'11
e 12 marzo 1860 si tengono in Toscana ed Emilia i plebisciti per
l'annessione al regno. Un mese più tardi quelli proforma di Nizza e della Savoia
per l'annessione alla Francia.
Nell'intervallo di tempo trascorso
Garibaldi ha dato inizio alla spedizione dei Mille di cui tracciamo
sotto un breve profilo e di cui trovate qui una sequenza a
fumetti
http://digilander.libero.it/trombealvento/forattini/trevisan.htm .
Dopo 4 mesi
Garibaldi è alle
porte di Napoli. Francesco II, ultimo dei Borboni (appena salito al
trono e figlio di una Savoia), deve fare le valigie per la fortezza di Gaeta con la moglie Sofia
di Baviera, sorella di Sissi per tentare un'ultima resistenza.
Il 7 Settembre
Garibaldi, partito da Salerno, sale sul
treno Vietri-Napoli ed entra da trionfatore in Città. Il 9 settembre,
il redivivo Cavour preoccupato dalla nuova situazione, secondo quanto concordato con Napoleone,
fa intervenire i due corpi dell'armata del
Generale Fanti dall'Italia Centrale verso Sud. L'esercito del Papa,
comandato dal Generale Lamoriciere, è molto inferiore di numero, e si
ritira subito verso la fortificata Ancona lasciando libero spazio (o
quasi) agli invasori (I piemontesi si guardano però bene dal violare il confine storico
del Lazio che intendono lasciare al Papa).
Questa
era la situazione dello schieramento delle truppe
pontificie
alla vigilia dell'invasione sarda: Prima Brigata generale Schmdit a
Foligno con 4 battaglioni, una compagnia di gendarmeria mobile, la sesta
batteria con sei pezzi e un distaccamento di Gendarmeria a cavallo.
Seconda Brigata generale De Pimodan a Terni con 4 battaglioni e mezzo, due
squadroni di Dragoni, uno squadrone cavalleggeri, l'undicesima batteria
con sei pezzi. Terza Brigata generale De Courten a Macerata con 4
battaglioni, uno squadrone di Gendarmi, la 7° e 10° batteria con 12 pezzi.
Questa Brigata è destinata a completare i presidi di Ancona nel caso in
cui questa piazza fosse seriamente minacciata. Riserva colonnello Cropt
sotto gli ordini del Generale in capo a Spoleto con il 1° reggimento
straniero, 2 battaglioni di volontari pontifici a cavallo l'8° batteria
con sei pezzi. Guarnigioni di sicurezza ad Ancona, Pesaro, Perugia,
Orvieto, Rocca di Viterbo, Spoleto e Roma
http://www.comune.castelfidardo.an.it/Visitatori/Storia/archivio_pillole/18set1860-rievocazione_battaglia_castelfidardo1.htm
La Battaglia di Castelfidardo
Dei 33.000
"piemontesi" i bersaglieri sono circa 10.000 coi battaglioni
6-7°, 11-12°, 14-16°, 9-22°,-23-24-25°-26°. I nuovi arruolati dal
22° in su con meno esperienze di guerra e di addestramento facevano
parte di una Brigata di riserva ed erano in parte composti da Modenesi (23°),
comandati dal capitano
Massimiliano
Menotti, da Veneti
(24°), da Romagnoli (26°) e Parmensi (ma anche il 25° lo era). L'11 settembre, allo
scadere dell'ultimatum, i bersaglieri sono già
sotto le mura di Pesaro.
- Gualtiero Santini Generale dei Bersaglieri maggiore a
Fiume - Fano Risorgimentale 1860/1960.
Attacco di Fano: la notte fra
l'11 e il 12 fu di attesa e di fervore per la popolazione fanese, che
alacremente si diede a confezionare bandiere e coccarde e ad apprestare
arazzi, mentre la gendarmeria (pontificia) concitatamente pattugliava le
vie dell'abitato. Alle ore 6 del 12 settembre, l’azione fu ripresa
dalle truppe della 7a Divisione avanzanti su Fano.
Le comandava il generale Alberto Leotardi barone di S. Alessandro
(1806-1888), che si era distinto nel '33-'34 nei moti dj Savoia, in
Crimea nel '55, alla battaglia di S. Martino nel '59, ove si era
guadagnata la Croce di Ufficiale dell'Ordine militare di Savoia, di
Ufficiale della Legion d'onore e la promozione a generale. A
Castelfidardo meriterà la commenda dell'Ord. mil. di Savoia. Per le
operazioni di investimento della città di Fano furono costituite le
sottonotate tre colonne di attacco con truppe tratte dalle brigate
"Como» (23°-24° regg. fanteria), e Bergamo (25°-26°) dal Regg. Lancieri
di Milano, dal 12° battaglione Bersaglieri, colonne rafforzate con
aliquote di artiglierie, genio e servizi
l' Colonna - al comando del gen. Leotardi - obbiettivo porta Maggiore.
2’ Colonna - al comando del brigadiere Alessandro Avogrado di Casanova -
obbiettivo porta Castello.
3' Colonna - al comando del col. Grixoni - di riserva a nord
Ovest della città. in corrispondenza della porta Giulia.
All'azione contribuirono solo le due prime colonne, che si schierarono
alle ore 7 in corrispondenza dei rispettivi settori di attacco: borgo
Mazzini e di S. Leonardo. Il primo intervento lo si deve alle
artiglierie piemontesi che aperto il fuoco contro le porte riuscirono a
bucarle e a scheggiarle, ma non ad abbatterle. ….
Gli insufficienti effetti del breve fuoco di artiglieria sollecitarono
I'intervento della fanteria e, per esse, dei Bersaglieri, che, di
slancio, diedero la scalata alle mura di Porta Maggiore e di S.
Leonardo, le porte delle quali furono abbattute dall'interno e con
l'aiuto di reparti del genio, sicché il grosso delle due colonne poté
irrompere nella città senza colpo ferire, eccezione fatta per qualche
bersagliere che nell'azione fu più o meno gravemente contuso.
Le mura di
porta Maggiore furono scalate nel settore immediatamente adiacente alla
porta, nel tratto di cortina verso il baluardo Nuti, alla sommità del
quale, a ricordo dell'impresa, furono piantati dei pini, uno del quali
ancora esistente, mentre nella porta stessa l'avvenimento fu consacrato
da una iscrizione lapidaria.
