti dei consumatori,
potrebbero essere indotti ad una sleale riduzione dei prezzi, così
come l'interesse ad esercitare un'attività di stimolo e controllo sullo
svolgimento dei rapporti concorrenziali giustifica la legittimazione delle
camere di commercio.
Si sostiene anche che la nozione di consumatore dovrebbe essere valutata con
riferimento all'effettiva debolezza del soggetto nel rapporto contrattuale,
sicché dovrebbe essere considerato tale, ed essere ammessa la tutela
sia individuale che collettiva, anche colui che, pur essendo professionista,
non lo sia nello specifico ramo di attività cui si riferisce la contrattazione,
cosa che si verifica normalmente nei rapporti con le banche.
La denuncia di vessatorietà in esame con riguardo a condizioni generali
nell'ambito dei rapporti contrattuali tra le imprese bancarie ed altri professionisti,
non è ammissibile neanche da tale punto di vista, perché contraddittoria
ed irrilevante: se presuppone, come sembra, i concetti di professionista/consumatore
e la loro reciproca distinzione, sarebbe volta ad ottenere un'interpretazione
della nozione di consumatore (inteso come soggetto debole e meritevole di
tutela contro le pratiche negoziali abusive a prescindere da qualificazioni
formali) che potrà essere rilevante se effettuata caso per caso nell'ambito
del giudizio individuale-successivo (nel quale si potrà controvertere
sulla sussistenza delle condizioni soggettive stabilite dall'art.1469 bis,
comma 1-2, c.c. per l'ammissibilità della tutela contro le pratiche
negoziali abusive) ma non in quello collettivo ex art. 1469 sexies c.c., nel
quale la qualificazione soggettiva del consumatore (rectius, della
categoria dei consumatori) come parte sostanziale del rapporto (e beneficiaria
dell'ordine di inibitoria) è effettuata a livello generale ed astratto
e precede il giudizio di vessatorietà delle singole condizioni; qualora
invece la denuncia in esame miri ad eliminare la distinzione soggettiva in
questione, allora l'infondatezza di tale prospettazione deriva dalle considerazioni
già fatte.
Pertanto, la domanda di inibitoria riguardante le clausole sopra menzionate
riguardanti rapporti negoziali in cui siano parti soggetti non consumatori
dev'essere rigettata.
5) La prova della vessatorietà con riguardo alle altre clausole
impugnate (nei contratti in cui sia parte un consumatore).
I convenuti hanno eccepito l'inammissibilità della domanda sotto il
profilo della mancanza di prova in ordine alla vessatorietà delle clausole
impugnate, cioè alla sussistenza <<a carico del consumatore
[di] un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto>> (art.1469 bis, comma 1, c.c.).
L'eccezione è infondata. Si premette che la denuncia del MFD e del
CCA riguarda un numero rilevante di clausole contrattuali standard (identificate
con sufficiente chiarezza) considerate dal punto di vista dell'oggetto e degli
effetti con specifico ed argomentato riferimento alle ragioni per le quali
è fatta valere la presunzione di vessatorietà stabilita dagli
artt.1469 bis, comma 3, e 1469 quinquies, comma 2, c.c. ovvero è dedotta
caso per caso la violazione del principio di trasparenza (artt.1469 ter, comma
2, e 1469 quater c.c.) ovvero è richiamato, non essendo il giudice
vincolato all'elenco (<<indicativo e non esauriente>>:
art. 3, n. 3, dir. 93/13/CE) delle clausole che si presumono abusive, il significativo
squilibrio tra le parti dei diritti ed obblighi derivanti dal contratto (art.1469
bis, comma 1, c.c.).
Tale riferimento consente di ritenere assolto, in via generale (salvo che
per le clausole nn. 83-84), l'onere di allegazione che incombe all'attore
in sede inibitoria ex art.1469 sexies c.c., nel cui particolare ambito, trattandosi
di una forma di tutela generale-preventiva, la vessatorietà è
espressione di un giudizio di carattere astratto più che un fatto che
deve essere dimostrato in concreto con riguardo alla dinamica e specificità
del singolo rapporto (a tale riguardo, la dottrina non ha mancato di rilevare
la sostanziale inutilizzabilità nel giudizio ex art.1469 sexies c.c.
dei medesimi parametri previsti e modellati con riferimento al giudizio individuale
e, in particolare, di quelli indicati nell'art.1469 ter, comma 1, c.c. - secondo
cui la vessatorietà è valutata <<facendo riferimento
alle circostanze esistenti al momento della (
) conclusione [del contratto]>>
-, nonostante che in detto giudizio il giudice inibisca <<l'uso delle
condizioni di cui sia accertata l'abusività ai sensi del presente capo>>).
Inoltre, la rilevabilità d'ufficio dell'inefficacia della clausola
<<a vantaggio del consumatore>> (art.1469 quinquies, comma
3, c.c.) introduce un principio volto a facilitare l'adempimento dell'onere
probatorio da parte del singolo consumatore ma anche dell'ente collettivo
che agisce nell'interesse della categoria dei consumatori: in questo senso,
eventuali carenze nell'allegazione dei profili di abusività con riferimento
alle ipotesi tipiche considerate negli elenchi contenuti negli artt.1469 bis,
comma 3, e quinquies, comma 2, c.c. potranno essere colmate dal giudice, fermo
restando l'imprescindibile onere di parte di identificare con precisione le
clausole impugnate.
6) Le clausole impugnate. Premessa di metodo.
Si ritiene opportuno, per comodità di esposizione, di individuare le
clausole impugnate secondo l'ordine e la numerazione seguita dal MFD e di
esaminarle, anziché in base alla provenienza ovvero all'ordine numerico,
per gruppi omogenei (ma talune sono riconducibili a più gruppi), in
base all'oggetto, agli effetti ed alle censure proposte.
Si premette che dall'elenco delle clausole impugnate dev'essere espunta la
clausola n. 35 (art.10, comma 3, delle norme BPM riguardanti il servizio delle
cassette di sicurezza), alla quale l'attore e l'interventore (che, rispettivamente,
nel riepilogo a pagg. 4-17 della comparsa conclusionale e nella conclusionale
del CCA, non vi avevano fatto riferimento) hanno rinunciato nel corso della
discussione orale.
7) Clausole sul recesso (nn. 8, 31, 48, 49, 78, 83, 84).
7 a) Cl. n. 8: art. 7, comma 6, delle norme BPM per i conti correnti di
corrispondenza e servizi connessi (mod. 2873, ed. 10/96 - doc. 5 MFD).
<<Salvo diverso accordo, e fermo restando quanto disposto nell'articolo
precedente per l'ipotesi di apertura di credito o di sovvenzione, ad ognuna
delle parti è sempre riservato il diritto di (
) recedere, in
qualsiasi momento, con preavviso di 1 giorno, dal contratto di conto corrente
e dalla inerente convenzione di assegno>>.
Il richiamato articolo precedente, nell'ambito di varie disposizioni relative
all'apertura di credito, dispone anche che: <<la Banca ha la facoltà
di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall'apertura
di credito, ancorché concessa a tempo determinato (
) ; per il
pagamento di quanto dovuto sarà dato al Correntista, con lettera racc.,
un preavviso non inferiore a 1 giorno. Qualora il correntista rivesta la qualifica
di consumatore (
) la Banca ha la facoltà di recedere dall'apertura
di credito a tempo indeterminato, di ridurla o di sospenderla, al ricorrere
di un giustificato motivo, ovvero con un preavviso non inferiore a 15 giorni;
nel caso di apertura di credito a tempo determinato la Banca ha facoltà
di recedere, di ridurre o di sospendere l'affidamento al ricorrere di una
giusta causa. Per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al Correntista,
con lettera racc., un preavviso di almeno 15 giorni>> (art.6, lett.
c).
Il primo problema che si pone è di comprendere il senso del richiamo
alla norma sull'apertura di credito, stante la diversità della disciplina
sul recesso (che, nell'art.7, è ad nutum mentre nell'art.6 deve
essere preceduto, nell'ambito dei contratti con i consumatori, dal preavviso,
salvo che sussista un giustificato motivo): il rinvio richiama anche la disciplina
sul recesso di cui all'art.6 lett. c) e la distinzione ivi contenuta tra i
contratti stipulati con i consumatori ed i professionisti?
L'equivocità e non trasparenza della clausola (art.1469 quater c.c.),
accentuata dalla difesa BPM (che, con considerazioni che attengono al contenuto
intrinseco dell'impugnato art.7, comma 6, difende la clausola contestando
la vessatorietà del recesso ad nutum: v. pag. 37 della conclusionale),
è essa stessa fonte di squilibrio tra le parti ed iniquità sostanziale
aggravando l'asimmetria informativa già presente nei contratti per
adesione: la conseguenza che se ne deve trarre nell'ambito del procedimento
collettivo, finalizzato ad una tutela di carattere essenzialmente preventivo,
è l'inibitoria dell'uso della stessa.
Né può obiettarsi che effetto dell'intrasparenza dovrebbe essere
solo quello di dare ingresso ad una valutazione dello squilibrio, con la possibilità
per il consumatore di compensare, mediante un'interpretazione adeguatrice
(art.1469 quater, comma 2, c.c.), lo svantaggio determinato dall'oscura redazione
della clausola con altri vantaggi derivanti dall'intero programma negoziale,
avendo riguardo alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto,
ad altre circostanze del caso concreto ovvero alla stessa contrattazione della
clausola (art.1469 ter, comma 1 e 4, c.c.).
