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ROMAGNA PREROMANA

Celti contro Romani

PAGINA INIZIALE RAPPORTI CON ALTRI POPOLI
   
CHI VIVEVA IN EMILIA-ROMAGNA PRIMA DEI CELTI I CELTI CONTRO ROMA
   
LA CELTIZZAZIONE DELLA VALLE PADANA LA PROGRESSIVA COLONIZZAZIONE ROMANA


Nel IV secolo
Nel III secolo
Arriva Annibale
Fine dell'indipendenza
Date importanti

 

L'ultima sollevazione celtica contro i romani (200)
Dopo la vittoria definitiva su Annibale (201) i romani elaborarono una nuova strategia: provocare la rottura dell’accordo con i Boi, con il conseguente annullamento degli impegni presi; si sarebbe così avuto il pretesto per invadere le terre celtiche. Roma cominciò così a inviare colonne di soldati nei villaggi celtici per compiere saccheggi e razzie; gli abitanti venivano presi di sorpresa e non facevano in tempo a reagire. Ben presto tra le popolazioni celtiche si formò l’opinione che i romani non si sarebbero accontentati di ottenere l'egemonia sulla Valle Padana, ma avrebbero distrutto e sterminato le tribù cisalpine. Gli accordi di non belligeranza stipulati con il Senato si erano rivelati carta straccia. Venne organizzata l’ennesima sollevazione contro i romani (200): gli Insubri, i Boi e le tribù liguri dell'Appennino si posero sotto la guida del cartaginese Amilcare. Si unirono per la prima volta agli insorti anche i Cenòmani.
Dopo che l'esercito celto-ligure, forte di 40.000 uomini, ebbe preso e distrutto Piacenza, attaccò Cremona. La reazione del Senato romano fu immediata: le truppe di stanza ad Arezzo e Rimini marciarono verso Cremona in aiuto degli assediati. Il comando fu dato al console Purpione, che nel 199 sconfisse Insubri e Boi, liberando Cremona con grande spargimento di sangue (fonti romane parlano di oltre 30.000 morti, tra i quali lo stesso Amilcare). I Cenòmani uscirono dall’alleanza e trattarono la pace separata coi romani (197). Gli Insubri, privati dell’apporto dei Cenòmani, furono sconfitti subito dopo (196) dai consoli Cornelio Cetego e Quinto Minucio, alla guida di quattro legioni. Roma raggiunse un accordo con Cenòmani e Insubri, lasciando loro i territori già posseduti.

La guerra totale finale
A Roma restò da piegare la sola resistenza dei Boi, gli ultimi a non volersi piegare alla loro supremazia. I Boi erano stanziati lungo la linea che collegava Rimini a Piacenza e ciò rappresentava per i romani un limite strategico alla loro libertà di movimento. I romani decisero allora di attuare la strategia della "terra bruciata" in maniera sistematica e continuativa. Le legioni accampate a Piacenza razziarono a più riprese le terre dei Boi in pianura facendo puntate offensive anche verso i fondivalle dell’Appennino. La resistenza dei Boi durò ben otto anni finché il saccheggio sistematico delle loro terre finì per prevalere sulla loro ostinata resistenza (192, in quest'anno avvenne anche la resa di Bona). Da questo contesto di "guerra totale" provenne la notizia della richiesta di resa da parte del Consiglio degli anziani, insieme coi cavalieri boici. I romani concessero la pace in cambio della metà del territorio dei Boi (191).
Non è ancora chiaro se la maggior parte dei Boi tornarono oltralpe o rimasero in Valpadana. Probabilmente i Boi sopravvissuti furono relegati nelle zone più ingrate del loro territorio, continuando a vivere precariamente, mentre i coloni romani si insediarono nelle ampie distese di terreno confiscato e successivamente convertito in ager publicus. Di certo, come già per i Sénoni, i Boi scomparvero come entità politica e culturale.

Il fatto che i dialetti dell'Emilia e della Romagna siano nettamente diversi da quelli circostanti (a parte alcuni dialetti lombardi, come nota il Devoto) fa pensare che vi rimasero. Questi dialetti derivano sì dal latino, ma con un consistente "substrato celtico", come ha rilevato sempre il Devoto.
Virgilio, nativo di Mantova, era solito sottolineare con orgoglio la propria origine etrusca, ma dovette oscurare la propria identità celtica (come tutti gli abitanti della Valle Padana dopo la conquista romana) proprio a causa della storica rivalità tra Galli e Romani.

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