A porta S. Leonardo, aiutate da donne del
borgo che fornirono scale e corde, le mura furono superate dai
Bersaglieri in corrispondenza dell'attuale casa Vitali, nell'interno
della quale è posta una piccola targa che ricorda i Bersaglieri che vi
irruppero.
FANO REDENTA
Le due colonne - Leotardi e Casanova - entrarono in città avendo « in
testa alle truppe liberatrici, belli e festanti gli emigrati fanesi.
Incanalatisi per via del Corso e della Posterna (oggi Garibaldi) le due
colonne confluirono quasi contemporaneamente in piazza Maggiore (attuale
20 settembre) dove il maggiore Dosi con parte del presidio pontificio,
arma al piede, sostava per arrendersi nel corpo di guardia sotto le
Logge, ove era il caffè del Teatro. Altri drappelli pontifici caddero
pure prigionieri nel quartiere del Corpus Domini (via Nolfi), dove pare
fosse ucciso un soldato svizzero, gettato entro un pozzo.
Complessivamente: 6 ufficiali, 250 fra ausiliari indigeni (l compagnia
circa] e Bersaglieri esteri pontifici (l compagnia circa con 8 cavalli)
furono disarmati e concentrati nella Caserma dei Carabinieri (palazzo
Pasqualucci), per essere inviati il 13 settembre a Rimini, sotto scorta
di 50 militi della Guardia nazionale di Fano, che, comandati da Giorgio
Luttichau, presero in consegna a Pesaro i prigionieri della Rocca
Costanza, fra i quali mons. Bellà, il quale, durante la notte dall'11 al
12 settembre, era stato segregato in un campo cintato da siepe, ubicato
fra il forte e la città, e dove trascorse quelle ore di rigida nottata
d'autunno". Non tutti i militi del presidio di Fano caddero però in mano
dei Piemontesi, perché molti altri si gettarono alla rinfusa sovra
barche pescherecce, e sovra carri, e raggiunsero Ancona. Nessuna
rappresaglia venne esercitata contro i vinti.
Il 9°,14° e 16° battaglione Bersaglieri tre giorni dopo espugnano
Perugia. Il 17 settembre cade la rocca di Spoleto ad opera del 9°.
Il
Gen. Enrico Cialdini, nei cui ranghi servono
l'11°,12° e 26° viene in contatto il 18 con le retroguardie del Lamoricière sulle colline di
Castelfidardo. Il 26°, attardato, raggiunge gli altri dopo una marcia forzata di 60 km. La marcia
vittoriosa dei Piemontesi nell'Italia centrale intanto prosegue e il 23 settembre le
truppe si stringono sempre più sotto la cinta delle mura di Ancona. A Monte Acuto e
Pelago i Bersaglieri, della riserva coi fanti della Brigata Bologna, danno
prove di valore. Il 7° a Borgo Pio e il 6° alla porta
del Lazzaretto impegnano le ultime difese. Il
sottotenente Luigi Ferrari, formata una piramide d'uomini, scala le mura,
introducendosi nella cannoniera e da li poi allo sblocco delle porte. Il 29 settembre il tricolore
sventola su Ancona. I
battaglioni dal 22° in su (escluso il 24°) vengono ritirati sul Po per
parare eventuali minacce austriache e
sostituiti dal 21°e 27°. Il 9°,14° e 16° stanno scendendo lungo l'Appennino
centrale per coprire il resto dell'armata che scende verso Napoli.
I MILLE
Non è stato dato ampio risalto alla impresa di Garibaldi nella prima
stesura dei capitoli, pur parlandone nel sito in approfondimenti più
tecnici e dei personaggi, per alcune anomalie che questa impresa
presentava. Qui accenno pertanto alla fase preparatoria che vide
al nord un consenso diffuso sulle idee di Garibaldi e al Sud un
non altrettanto riuscito tentativo di far insorgere i Siciliani (popolo
diviso) contro i Borboni (Napoletani). Nel corso degli anni, erano state
diverse le ribellioni che i Borbone avevano dovuto sedare sia in
Sicilia(la
rivoluzione indipendentista siciliana del 1820) che sul continente: la rivoluzione calabrese
del 1847, di nuovo la rivoluzione indipendentista siciliana del 1848, un'altra
calabrese nello stesso anno, ed il movimento costituzionale napoletano
del 1848.
La Sicilia ora indivisa all'interno del Regno godeva e continuava in
parte a godere di diritti che le venivano dalla sua vecchia forma
istituzionale di Regno separato sotto gli spagnoli
(da wikipedia ... Il Regno di Sicilia, istituito nel
1130, con Ruggero II d'Altavilla, e durato fino all'inizio del XIX
secolo con indipendenza (assicurata comunque dalla presenza del
pluricentenario Parlamento), fu "il primo modello dello stato moderno in
Europa"...Dal 1415, la Sicilia ospitò un primo viceré anche se fu solo
formale. Il periodo vicereale per conto della Spagna Aragonese (che
governava separatamente Sardegna, Sicilia e Napoli appunto con Vicerè,
finirà nel 1713 a causa della guerra di successione iberica. Nel 1713 il
trattato di Utrecht riconosce il Ducato di Savoia annesso al regno di
Sicilia con corona a Vittorio Amedeo che ne manterrà la sovranità fino
al 1720, quando in cambio gli verrà assegnato il Regno di Sardegna, da
cui il nome allo stato piemontese).
Se la classe dirigente militare era spesso formata da
mercenari (reazionari anche stranieri) così non si poteva dire della
marina considerata liberale (che a conti fatti non muoverà un dito contro Garibaldi).
Nella primavera stessa del 1860 al Sud si tento una rivolta detta della Gancia
organizzata dai fuoriusciti Pilo e Crispi che andò incontro al
fallimento (per ora).
Da wikipedia: A Palermo, il 4 aprile, si accese
la fiamma della rivolta con un episodio, subito represso, che ebbe
tra i protagonisti, sul campo, Francesco Riso e, lontano dalla scena,
Francesco Crispi, che coordinò l'azione dei rivoltosi da Genova.