Tale orientamento può essere condiviso nell'ambito del giudizio individuale-successivo,
nel quale il consumatore può far valere il suo interesse alla conservazione
della pur oscura clausola in forza di un'interpretatio contra proferentem
ma non in quello collettivo ex art.1469 sexies c.c., il cui scopo, realizzato
dall'inibitoria preventiva, è di contrastare la diffusione delle clausole
abusive, potenzialmente dannose nei confronti di tutti i consumatori, anticipatamente
rispetto alla loro inserzione nei contratti individuali (si è detto
in dottrina che, ai fini della valutazione di vessatorietà, la comprensibilità
del testo contrattuale dev'essere dal giudice considerata in modo diverso
nel giudizio individuale ed in quello collettivo: nel primo avendo riguardo
al consumatore <<medio>>, nel secondo a quello <<meno avveduto>>).
Tale conclusione rende irrilevante l'esame dei motivi di censura della clausola
con riferimento agli altri parametri di valutazione della vessatorietà,
indicati nell'artt.1469 bis, comma 1 e 3, n. 8, c.c..
7 b) Cl. n. 31: domanda BPM di concessione di fido (mod. 3385, ed. 3/94
- doc. 8).
<<Il sottoscritto (
) dichiara di accettare integralmente le seguenti
clausole:(
) 2) facoltà della Banca di revocare in qualsiasi momento
la concessione con conseguente immediata sospensione dell'utilizzo e con il
diritto di pretendere l'immediato rimborso di quanto dovuto per capitale,
interessi e spese>> (v. p. 6, n. 2, della domanda in questione).
Il parametro di riferimento per la valutazione concernente la vessatorietà
o meno della clausola è visto nel significativo squilibrio dei diritti
e degli obblighi derivanti dal contratto nei confronti del consumatore (art.1469
bis, comma 1, c.c.) e nella violazione dell'art.1469 bis, comma 3, n. 8, c.c.
(che presume la vessatorietà delle clausole che consentono <<al
professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole
preavviso, tranne nel caso di giusta causa>>).
Trattandosi di recesso ad nutum della banca senza preavviso ed a prescindere
da un giustificato motivo, la clausola è vessatoria senza possibilità
di invocare utilmente la previsione dell'art.1469 bis, comma 4, n. 1, c.c.
che, nei contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi finanziari
a tempo indeterminato (quali, in gran parte, sono quelli bancari), in deroga
al citato art.1469 bis, comma 3, n. 8, c.c., consente al professionista di
<<recedere, qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso,
dandone immediata comunicazione al consumatore>>, né è
condivisibile il tautologico e generico rilievo della difesa BPM secondo cui
la vessatorietà dovrebbe essere esclusa in considerazione della natura
del servizio prestato dalla banca.
7 c) Cl. n. 48: art. 8, comma 2, delle norme BF sulla prestazione dei servizi
bancari e finanziari (mod. 072N01 dal 16/9/96 - doc. 12).
<<[Le aperture di credito che la Banca ritenesse eventualmente di concedere
al Cliente sono soggette alle seguenti statuizioni:(
) la Banca ha la
facoltà di recedere in qualsiasi momento (
)] Qualora il Cliente
sia un consumatore ai sensi del secondo comma dell'art.1469 bis cod. civ.
(
) per il recesso, la riduzione o la sospensione dell'apertura di credito
a tempo indeterminato dovrà essere dato un preavviso non inferiore
a due giorni, salvo che ricorra un giustificato motivo; in tutti i casi dovrà
essere data immediata comunicazione al consumatore>>.
Il parametro di riferimento è indicato ancora nell'art.1469 bis, comma
1, 3 n. 8, 4 n. 1, c.c. La censura è fondata. L'alternativa (che è
a fondamento della legittima facoltà di recesso della banca, ai sensi
dell'art.1469 bis, comma 4, n. 1, c.c.) tra preavviso e giustificato motivo
è qui solo apparente, in considerazione dell'eccessiva ristrettezza
del termine (due giorni) entro il quale può essere dato il preavviso
senza motivazione (l'art. 1845, comma 3, c.c. stabilisce che, in mancanza
di contrattazione, il termine di preavviso è di quindici giorni e,
nel caso dei contratti per adesione, non può ravvisarsi alcuna contrattazione
che giustifichi la predetta riduzione del termine né può ravvisarsi
un uso normativo in tal senso). Il formale rispetto della lettera della norma
sopra citata non esclude la vessatorietà in considerazione dell'incongruo
svantaggio che ne deriva al consumatore e, quindi, del significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell'art.1469
bis, comma 1, c.c.
7 d) Cl. n. 49: art. 9 delle norme BF sulla prestazione dei servizi bancari
e finanziari (doc. 12).
<<Salvo diverso accordo, e fermo restando quanto disposto nell'articolo
precedente per l'ipotesi di apertura di credito o di sovvenzione, ad ognuna
delle parti è sempre riservato il diritto di recedere da tutti o da
singoli rapporti, in qualsiasi momento, con il preavviso di un giorno oppure
per un giustificato motivo dandone immediata comunicazione alla controparte>>.
Identico è il parametro di riferimento della censura di vessatorietà
(art. 1469 bis, comma 1 e 3, n. 8, c.c.). Anche qui la clausola, la cui equivocità
nel richiamo alla norma sull'apertura di credito è accentuata dalla
difesa della BF (v. pag. 42 della conclusionale), è vessatoria per
le ragioni espresse sia al punto 7a) che al punto 7c) (ove è esaminato
l'art.8 richiamato dall'art.9 in commento). Né a diverse conclusioni
può condurre il rilievo che il recesso è consentito ad entrambe
le parti: l'irragionevolezza del termine di preavviso (in mancanza di un giustificato
motivo) rende inoperante la deroga ex art.1469 bis, comma 4, n. 1, c.c. ed
automaticamente vessatoria la clausola; inoltre, la bilateralità del
recesso non è sufficiente, in sede di rimedio inibitorio generale-preventivo,
a superare lo squilibrio tra le parti che è accentuato dalla previsione
della facoltà di recesso del professionista modellata nei modi previsti
dalla clausola in esame.
7 e) Cl. n. 78: art. 7, comma 7, delle norme ABI relative al conto corrente
di corrispondenza e servizi connessi (v. contratti bancari tipo, p. 15 - doc.
15 MFD) che, nel nuovo testo, corrisponde all'art. 7, comma 6 (doc. 2 all.
ABI).
La clausola qui impugnata può essere così identificata nel senso
proposto dall'ABI (a pagg. 23/24 della comparsa di risposta e 17 della conclusionale)
e non contestato dal MFD né dal CCA, anche in considerazione del fatto
che il MFD ha distinto questa ipotesi (riguardante il recesso della banca
nei contratti di conto corrente) da quella successiva del recesso nel contratto
di apertura di credito in conto corrente (v. cl. n. 83).
La norma stabilisce che:<<Salvo diverso accordo, e fermo restando
quanto disposto nell'articolo precedente per l'ipotesi di apertura di credito
o di sovvenzione, ad ognuno delle parti è sempre riservato il diritto
di (
) recedere, in qualsiasi momento, con preavviso di un giorno, dal
contratto di conto corrente e dalla inerente convenzione di assegno>>;
il precedente art.6 contiene, tra le varie disposizioni, anche la seguente:<<la
banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione
verbale, dall'apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato
(
); per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista,
con lettera raccomandata, un preavviso non inferiore a
giorni. Qualora
il correntista rivesta la qualifica di consumatore (
), la banca ha facoltà
di recedere dall'apertura di credito a tempo indeterminato secondo le modalità
sopra indicate; nel caso di apertura di credito a tempo determinato la banca
ha facoltà di recedere (
) al ricorrere di una giusta causa. Per
il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista, con lettera
raccomandata, un preavviso di
giorni (
)>> (v. lett.
c, modif. con circ. ABI del 23-2-1996/serie legale n. 17 - doc. 13/MFD).
I parametri di valutazione sono identici a quelli indicati a proposito delle
clausole precedenti (art.1469 bis, comma 1, 3 n. 8, 4 n.1, c.c.).
Si deve premettere che per effetto della citata circolare ABI del 1996 è
venuta meno la distinzione tra il recesso nel contratto a tempo determinato
(per il quale è ora prevista la necessità della giusta causa,
conformemente all'art. 1845, comma 1, c.c., il che fa escludere la vessatorietà
trattandosi di norma riproduttiva di disposizioni di legge, ai sensi dell'art.1469
ter, comma 3, c.c.) ed in quello a tempo indeterminato.
Con riguardo a quest'ultimo, la clausola non può superare positivamente
il vaglio ex art. 1469 bis e ss. c.c.. Il richiamo all'art. 6 rende la clausola
equivoca per le ragioni e con le conseguenze spiegate nel punto 7a). Ad identica
conclusione di vessatorietà si giunge anche interpretando il richiamo
come recettizio, cioè ritenendo operante per il recesso dal contratto
di conto corrente la distinzione (introdotta per l'apertura di credito dalla
lett. c del cit. art. 6) tra contratti in cui sia parte un professionista
ovvero un consumatore.
La tesi dell'ABI secondo cui essa sarebbe riproduttiva dell'art.1845, comma
3, c.c., che autorizzerebbe il recesso ad nutum, non è condivisibile.
Tale norma condiziona il recesso al preavviso (nel termine negoziato dalle
parti ovvero di quindici giorni) ma questo è necessario e non può
essere omesso, come invece fa la clausola impugnata (ove il preavviso è
riferito al diverso effetto del pagamento di quanto dovuto dal correntista),
tranne il caso in cui sussista un giustificato motivo, ipotesi di cui la nuova
formulazione della predetta clausola (riportata in neretto tra virgolette
nella circolare del 1996 cit.) non fa espressa menzione.
