S'Acqua Bona

S'Acqua Bona

Giacimento di piombo e argento. Faceva parte del grande complesso minerario di Ingustosu (Arbus). Le ricerche iniziarono nel 1862. Prima della guerra del 15-18 occupava 150 minatori ed aveva un'alta produzione. Venne sfruttata fino ad esaurimento dei filoni. Sondaggi in epoche recenti hanno avuto esito negativo.



Tratto da
PICCOLE ANTICHE CARE MINIERE …da Gutturu Pala a S'Acqua Bona
di Alberto e Bruno Murtas

In questa località nel 1862 inizia le ricerche minerarie Angelo Nobilioni, ma tutt'intorno operano con vari permessi tanti altri imprenditori, da Attilio Serpieri a Pasquale Casu, da Nicolò Murgia a Vincenzo Ravot, a Francesco Calvi. Non mancano note società italiane e straniere, la Società Sardo Belga, una società di Liegi, rappresentata da Gouin, ed infine la Compagnia Generale, la quale sta rastrellando permessi di ricerca in tutto il territorio della Sardegna; così in breve tempo le nostre montagne vengono costellate dalle miniere della società genovese, che diventa proprietaria anche della miniera dell'Argentiera e, in società con Anselmo Roux, delle ligniti di Bacu Abis.

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Nel 1874 la società genovese avvia un'accurata esplorazione sull'affioramento del filone Nieddoris, lungo molte centinaia di metri, ben visibile all'esterno per il suo colore oscuro. I tecnici definiscono quell'affioramento potente, perché ha consistenti vene di galena e di blenda, indizio sicuro per impostarvi una fruttuosa campagna di scavo, intestando la Galleria Nieddoris a quota 380.
La miniera però cambierà proprietà; infatti la Compagnia interromperà le ricerche, che saranno portate avanti da Giuseppe e Alfredo Nicholson e da Giorgina Parsons, che otterranno la dichiarazione di scoperta. Infine troviamo il commendator Alessandro Fortis, il conte Antonio Sauli e la contessa Camilla, che nel 1901 avranno la concessione della miniera estesa per 397 Ha.
Durante le ricerche sono stati scavati pozzi e gallerie a livelli diversi
La concessionaria si è subito immersa nella coltivazione delle parti esplorate, servendosi dei mezzi e dei modesti capitali di cui dispone, non curandosi però di fare le ricerche preparatorie per le nuove coltivazioni. Evidentemente i proprietari avevano bisogno di introiti immediati e anche se c'erano filoni sfruttabili in aree di facile accesso, queste zone, lasciate in posto, non furono coltivate perché non potevano pagare le spese.
Un filone molto importante fu quello coltivato con la galleria Speranza e il minerale fu trattato con semplici crivelli manuali; così i residui di quella rudimentale lavorazione, ancora ricchi di blenda, venivano abbandonati nelle discariche. Per questo era pressante la realizzazione di una laveria, esigenza che fu evidenziata quando la miniera venne dichiarata scoperta!
Purtroppo l'impianto meccanico per il lavaggio del minerale e per la concentrazione della blenda e della galena non venne realizzato subito, certamente in attesa di tempi migliori, ma per questo le perdite divennero notevoli.

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Le discariche della miniera con gli abbondanti residui di minerali, che costituivano un capitale non indifferente che giace da più anni inutilizzato, erano lì in attesa dell'impianto di lavaggio, per il quale era prevista una spesa di 100.000 lire, compreso un piano inclinato automotore per trasportare il greggio delle discariche e della galleria Fortuna. Nelle 10 ore di lavoro giornaliero, trattando 25-30 tonnellate, si prevedevano 100 lire di spesa. Ma la lavorazione non era completa, mancando le costose apparecchiature per arricchire i materiali fini, i fanghi derivati dalla macinazione e gli scarti; si sperava comunque di poter costruire in seguito una sezione per ripassare e ricuperare quei rifiuti.
Ancora oggi vicino alla miniera possiamo vedere quella ghiaia mista a fango, che qualche sprovveduto operatore fluminese, tanti anni fa, volle utilizzare per manufatti di cemento e in molte case del nostro paese constatiamo le conseguenze dell'uso inadatto di quel materiale!

Da quanto ci è dato conoscere dai documenti, sembra chiaro che i proprietari vogliono incrementare il valore della miniera per poterla vendere con profitto. Ecco quindi la necessità di intensificare la produzione, andando in profondità nei filoni Nieddoris e Fortuna. Nel frattempo era opportuno trattare in laveria i materiali delle discariche che, calcolati in almeno 8.000 mc, corrispondevano a 16.000 tonnellate: per le maestranze era il lavoro sicuro per più di due anni e per l'azienda un buon introito con la vendita di 4.000 tonnellate di minerale commerciabile; infatti, calcolando 4 lire la tonnellata per il loro trattamento, sarebbero rimaste 214.000 lire: quell'importo avrebbe compensato ampiamente il costo dell'impianto.
La costruzione della laveria facilitò la produzione nei cantieri del sottosuolo, ma non bastò a rassicurare i proprietari, sempre intenzionati a vendere. Un consulente della società, l'ingegner Ernesto Oreglia di Iglesias, sconsigliava la vendita immediata, a meno che non si presentasse un'occasione favorevole. In quel tempo non c'era la Regione Sarda a mitigare la crisi dei comparti estrattivi, intervenendo con l'Ente Minerario e con le sue consociate, né c'erano i provvedimenti del governo nazionale!
Il consulente, in ultima analisi, prospettava la coltivazione del minerale piombifero con piccole compagnie di minatori, affidando l'estrazione a quelle imprese anche con una minima produzione, ma certa! E spesso era questo l'epilogo di molte miniere del nostro paese!
Nel 1929 S'acqua Bona è della Società Anonima Industrie Minerarie Sarde e vi sono impiegati 15 minatori all'interno, 13 all'esterno e 3 donne. Alle dipendenze di questa società opera, come caporale di miniera, il fluminese Peppino Puxeddu Bulla, persona molto stimata per le sue capacità e per la dedizione al lavoro: in quel periodo era capo servizio signor Fois; li ritroveremo tutti e due nelle miniere di ferro della FIAT ad Antas.

La miniera nel 1935 passa all'onorevole Vittorio Tredici; qualche anno dopo, nel 1938, a Giuseppe Tomasi ed infine a Giuseppe Gambaro che la gestisce fino al 1947.
Esaminiamo l'andamento della miniera nel 1946: la situazione economica non è florida, i lavori negli scavi non lasciano ben sperare.
In una lettera indirizzata al Ministero dell'Industria, ritenendo il giacimento di S'Acqua Bona esaurito e senza nessuna possibilità di ulteriore sfruttamento, Giuseppe Gambaro chiedeva lo smontaggio di tutti gli impianti esistenti: il titolare, pur di ottenere quel nullaosta, era disposto a rinunciare alla concessione!
Così la miniera, nel 1947, passò alla Pertusola.
Nel 1965 è titolare della concessione la Società Monteponi - Montevecchio.


Tratto da
PICCOLE ANTICHE CARE MINIERE …da Gutturu Pala a S'Acqua Bona
di Alberto e Bruno Murtas

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