Nonostante il fallimento, l'accaduto diede il via ad una serie di
manifestazioni ed insurrezioni tenute in vita dalla famosa marcia di
Rosolino Pilo da Messina a Piana dei Greci, fra il 10 ed il 20 aprile. A
coloro che incontrava lungo il percorso il Pilo annunciava di tenersi
pronti "…che verrà Garibaldi". La notizia della sollevazione fu
confermata sul continente da un telegramma cifrato inoltrato da Nicola
Fabrizi il 27 aprile. Il contenuto del messaggio, non eccessivamente
incoraggiante, accrebbe le incertezze di Garibaldi tanto da indurlo a
rinunciare all'idea di una spedizione. Tale fu la delusione tra i
sostenitori dell'impresa, che Francesco Crispi, che aveva decodificato
il telegramma, sostenendo di aver commesso un errore, ne fornì una nuova
versione. Quest'ultima, molto probabilmente falsificata dal Crispi,
convinse il nizzardo ad intraprendere la spedizione.
La pace con l'Austria era
stata fatta e le regole le aveva dettate Napoleone III che se ne era
si ritornato in Francia, con due province in più ma con un numero di
morti impressionante per l'epoca e quindi difficilmente sarebbe tornato
per difenderci. Ora eravamo scoperti e a rischio perché al Nord le regole
non venivano rispettate sopraffatte da referendum e plebisciti che di
fatto escludevano i vecchi monarchi da una compartecipazione all'ideale
stato (regno) federale dell'alta Italia. Questo infatti era l'unico
titolo di cui avrebbe potuto fregiarsi Vittorio Emanuele II.
Naturalmente una sollevazione popolare non autorizzata
(ufficialmente) da Torino era un'altra cosa, pensava Cavour. Garibaldi
non poteva essere incarcerato a ogni piè sospinto per quanto andava
dicendo nelle piazze e non solo perché già a fine 1859 dalla Romagna
aveva progettato l'invasione dello stato della Chiesa, cosa si che
avrebbe fatto intervenire l'Austria e infuriare Parigi che a Roma teneva
ancora suoi uomini. Spostarlo quindi su un'altra direttrice che mettesse più
strada fra lui e Roma era nei desiderata. Il Cavour pertanto,
contrariamente alle aspettative, decise di assumere un atteggiamento
attendista ed osservare l'evolversi degli avvenimenti, in modo da poter
profittare di eventuali sviluppi favorevoli al Piemonte: solo quando le
probabilità di un esito positivo della spedizione appariranno
considerevoli, Cavour appoggerà "apertamente" l’iniziativa Garibaldina. In
quest'ottica, il 18 aprile, in seguito ai moti anti-borbonici, Cavour
inviò in Sicilia due navi da guerra: il Governolo e l'Authion.
Ufficialmente i due vascelli avevano il compito di proteggere i
cittadini piemontesi presenti sull'isola.
L'effettivo incarico, però,
consisteva nel valutare accuratamente le forze degli opposti
schieramenti (e fare un pò di intelligence). Nello stesso tempo, il
primo ministro piemontese riuscì, attraverso Giuseppe La Farina (che
sarà inviato in Sicilia dopo lo sbarco, per controllare e mantenere i
contatti con Garibaldi), a seguire tutte le fasi preparatorie della
spedizione, finché egli stesso, il 22 aprile, non si recò a Genova per
rendersi conto di persona della situazione.
Gli ultimi accordi fra
Cavour e Vittorio Emanuele II vennero presi in un incontro a Bologna, il
2 maggio. Naturalmente se gli austriaci avevano spie, e le avevano, a
Vienna non potevano che trasmettere che le azioni di Garibaldi
avvenivano alla luce del sole con raccolte di armi bagagli e denaro. Le
somme stanziate dal Piemonte per la spedizione, ammontarono a diversi
milioni cosi come le raccolte sostenute dai comuni e enti nazionalisti,
i quali raccolsero dieci volte lo stanziamento piemontese ben 70.226,85
di lire. Il 3 maggio, a Modena, venne siglato un primo accordo,
attraverso il quale si rendevano disponibili ai garibaldini i due
vascelli con i quali avrebbero raggiunto la Sicilia. In rappresentanza
dello stato sabaudo erano presenti l'avvocato Ferdinando Riccardi e il
colonnello Alessandro Negri di San Front, entrambi riconducibili ai
servizi segreti piemontesi. Il più era fatto o quasi.
Così Alberto Mario nelle sue memorie: Garibaldi salpò
(da Quarto) con 1019 fucili
e con ottomila lire, che dopo un mondo di opposizioni, Cavour gli fece
consegnare dal Lafarina. Invalse allora seriamente l’idea, e i casi
posteriori la cresimarono, che il Cavour mirasse di disfarsi di un uomo
il quale tentò alla Camera di porlo in istato d’accusa per lesa patria
(l'aver ceduto Nizza),
e il cui genio audace e la cui popolarità infinita scompigliavano i suoi
disegni, ben alieni allora dall’abbracciare il concetto dell’unità
d’Italia. Dicevasi che Cavour contemplasse Garibaldi mandato a picco
dalle navi borboniche, o schiacciato dai 50.000 soldati di Sicilia.
Nessuno diffatti immaginava che Garibaldi potesse sottrarsi al funesto
dramma. E si aggiunse che il Lafarina d’intesa con Cavour, avesse
impedito alla barca delle munizioni e delle rivoltelle d’accostarsi ai
piroscafi (.... e infine, ma non in ultimo, c’era il problema delle
munizioni e possibilmente qualche arma in più dato che i 1.019 fucili in
dotazione, consegnati, come si è visto, dal La Farina e provenienti
dalla Società Nazionale (Crispi 1911, p. 114, nota), erano dei
ferrivecchi “di avanti il ’48, trasformati da pietra focaia a
percussione, lunghi, pesanti, rugginosi, tetri” (Abba 1904, p. 131),
praticamente manici per baionette..). Per il che Garibaldi accortosene in
viaggio, dovette provvedersi a Talamone; ove rinvenne 100 mila cartucce
e 4 piccoli cannoni. A Talamone bandì il proclama Italia e Vittorio
Emanuele, ordinò il suo corpo in sette compagnie, comandate da Bixio
[Vincenzo Giordano] Orsini, Stocco, Carini, La Masa, Anfossi, Cairoli,
sbarcò una sessantina di uomini, duce Zambianchi, a cui commise di
gettarsi negli Stati pontifici e persuader che quivi mirasse l’intera
spedizione; indi disparve in alto mare verso sud.
Per aver ulteriori munizioni
(per gli insorti siciliani) conveniva toccare un porto della Toscana e
si scelse Talamone. Io devo encomiare le autorità tutte di Talamone e di
Orbetello per la cordiale e generosa accoglienza, ma particolarmente il
tenente colonnello Giorgini comandante militare principale, senza il
concorso del quale non avremmo certamente potuto provvederci del
necessario. Non solo trovammo munizioni a Talamone e ad Orbetello, ma
carbon fossile e cannoni, ciò che facilitò molto e confortò la
spedizione nostra (Memorie Garibaldi, p. 340).