Sull'irrilevanza della bilateralità del recesso, si rinvia alle considerazioni
espresse al punto 7 d).
7 f) Cl. n. 83: art. 4, comma 1, delle norme ABI relative all'apertura
di credito in conto corrente (contratti bancari-tipo del 1986, p. 113 - doc.
15).
7 g) Cl.n. 84: art. 6 delle norme ABI relative all'apertura di credito
in conto corrente (contratti bancari-tipo del 1986, p. 114 - doc. 15).
L'ABI ha dedotto (in tal senso vedi anche la circ. 28-12-1994 - doc. 3/ABI)
che tali clausole (concernenti, rispettivamente, il recesso della banca immotivato
e quello determinato dall'inadempimento del cliente) riguardano condizioni
generali relative al contratto di apertura di credito in conto corrente non
più in vigore da molti anni, essendo l'apertura di credito completamente
disciplinata nel citato art.6 delle norme sul conto corrente (v. clausola
n. 78). Nulla hanno obiettato il MFD ed il CCA, sicché l'impugnazione
dev'essere rigettata, in mancanza di un dimostrato interesse attuale all'azione.
Generico ed inidoneo ad identificare con sufficiente chiarezza ulteriori clausole
impugnate è il riferimento del MFD, nell'ambito della clausola n. 83,
ad altri (cioè diversi rispetto all'art.4, comma 1 cit.) <<articoli
corrispondenti negli altri contratti di apertura di credito>> (v.
p. 30 della citazione e 41 della conclusionale MFD).
8) Clausole che hanno per oggetto o producono l'effetto di esonerare o
limitare la responsabilità della banca (nn. 16, 24, 32, 39, 41, 42,
51, 52, 72) e in caso di smarrimento di assegni (nn. 2, 58).
8 a) Cl. n. 16: art. 18, comma 2, delle norme BPM per i conti correnti
di corrispondenza e servizi connessi (doc.5).
La clausola - <<In assenza di particolari istruzioni del Correntista,
le modalità di esecuzione degli incarichi assunti sono determinate
dalla Banca tenendo conto della natura degli stessi e delle procedure più
idonee nell'ambito della propria organizzazione>> - è impugnata
perché avrebbe l'indiretto effetto di determinare una potenziale limitazione
di responsabilità dell'azienda di credito nei confronti del cliente,
rilevante ai sensi dell'art.1469 bis, comma 1 e 3, nn. 2 (che esclude o limita
le azioni del consumatore in caso di inadempimento del professionista: v.
art.1469 quinquies, comma 2, n. 2, c.c.), 4 (che subordina l'esecuzione della
prestazione del professionista a condizioni il cui adempimento dipende dalla
sua volontà), 15 (che limita la responsabilità di quest'ultimo),
16 (che limita o esclude l'opponibilità dell'eccezione di inadempimento
da parte del consumatore), 18 (che limita i poteri difensivi di quest'ultimo
nei confronti del professionista) e, si può aggiungere, n. 14 (che
riserva al professionista il potere di accertare il proprio adempimento o
di interpretare il contratto).
La censura è fondata. La norma, nella sua equivoca formulazione (che
ne autorizza lo scrutinio anche ai sensi dell'art.1469 quater c.c.) ha l'effetto
di rimettere genericamente allo stesso debitore la determinazione del parametro
di riferimento per la valutazione del proprio comportamento (in termini di
adempimento/inadempimento della prestazione). La genericità del riferimento
alla natura degli incarichi ed alla organizzazione interna della banca non
consente di ritenere conferente il richiamo, effettuato dalla difesa BPM,
alla natura del servizio bancario, ai sensi dell'art.1469 ter, comma 1, c.c..
8 b) Cl. n. 24: art. 1, comma 4, del modulo di domanda allegata ai contratti
BPM di negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta ordini concernenti
valori mobiliari (mod. 3785, ed. 9/96 - doc. 7).
La norma, la cui censura è fondata, è la seguente:<<E'
facoltà della Banca non eseguire l'ordine conferito dal cliente, dandone
immediata comunicazione al cliente stesso>>.
Il parametro di riferimento è indicato nell'art.1469 bis, comma 1 e
3, nn. 4 e 11 (che riguarda la clausola che consente al professionista di
modificare unilateralmente le condizioni contrattuali senza un giustificato
motivo), oltre ai già citati nn. 15, 16 e 18 e 1469 quinquies, comma
2, n. 2, c.c.
La clausola affida all'unilaterale volontà della banca l'adempimento
del contratto, nell'ambito del quale essa assume l'incarico di <<negoziare
i valori mobiliari di cui agli ordini di compravendita
sottoscrivere
i valori valori mobiliari
di cui agli ordini
raccogliere (
)
ordini di acquisto e di vendita di valori mobiliari>> (v. premessa
dello schema di contratto in questione) e, inoltre, difetta di chiarezza (art.1469
quater c.c.) non specificando in quali condizioni, per quali motivi ed in
virtù di quali criteri la banca possa decidere di avvalersi della facoltà
di non eseguire gli ordini. Né è condivisibile il rilievo della
difesa BPM, secondo cui nessun preesistente obbligo contrattuale vi sarebbe
per la banca e la predetta facoltà altro non sarebbe che espressione
del generale principio di libertà contrattuale. Il vincolo contrattuale
dal quale sorge l'obbligo della banca di negoziare, sottoscrivere e raccogliere
gli ordini, nasce nel momento in cui il cliente le ha affidato l'incarico,
come si evince dal seguente testo contrattuale: <<premesso che (
)
ho/abbiamo preso completa cognizione delle norme contrattuali qui di seguito
riportate che dichiaro/dichiariamo di accettare integralmente; vi conferisco/conferiamo
l'incarico di (
) Prendo/Prendiamo atto che un esemplare del presente
contratto mi/ci viene rilasciato debitamente sottoscritto (
)>>.
8 c) Cl. n. 32: art. 3, comma 2, delle norme BPM per il servizio delle
cassette di sicurezza (mod. 3018, ed. 6/96 - doc. 9).
8 d) Cl. n. 39: dichiarazione integrativa allegata al contratto BPM per
il servizio delle cassette di sicurezza (doc. 9).
8 e) Cl. n. 72: art. 3, comma 2, delle norme ABI per il servizio delle
cassette di sicurezza (circ. ABI serie legale n. 40 del 27-11-1995 - doc.
14).
<<Nel caso in cui, per qualsiasi ragione, la banca fosse tenuta ad
un risarcimento verso l'utente, essa non lo rimborserà che del danno
comprovato ed obiettivo, escluso ogni apprezzamento del valore di affezione
e tenuto conto di quanto disposto all'art. 2>>, a norma del quale:<<L'utente
è tenuto a dichiarare il massimale assicurativo adeguato a coprire
il rischio della banca medesima per il risarcimento dei danni che dovessero
eventualmente derivare all'utente dalla sottrazione, dal danneggiamento o
dalla distruzione delle cose contenute nella cassetta>>; dichiarazione
integrativa: <<Prendo atto che avrete titolo per richiederci il risarcimento
di eventuali danni da voi subiti in conseguenza della mancata corrispondenza
del massimale da me indicato all'effettivo valore delle cose contenute nella
cassetta>>.
La clausola - censurata con riferimento ai parametri di cui all'art.1469 bis,
comma 1 e 3, nn. 2, 16, 18 (e, si può aggiungere, all'art. 1469 quinquies,
comma 2, n. 2) c.c. - è stata in tal senso modificata dall'ABI nel
1995 allo scopo di adeguarla all'indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. 7-5-1992,
n. 5421 e 12-5-1992, n. 5617, Foro it., 1993, 879; 1-7-1994, n. 6625,
ivi, 1994, 3422) che aveva affermato il seguente principio:<<Con
riguardo al contratto bancario inerente al servizio delle cassette di sicurezza,
la clausola, che contempli la concessione dell'uso della cassetta per la custodia
di cose di valore non eccedente un determinato ammontare, facendo carico al
cliente di non inserirvi beni di valore complessivamente superiore, e che,
correlativamente, neghi oltre detto ammontare la responsabilità della
banca per la perdita dei beni medesimi, lasciando sul cliente gli effetti
pregiudizievoli ulteriori, integra un patto limitativo non dell'oggetto del
contratto, ma del debito risarcitorio della banca, in quanto, a fronte dell'inadempimento
di essa all'obbligo di tutelare il contenuto della cassetta (obbligo svincolato
da quel valore, alla stregua della segretezza delle operazioni dell'utente),
fissa un massimale all'entità del danno dovuto in dipendenza dell'inadempimento
stesso. Tale clausola, pertanto, è soggetta alle disposizioni dell'art.1229,
comma 1, c.c. in tema di nullità dell'esclusione o delimitazione convenzionale
della responsabilità per i casi di dolo o colpa grave>>.
La nuova norma, secondo l'ABI, avrebbe l'effetto di porre a carico del cliente,
il quale sarebbe pur sempre libero di utilizzare senza limiti la cassetta
ed avrebbe diritto al risarcimento integrale del danno ai sensi dell'art.1839
c.c., l'obbligo di dichiarare la misura della copertura assicurativa che,
a suo avviso, la banca dovrebbe attivare per garantirsi nel caso fosse tenuta
al risarcimento dei danni conseguenti alla sottrazione, danneggiamento o distruzione
delle cose contenute nella cassetta; qualora la banca fosse tenuta a pagare
importi maggiori di quelli per i quali si era assicurata, potrebbe rivalersi
in via riconvenzionale nei confronti del cliente per la differenza fra il
danno quantificato dal giudice ed il massimale assicurato individuato secondo
le erronee informazioni rese dal cliente.
