Anche Nanni Moretti dovrà scegliere
di Giovanni Palombarini
Una pretesa e un'illusione dovranno necessariamente
cadere. La pretesa è quella dei partiti dell'Ulivo, in particolare
dei Ds (ma non solo), di poter rappresentare con la linea politica che è
stata progressivamente elaborata nel corso degli anni Novanta quanto esiste
di sinistra nella società italiana. L'illusione è quella di
tante persone, non solo lavoratori intellettuali, che sentono di appartenere
al "popolo di sinistra" e che nei valori dell'uguaglianza, della giustizia
e della pace continuano a credere, l'illusione di potere trovare voce a livello
politico generale in quei partiti.
La pretesa e l'illusione si sono riproposte parallelamente, quasi intrecciandosi,
nel mese intercorso fra la manifestazione di piazza Navona del 2 febbraio
e quella organizzata dall'Ulivo il 2 marzo a piazza S.Giovanni.
Il succedersi degli avvenimenti evidenzia peraltro come tutto ciò sia
frutto di un persistente equivoco che va sciolto.
Moretti ha perfettamente ragione. Tutto le cose che ha detto in febbraio,
tutte le sue contestazioni riprese da tanti in tante sedi corrispondono al
vero. Anzi, l'elenco di quelli che molti nel popolo di sinistra considerano
gravi errori, sciagurate inadempienze, inutili compromessi potrebbe essere
molto più ampio.
E però: si tratta davvero errori, inadempimenti e compromessi inspiegabili?
Oppure tutto va ricondotto a qualcosa di molto più serio e importante,
che è ormai avvenuto e di cui bisogna prendere atto senza recriminazioni
che potrebbero essere devianti oltre che inutili?
Proprio qui si colloca l'equivoco. Rispetto alla critica agli assetti capitalistici
che un grande movimento democratico ha condotto per un secolo (una critica
fatta di ricerca teorica, di organizzazione delle classi subalterne, di battaglie
sociali e politiche) i partiti dell'Ulivo che ancora si autodefiniscono di
sinistra hanno preso le distanze in modo netto, inequivocabile. Non solo gli
eredi del Pci e del Psi non hanno più nulla in comune con quella storia
- le sue lotte, i suoi valori - ma si muovono ormai da tempo, con determinazione,
su un piano radicalmente diverso. Inutile ripercorrere qui il loro tragitto
nella direzione, voluta, di una politica moderata di centro, del tutto compatibile
con la logica del mercato, del profitto e dello sviluppo neoliberista del
capitalismo. Se per il Psi che è stato di Nenni, Morandi, Pertini e
De Martino, sotto questo aspetto è esplicita la vicenda del craxismo
fino alla chiusura del partito, per il Pci, a partire dalla morte di Enrico
Berlinguer è stato un susseguirsi di scelte assolutamente chiare, che
- anche dopo la sconfitta elettorale - sono legate da una grande, lucida coerenza
(qualche recente esempio che riguarda i Ds: il voto favorevole alla guerra
in Afganistan, le perplessità o addirittura le esplicite critiche allo
sciopero generale, l'esito del congresso di Pesaro). Come hanno evidenziato
cinque anni di governo dell'Ulivo, per loro l'orizzonte del domani, come per
le forze della destra, è dato dalla globalizzazione capitalistica.
La democrazia in cui credono e operano è quella dell'alternanza, non
quella dell'alternativa, in cui un qualche soggetto si faccia portatore di
un diverso progetto di società.
Rispetto a tutto ciò, che senso ha incalzare Rutelli e Fassino perché
siano un po' più radicali o inalberare cartelli con la scritta "D'Alema,
prova a dire qualcosa di sinistra"? L'indignazione sincera proprio di Massimo
D'Alema di fronte alla ragazza che gli contestava la politica di chiusura
adottata nei confronti dell'immigrazione extracomunitaria in occasione dell'incontro/confronto
fiorentino organizzato dai docenti della locale università è
stato l'ultimo esempio della contraddittorietà della situazione. L'ex
presidente della bicamerale e del governo, nella prospettiva in cui si è
collocato, è ovviamente convinto della bontà della legge Turco-Napolitano,
e non può comprendere le critiche ai centri di detenzione o alla logica
dell'Europa fortezza (o se le comprende, com'è più probabile,
le rifiuta perché ispirate a una logica che da tempo ha abbandonato).
