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CHI VIVEVA IN EMILIA-ROMAGNA PRIMA DEI CELTI | I CELTI CONTRO ROMA |
LA CELTIZZAZIONE DELLA VALLE PADANA | LA PROGRESSIVA COLONIZZAZIONE ROMANA |
Date importanti
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Roma sconfigge un popolo dopo l'altro
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Progressiva invasione del territorio celtico
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Avvenimento
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Avvenimento
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390-300 a.C.
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I Sénoni attaccano più volte l'Urbe,
che può solo difendersi.
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295 a.C.
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Roma sconfigge i Sénoni. Comincia il loro declino
militare.
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284-283 a.C.
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Disfatta dei Sénoni e devastazione del loro territorio.
Prima colonia romana fondata in territorio celtico (Ager Gallicus): Sena (Senigallia). |
283 a.C.
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Prima guerra dei Boi contro Roma: vince Roma. I
Lingoni d'ora in poi si dichiarano neutrali. Boi e Romani stipulano una
pace che dura quasi 50 anni.
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268 a.C.
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Fondazione della colonia di Ariminum (Rimini),
sulla punta settentrionale dell'Ager Gallicus. È il primo
atto della conquista romana dell'Italia settentrionale. Durante la pace
coi Boi i romani fondano altre colonie in territorio senonico.
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236 a.C.
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Riprende la guerra. I Boi assediano Rimini, ma senza successo.
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232 a.C.
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Approvazione della cosiddetta Lex Flaminia: le
terre dei Sénoni passano ad essere Ager publicus populi Romani.
Roma le concede ai propri soldati e veterani che ne fanno richiesta.
Viene avviata una prima centuriazione del territorio (che sarà poi sospesa con la discesa di Annibale nel 218 a.C.). |
225 a.C.
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Roma sconfigge, in Etruria, la più grande armata
interceltica mai realizzata (solamente i Cenòmani si sono chiamati
fuori). I popoli sconfitti trattano la resa.
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224-22 a.C.
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Violando la resa, Roma invade per la prima volta il territorio
dei Boi e si spinge per la prima volta anche al di là del Po, sconfiggendo
gli Insubri. Nel 222 Roma ha già completato la conquista
del loro territorio, compresa quella di Medhelan (Milano), la loro
capitale.
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222 a.C.
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I Celti sono costretti ad accettare lo status di ausiliarii,
cioè di sudditi di Roma. A questa condizione possono continuare
ad abitare nel suo territorio.
Roma crea la nuova Provincia Cisalpina, comprendente tutta l’Italia settentrionale. |
218 a.C.
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Fondazione della colonia romana di Cremona, la
prima al di là del Po.
Viene completato l'ultimo tratto della Via Flaminia, da Fano a Rimini. |
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218-07 a.C.
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Rivolta delle popolazioni celtiche in seguito alla discesa
in Italia di Annibale.
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197-96 a.C.
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I romani sconfiggono definitivamente gli Insubri.
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196 a.C.
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Roma raggiunge un accordo con Cenòmani e Insubri, lasciando
loro i territori già posseduti.
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192 a.C.
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Cade Bona (Bologna): i romani vincono anche l'ultima
resistenza, quella dei Boi.
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191 a.C.
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Roma concede la pace ai Boi in cambio della metà
del loro territorio.
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Guarda
la foto nella sua collocazione originale
[390]: battaglia sul fiume Allia tra Sénoni e Romani.
I celti sopresero i nemici per la velocità e per il modo di combattere,
affatto diverso da quello cui i romani erano abituati, e riportarono una schiacciante
vittoria. Successivamente l’esercito si diresse verso Roma e saccheggiò
la città. Roma potè liberarsi solo pagando un grosso riscatto.
Il giorno della battaglia, il 18 luglio, fu segnato come giorno nefasto per
antonomasia e avrebbe accompagnato i romani per tutto il resto della loro storia.
Dal sito dell'Università
di Trieste:
La presa di Roma da parte delle truppe sénoni guidate da Brenno rimane
come uno degli episodi più traumatici della storia di Roma, tanto da
rimanere registrata negli annali con il nome di Clades Gallica,
ossia catastrofe gallica. Ne danno testimonianza Polibio (II, 18, 2), Livio
(V, 35-55), Diodoro Siculo (XIV, 113-117) e Plutarco (Camillo, 15, 32). Il tentativo
romano di fermare i Galli a sole undici miglia da Roma, costruendo un terrapieno
presso la confluenza nel Tevere del fiume Allia (da identificare con
il Fosso della Bettina o della Regina - il Fosso Maestro o della Marcigliana),
un corso d'acqua che sfocia nel Tevere in corrispondenza del 18° Km della
via Salaria, si risolse in una tragica sconfitta delle truppe romane. Il giorno
della bruciante umiliazione, il dies Alliensis (18 luglio), divenne sinonimo
di sciagura e fu registrato nei calendari imperiali come dies nefastus.