A parte i dubbi sulla conformità del nuovo testo della clausola (la
quale premette che la banca risarcirà il danno comprovato ed obiettivo
ma precisa <<tenuto conto di quanto disposto all'art.2>>
cioè della dichiarazione del cliente in ordine al massimale assicurato)
all'intento espresso dalla circolare ABI cit., il che ne autorizzebbe la censura
anche sotto il profilo del difetto di trasparenza (art.1469 quater c.c.),
non sembra, tuttavia, che tale modifica possa far superare i profili di illiceità
già evidenziati dalla giurisprudenza. Non può essere negato,
infatti, che identico è l'effetto di realizzare una limitazione convenzionale
dei danni e della responsabilità della banca nei confronti del consumatore
(nell'ambito di un servizio, qual è quello delle cassette di sicurezza,
al cui schema legale tipico è estraneo il collegamento tra il corrispettivo
ed il rischio assunto dalla banca: nel modulo della predetta dichiarazione
integrativa si prevede invece una variazione del canone in relazione al massimale
dichiarato) e di determinare a carico del consumatore, con riferimento ai
parametri normativi sopra citati, un significativo squilibrio dei diritti
e degli obblighi contrattuali che, indipendentemente dall'eventuale invalidità
della clausola, è sufficiente a farla considerare vessatoria.
8 f) Cl. n. 41: punto 3 dello schema di domanda BPM di finanziamento ipotecario
(mod. 3618, ed. 11/96 - doc. 10).
<<il/i sottoscritto/i (
) autorizza/no irrevocabilmente la Banca
Popolare di Milano al trattamento dei dati relativi sia a tutti i rapporti
di affidamento/finanziamento, nonché eventuali carte di credito (
)
Acconsente altresì che a tali dati accedano (
) in genere i soggetti
economici che ne facessero richiesta (
) >>.
La censura è fondata nell'ambito dei contratti con i consumatori.
La clausola ha l'effetto di obbligare il cliente a consentire, ed in modo
irrevocabile, il trattamento dei propri dati personali (qualunque siano e
per qualunque scopo) a pena di non poter concludere il contratto: l'effetto
è di determinare un significativo squilibrio ai danni del consumatore
(art.1469 bis, comma 1, c.c.) e di limitare potenzialmente i diritti del consumatore
e la responsabilità dell'impresa bancaria (art.1469 bis, comma 3, nn.
2, 14, 15, 16, 18, 1469 quinquies, comma 2, n.2 c.c.), anche in violazione
delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 675 del 31-12-1996 (v.art.11 ss.).
8 g) Cl. 51: art. 11 delle norme contrattuali BF sulla prestazione dei
servizi bancari e finanziari (doc. 12).
La clausola - <<Le comunicazioni e gli ordini del Cliente hanno corso
a suo rischio, per ogni conseguenza derivante da errori, disguidi o ritardi
nella trasmissione. La Banca non assume alcuna responsabilità per ogni
conseguenza derivante da esecuzione di ordini o di operazioni che sia causata
da fatto di terzi o comunque non direttamente imputabile a dipendenti della
Banca>> - introduce, quanto alla prima parte, l'esonero della banca
da responsabilità (che è attribuita sempre al cliente) al ricorrere
di eventi dannosi e, quanto alla seconda, una limitazione di responsabilità,
in violazione degli artt. 1228, 1229, comma 2, e 1717, comma 1, c.c. che stabiliscono
la responsabilità del debitore per i fatti dolosi o colposi dei terzi
di cui si avvale nell'adempimento dell'obbligazione anche se non sono suoi
dipendenti. La fondatezza della censura si giustifica con riferimento ai parametri
di cui agli artt.1469 bis, comma 1 e 3, nn. 2, 14, 15, 16, 18 e, si può
aggiungere, n. 17 (riguardante la clausola che consente al professionista
di sostituire a sé un terzo qualora risulti diminuita la tutela dei
diritti del consumatore) e 1469 quinquies, comma 2, n 2, c.c.. La stessa ABI,
inoltre, ha invitato le banche ad eliminare dai propri schemi contrattuali
le clausole che producono l'effetto di escludere la propria responsabilità
per ogni conseguenza derivante genericamente da eventi ad essa non imputabili,
in contrasto con il più rigoroso principio espresso dall'art. 1218
c.c. che richiede, a quel fine, l'impossibilità della prestazione derivante
da causa non imputabile (v. circ. n. 739 del 3-2-1995 e del 1996 cit.).
8 h) Cl. n. 52: art. 12, comma 1-4, delle norme contrattuali BF sulla prestazione
dei servizi bancari e finanziari (doc. 12).
<<E' in facoltà della Banca assumere o meno gli incarichi
del Cliente>>: la vessatorietà della clausola, in considerazione
anche della generalizzata applicabilità a qualsiasi operazione bancaria,
si giustifica per le ragioni espresse a proposito della clausola n. 24 (v.
p. 8 b).
<<In relazione agli incarichi ricevuti dal Cliente, la Banca è
autorizzata, ai sensi e per gli effetti dell'art.1717 cod. civ., a farsi sostituire
nell'esecuzione dell'incarico da un proprio corrispondente, anche non bancario,
non rispondendo dell'operato del corrispondente a meno che non sia stata in
colpa nella scelta di quest'ultimo>>: la vessatorietà si
giustifica a causa della limitazione di responsabilità della banca
(rilevante con riferimento all'art.1469 bis, comma 1 e 3, nn. 2, 15, 16, 17,
18, c.c.) per l'inadempimento della persona che la sostituisce al solo caso
di colpa nella scelta di quest'ultima; né può ritenersi che
la clausola riproduca disposizioni di legge (v. art.1469 ter, comma 3, c.c.),
atteso che l'autorizzazione che il mandante può dare al mandatario
di farsi sostituire, con la conseguente limitazione di responsabilità
di quest'ultimo (ai sensi dell'art.1717, comma 2, c.c.), presuppone che la
relativa previsione sia stata negoziata, il che non è in caso di condizioni
generali di contratto unilateralmente predisposte.
<<In assenza di istruzioni particolari del Cliente, il sistema di
esecuzione degli ordini di pagamento o di bonifico sarà determinato
dalla Banca in relazione alle procedure utilizzate nell'ambito della propria
organizzazione>>; <<Col valersi dei servizi della Banca si intendono
senz'altro accettate dal Cliente le norme e le condizioni da essa stabilite
per singoli servizi (
)>>: la vessatorietà si giustifica
per le ragioni già espresse a proposito della clausola n. 16 (v. p.
8 a) e, quanto al secondo capoverso, con riferimento anche agli artt.1469
bis, comma 3, n. 10 (che riguarda il diverso caso in cui il consumatore è
vincolato a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima
della conclusione del contratto) e 1469 quinquies, comma 2, n. 3, c.c..
8 i) Cl. n. 2: art. 3, comma 2, delle norme BPM per i conti correnti di
corrispondenza e servizi connessi (doc.5).
8 l) Cl. n. 58: art. 18, comma 2, delle norme contrattuali BF sulla prestazione
dei servizi bancari e finanziari (doc. 12).
La clausola è identica:<<Il Correntista è tenuto a
custodire con ogni cura i moduli di assegni ed i relativi moduli di richiesta,
restando responsabile di ogni dannosa conseguenza che potesse risultare dalla
perdita, dalla sottrazione o dall'uso abusivo od illecito dei moduli stessi,
della cui perdita o sottrazione deve dare immediata comunicazione alla Banca
(
)>>.
La censura di vessatorietà, con riferimento ai parametri di cui all'art.1469
bis, comma 1 e 3, nn. 2 (v. art. 1469 quinquies, comma 2, n. 2), 16, 18 c.c.,
è fondata. La clausola collega la responsabilità della banca
all'adempimento dell'onere del cliente di comunicare la perdita o la sottrazione
dei moduli di assegno, con l'effetto di limitarla qualora conseguenze dannose
per il consumatore derivino da eventi alla stessa banca imputabili, nel qual
caso (come, ad esempio, quello del pagamento di assegni contraffatti) nessuna
rilevanza diretta può assumere la mancata comunicazione immediata,
la cui generica previsione, peraltro, è intrasparente (art.1469 quater
c.c.) in quanto lascia alla stessa banca di determinare il tempo utile entro
il quale la comunicazione è tempestiva ed efficace e si presta ad essere
interpretata nel senso di disconoscere preventivamente la rilevanza di circostanze
che possano giustificare il ritardo nella comunicazione da parte del cliente.
9) Cl. n. 23 di deroga alla competenza giurisdizionale (territoriale):
art. 19 delle norme BPM relative al contratto di deposito titoli (mod. 3657,
ed 7/95 - doc. 6).
<<Per qualunque controversia Foro elettivo per chiamare in giudizio
la Banca è quello nella cui circoscrizione si trova la dipendenza della
Banca che ha effettuato l'operazione mentre quest'ultima potrà chiamare
in giudizio le altre parti a propria insindacabile scelta, sia dinanzi al
Foro di cui sopra sia dinanzi al Foro di Milano>>.