Talamone, nel tempo della visita dei Mille, aveva un povero forte,
poveramente armato, comandato da un ufficiale e da pochi veterani. (...)
conveniva adoperare un po’ di tatto, ed all’amichevole. E qui valse un
bonetto (vestito) da generale che per fortuna il Comandante della
spedizione aveva aggiunto al suo bagaglio. Quel bonetto da generale,
agli occhi dell’ufficiale veterano, ebbe un effetto stupendo, e
metamorfosò in un momento il Capo rivoluzionario in Comandante
legale.... Il risultato fu che dal comandante del forte di Talamone, il
sessantenne “sottotenente aiutante di piazza, comandante del minuscolo
presidio” (Brancaccio 1909) Salvatore De Labar, ottennero due pezzi di
artiglieria; dal tenente colonnello Giorgini invece, il grosso: due
pezzi da campagna (due cannoni di bronzo con la data di fusione e il
nome di battesimo incisi sulla culatta: 1802, Ardito e Gioioso
-Sacerdote 1933, p. 648), cartucce, polvere, e poi ancora un’infinità di
schioppacci vecchi, sciabole rugginose, trombe, marmitte ed altre
ferravecchie: roba tutta che, in que’ momenti, fu per noi preziosa
quanto la manna agli ebrei.
Dal maggiore Macedonio Pinelli, comandante
il 25º battaglione bersaglieri (emiliani) di stanza temporanea ad
Orbetello (Brancaccio 1909) furono fornite qualche migliaio di capsule,
un centinaio di carabine Enfield, il tutto con la raccomandazione di
rimandare a terra quanti dei suoi uomini fossero scappati per unirsi
(era diserzione dal Regio
Esercito ) alla spedizione, come puntualmente
avvenne; e Garibaldi dette la sua parola. Per quanto riguarda i viveri,
assieme a utensili per cucinare a bordo, “i quarti de’ bovi e i caci
maremmani e le corbe del pane e i barili del vino erano sul cassero”
(Bandi 1886, p. 49) arrivati il 9 allo spuntar del giorno,
approvvigionati dal Commissario Paolo Bovi da Grosseto, e si aspettava
solo lui (e Garibaldi era nervoso per il ritardo) per levare le ancore
per Porto Santo Stefano dove si doveva fare la provvista del carbone e
dell’acqua; infatti, saputo che a Porto Santo Stefano esisteva un
importante deposito creato per rifornire il Giglio, l’ex “gran vapore da
guerra di Leopoldo II”, fu deciso di farvi una puntata per il
rifornimento.
Il 9 mattina all’alba quindi
stavano ancora in Toscana dopo 4 giorni dalla partenza. Nel frattempo
Garibaldi era sceso a terra e il Bandi, di ritorno dalla missione
provvista carbone, mentre Bixio sorvegliava il carico, lo trovò che “si
smammolava nel guardare un bel giardino, pieno zeppo di grosse piante di
limoni e di aranci”. In quella circostanza Garibaldi dovette anche
fronteggiare la prevista invasione sul Piemonte e sul Lombardo di un
“nuvolo” di bersaglieri e di alcuni artiglieri e guardie di finanza che,
come temuto dal Pinelli, avevano disertato dai loro corpi per unirsi ai
Mille; ma Garibaldi aveva dato la sua parola e non voleva che si
pensasse che voleva scompaginare l’esercito; dette quindi ordine che
fossero tutti rispediti a terra, cosa che avvenne tra non poche
difficoltà. Il Bandi dice che ne sfuggirono quattro, tra cui il sergente
Bideschini, fratello di Italia che diverrà moglie di suo figlio Menotti
(Bandi 1886, p. 54). Il 9 stesso, nelle prime ore pomeridiane, il
Piemonte al comando di Garibaldi e il Lombardo al comando di Nino Bixio
filano via verso la Sicilia.
Raggiunta Marsala
(e
vi dirò come fra poco) in pochi giorni ottennero numerosi successi
contro l'esercito borbonico (a Calatafami, Palermo e Milazzo). A mano a
mano che la spedizione procedeva Garibaldi assumeva il potere sulle
terre conquistate in nome di Vittorio Emanuele II. Garibaldi godeva
dell'appoggio sia del popolo, che sperava in un riscatto sociale con la
fine del latifondismo e un'equa distribuzione delle terre, sia della
classe dirigente meridionale (aristocratici e latifondisti), che puntava
ad una trasformazione politica, in quanto riteneva che i Savoia
potessero difendere i loro interessi meglio dei Borboni. Non andrà così
e lo si capirà dagli Ingenui rivoltosi di Bronte che verranno
sacrificati all'interesse e alla linea politica nazionale.
…
da "C’è urgente bisogno di Carabinieri!" di
Danilo De Masi…..Sbarcato a Marsala l’11 maggio il successivo 15 era a Salemi dove aveva assunto la Dittatura della Sicilia in nome di Vittorio
Emanuele Il. Vinta la battaglia di Calatafimi Garibaldi si era avventato
su Palermo scontrandosi sul "ponte dell' Ammiraglio" il 27 maggio 1860
(in una battaglia ricordata da Guttuso in un celebre quadro del 1956).
Aveva quindi fatto irruzione in Palermo….. Cavour aveva accettato - pur
senza dichiaralo (coram populo) - l'iniziativa di Garibaldi e degli
Inglesi amici di entrambi, un po' perché temeva che (secondo la teoria
lumeggiata nel capitolo "Gli anni fatali") anche inventandosi un altro
Garibaldi gli Inglesi avrebbero comunque orchestrato una secessione
della Sicilia facendone una "Trinacria" libera dai Borbone ma sotto
protettorato Britannico. Si sarebbero assicurati così una grande base
navale, mineraria (inglesi erano le attività di estrazione dello zolfo)
e - non dimentichiamo la scelta del dove effettuare lo sbarco –
enologica (il vino marsala).