Dopo la vittoria, i Galli saccheggiarono Roma e occuparono la città per
alcuni mesi. Infine stremati dalla carestia e dalle epidemie, i Romani strinsero
un accordo con gli invasori: si impegnarono al pagamento di un riscatto di mille
libbre d'oro per la liberazione della città, il cosiddetto aurum
gallicum. I romani chiameranno l'oro pagato ai Galli "oro maledetto"
ed, ancora alle soglie dell'età imperiale, la letteratura storiografica
continuerà a riportare dal mondo celtico il racconto di eventi funesti
in misura molto maggiore rispetto agli episodi fausti, come se l'oro maledetto
avesse contaminato il territorio padano.
[360]: "Quando poi di nuovo i Celti il trentesimo anno dopo la presa della città pervennero con un numeroso esercito fino ad Alba, i Romani, sorpresi dall'attacco improvviso, poiché le truppe alleate non si erano raccolte velocemente, non osarono affrontarli in campo aperto". Polibio, Storie, II, 18 (trad. Schick)
[348]: "Ma quando dodici anni più tardi i Galli avanzarono a un nuovo assalto con un numeroso esercito, i Romani, avutane notizia in tempo, riuniti gli alleati, con grande ardore mossero loro incontro... I Galli però spaventati per tale impeto e per di più essendo venuti a contesa fra loro, sopraggiunta la notte ritornarono in patria, con una ritirata del tutto simile ad una fuga". Polibio, Storie, II, 18 (trad. Schick)
[299]: i Senoni si uniscono agli Etruschi contro Roma, che, a sua volta, si allea con i Piceni, stanziati lungo l'Adriatico a sud del fiume Esino. Come dura reazione alla stipula del patto etrusco-gallico, Roma intraprende una spedizione punitiva in Etruria (298). Si sta preparando da ambo le parti la battaglia decisiva del 295.
[295: agosto]: La battaglia di Sentino è considerata
lo scontro più sanguinoso mai combattuto dai romani contro gli altri
popoli italici. Lo scontro ebbe un peso decisivo sulle sorti future della penisola
italiana, che dopo questo punto di svolta subì l'avanzata romana come
un evento inesorabile (cfr. supra). Il fronte
antiromano comprendeva quattro nazioni: da una parte una coalizione italica
comprendente Sanniti, Sabini, Pretuzi, Lucani cui si univano i Celti (comandati
dai Sénoni); dall'altra Etruschi e Umbri. Alla sua testa vi era il sannita
Gellio Egnazio, promotore dell'alleanza e capo del più forte contingente
armato della coalizione.
Roma rispose all'accerchiamento inizialmente per via diplomatica: strinse dei
patti difensivi con Arezzo e con i Piceni per isolare i Celti; inoltre si alleò
con i popoli confinanti dei Sanniti a nord (Peligni) e lungo l'Adriatico (Marrucini
e Frentani, stanziati tra i fiumi Sangro e Fortore). In reazione a questa strategia
Gellio Egnazio aveva deciso di spostare il campo di battaglia fuori del Sannio,
ritenendo che gli eserciti alleati si sarebbero potuti riunire senza difficoltà
nel cuore dell'Umbria. A Roma, quando giunse la notizia della nuova dislocazione
degli avversari, si reagì con la mobilitazione di tutto l'esercito, che
allora era composto di sei legioni. Una legione venne subito inviata alla
volta dei territori lasciati sguarniti dall'esecito di Gellio Egnazio per seminare
terrore e per razziare i beni dei Sanniti. Quattro legioni, circa 35.000 soldati
(metà cittadini romani e metà alleati italici), puntavano verso
il luogo dello scontro al comando dei consoli in persona: due legioni con Quinto
Fabio Rulliano, le altre due con Publio Decio Mure. La legione rimanente copriva
Roma con annesso il compito di avanzare in territorio etrusco ed operare razzie
e distruzioni. Siamo nel 296 a.C., la battaglia finale è sempre più
vicina.