Così come è stato ed è profondamente convinto di tante
cose che ha detto e fatto, dalla critica alla "rigidità" dei rapporti
di lavoro all'adesione alle guerre "etiche". Si muove nella prospettiva della
pace sociale, non del conflitto. Qualcuno pensa davvero di potergli far cambiare
idea?
Si tratta di scelte che corrispondono a una logica di fondo, non casuale ma
meditata. Dietro queste scelte, ormai irreversibili, c'è probabilmente
una lettura pessimista della situazione italiana, che grossolanamente può
riassumersi così. L'Italia per molte ragioni storiche è un paese
largamente di destra (si è detto e ripetuto: anche il successo dell'Ulivo
del 1996 è stato il frutto di un'accorta tattica elettorale, ma i nudi
numeri di quella consultazione confermano l'analisi); l'unica alternativa
possibile all'alleanza fra Berlusconi, Fini e Bossi è una politica
condotta da un centro democratico, civile, europeo, che sappia parlare credibilmente
ai moderati. E infatti è in corso un grande lavorio - si dice: il rilancio
dell'Ulivo - per dare vita a questo centro, un centro a due gambe, quella
erede del cattolicesimo democratico e quella rappresentativa di tutti i laici
progressisti.
L'analisi non è condivisibile - appunto le grandi lotte sociali, le
lotte per i diritti, possono modificare la situazione, e la prospettiva di
un mondo diverso deve essere l'orizzonte costante del lavoro politico - ma
ha certamente una sua serietà; e chi si è convinto delle conclusioni
a cui quell'analisi lo ha condotto di certo non modificherà l'essenza
della sua linea politica (del resto, perché dovrebbe?).
I fatti di queste settimane dimostrano però due cose.
La prima: che i protagonisti del neocentrismo degli anni 2000 devono lasciare
da parte la pretesa di rappresentare anche la sinistra sociale e la cultura
alternativa, perché da qui ricevono contestazioni crescenti, anche
con riferimento a quelle tematiche che una volta venivano definite sovrastrutturali
(il tanto criticato rifiuto del "voto utile turandosi il naso" è stato
il primo segnale di un distacco necessario; ma oggi non c'è più
solo l'astensionismo a segnalare questa contestazione). La stessa manifestazione
di piazza S.Giovanni con il contrasto fra gli slogans della gente e i discorsi
sul palco ha evidenziato i limiti dei loro tentativi di ricupero.
La seconda: nella società, ma anche nel popolo dei girotondi, accanto
all'indignazione cominciano a fiorire gli interrogativi circa il ruolo dei
partiti che si autodefiniscono di sinistra. Allora, per la chiarezza che è
necessaria per arrivare a sconfiggere la destra, è apprezzabile il
lavoro di chi mira a sciogliere l'ambiguità che caratterizza la situazione.
L'illusione è davvero in crisi. Tra l'altro, a partire dai fatti del
G8 di Genova si è intensificata la ricerca, nella società civile,
di sedi, forme e modi per praticare un'altra politica, basata su valori alternativi,
riassunti nello slogan "un altro mondo è possibile". Questo lavoro,
anche se davvero "di base" e poco pubblicizzato sui media, comincia a produrre
dovunque, anche in coloro che si sono mossi per una "legge uguale per tutti",
domande e riflessioni.
La pretesa e l'illusione sono ancora vive. E' però cominciata la loro
crisi, sperabilmente irreversibile.
Dunque, anche Nanni Moretti, che vuole ascoltare e veder fare cose di sinistra,
dovrà scegliere.