La vessatorietà della clausola in questione, che stabilisce come
foro esclusivo della controversia tra la banca ed il consumatore un luogo
potenzialmente diverso da quello nel quale il consumatore ha la residenza
o il domicilio elettivo, si giustifica con riferimento all'art.1469 bis, comma
2, n. 19, c.c., alla cui disposizione anche l'ABI, nella circ. del 1996 cit.,
ha invitato le banche ad adeguarsi (in senso conf., v. Trib. Palermo, 3-2-1999,
Foro it., 1999, 2085; 2-6-1998, ivi, 358).
10) Clausole sulle modificazioni unilaterali (n. 7, 15, 37, 50, 52) o che
vincolano il consumatore a norme che non conosce (n. 40)
10 a) Cl. n. 7: art. 7, comma 3, seconda parte, delle norme BPM per i conti
correnti di corrispondenza e servizi connessi (doc. 5).
<<Qualora l'interesse sia indicizzato, la modifica sfavorevole al
Correntista derivante dalla modifica del parametro pattuito, non è
soggetta all'obbligo di comunicazione al Cliente (
)>>.
La clausola è stata censurata e la vessatorietà si giustifica
per l'esclusione dell'obbligo di comunicazione al consumatore delle variazioni
sfavorevoli del tasso indicizzato di interesse. Non si discute qui dell'ammissibilità
(riconosciuta, peraltro <<a condizione che le modalità di
variazione siano espressamente descritte>>, dall'ultimo comma dell'art.
1469 bis c.c.) della modifica del tasso di interesse per effetto delle variazioni
dell'indice di riferimento cui sia agganciato (nel qual caso la modifica non
è subordinata alla sussistenza di un giustificato motivo, com'è
invece previsto in generale, in materia di tassi e condizioni economiche del
rapporto, dall'art.1469 bis, comma 5, c.c.). Tuttavia, la mancata comunicazione
aggrava a carico del consumatore lo squilibrio delle posizioni contrattuali
delle parti (art.1469 bis, comma 1, c.c.), in considerazione del vantaggio
di cui indubbiamente gode l'azienda di credito nella possibilità di
venire a conoscenza delle variazioni dell'indice di riferimento: tale squilibrio,
dal quale può risultare una compressione (rilevante con riferimento
anche ai parametri di cui ai nn. 12, 13 - che riguardano le clausole che consentono
al professionista di modificare unilateralmente il prezzo del bene o servizio
- e 18 già citato della lista) dei diritti di difesa del cliente (che
voglia, ad esempio, muovere contestazioni ovvero recedere tempestivamente
dal rapporto), dev'essere compensato dall'obbligo di informazione che è
espressione del principio generale di buona fede ben conosciuto dal legislatore
in materia bancaria (v. artt.118, comma 1, del t.u. n. 385 del 1-9-1993 e
1469 bis, comma 5, c.c.; è significativo che la Corte di Giustizia
CE, 21-1-1999 cit. al punto 3, con riguardo alla clausola che, nell'apertura
di credito in conto corrente, consente alle banche di modificare il tasso
d'interesse mediante affissione nei propri locali, ha considerato opportuno
che le banche prevedano forme di comunicazione più idonee).
10 b) Cl. n. 15: art. 16 delle norme BPM citate sub 10 a).
<<La Banca si riserva la facoltà di modificare le presenti "Norme"
nel caso in cui si rendesse necessario adeguarle a nuove disposizioni di legge
ovvero a proprie necessità organizzative. Le comunicazioni relative
saranno validamente fatte dalla Banca mediante lettera semplice all'ultimo
indirizzo indicato dal Correntista ed entreranno in vigore con la decorrenza
indicata in tale comunicazione, fermo restando la possibilità da parte
del Correntista di recedere dal contratto entro 15 giorni dal ricevimento
della comunicazione. La Banca si riserva la facoltà di modificare le
condizioni economiche applicate ai rapporti regolati in conto corrente, rispettando,
in caso di variazioni in senso sfavorevole al Correntista, le prescrizioni
del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e delle relative disposizioni
di attuazione>>.
La clausola è vessatoria sia nella prima parte, che disciplina
le modifiche unilaterali da parte della banca delle condizioni giuridico-normative
del rapporto, che nella seconda, che riguarda le modifiche economiche (cioè
il tasso di interesse e l'importo originariamente convenuto degli altri oneri
relativi alla prestazione finanziaria).
La prima parte, nel consentire la modifica incondizionata, senza un giustificato
motivo, è in contrasto con l'art.1469 bis, comma 4, n.2, c.c., che,
in deroga al n.11 della lista, per i contratti aventi ad oggetto la prestazione
di servizi finanziari a tempo indeterminato, stabilisce che il professionista
può <<modificare, qualora sussista un giustificato motivo,
le condizioni del contratto (
)>>; inoltre, è censurabile
per le ragioni già espresse (v. p. 8 a, 8 h/3) a proposito del generico
riferimento alle <<proprie necessità organizzative>>.
La seconda, nel subordinare la modifica alle sole prescrizioni formali (peraltro
non specificamente richiamate) del d. lgs. n. 385 del 1993 - i cui artt.117,
comma 5 e 118, comma 2 e 3, stabiliscono che il ius variandi deve essere
previsto nel contratto con clausola specificamente approvata e che le variazioni
sfavorevoli devono essere comunicate al cliente il quale ha diritto di recedere
entro quindici giorni (cfr. artt.124, comma 2 e 4, del d. lgs. cit.) - è
in contrasto con l'art.1469 bis, comma 5, c.c. che, in deroga ai nn. 12 e
13 della lista, consente al professionista finanziario di <<modificare,
senza preavviso, sempreché vi sia un giustificato motivo (
) il
tasso di interesse o l'importo di qualunque altro onere relativo alla prestazione
finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata comunicazione al
consumatore (
)>> (anche l'ABI, del resto, ha invitato le aziende
di credito ad espungere dai propri formulari le clausole che riservano alla
banca la facoltà meramente potestativa di modificare le norme che disciplinano
il rapporto contrattuale: v. circ. del 1995 e 1996 cit.).
10 c) Cl. n. 37: art. 27, comma 1-2, delle norme BPM per il servizio delle
cassette di sicurezza (doc. 9).
La vessatorietà di tale clausola, che è identica alla precedente
(v. p. 10 b), risulta con riferimento ai parametri di cui ai nn. 11 (che colpisce
la clausola che consente al professionista di modificare unilateralmente le
clausole del contratto <<senza un giustificato motivo indicato nel
contratto stesso>>), 12 e 13 (che colpiscono quelle che consentono
al professionista di modificare unilateralmente il prezzo del bene o servizio)
della lista contenuta nell'art.1469 bis c.c.. A tale conclusione si giunge
senza necessità di richiamare qui le deroghe stabilite dall'art.1469
bis, comma 4 e 5, c.c. per il professionista finanziario, qualora si ritenga
che il servizio offerto dall'azienda di credito nel contratto inerente al
servizio delle cassetta di sicurezza non rientri nella nozione di <<prestazione
di servizi finanziari>> (che sarebbe invece quella destinata a procurare
al soggetto un finanziamento, tramite l'erogazione del credito, l'investimento
in prodotti finanziari od operazioni analoghe); interpretando, invece, la
nozione di operazione finanziaria come equivalente all'attività bancaria
in genere, l'abusività della clausola n. 37 si giustifica per le stesse
ragioni già dette (v. p. 10b) a proposito della clausola n. 15 (a sostegno
di tale interpretazione è l'art.10, comma 3, del t.u. n. 385/93:<<Le
banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività
finanziaria (
) nonché attività connesse o strumentali>>,
il riferimento generico, contenuto nel capo I del titolo VI del d. lgs. n.
385/1993, alle <<operazioni e servizi bancari e finanziari>>
e l'art.1, comma 2, lett. f, del d. lgs. cit. che, nell'elencare le <<attività
ammesse al mutuo riconoscimento>>, comprende la <<locazione
di cassette di sicurezza>>).
10 d) Cl. n. 50: art. 10 delle norme contrattuali BF sulla prestazione
dei servizi bancari e finanziari (doc. 12).
La clausola è vessatoria per le ragioni espresse al punto 10 b) a proposito
della clausola n. 15), alla quale è analoga (con la differenza che
per la modifica delle condizioni normative del rapporto non è richiamata
la necessità di adeguamento alle modifiche legislative ovvero alle
esigenze organizzative della banca e, quanto alla comunicazione al cliente,
è ammessa la forma, che peraltro non garantisce il raggiungimento dello
scopo, dell'esposizione dell'avviso nei locali della banca).
10 e) Cl. n. 40: punto 2 dello schema di domanda BPM di finanziamento ipotecario
(doc. 10).
La vessatorietà della clausola - <<Il/i sottoscritto/i prende/ono
atto che l'operazione sarà regolata secondo le norme e le modalità
in vigore presso la Banca (
)>> - si giustifica per intrasparenza
(art.1469 quater c.c.) e con riferimento ai parametri di cui ai nn. 10 e 18
della lista contenuta nell'art.1469 bis, comma 3, c.c.. (v. p. 8 h/cl. n.
52).
11) Clausole che introducono rinunce, limitazioni di eccezioni, inversioni
d'onere o decadenze per il consumatore (n. 32, 54, 56, 62, 66), anche sotto
forma di clausole contenenti dichiarazioni del consumatore (n. 32, 39, 72)
o attraverso l'efficacia delle scritture contabili contro il consumatore (n.
56, 66).
11 a) Cl. n. 32: v. p. 8 c).
11 b) Cl. n. 54: art. 15 delle norme contrattuali BF sulla prestazione
dei servizi bancari e finanziari (doc. 12).