Che aspetto aveva il luogo della battaglia? Federico Uncini (vedi il link sotto)
scrive che Sentino (centro di origine umbra ora in territorio gallico) era ubicato
nel pianoro rialzato dell'odierna città di Sassoferrato, semicircondato
da dirupi naturali nel cui fondo scorrevano i fiumi Sentino e Marena (collocazione
tipica degli insediamenti preromani). Sentino era un passaggio obbligato per
chi era diretto verso la costa adriatica proveniendo da Gubbio (passo di Scheggia)
o da Fabriano. L'esatto luogo della battaglia è tuttora ignoto e i diversi
studi che sono stati condotti sulla materia non sono giunti a conclusioni univoche.
Uncini spiega come la collocazione della battaglia a Sentino sia infatti convenzionale:
"Tito Livio ha ben citato l'assedio delle città in altri avvenimenti,
ma riguardo a Sentino usa la frase in Agrum Sentinate anziché
Ad Sentinam. Non avendo alcuna notizia da T. Livio sull'assedio della
città, si può dedurre che i Romani hanno affrontato gli alleati
a sud dell'Agro Sentinate, nella piana di Fabriano, senza coinvolgere Sentino".
La
battaglia di Sentino di Federico Uncini. Qui riportiamo la parte finale
del suo ragionamento sul luogo dove effettivamente si svolse la battaglia, rimandando
alla lettura del documento originale per la trattazione completa:
"In conclusione
si può presumere che la battaglia si svolse nella piana più estesa
del territorio di Sentino, ovvero quella dell'odierna città di Fabriano.
Tale ipotesi viene avallata dalle seguenti considerazioni:
- La via più probabile intrapresa dai Romani per raggiungere l'Ager Sentinate
fu quella proveniente da Camerino;
- L'Ager Sentinate confinava con l'Ager Attidiate tramite il fiume Giano e la
valle del Rio Bono;
- La pianura fabrianese di allora era la più adatta per contenere due
eserciti con un totale di circa 60.000 uomini."
L'esercito di Etruschi e Umbri si raccolse a Chiusi, vicino al lago Trasimeno,
e l'esercito di Celti e Sanniti si radunò appunto a Sentino. Vennero
previsti due distinti accampamenti, anche perché il piano prevedeva una
manovra a tenaglia da nord e da nord-est per soffocare la forza di Roma. Il
primo scontro avvenne nell'Etruria meridionale contro Etruschi e Umbri (rinforzati
da un contingente di Galli) e fu sfavorevole ai romani. Invece nella piana di
Sentino, contro i nemici più pericolosi, ossia Sénoni e Sanniti
coi loro alleati italici, i romani conseguirono una netta vittoria, pur con
il sacrificio in battaglia di uno dei due consoli, Publio Decio Mure. Morì
anche il capo sannita Gellio Egnazio che, travolto dalla ritirata dei suoi,
cadde durante la disperata difesa degli accampamenti dei Sanniti e dei Galli.
Secondo Tito Livio si contarono ben 25.000 morti fra i Galli e i Sanniti, oltre
a 8000 prigionieri, mentre i romani ebbero 8000 caduti.
Le fasi della battaglia
(80 k)
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Le conseguenze della sconfitta presso i Celti furono decisive:
i Sénoni persero i loro migliori capi politici e militari; tentarono
la rivincita nel 284, ma furono nuovamente sconfitti: cominciò così
il loro declino militare.
[284-82]: Guerra tra Romani e Sénoni. Anno 284.
I Celti scesero fino ad Arezzo (città etrusca alleata di Roma) chiedendo
agli abitanti di rompere l'alleanza e unirsi a loro. Dall'Urbe giunse in soccorso
degli aretini un esercito guidato dal console L. Cecilio Metello. I Celti massacrarono
le legioni romane, procurando la morte dello stesso Cecilio Metello e di tredicimila
soldati. Dopo lo scontro presero le armi contro Roma anche Etruschi, Sanniti,
Lucani e Bruzi. Il nuovo console, Manio Curio Dentato, cercò di riscattare i
propri prigionieri ma, secondo alcune fonti, i Senoni uccisero proditoriamente
anche gli ambasciatori inviati per l'occasione. I romani la considerarono un'inaccettabile
violazione giuridica. Dentato guidò allora l'esercito nel territorio del nemico,
sconfisse i Celti in battaglia e trattò senza pietà i vinti, mettendo a morte
tutti quelli che non si erano salvati con la fuga [G. De Sanctis, Storia dei
Romani, vol. II, Firenze 1960]. Una parte dell'esercito dei Sénoni, scampata
a Curio Dentato, si rifugiò nelle terre dei Lingoni, mentre le famiglie
che non avevano preso parte alla battaglia rimasero sul territorio, che venne
occupato dai romani.
