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ROMAGNA PREROMANA

Celti contro Romani

PAGINA INIZIALE RAPPORTI CON ALTRI POPOLI
   
CHI VIVEVA IN EMILIA-ROMAGNA PRIMA DEI CELTI I CELTI CONTRO ROMA
   
LA CELTIZZAZIONE DELLA VALLE PADANA LA PROGRESSIVA COLONIZZAZIONE ROMANA


Nel IV secolo
Nel III secolo
Arriva Annibale
Fine dell'indipendenza
Date importanti

 

Le nuove colonie romane prima dello scontro con Annibale
Le ingenti perdite subite dalla grande armata interceltica sconfitta nel 225 aprirono ai romani la conquista della Valle Padana, che fu completata in soli tre anni (nella primavera del 222 cadde infatti Medhelan (Milano), la capitale degli Insubri). I Celti poterono continuare ad abitare nel territorio solo vincolandosi a un patto di sudditanza con Roma, che consolidò il controllo della regione attraverso la fondazione di nuove basi militari. Venne creata la nuova Provincia Cisalpina, comprendente tutta l’Italia settentrionale.
A difesa dei guadi più agevoli sul Po vennero dedotte nel 218 le colonie latine di Placentia (Piacenza) e Cremona, una situata sulla riva destra e l’altra sulla riva sinistra del fiume. Placentia sorse a ridosso del confine tra il territorio gli Anari e quello dei Boi e fu costruita su una sporgenza poco più a sud della confluenza del Po con l'affluente Trebbia, da cui si poteva vedere a occhio nudo la Gallia Transpadana. Non è dato sapere ancora oggi se Cremona sorgesse in territorio insubre o cenòmane. Il dato è importante perché i Cenòmani erano alleati dei romani, gli Insubri no. In ogni caso, il sito su cui sorse la colonia fu scelto accuratamente, in ragione della sicurezza e della vicinanza con la colonia gemella (i due centri distavano sole 20 miglia).
Oltre alle due nuove colonie, Roma poteva contare su una città alleata situata in pieno territorio boico, Muthna (Modena), un centro che aveva mantenuto la propria fisionomia etrusca anche durante il periodo celtico. Sempre nel 218 a.C., completata la Via Flaminia dall’Urbe a Rimini, venne decisa la costruzione di una seconda strada provinciale per collegare Piacenza a Rimini, due fortificazioni troppo distanti fra loro per costituire un’unica linea difensiva. L’avanzata romana però si fermò di nuovo per la reazione delle genti celtiche, probabilmente su iniziativa di Cartagine. La rivolta dei Boi costrinse i tre magistrati romani venuti per assegnare ai coloni le terre conquistate (triumviri) a rifugiarsi a Piacenza e a sospendere le operazioni.

I Celti alleati di Annibale (218-207) riconquistano la Cispadana. Ma per poco tempo ancora.
Un insperato sostegno alle declinanti fortune celtiche venne dalla discesa del generale cartaginese Annibale nella penisola (218), che sfidò l'Urbe in una campagna decennale. Siccome i Boi avevano capito che Roma mirava a distruggerli ed a impossessarsi delle loro terre, decisero di tentare tutto il possibile, alleandosi col generale punico. Annibale era sceso in Italia partendo dalla penisola iberica a capo di un podoroso esercito rinforzato da contingenti di elefanti, animali mai visti prima in Europa. Appena entrato in Italia, attraverso le Alpi, subito i Liguri si schierarono con il generale cartaginese.
Nel 218 a.C. si ebbe una prima sollevazione di Boi in attesa dell'arrivo dei cartaginesi. Le legioni romane furono costrette ad asseragliarsi a Tennero, mentre i coloni si rifugiarono a Modena. All'arrivo di Annibale nella penisola Roma inviò le sue legioni, che vennero sconfitte una dopo l'altra: al Ticino e alla Trebbia i cadaveri di migliaia di legionari e dei soldati alleati si accumularono sui campi di battaglia.
Il generale cartaginese cominciò a discendere l'Italia e riportò nuove vittorie sul lago Trasimeno ed a Canne, dove sconfisse i consoli M. Terenzio Varrone e L. Emilio Paolo. Il generale cartaginese, per risparmiare i propri uomini, aveva mandato in prima linea quasi sempre le milizie celtiche, le quali, visto il trattamento non proprio di favore, decisero in massa di ritornare nella pianura padana.
Finché Annibale incombette sull’Italia i romani furono disposti a scendere a patti con Celti e Liguri; i Boi, in particolare, si accordarono col presidio romano di Rimini per la sospensione delle ostilità in cambio di un equo trattamento della loro gente a guerra finita. Fu in questo contesto che avvenne la famosa strage della Selva Litana (216), la maggiore vittoria dei Celti sui romani dai tempi del sacco del 390 a.C.
Dopo la strage della Selva Litana si venne a determinare nella regione padana un precario stato armistiziale. I popoli celtici si appagarono di essersi liberati della presenza dei romani, i quali conservarono solo gli avamposti di Piacenza e Cremona, a guardia della Padania centrale, e Rimini e Sarsina per la Padania orientale, poco più che presidi in territorio nemico.
Nel giro di un paio di anni l'Urbe aveva perso quasi completamente la Gallia Cisalpina. Tutti i collegamenti da Roma al nord furono interrotti. Solo la neutralità dei Lingoni, insediati lungo la costa adriatica, consentirono ai romani di mantenere i collegamenti con gli alleati transpadani (Veneti e Galli Cenòmani). I Veneti rimasero però esposti alle incursioni dei Celti, i quali presero Adria. Ma questa fu prontamente ripresa dai romani già nel 213.
Siamo nell'anno 207: Annibale, che non è riuscito a portare i romani allo scontro finale, era fermo in Apulia; per muovere l'attacco finale a Roma chiamò in suo sostegno il fratello Asdrubale. Con un esecito di 50.000 uomini Asdrubale si mosse dall'Iberia e giunse in breve tempo in Italia, eludendo il controllo di P. Cornelio Scipione. I due comandanti decisero di riunire i loro eserciti in Umbria. Asdrubale scese da Piacenza fino a Fano ma, giunto in vista di Sena Gallica trovò l'esercito romano guidato da M. Livio Salinatore e qui si accampò di fronte al nemico, incerto sul da farsi. I romani intanto si riorganizzarono, con i rinforzi di Claudio Domizio Nerone, giunto in segreto, si presentarono allo scontro in superiorità numerica. La battaglia che ne seguì, combattuta nella piana tra Fano e Sena Gallica nel giugno 207 a.C., vinta dai romani, segnò una svolta nelle sorti del lungo conflitto. Annibale rinunciò ad attaccare Roma e rientrò a Cartagine, dove a Zama fu definitivamente sconfitto da P. Cornelio Scipione (201).

 

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La fine dell'indipendenza dei Celti