<<Gli eventuali reclami in merito alle operazioni effettuate dalla
Banca per conto del Cliente dovranno essere fatti da questo, per lettera o
telegramma, appena in possesso della comunicazione di esecuzione, a seconda
che l'avviso gli sia stato dato per lettera o telegramma. Trascorso il tempo
ordinariamente occorrente per la ricezione della lettera o del telegramma
di reclamo, l'operato della Banca si intenderà approvato>>.
La vessatorietà della clausola si giustifica, in relazione ai possibili
effetti indiretti considerati dai nn. 2, 14, 15, 16 e 18 della lista contenuta
nell'art.1469 bis c.c. (cfr. art.1469 quinquies, comma 2, n. 2, c.c.), a causa
del significativo squilibrio che determina a carico del consumatore, il quale
deve inoltrare reclamo immediato, ed a vantaggio della banca, la quale gode
di un termine discrezionale (<<ordinariamente occorrente>>)
trascorso il quale il proprio operato è considerato come approvato.
La stessa ABI ha censurato le clausole che indicano un termine discrezionale
per un adempimento a carico della banca o per l'effetto di comunicazioni alla
stessa (v. circ. del 1995 e 1996 cit.).
11 c) Cl. n. 56: art. 16, ult. comma, delle norme BF citate sub 11 b).
<<Gli estratti dei libri e delle altre scritture contabili della Banca
fanno piena prova nei confronti del Cliente>>.
La vessatorietà della clausola, censurata anche dall'ABI (v. circ.
del 1995 e 1996 cit.) e contraria all'art.2709 c.c. (secondo cui le scritture
contabili dell'impresa fanno prova contro l'imprenditore), si giustifica con
riferimento all'evidente significativo squilibrio contrattuale che realizza
tra le parti ed ai parametri di cui ai nn. 2, 16 e 18 della lista. Né
è condivisibile il rilievo secondo cui si tratterebbe di clausola riproduttiva
di norma di legge, cioè dell'art.50 del d. lgs. n. 385 del 1993 (<<La
Banca d'Italia e le banche possono chiedere il decreto d'ingiunzione previsto
dall'art.633 c.p.c. anche in base all'estratto conto, certificato conforme
alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca (
)>>):
è evidente che altro è la prova scritta con efficacia limitata
ai fini della pronuncia di un decreto ingiuntivo, altro è la prova
legale costituita nei confronti del consumatore da documenti di provenienza
unilaterale dalla banca.
11 d) Cl. n. 62: art. 27 delle norme BF citate sub 11 b).
<<La Banca non provvede ad inviare gli avvisi di mancata accettazione
o di mancato pagamento degli effetti e degli assegni, ma si limita a restituire
i titoli non appena in grado. Il Correntista rinuncia a detti avvisi nonché
all'osservanza dei termini di cui agli art. 52 della legge sulla cambiale
e 47 della legge sull'assegno, anche nei confronti degli eventuali portatori
successivi>>.
La vessatorietà si giustifica per l'effetto della clausola, non
negoziata, di aggravare lo squilibrio delle parti e di limitare i diritti
del consumatore (v. comma 1 e 3, n. 18, dell'art.1469 bis c.c.), sotto il
profilo, ad esempio, della conseguente rinuncia imposta al cliente all'azione
(prevista dall'ultimo comma degli artt.52 del r.d. 5-12-1933, n. 1669 e 47
del r.d. 21-12-1933, n. 1736) di responsabilità verso la banca, nonché
per la discrezionalità del termine per la restituzione dei titoli (v.
p. 11 b).
11 e) Cl. n. 66: art. 35 delle norme BF citate sub 11 b).
<<L'addebito in conto delle somme prelevate viene eseguito dalla
Banca in base alle registrazioni effettuate automaticamente dallo sportello
automatico abilitato presso il quale è stato effettuato il prelievo
e documentate dal relativo "giornale di fondo", le cui risultanze
fanno piena ed esclusiva prova nei confronti del Correntista, anche nel caso
di eventuale rilascio di comunicazione scritta contestuale a ciascun prelievo>>.
La clausola in questione conferisce a determinate scritture contabili
della banca (il giornale di fondo degli apparecchi automatici) il valore di
prova legale nei confronti del cliente: la vessatorietà si giustifica
per le ragioni già dette (v. p. 11 c/cl. n. 56).
11 f) Clausole nn. 32, 39, 72, 56, 66: si rinvia, rispettivamente, ai punti
8 c), 8 d), 8 e), 11 c), 11 e).
12) Clausole sull'anatocismo (n. 6, 59, 77).
12 a) Cl. n. 6: art. 7, comma 2-3, delle norme BPM per i conti correnti
di corrispondenza e servizi connessi (doc.5).
<<I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono chiusi
contabilmente con periodicità trimestrale e cioè a fine marzo,
giugno, settembre e dicembre di ogni anno applicando agli interessi dovuti
dal Correntista ed alle spese e commissioni previste dal comma precedente
valuta data di regolamento del conto, fermo restando che a fine d'anno, a
norma del precedente comma, saranno accreditati gli interessi dovuti dalla
Banca e operate le ritenute fiscali di legge. Gli interessi (
) sono
riconosciuti al Correntista o dallo stesso corrisposti (
) e producono
a loro volta interessi nella stessa misura>>.
La vessatorietà della clausola è argomentata, in modo condivisibile,
nello squilibrio (rilevante ex art.1469 bis, comma 1, c.c.) che la diversità,
non negoziata dalle parti, dei termini di chiusura del conto (trimestrale
per i conti debitori ed annuale per quelli creditori) determina nei confronti
del cliente, il quale è tenuto a corrispondere interessi anatocistici
capitalizzati trimestralmente mentre riceve dalla banca interessi capitalizzati
annualmente, squilibrio destinato ad aggravarsi per effetto della maggior
crescita che nel tempo subisce il debito per interessi del consumatore rispetto
a quello della banca.
Né è condivisibile il rilievo che si tratterebbe di clausola
insuscettibile di sindacato, ai sensi dell'art.1469 ter, comma 2, c.c., perché
attinente alla determinazione del corrispettivo, cioè del prezzo del
servizio. Il controllo del giudice è invece ammissibile (v. Trib. Monza,
2-3-1999, Foro it., 1999, 1340) perché riguarda non la <<determinazione
dell'oggetto del contratto>> ovvero la <<adeguatezza del
corrispettivo>> (come invece si avrebbe se ad essere sindacata fosse,
ad esempio, l'entità del tasso d'interesse ovvero la discrepanza tra
tassi attivi e passivi) ma solo gli effetti determinati sul piano dell'equilibrio
delle prestazioni da un elemento accessorio, qual è quello riguardante
la determinazione delle modalità anche temporali di pagamento in relazione
al momento della capitalizzazione degli interessi.
Qualora, invece, si ritenesse il contrario, allora la clausola dovrebbe essere
censurata per intrasparenza (artt.1469 ter, comma 2 e quater c.c.) e ritenersi
per ciò stesso vessatoria (non essendo possibile salvarla mediante
un'interpretazione adeguatrice, ai sensi dell'art. 1469 quater, comma 2, c.c.),
in quanto ne risulterebbe mascherata la funzione di determinazione del prezzo,
con l'effetto di aggirare il principio, strumentale a quello di trasparenza,
della necessaria determinazione nel contratto di tutte le condizioni economiche
dell'operazione finanziaria (v., in tal senso, l'art.117, comma 4 e 6, del
d. lgs. n. 385/1993). Infatti, come è stato detto in dottrina, benché
l'effetto pratico sia in ogni caso quello di far conseguire alla banca gli
interessi al medesimo tasso annuo x1 (dove x1 è il valore risultante
per l'effetto combinato del tasso annuo pattuito x e della capitalizzazione
trimestrale), non si può negare che per il cliente la formula contrattuale
sottopostagli dalla banca <<gli interessi sono computati al tasso
x in ragione di anno e i conti si chiudono ogni tre mesi>> è
ben diversa da quella, molto più chiara, <<gli interessi sono
computati al tasso x1 in ragione di anno>>.
L'evidente squilibrio determinato dalla clausola in esame è stato riconosciuto
anche dal legislatore che, nel comma 2 dell'art.120 del d.lgs. cit. (introdotto
dall'art.25 del d.lgs. 4-8-1999, n. 342), ha disposto che:<<Il CICR
stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli
interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività
bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia
assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel
conteggio degli interessi sia debitori che creditori>> (a nulla
rileva poi che lo stesso legislatore, al comma 3 del nuovo testo dell'art.120
cit., abbia in via transitoria stabilito la validità ed efficacia delle
clausole contenute nei contratti stipulati sino alla data di entrata in vigore
della delibera del CICR, atteso che, alla scadenza di tale termine, determinato
in centoventi giorni dall'entrata in vigore del decreto, le suddette clausole
<<debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera>>
e, in mancanza, <<divengono inefficaci>>).
L'affermazione di nullità della clausola in esame da parte della Cassazione
- che ha negato l'esistenza di un uso normativo che giustifichi, ai sensi
dell'art.1283 c.c., la deroga al principio secondo cui gli interessi scaduti
possono produrre effetti solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto
di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi
dovuti per almeno sei mesi (v. sent. 16-3-1999, n. 2374, in Guida al diritto,
1999, n. 13, 43; 17-4-1999, n. 3845, Foro it., 1999, 1429; 11-11-1999,
n. 12507) - non esclude e, anzi, in considerazione della perdurante esecuzione
della clausola (inserita in condizioni generali di contratto in vigore ad
ampia diffusione), aggrava il giudizio di vessatorietà che si è
dato, rendendo quindi necessario l'ordine di inibitoria, ai sensi dell'art.1469
sexies c.c..