Fuori finalmente dall'equivoco (quanto ci vorrà per uscirne?), se nella
sinistra reale le cose evolveranno in un determinato modo, se vi sarà
una crescita che porterà (di certo non a un nuovo partito ma) a meccanismi
di coordinamento e di rappresentanza su contenuti generalmente condivisi capaci
di proporsi come interlocutori politici a livello generale, si imporranno
di volta in volta leali, chiari accordi elettorali fra questa sinistra e il
centro democratico, visto che il maggioritario - ormai tre elezioni generali
stanno a dimostrarlo - è il meccanismo operante nel nostro paese.
Fermo questo punto - il governo del paese non può essere lasciato a
questa destra - per il resto ognuno sarà chiamato a scegliere. Il discrimine
è visibile, e passa essenzialmente per due snodi. Il primo, essenziale,
è quello della accettazione o meno dello sviluppo neoliberista della
società non solo italiana. Il secondo, che si lega in modo evidente
al primo, è quello della accettazione o meno di una tendenza del diritto
internazionale che vede ormai una potenza imperiale dettare le regole e, quando
lo ritiene opportuno, imporre la guerra. Scegliere è necessario, anche
perché stare da una parte o dall'altra ha inevitabilmente riflessi
e conseguenze rilevanti in tema di contenuti.
Un esempio, in tema di questioni istituzionali. A proposito delle forme che
attualmente va assumendo la democrazia dell'alternanza e della delega, osservatori
e studiosi attenti segnalano i rischi di una "dittatura della maggioranza".
Sta passando l'idea che chi ha avuto l'investitura popolare può fare
tutto, essendo sottoposto al solo controllo della successiva consultazione
elettorale. In questo contesto la stessa questione morale sta assumendo profili
nuovi: accanto al vecchio sistema dello scambio illegale - le tangenti - si
profila un modo di governare che prevede direttamente l'adozione di scelte
e l'emanazione di leggi in proprio favore. Per questo uno studioso come Mario
Dogliani ha parlato, a proposito dei primi mesi di questa legislatura, di
una buona fede parlamentare in crisi, e del conseguente intrecciarsi della
questione morale con la questione costituzionale.
Ebbene, dove e con chi Nanni Moretti potrà sviluppare una riflessione,
ed eventualmente maturare proposte, finalizzate a inventare meccanismi correttivi
di una simile tendenza, o più semplicemente a ricuperare forme di partecipazione
popolare - in particolare di soggetti portatori di competenze specifiche -
per la formazione delle decisioni?
Un altro esempio, in tema di diritto/i e giustizia. Qui un primo, immediato
livello di impegno è certamente quello della difesa delle previsioni
costituzionali in tema di autonomia della magistratura e di indipendenza del
pm, o della protezione del singolo giudice dalle aggressioni di una destra
selvaggia: cosa che è comune a tutti i democratici, per cui il dialogo
e le intese fra il centro democratico, della magistratura e della politica,
fra il popolo dei girotondi e dei palavobis, con quanto - singoli o associazioni
- vi è di sinistra nella cultura e nella società dovrebbe essere
facile (non sempre peraltro, come ha evidenziato la vicenda della Bicamerale).
Un secondo livello di ricerca e di impegno è però quello del
dare risposte, alternative rispetto all'esistente, alla vecchia domanda "quale
giustizia". L'attuale situazione (e le tendenze in atto) in tema di pace,
guerra e diritto internazionale, di immigrazione e di tossicodipendenza, di
lavoro dipendente e di lavori cosiddetti autonomi sempre più flessibili,
di salute nei cantieri e nelle città, di condizione delle minoranze
e di servizi pubblici sempre più privatizzati, ripropongono continuamente
questa domanda, alludendo a soluzioni alternative, a una società organizzata
diversamente. Ebbene, anche qui: dove e con chi .. .
Scegliere non è facile, ma di certo non è possibile rimanere
nell'equivoco. Quanto c'è di sinistra nella società ha bisogno
del contributo degli intellettuali. Come deciderà Nanni Moretti?
Roma, 11.3.2002
Omissisa
cura di magistratura democratica romana
Chi siamo |
Come eravamo |
Legislazione |
Giurisprudenza |
Migranti |
Archivio |
Satira giuridica |
Prima pagina |
Suggerimenti critiche articoli notizie |