Cavour aveva anche chiesto ai comandanti
dell' Armata Sarda e della Regia Marina se il Piemonte sarebbe stato in
grado di "occupare" la Sicilia militarmente: gli fu risposto
positivamente ma che in termini di costi materiali e di perdite umane,
si sarebbero pareggiati quelli pagati per annettere Milano ed una parte
della Lombardia. Ecco perché, alla fine, non gli dispiacque l'idea di
lasciare che i "servizi" di Sua Maestà Britannica spendessero qualche
promessa con i più "rispettati" Campieri (i capi locali della Mafia,
formalmente i "guardiani dei campi" per conto dei nobili proprietari
terrieri) affinché mettessero una "buona parola" con i soldati
borbonici, intimidissero i dubbiosi, promettessero al popolo migliori
condizioni, e magari accoltellassero i più riottosi la sera prima
dell'arrivo dei Garibaldini ("queste carogne puzzano anche da morte" si
dice del povero soldato borbonico trovato accoltellato nel giardino
della tenuta palermitana del Principe di Salina, la notte prima dell'arrivo di Garibaldi). Il "Capo- mandamento" Sedara, magistralmente
interpretato da Paolo Stoppa nel Film il Gattopardo, diventerà Sindaco
del suo paese (Donnafugata) dopo aver dato in sposa la splendida, ma un
po' cafoncella, figlia (Claudia Cardinale) al giovane e squattrinato, ma
Principe e Tenente Tancredi (Alain Delon), nipote dell'ultimo
Gattopardo (Burt Lancaster). Quando Tomasi di Lampedusa si dilunga nella
sceneggiata degli Uffìciali della Royal Navy che salgono alla villa del
Principe, sulle colline che sovrastano Palermo, chiedendo di poter
ammirare il panorama che avevano sentito decantare, vogliono in realtà
osservare la rada dall'alto, e verificare se sarebbe stato possibile far
"sbarcare" Garibaldi direttamente nel porto di Palermo o nella splendida
baia di Mondello... SI SCELSE
ALLORA MARSALA
MARSALA
Rielaborato da
Wikipedia .... Lo sbarco dei garibaldini (atteso) fu favorito da diverse
circostanze. Due navi da guerra inglesi, l'Argus e l'Intrepid,
provenienti da Palermo (vedi sopra), incrociavano al largo di Marsala ed
entrarono nel porto della città siciliana circa tre ore prima della
comparsa dei legni piemontesi. Già da tempo altre imbarcazioni della
marina militare britannica solcavano le acque del Tirreno nei pressi
delle coste delle Due Sicilie effettuando frequenti scali nei porti del
regno a scopo intimidatorio e di raccolta di informazioni. Garibaldi,
nelle sue memorie, riconobbe che la presenza britannica giocò un ruolo
rilevante nell'agevolare lo sbarco, affermando che: « La presenza dei
due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei
comandanti dei legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e
ciò diede tempo di ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di
Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di
sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per
la centesima volta il loro protetto. » Durante una riunione della Camera
dei Comuni, infatti, il deputato inglese, sir Osborne, accusò il governo
di aver favorito lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Lord Russell rispose
che le imbarcazioni erano lì, esclusivamente, per proteggere le imprese
inglesi della zona, come i magazzini vinicoli del marsala Woodhouse e
Ingham, e che non intralciarono le operazioni dei vascelli borbonici nel
frattempo accorsi, i quali avrebbero potuto tirare sui garibaldini, ma
non lo fecero. Il tenente Acton della marina borbonica che comandava lo
Stromboli solo dopo essersi avvicinato ai legni inglesi si accorse che
altre due navi, non inglesi, erano in porto e che da queste stavano
sbarcando molte persone. In questa incertezza e confusione Garibaldi
riuscì a far sbarcare tutti i suoi uomini Nonostante ciò, sempre nelle
sue memorie, il generale chiarì che non c'era neanche un principio di
verità nelle dicerie che gli inglesi avessero aiutato direttamente lo
sbarco: lo sbarco forse non tanto ma i soldi della massoneria per
comprare i generali si. In Sicilia al momento dello sbarco di Garibaldi
c'erano 30 mila uomini circa e la squadra navale forte di 14 navi da
guerra e due rimorchiatori, mentre per la Sicilia occidentale c’erano
cinque navi e un mercantile. Ce n'era abbastanza da buttare a mare
chiunque bastava volerlo.
Dunque Garibaldi, dopo un'iniziale apertura alla causa dei contadini,
decise di schierarsi dalla parte di aristocratici e latifondisti, in
quanto aveva bisogno del sostegno della classe dirigente meridionale
(borghese) affinché l'impresa non fallisse come erano fallite tante
altre scontratesi con la parte più bassa e ignorante del popolo. Perciò quando gli insorti manifestarono
l'intenzione di requisire le terre dei latifondisti non esitò a ordinare
la repressione (Bronte). Risalita velocemente la penisola Garibaldi
"sbarcò" a Napoli. Lo scontro era ormai stato rinviato da tempo col
grosso dei borbonici: oltretutto l'armata sarda era ormai in vista dei
confini tanto che alcuni reparti piemontesi partecipano alle ultime
operazioni di Garibaldi in loco a settembre del 1860. Infatti
Cavour decise di intervenire direttamente, mosso dalla paura che
Garibaldi, accogliendo l'invito proveniente dai mazziniani, proclamasse
la repubblica nel Sud d'Italia e che proseguisse la sua azione puntando
su Roma provocando così la reazione della Francia. Ottenuto il consenso di Inghilterra e Francia
(per fermare Garibaldi e come non potevano darglielo) scoprirono i
confini della valle padana e con tutti i nuovi reggimenti e battaglioni
delle terre liberate invasero il centro Italia poi il Sud.
Al Volturno, il 1° ottobre,
Garibaldi schiera tutte le sue forze, inferiori a quelle
borboniche, su un fronte di 20 km. I suoi
detrattori ritenevano che fosse incapace di gestire una grande battaglia. Così scrive
Garibaldi nelle sue memorie "20.000
garibaldini si opposero a 40.000 borbonici,.....
Uno dei grandi vantaggi
fu pure la bravura dei nostri ufficiali, quando si hanno luogotenenti
come Avezzana, Bixio, il
polacco
Milbitz, Medici, Sacchi,
Sirtori, Eber, Simonetta, Nullo, Missori, Bronzetti e l'ungherese Stefano Turr è difficile veder la
vittoria sfuggire".
La mattina del 1° ottobre Pilade Bronzetti si trova a Castelmorrone col suo Battaglione di Bersaglieri Garibaldini,
quando viene attaccato da una forte colonna borbonica. Per 4 ore i Borboni del Ruiz cercano un passaggio verso Caserta Vecchia, ma vengono sempre respinti. Venute a mancare le cartucce i garibaldini
passano
all'arma bianca, e nel combattimento corpo a corpo
cade Bronzetti
(med.d'oro)
e duecento bersaglieri.