Anno 283. Con una marcia "tumultuosa" [E. Campanile], quasi la ripetizione
di quella di un secolo prima, Boi, Etruschi e i resti dei Sénoni si portarono
fin nell'alto Lazio; questa volta però mancò l'effetto sorpresa
e al lago Vadimone (nei pressi di Orte, oggi prosciugato) furono travolti e
sterminati dalle forze romane. Fu l'ultima guerra combattuta dai Sénoni
contro i Romani.
Anno 282. Un altro esercito di Boi ed Etruschi venne sconfitto a Populonia.
I due popoli accettarono la pace.
[238]: ricominciarono gli scontri tra Romani e Boi. I Boi, spinti verosimilmente da Cartagine, avevano elaborato un piano che prevedeva il taglio dei collegamenti tra Roma e i Veneti presso Rimini. Ma l’assedio di Rimini non ebbe successo per l'insorgere di contrasti tra i celti cisalpini e i loro alleati transalpini. Polibio riferisce che i boi, non tollerando la presenza dei transalpini, si ribellarono ai propri comandanti Ati e Galato e cacciarono i non desiderati alleati d'oltralpe. Tali sanguinosi contrasti interruppero bruscamente l'assedio.
[225]: venne formata la più grande coalizione celtica
mai realizzata contro i romani. Ai Boi, cispadani, si unirono gli Insubri, i
Taurisci e i Taurini transpadani. Come già nel 299 e nel 236 si associarono
anche contingenti di transalpini (i Gesati, il cui nome deriva forse dal gaesum,
un giavellotto loro arma caratteristica) per formare una vera e propria armata
interceltica (50.000 fanti e 20.000 cavalieri, come racconta Polibio). L’alleanza
ebbe l’appoggio anche dei Liguri; gli Etruschi non frapposero ostacoli. L'armata
dei Gesati scese in Italia ed effettuò la giunzione con le truppe dei
Celti Cisalpini sul Po. L'esercito alleato era comunque inferiore di numero
a quello romano, che era composto di quattro legioni provenienti dall'Urbe e
di due corpi d'armata alleati: uno sabino-etrusco e uno veneto-cenòmane.
I comandanti dell'esercito celtico, i re Concolitano ed Aneroesto, diedero l'ordine
di marciare verso Roma passando per il territorio etrusco. Dopo aver aggirato
Arezzo, difesa da truppe romane, i Celti si fermano nei pressi di Chiusi.
Dalla costa adriatica giunse sul posto l'esercito del console romano Emilio
Papo. I Celti attirarono Papo in una trappola, dove persero la vita seimila
legionari. Poi, lasciata Chiusi, si diressero verso il mare, presumibilmente
in vista del congiungimento con un contingente di Cartaginesi, che dovevano
unirsi all'offensiva. Avendo però Cartagine rinunciato ad offrire il
proprio appoggio, i Celti decisero di rinunciare ad attaccare Roma e cominciarono
quindi a risalire verso la Gallia. Ma non avevano fatto i conti con le legioni
romane guidate da Gaio Attilio Regolo che, da Pisa si stavano dirigendo verso
sud. Con reciproca sorpresa i due eserciti si avvistarono nella baia di Talamone,
sulla costa tirrenica. Divampò la battaglia.
Attaccati su lati opposti dalle legioni romane, le schiere dei Celti subirono
una pesante sconfitta. Caddero sia Attilio Regolo che i due re celti, uno in
battaglia e uno per suicidio d'onore. L'esercito celtico fu distrutto. Morirono,
probabilmente, più di ventimila soldati e migliaia furono fatti prigionieri.
L'enorme bottino che i Celti avevano raccolto con le loro razzie finì nelle
casse di Roma.
Nel 224 i Boi trattarono la resa con l'Urbe. Ma i romani non rispettarono i patti, anzi: approfittando della loro superiorità decisero di attaccare i celti nel loro territorio. Sotto il comando di Gaio Flaminio risalirono la penisola fino al Po. Marco Claudio Marcello, il console del 222 che conseguì la vittoria finale a Clastidium, ottenne anche la soddisfazione tutta personale di vincere a duello il capo celtico, che gli fruttò il raro onore delle spoliae opimae.