In considerazione della rilevanza indiretta che, ai fini del giudizio di abusività,
assume la questione inerente alla nullità della clausola in esame,
è opportuno dar conto di quell'orientamento (espresso da Trib. Roma,
14-4-1999 e 26-5-1999, Foro it., 1999, 2370) che, discostandosi dalle
conclusioni della giurisprudenza di legittimità, la ritiene valida
in quanto <<in tema di conto corrente bancario, la capitalizzazione
trimestrale degli interessi dovuti dal cliente alla banca, ponendosi quale
naturale conseguenza della periodica chiusura del conto alle scadenze pattuite,
è legittima fino all'estinzione del rapporto>>.
Pur sorvolando sulla discutibile trasposizione nel conto corrente bancario
(e nelle operazioni bancarie regolare in conto corrente) delle norme sul conto
corrente ordinario (e, in particolare, dell'art.1831 c.c. riguardante la chiusura
del conto, nonostante che l'art. 1857 c.c., nel richiamare le norme del conto
corrente ordinario applicabili nel conto corrente bancario, ometta di menzionare
proprio l'art.1831), anche in considerazione delle differenze strutturali
tra i due contratti (nel primo, le partite di dare ed avere si compensano
progressivamente, il correntista può disporre in qualsiasi momento
delle somme risultanti a suo credito e ciascuna parte può recedere
in ogni momento se il contratto è a tempo indeterminato, nel secondo
la chiusura periodica del conto è necessaria per rendere esigibile
il saldo e consentire il recesso unilaterale), non si può negare che
l'effetto (ottenuto mediante un meccanismo censurabile anche sotto il profilo
della frode alla legge, ex art.1344 c.c.) della pattuizione relativa alla
chiusura del conto ogni tre mesi è di eludere (almeno nella parte in
cui consente di andare al di sotto del limite minimo semestrale) l'applicazione
di una norma pacificamente ritenuta imperativa, qual è quella dell'art.1283
c.c., secondo cui, in mancanza di usi normativi difformi, la cui esistenza
è ormai affermata solo dalle aziende di credito, la convenzione anatocistica
può essere conclusa soltanto dopo la maturazione degli interessi ai
quali essa si riferisce.
12 b) Cl. n. 59: art. 20, comma 2, delle norme BF sulla prestazione dei
servizi bancari e finanziari (doc. 12).
La clausola, analoga alla n. 6), è vessatoria per le ragioni espresse
al punto 12 a).
12 c) Cl. n. 77: art. 7, comma 1-2, delle norme ABI relative al conto corrente
di corrispondenza (v. contratti bancari-tipo del 1986, p. 11 ss.).
La clausola censurata dal MFD e dal CCA è stata modificata dall'ABI
con circolare in data 3-2-1995 ed il nuovo testo, rispetto al quale dev'essere
effettuato il giudizio di vessatorietà, è il seguente: <<1.
I rapporti di dare e avere relativi a conti creditori vengono chiusi contabilmente
con la periodicità pattuita ed indicata nel modulo allegato (
)
2. I conti che risultino anche saltuariamente debitori vengono chiusi contabilmente
con la periodicità pattuita ed indicata nel modulo allegato (
)
3. Gli interessi (
) sono riconosciuti al correntista o dallo stesso
corrisposti nella misura pattuita ed indicata nel modulo allegato e producono
a loro volta interessi nella stessa misura 2 >>.
Nonostante il riferimento alla <<periodicità pattuita>>,
che farebbe escludere l'esistenza di una raccomandazione o suggerimento dell'ABI
alle banche nel senso di prevedere un termine diverso di contabilizzazione
degli interessi ed a prescindere dall'esistenza del predetto modulo allegato
(non prodotto in giudizio), la citata nota 2) richiama (con pieno effetto
di raccomandazione nei confronti delle associate) il punto 12) della <<Raccolta
degli usi e consuetudini del settore del credito accertati su base nazionale,
revisione 1990-1995>> nel quale è prevista la capitalizzazione
trimestrale degli interessi relativi ai conti correnti debitori.
Pertanto, le ragioni di vessatorietà espresse al punto 12 a) valgono
anche per la presente clausola limitatamente al contenuto della predetta nota
2) al comma 3 dell'articolo in esame.
13) Clausole sulla garanzia patrimoniale della banca sui beni personali
dei coniugi (nn. 14, 44).
13 a) Cl. n. 14: art. 13, comma 3, delle norme BPM per i conti correnti
di corrispondenza e servizi connessi (doc.5).
13 b) Cl. n. 44: art. 5, comma 4, delle norme BF sulla prestazione dei
servizi bancari e finanziari (doc. 12).
<<In deroga all'art. 190 cod. civ. la Banca è espressamente
autorizzata ad agire in via principale, anziché sussidiaria, e per
l'intero suo credito, sui beni personali di ciascuno dei coniugi cointestatari>>.
La vessatorietà risulta dalla mancata negoziazione di una clausola
che determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti
e degli obblighi contrattuali (rilevante ai sensi dell'art.1469 bis, comma
1 e 3, n. 18, c.c.), in considerazione dell'inversione della regola legale,
stabilita dall'art.190 c.c., che consente al creditore di agire sui beni personali
dei coniugi solo in via sussidiaria (in caso di incapienza di quelli comuni)
e nella misura della metà del credito.
14) Clausole sul trattamento dei dati personali (n. 41) e che consentono
la compensazione unilaterale (n. 4, 46).
14 a) Cl. n. 41: si rinvia al punto 8 f).
14 b) Cl. n. 4: art. 5, comma 3-4, delle norme BPM per i conti correnti
di corrispondenza e servizi connessi (doc.5).
<<Al verificarsi di una delle ipotesi di cui all'art.1186 cod. civ.,
o al prodursi di eventi che incidano negativamente sulla situazione patrimoniale,
finanziaria o economica del Correntista, in modo tale da porre in pericolo
il recupero del credito vantato dalla Banca, quest'ultima ha altresì
il diritto di valersi della compensazione ancorché i crediti, seppure
in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili e ciò in qualunque
momento senza obbligo di preavviso e/o formalità fermo restando che
dell'intervenuta compensazione - contro la cui attuazione non potrà
in nessun caso eccepirsi la convenzione di assegno - la Banca darà
prontamente comunicazione al Correntista. Se il conto è intestato a
più persone, la Banca ha facoltà di valersi dei diritti suddetti,
sino a concorrenza dell'intero credito risultante dal saldo del conto, anche
nei confronti di conti e di rapporti di pertinenza di alcuni soltanto dei
cointestatari>>.
La vessatorietà risulta dalla mancata negoziazione di una clausola,
qual è quella in esame, che determina a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi contrattuali (rilevante ai sensi dell'art.1469
bis, comma 1 e 3, nn. 2 e 18, non invece del n. 3 che riguarda la clausola
che vieta l'opponibilità della compensazione da parte del consumatore),
atteso che la deroga alla compensazione legale (che, a norma dell'art.1243
c.c., può operare solo tra debiti ugualmente liquidi ed esigibili)
è ammissibile ai sensi dell'art.1252 c.c. ma presuppone una negoziazione
tra le parti che, nei contratti standard, è assente (è significativo
che l'art.14, lett. c, delle stesse norme consenta alla BPM di non onorare
gli assegni emessi successivamente alla ricezione della dichiarazione con
cui la banca dà comunicazione al cliente di avvalersi della facoltà
della compensazione tra crediti illiquidi ed inesigibili).
14 c) Cl. n. 46: art. 7, comma 4-5, delle norme BF sulla prestazione dei
servizi bancari e finanziari (doc. 12).
<<La Banca ha altresì il diritto di valersi della compensazione
ancorché i crediti non siano liquidi ed esigibili ed anche qualora
il credito del Cliente derivi da rapporti di mandato, in qualunque momento
senza obbligo di preavviso e di formalità, fermo restando che dell'intervenuta
compensazione, contro la cui attuazione non potrà in nessun caso eccepirsi
la convenzione di assegno, la Banca darà prontamente comunicazione
al Cliente (
) Per effettuare la compensazione la Banca è altresì
autorizzata irrevocabilmente dal Cliente a chiedere in suo nome e per suo
conto la liquidazione, il riscatto od il rimborso di tutte le attività
del Cliente (
)>>.
La vessatorietà si giustifica per le considerazioni espresse al p.
14 b) a proposito della cl. n. 4).
15) L'inibitoria.
A norma dell'art.1469 sexies, comma 1, c.c. dev'essere inibito all'ABI, alla
BPM ed alla BF l'uso delle trentadue clausole, contenute negli schemi contrattuali
unilateralmente predisposti e riassuntivamente elencate in dispositivo, di
cui è stata accertata l'abusività: a tale ordine le convenute
dovranno ottemperare rinunciando all'uso di tali clausole ovvero modificandole
nel senso di eliminare i profili di abusività.
Non può essere accolta, invece, la domanda (svolta dal MFD nella memoria
ex art.183, comma 5, c.p.c.) di <<positiva rettifica delle condizioni
generali di contratto>>. Ciò non per le ragioni (dedotte
dalle convenute) inerenti alla novità della stessa: sotto questo profilo,
infatti, la domanda è ammissibile, essendo finalizzata all'attivazione
di poteri tipicamente ufficiosi del giudice, quali sono quelli, discrezionali,
inerenti alla determinazione delle modalità e delle forme di attuazione
del provvedimento inibitorio (è significativo il riferimento della
dottrina alla tecnica di tutela offerta dall'art.2599 c.c. secondo cui <<la
sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione
e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati
gli effetti>>), ma per ragioni di merito. La <<positiva
rettifica>>, implicando una necessaria opera di sostituzione, adattamento
o abrogazione del testo negoziale, determinerebbe, infatti, un'impropria invasione
del giudice nell'ambito negoziale riservato alle parti (nel caso specifico,
alla parte predisponente le condizioni generali), la cui autonomia negoziale
deve invece liberamente esplicarsi con il solo divieto di riproporre la clausola
interdetta in versioni che nella forma e, soprattutto, nella sostanza non
rispettino l'inibitoria giudiziale.