Da "Ricordi di un garibaldino
dal 1847-48 al 1900", di Augusto Elia - Roma : Tipo-lit. del genio
civile, 1904 - È degno di memoria onorata questo episodio; mentre si
combatteva accanitamente in tutta la linea a S. Maria, a S. Angelo ed a
Maddaloni, il maggiore Bronzetti con 270 dei nostri sosteneva a Castel
Morrone l'urto di 3000 borbonici, respingendoli a varie riprese in ben
dieci assalti; la maggior parte di quei bravi era caduta; invano gli
ufficiali napoletani esortavano i superstiti ad arrendersi, facendo
sapere che tanto valore sarebbe stato rispettato; Pilade Bronzetti
resistette entro il castello finchè ebbe cartucce, e, quando queste
vennero meno, i difensori di Castel Morrone vollero morire da eroi.
Stretti come un sol uomo, tentarono aprirsi un varco colla baionetta tra
le migliaia dei nemici; caddero quasi tutti; fu ferito a morte lo stesso
eroico Bronzetti e i pochi non feriti vennero condotti prigionieri. Fra
questi eroi sacrati alla morte, combatterono disperatamente il
valorosissimo Mirri capitano ed i tenenti Matteo Renato Imbriani e
Vincenzo Migliorini, che si guadagnarono la medaglia al valore militare
e la promozione.
I Borboni, senza porsi interrogativi sull'esito degli altri scontri,
stazionano in città per la notte. Il giorno dopo, ignari della sconfitta,
ingaggiano di nuovo battaglia. Il Piemonte è riuscito finalmente a
far pervenire 4 compagnie sul terreno dello scontro
"
Io (Garibaldi) precedevo coi calabresi del Gen. Stocco 2 compagnie di bersaglieri (del 1°) e 2 di fanti del nostro esercito
regolare. Il maggiore s'era offerto di accompagnarmi ed io avevo
accettato".
L'esito era ormai scontato per il grosso
dell'esercito borbonico.
Così ci tiene a precisare
Giuseppe Guerzoni (Di buon'ora era arrivato alla stazione di Caserta un
battaglione di 400 uomini; "Il Sirtori, costretto ad accorrere alla
difesa con quanta gente si trovava fra le mani, diede modo a quei
bersaglieri dell'esercito settentrionale, chiamati alla vigilia, di
barattare con i Borboni alcuni felici colpi di carabina e di suggellare
anche sui campi del Mezzogiorno la fratellanza mai smentita tra i
soldati di Vittorio Emanuele e le camicie rosse della rivoluzione.
L'abbiamo detto altrove (vita di Nino Bixio), lo ridiciamo qui, questa e
questa sola fu la parte presa da quei bersaglieri alla battaglia del
Volturno. Tutto quanto fu scritto fin qui nell'intento di
accrescere ai regolari e far scemare ai Volontari una gloria, a cui
basta d'essere italiana, è assolutamente falso; falso che essi abbiano
partecipato in un modo qualsiasi alla giornata del 1° ottobre; falso che
abbiano contribuito alla vittoria del 2, la quale era già ottenuta prima
di combattere, e che fu una scorreria di truppe disperse, non un
combattimento, e che in ogni caso sarebbe stata decisa dai movimenti
aggiranti di Garibaldi e del Bixio, e non dalle poche fucilate di quei
pochi Bersaglieri contro l'avanguardia, deviata da una colonna che era
venuta a cascare nel centro delle nostre linee. "
(Guerzoni, Garibaldi, Vol. II, pag. 194)
Resistevano ugualmente piazzeforti come Messina
(resa 12 marzo 1861), Civitella (ultima ad arrendersi) e Gaeta (resa
15 febbraio 1861.
Nei
territori più impervi
i soldati dispersi, agenti del papato, e briganti comuni davano vita ad
una resistenza fatta d'assalti a città e contado per poi eclissarsi
nelle impervie montagne ed estese boscaglie. Il 6°, 7°,11° e 12° del
Generale Griffini si distinguono
il 26 ottobre al Macerone
dove, con il supporto della cavalleria, si
scontrano con altri Borboni che non hanno accettato la capitolazione.
Cosi Cialdini, nel suo rapporto, sul
combattimento del Macerone, "l Generale Griffini trovossi
per un 'ora e mezza solo con due battaglioni bersaglieri (6° e 7°) ed
una sezione d'artiglieria sull'alto del Macerone, là dove è scavalcato
dalla strada postale, osservando i movimenti delle tre colonne nemiche,
le quali sommavano a seimila uomini, comandati dal Generale Scotti
Douglas, una delle quali saliva direttamente per la strada ad attaccare
il centro, le due altre pei due contrafforti laterali tendevano ad
aggirare la posizione. Arrivai il più celermente che si poteva per
lunghissima salita con la Brigata Regina e spingendo subito qualche
battaglione a destra e a sinistra, ed avanzando contemporaneamente al
centro, in poco più di mezz'ora sbaragliammo completamente il nemico.
Uno squadrone di Lancieri Novara (capitano Montiglio) condotto dallo
stesso Griffini, e seguito alla corsa dal 7° Bersaglieri, si rovesciò
sui fuggiaschi ed arrivò ad Isernia prima di loro. Il Generale Griffini,
e quindi lo squadrone Montiglio, il 6° e 7° Bersaglieri ed il l°
battaglione del 9° Fanteria si sono molto distinti. Essi fecero tutto. "
LA RIVOLTA D'ISERNIA sunto da
Nicola Serra Storia Militare…L'impresa
garibaldina non si era ancora conclusa nel Mezzogiorno che una reazione
borbonica e brigantesca vi era già scoppiata. Pietro Ulloa, ministro
della Polizia di Francesco II, dettò le istruzioni per le bande,
definite "Colonne di volontari superiormente approvate", costituite con
il compito di operare affiancate alle truppe assediate a Gaeta.