222: Battaglia di Clastidium (odierna Casteggio, PV)
[218]: All'inizio dell'anno i cartaginesi valicarono le Alpi; i romani intanto si erano disposti su tre fronti, il primo tra il Ticino e il Po, il secondo tra Piacenza e Cremona ed il terzo tra Piacenza e Modena. Sul primo fronte venne ingaggiata una battaglia che vide Annibale prevalere. I romani si ritirarono a Piacenza. Quando i cartaginesi giunsero a Piacenza, alcune migliaia di cavalieri celti, aggregati all'esercito romano, si sollevarono e passarono dall'altra parte, dopo aver ucciso molti dei loro ex commilitoni romani. A questa sollevazione seguì la rivolta della popolazione, che si unì all'esercito di Annibale per dargli manforte. Cartaginesi e Celti inflissero una dura sconfitta ai romani sul Trebbia. Dopo questa vittoria si irrobustì l'alleanza tra cartaginesi e tribù celtiche, che riconoscevano in Annibale il loro liberatore.
[21 giugno 217: Battaglia del Trasimeno]. Prosegue la campagna di Annibale nella penisola, alla guida di un esercito a cui si sono arruolati grossi contingenti di mercenari celti. Le milizie celtiche sopresero le forze principali di Gaio Flaminio (qui al suo secondo consolato), mentre procedevano incautamente lungo la riva settentrionale del Trasimeno. I romani caddero in una trappola e vennero massacrati. Quindicimila soldati uccisi, quindicimila prigionieri, diecimila dispersi. Morì lo stesso Flaminio, il quale nel 232, da tribuno, aveva fatto approvare l'omonima legge che assegnava una parte del territorio dei Sénoni al popolo romano e nel 223, da console, aveva trionfato sui Galli Insubri.
[216]: in estate Roma inviò il pretore Lucio Postumio nel territorio dei Sénoni con l'incarico di debellare definitivamente le bande che saccheggiavano le proprietà dei coloni romani beneficiati dalla Lex Flaminia. Quando i Boi seppero che i romani avevano l'intenzione di attaccare gli ultimi superstiti di quello che era stato il popolo dominante dei Celti d'Italia, e che la stessa sorte sarebbe poi toccata a loro, dimenticarono l'antica rivalità e corsero in aiuto dei Sénoni. Venne preparata accuratamente un'imboscata presso la Selva Litana, la fitta foresta alternata a palude che copriva la zona tra Ravenna e il Po. In queste terre basse e acquitrinose venne sterminato in pochi giorni un intero esercito di 25.000 soldati provenienti da Rimini. Trovò la morte lo stesso Lucio Postumio. Quella della Selva Litana fu l’ultima vittoria militare dei celti sui romani. Tito Livio sintetizzò l'evento con un'espressione che rimase immortale (XXXII-24): " nova clades nuntiata " (una nuova strage annunciata).
[207]: Battaglia del Metauro, tra romani e cartaginesi di Asdrubale. I romani misero in campo circa 60.000 uomini contro i circa 50.000 soldati cartaginesi, iberi, liguri e celti. Il fronte antiromano perse più di ventimila uomini, i romani ebbero circa 8.000 caduti.
[201]: Roma avviò l'ennesima campagna contro Sénoni e Boi, con l'intento di cacciarli dai loro territori. Al comando della spedizione vennero posti il prefetto Caio Ampio (contro i Sénoni) ed il console Publio Elio (contro i Boi). L'unico risultato fu una strage di soldati romani presso Mutilum (Modigliana, Forlì) che vennero sorpresi mentre stavano mietendo il frumento dopo aver effettuato un saccheggio ai danni di un villaggio di Sénoni. I soldati romani avevano abbandonato il campo fortificato quando furono attaccati e messi in fuga da Sénoni e Boi; morirono in settemila.
[197-96]: i romani sconfiggono definitivamente gli Insubri. L'anno prima i Cenòmani erano usciti dall'alleanza celtica ed avevano chiesto la pace separata.
[192]: l'ultima resistenza, quella dei Boi, è stroncata dal console Publio Cornelio Nasica (cugino dell'Africano), il quale distrugge un esercito di Boi in una battaglia campale risolutiva. I Boi, dopo la capitolazione, fanno atto di deditio (resa incondizionata). L'anno successivo Scipione ottiene il trionfo (cerimonia possibile solo nel caso che fossero stati uccisi in battaglia almeno 5.000 nemici). Sfilano a Roma carri, armi, insegne, spoglie d'ogni genere, vasi di bronzo, nobili imprigionati, mandrie di cavalli, più di 1.400 collari rigidi(torques) d'oro, 2.340 libbre d'argento, 234.000 bigati (monete d'argento con l'impronta di una biga sul rovescio).
Dobbiamo precisare che il numero di 60.000, fornito da Uncini, riguarda la sola battaglia di Sentino. I numeri che noi abbiamo indicato riguardano complessivamente i due fronti.