16) La divulgazione della sentenza.
Al fine di informare la collettività dei consumatori, nei cui confronti
l'accertamento della vessatorietà compiuto nel presente giudizio collettivo
produce effetti (anche se, secondo una parte della dottrina, non vincolanti
nell'ambito delle successive controversie individuali) e di scongiurare l'inserzione
delle clausole abusive nei contratti individuali, è opportuno, ai sensi
dell'art.1469 sexies, comma 3, c.c., ordinare la pubblicazione del dispositivo
della presente sentenza su tre quotidiani a diffusione nazionale.
Strumentale rispetto a detti scopi e, soprattutto, all'eliminazione degli
effetti dannosi derivanti dalla perdurante applicazione di condizioni generali
di contratto abusive, è l'ordine che, in accoglimento della domanda
del MFD e del CCA, è opportuno rivolgere all'ABI di dare notizia dell'esito
del presente giudizio a tutte le imprese bancarie associate che quegli effetti
concretizzano recependo le raccomandazioni contenute negli schemi contrattuali
predisposti dall'associazione. E' invece da rigettare la richiesta di ordinare
alla BPM e alla BF l'invio di analoga lettera informativa alla propria clientela.
17) Gli effetti temporali della sentenza.
I convenuti eccepiscono l'inapplicabilità dell'inibitoria ai contratti
in corso (la cui fase esecutiva si dispieghi a cavallo della variazione del
quadro normativo) ma solo a quelli futuri, conclusi cioè dopo l'entrata
in vigore della legge n. 52 del 1996 che ha dato attuazione alla dir. 93/12/CE.
Tale orientamento, per effetto del quale dovrebbero trovare applicazione le
norme vigenti il giorno in cui il contratto è stato stipulato, è
ispirato ad una visione monolitica del rapporto contrattuale e non è
convincente, essendo, invece, condivisibile l'opinione (in tal senso, v. Trib.
Palermo, 7-4-1998, in Foro it., 1998, 1624) secondo cui gli effetti
di un rapporto contrattuale sorto prima dell'entrata in vigore dell'art.1469
bis ss. c.c. devono essere disciplinati dalla legge vigente nel tempo in cui
quegli effetti si realizzano, in applicazione del principio dell'efficacia
immediata della legge in vigore (art.11 disp. prel. c.c.), cui fa eccezione
quello, che pertanto avrebbe dovuto essere espressamente previsto, dell'ultrattività
della legge previgente. Tale soluzione è coerente, oltre che con la
ratio della direttiva sopra citata, il cui art.8 conferiva agli stati
membri di adottare disposizioni più severe e protettive per i consumatori
di quanto non lo fossero quelle contenute nella stessa direttiva, con l'orientamento
giurisprudenziale secondo cui il principio di irretroattività delle
leggi non impedisce che la norma innovatrice disciplini gli effetti di un
fatto generatosi anteriormente quando gli stessi effetti continuano a perdurare
al momento della sua entrata in vigore (in materia di fideiussione omnibus,
a seguito della riforma dell'art. 1938 c.c., v. Corte cost. 27-6-1997, in
Foro it., 1997, 204, in motiv., e Cass. 28-1-1998, n. 831, ivi,
1998, 779; in materia di intese restrittive della concorrenza derivanti da
convenzioni concluse anteriormente all'entrata in vigore dell'art.2 della
l. n. 287 del 10-10-1990, v. Cass. 1-2-1999, n. 827, ivi, 1999, 831;
in materia di rinvio agli usi per la determinazione degli interessi bancari
prima della legge n. 154 del 17-2-1992, v. Trib. Catania, 29-7-1998 e Trib.
Roma, 19-2-1998, ivi, 1998, 2997). Una soluzione diversa produrrebbe
invece un'ingiustificata disparità di trattamento tra clienti che intrattengano
con la banca rapporti finanziari identici solo perché hanno stipulato
il contratto in data precedente o successiva all'entrata in vigore della nuova
legge e, soprattutto, sarebbe irragionevole in considerazione del tipo di
inibitoria da adottare ai sensi dell'art.1469 sexies c.c. che riguarda non
l'inserzione di clausole vessatorie nelle condizioni generali di contratto
ma <<l'uso>> delle stesse, sicché al predisponente
deve ritenersi impedito non solo la stipulazione di nuovi contratti contenenti
le clausole dichiarate abusive ma anche l'esercizio dei poteri che da quelle
clausole derivano in tutti i rapporti contrattuali in essere anche se stipulati
anteriormente.
18) Le spese processuali.
In considerazione della parziale soccombenza reciproca (la domanda è
stata accolta relativamente a trentadue clausole su quarantuno finali), della
complessità e novità delle questioni trattate, sussistono giusti
motivi per la parziale compensazione delle spese processuali, che si liquidano
in dispositivo, limitando la condanna dei convenuti al pagamento del 50% di
quelle sostenute dal MFD e dal CCA.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda
proposta, con atto di citazione notificato il 17-12-1997, dal Movimento Federativo
Democratico nei confronti dell'Associazione Bancaria Italiana, della Banca
Popolare di Milano soc. coop. r.l. e della Banca Fideuram s.p.a., con l'intervento
in causa del Comitato difesa consumatori Altroconsumo, ogni diversa domanda
ed eccezione disattesa, così decide:
· dichiara ammissibile l'intervento in causa del Comitato difesa consumatori
Altroconsumo;
· dichiara l'abusività delle clausole, meglio specificate in
motivazione, identificate, secondo la numerazione del MFD, con i nn.: 2, 4,
6, 7, 8, 14, 15, 16, 23, 24, 31, 32, 37, 39, 40, 41, 44, 46, 48, 49, 50, 51,
52, 54, 56, 58, 59, 62, 66, 72, 77, 78 e, sia nei rapporti già in essere
che in quelli futuri, inibisce:
· all'ABI l'uso delle clausole: nn. 72 (art.3, comma 2, delle norme
in vigore relative al servizio delle cassette di sicurezza), 77 (art.7, comma
3, nota 2 delle norme relative al conto corrente di corrispondenza e servizi
connessi) e 78 (art.7, comma 6);
· alla BPM l'uso delle clausole: nn. 2 (art.3, comma 2, delle norme
per i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi, mod. 2873, ed.
10/96), 4 (art.5, comma 3-4), 6 (art.7, comma 2-3), 7 (art.7, comma 3, parte
2), 8 (art.7, comma 6), 14 (art.13, comma 3), 15 (art.16), 16 (art.18, comma
2), 23 (art.19 delle norme relative al contratto di deposito titoli, mod.
3657, ed. 7/95), 24 (art.1, comma 4, delle norme relative ai contratti di
negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta ordini concernenti valori
mobiliari, mod. 3785, ed. 9/96), 31 (p.6, n. 2, della domanda di concessione
di fido, mod. 3385, ed. 3/94), 32 (art.3, comma 2, delle norme relative al
servizio delle cassette di sicurezza, mod. 3018, ed. 6/96), 37 (art. 27, comma
1-2), 39 (dichiarazione integrativa allegata al contratto per il servizio
delle cassette di sicurezza), 40 (p.2 della domanda di finanziamento ipotecario,
mod. 3618 ed. 11/96), 41 (p.3 della stessa domanda);
· alla BF l'uso delle clausole: nn. 44 (art.5, comma 4, delle norme
sulla prestazione dei servizi bancari e finanziari, mod.072N01, 16/9/96),
46 (art.7, comma 4-5, delle stesse norme), 48 (art.8, comma 2), 49 (art.9),
50 (art.10), 51 (art.11), 52 (art.12, comma 1-4), 54 (art.15), 56 (art.16,
ultimo comma), 58 (art.18, comma 2), 59 (art.20, comma 2), 62 (art.27), 66
(art.35);
· rigetta la domanda con riferimento alle clausole identificate con
i nn.: 83 e 84 (ABI), 5, 17, 30, 38 e 42 (BPM), 47 e 57 (BF) e dichiara rinunciata
l'impugnazione della clausola n. 35;
· ordina all'ABI di dare tempestivamente notizia dell'esito del presente
giudizio a tutte le imprese bancarie associate mediante lettera circolare;
· ordina la pubblicazione del presente dispositivo, a cura e spese
dei convenuti in solido, sui quotidiani Il Sole 24 Ore, La Repubblica e
Il Corriere della Sera, una sola volta e con dimensioni non inferiori
a 15x15, entro il termine di trenta giorni dalla pubblicazione della sentenza;
· condanna i convenuti, in solido, a pagare al MFD e al CCA, in misura
del 50%, le spese processuali che, complessivamente, liquida, oltre iva e
cap, quanto al MFD, in £. 9.400.000 per onorari, £. 2.280.000
per competenze e £. 1.102.833 per spese e, quanto al CCA, in £.
5.840.000 per onorari, £. 1.630.000 per competenze e £. 400.000
per spese, compensa il restante 50%.
Roma, -1-2000.
Il giudice
(Antonio Lamorgese)
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
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