L'obiettivo delle bande era quello di concorrere alla restaurazione del
legittimo sovrano sul Regno delle Due Sicilie. I "volontari", non ancora
denominati "briganti". ebbero il primo vero scontro contro le truppe
regolari al combattimento del Macerone, i1 26 ottobre 1860 lo stesso
giorno in cui, con l’Incontro di Teano, si materializzava il passaggio
del Regno di Napoli ai Savoia. Altre squadre di cafoni briganti, tra
settembre e ottobre 1860 (quando la Battaglia del Volturno era ancora in
fasce o strategicamente non giocata) ebbero successo conquistando
Pontecorvo, Teano, Sora, Venafro, Piedimonte d'Alife e Isernia. E
proprio, qui il 30 settembre 1860 ci fu una sollevazione. Garibaldi
decise di inviare due battaglioni comandati da suoi ufficiali tra cui il
Col. Francesco Nullo. Nullo prese comando il 14 ottobre a Maddaloni dove
stanziava la Legione Matese. La Legione costituita da poco più di un
mese, con il riconoscimento di Nino Bixio, era formata per lo più, dai
Cacciatori Irpini, volontari che si erano distinti nella battaglia del
Volturno, e da una fanfara di trentadue persone di Apice. Tra le
direttive che Garibaldi aveva impartito al Nullo c’era anche quella di
attendere a Bojano e di non muoversi prima del 20 ottobre, al fine di
aspettare il Gen. Cialdini, che stava scendendo con le truppe sabaude
verso il Macerone, per poi attaccare la cittadina su due lati.
Così invece, a modo suo, Battaglini narra l’intera vicenda
http://www.parodos.it/books/storia/alianello.htm
: "Fin dalla fine di settembre del l860 il Re [Francesco II ] fece
inviare ad Isernia il maggiore di gendarmeria De Liguoro con una colonna
ad occuparla, scacciandone i liberali e alimentando la reazione, aizzata
in quella regione dalla propaganda viva e indefessa del vescovo della
diocesi, monsignor Saladino, animoso borboniano, insieme con funzionari
regi, spodestati dal nuovo governo …. frati, preti e signorotti che
prospettavano in mala fede Garibaldi e Vittorio Emanuele, nonché tutto
il partito liberale come nemici della religione, della famiglia, della
proprietà. I garibaldini inviati a spizzico e in tutta fretta da
Garibaldi, in seguito alle insistenti e disparate richieste dei liberali
locali, riuscirono ad occupare Isernia, scacciandovi i gendarmi
borbonici. Allora il maggiore De Liguoro rimasto assediato, mosse da
Venafro su Isernia con la sua colonna composta da circa quattrocento
gendarmi, rinforzato con un battaglione delle Guardia Reale con due
cannoni e un plotone di cavalleria, inviatogli in quei giorni dal
Ritucci per ordine dal Re. Il combattimento fu violento; i garibaldini
si difesero strenuamente finché furono sbaragliati, lasciando oltre
cento morti e cinquanta prigionieri. "Pochi scamparono alla caccia
spietata, data loro dalla marmaglia inferocita. "Intanto Garibaldi, in
seguito a ulteriori urgenti richieste di rinforzi, aveva mandato
Francesco Nullo, il Baiardo garibaldino, come veniva ritenuto, con circa
500 volontari che, uniti a quelli della regione, marciò su Isernia,
tratto in inganno da informazioni false di partigiani borbonici,
inviatigli incontro, che assicuravano essere sgombro di truppe regie il
paese. "Il maggiore De Liguoro, informato di tutto, gli andò incontro
con oltre mille uomini, tra soldati, gendarmi e reazionari volontari,
attaccando il l7 ottobre irruentemente nei pressi di Carpinone. "Ben
presto il Nullo con i suoi fu circondato e, più che un combattimento, fu
una strage di garibaldini, dei quali pochi si salvarono dalla ferocia di
quella masnada reazionaria, composta di contadinaglia, i cosiddetti
cafoni, fra cui vi erano anche donne armate di spiedi. Il Nullo, con
pochi suoi, tra i quali il Mario (Alberto), il Zasio, e il Caldesi,
riuscì per miracolo a salvarsi, rifugiandosi a Boiano e Campobasso...".
altre notizie qui
http://www.comune.pettoranellodelmolise.is.it/ev/hh_anteprima_argomento_home.php?id_blocco=76&id_argomento=3&x=0aa8b45f99ab2c7a0d306f0331c44213
L'incontro
di "Teano"(
http://www.prolocoteanoeborghi.com/tesseramento.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Taverna_della_Catena
Il 26 Ottobre presso Teano (ma
secondo alcuni in località detta Taverna Catena), Garibaldi
consegna a Vittorio
Emanuele II le province meridionali
Alberto Mario racconta: " ..
di sotto
al cappellino Garibaldi si era acconciato il fazzoletto di seta per
proteggere le orecchie e le tempie dalla mattutina umidità. All'arrivo
del re, cavatosi il cappellino, rimase il fazzoletto......Vi saluto caro
Garibaldi, Come state?.. Bene Maestà e Lei?... Benone...Garibaldi alzò
la voce... Ecco il re d'Italia".
La guerra contro le ultime
frange continuava e al Ponte sul Minturno i bersaglieri del 7° oppongono tutte le loro forze. Il maggiore
Conte Negri
viene per gli scontri insignito di medaglia d'oro. I Granatieri,
supportati dal 24°, vanno all'assalto di Mola di Gaeta il 3 novembre. Qui
trova
morte il
Maggiore Grosso-Campana del 14°. Il 25 novembre Civitella del Tronto fu accerchiata,
ma gli ultimi irriducibili si arrenderanno solo il 20 marzo 1861. Al Colonnello
Pallavicini di Priola del 9° viene conferita la Medaglia d'oro.
Dopo
gli screzi e le incomprensioni con Vittorio Emanuele II, Garibaldi partì
da Napoli a bordo del piroscafo Washington per ritirarsi a
Caprera a fare il contadino.
Solo il giornale "L'indipendente", diretto da Alessandro
Dumas, ne dette notizia, elencando le poche cose che il generale, dopo
aver conquistato un regno, portava con sé: un sacchetto di sementi, una
balla di stoccafissi, una cassa di maccheroni, un sacchetto di zucchero
e alcuni barattoli di caffé. Naturalmente, il caffé Garibaldi. L'Eroe dei Due Mondi poteva infatti sopportare
qualunque sacrificio ma non rinunciare al caffè. Racconta il cronista Giuseppe Bandi
"quell'uomo solito a vivere con
quattro picce di fichi secchi o con pochi
chicchi di formentone, avrebbe sofferto le pene atroci d'inferno se gli
fosse mancata una tazza di caffè".
Il nuovo
parlamento italiano fu inaugurato a Torino, nel Palazzo Carignano, l’8
febbraio 1861. Per molti dei suoi nuovi membri era la prima volta che uscivano
dalle rispettive regioni.
Il parlamento era composto di 443 deputati
(collegi uninominali dove bastavano anche 300 voti per essere eletto, ma
ci furono casi anche di 40) e 211 senatori di nomina regia. Il parlamento si riuniva per sessioni stagionali, e
quindi stava diversi mesi chiuso. I trasporti, l’impossibilità
di stare nel proprio collegio (dove si curavano gli interessi) o
assoggettarsi a pesanti trasferte a Torino poi a Roma faceva si che le
sedute fossero spesso deserte. Cosi venivano descritte le sedute:
"Al senato erano
di solito presenti alle sedute non più di sei o sette senatori. Non
molto migliore la situazione della Camera dei deputati…le sedute
iniziavano tardi e duravano poco, al massimo qualche ora…i discorsi
erano di solito ampollosi, retorici, di scarsissimo contenuto politico…
inadeguatezza della classe politica del tempo a far fronte ai problemi
di una monarchia parlamentare… beghe personali, odi e lotte di fazione
prevalevano normalmente su ogni altra questione“
Vittorio Emanuele II, il 17 marzo 1861, assunse il titolo di Re
d'Italia in violazione del trattato di Zurigo del 10 novembre 1859,
seguito ai patti di Villafranca, nel quale all’art. 3 veniva stabilito
che “il re di Sardegna non cambierà affatto di titolo, oppure, se tiene
a modificarlo, egli non prenderà che quello di Re del reame cisalpino”
(cioè dell’Italia settentrionale). Non cambiò la numerazione
(chiamandosi Vittorio Emanuele I) come se l’Italia fosse la
continuazione del Regno di Piemonte e Sardegna, e furono ritirate le
proposte parlamentari che proponevano di chiamarlo “Re degli Italiani”.
La prima legislatura del “nuovo“ Regno d’Italia si chiamò “ottava“
perché tale era quella del regno sabaudo. La costituzione, le leggi, il
codice penale, l’ordinamento giudiziario, le istituzioni pubbliche e il
sistema finanziario piemontese furono imposte a tutti i nuovi sudditi.
Alla fine del 1866, su 59 prefetti esistenti, ben 43 erano piemontesi ed
il resto emiliani o toscani (poi le cose cambieranno).
Nascita del Brigantaggio
Dizionario
biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana Giovanni
Treccani, Roma scheda compilata da Nicola RAPONI
... Entrati i
Piemontesi a Napoli (il 24 (26) ottobre avveniva l'incontro con
Garibaldi a Teano), il 6 novembre
Luigi Carlo Farini era nominato
luogotenente generale delle province napoletane. La scelta del F. a
guidare una situazione così delicata e difficile come quella napoletana
fu certamente suggerita, oltre che dalla carica ch'egli rivestiva
sin'allora di ministro dell' Interno, dalla brillante esperienza con la
quale aveva operato in Emilia dopo Villafranca e dal fatto di non esser
per nulla compromesso col mondo napoletano. Ma nella difficile
situazione napoletana, caratterizzata dai contrasti fra garibaldini ed
esercito regio, da scontri fra i vari partiti, la situazione divenne
incerta. Isolato fra le correnti ,ugua1mente avverse» dei municipalisti,
fossero o meno filoborbonici, e dei garibaldini, anticavouriani, egli si
appoggiò al partito degli emigrati, cioè dei liberali meridionali reduci
dal Piemonte (come A. Scialoja, P. S. Mancini, R. Bonghi, G. Massari che
egli chiamò a far parte del Consiglio di luogotenenza), ma senza troppo
successo. Le proposte di autonomia amministrativa fatte dal Farini in
coerenza con il suo progetto di decentramento, mentre non soddisfacevano
gli autonomisti, apparivano pericolose agli emigrati, in quanto
avrebbero favorito le tendenze municipali e le tendenze separatiste,
sopravvalutate, dei murattiani.
Rimase
celebre il giudizio piuttosto feroce sulla città e sui suoi abitanti che
riportò in uno dei suoi resoconti al presidente del Consiglio, Cavour:
"Altro che Italia! Questa è Africa [sic]. I beduini, a riscontro di
questi cafoni, sono fior di virtù civile!".
"Ho
trecento carabinieri e trentamila ladri ... ho distretti interi in balia
dei briganti e non ho soldati da mandarci, ho centomila postulanti
d'intorno, i garibaldini che ringhiano ... e credete che io ora possa
speculare la perfezione delle leggi civili e la euritmia della
annessione?. Anche a Cavour scriveva che se avesse avuto più mezzi -
soldi e uomini capaci - avrebbe tentato una rivoluzione sociale,
iniziando una politica di lavori pubblici, favorendo ogni sorta di
operosità, usando ogni artificio stimolativo, creando nuovi interessi,
dando un altro indirizzo alla cupidità ». Ma altri consiglieri e lo
stesso Cavour esigevano piuttosto più energia contro gli avversari,
municipalisti e garibaldini; accentuandosi le difficoltà e diventato più
precario il suo stato di salute, a metà dicembre Cavour gli scriveva:
“Per carità non lasciatevi abbattere. Curatevi, ristabilitevi e andate
avanti senza troppa inquietudine ... Fate alcuni atti che indichino
chiaro che si vuole unificare l'Italia, che a patto nessuno non si vuole
transigere coi municipali, gli autonomisti .”. Malato, scosso per la
morte dei genero e segretario F. Riccardi (22 dic. 1860), il 2 genn.
1861 era dispensato a domanda dall'ufficio di luogotenente; in sua vece
fu nominato il principe Eugenio di Savoia. Cavour avrebbe detto poco
dopo che l'errore del F. era stato quello d'aver trattenuto troppo il re
a Napoli, il che sminuiva la sua autorità; anche la presenza di molti
ufficiali piemontesi che secondo E. Visconti Venosta mostravano di
pensare «che l'aver guadagnata mezza Italia [era] una seccatura e una
noia aveva condizionato la sua opera (Passerin d'Entrèves, L'ultima
battaglia, p. 508). Il 7 genn. 1861
Luigi Carlo Farini (poi
Presidente
del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia dal 8 dicembre
1862 al 23 marzo 1863)
lasciava
Napoli e un mese dopo era a Genova e poi a Saluggia.
Relazione di Costantino Nigra al presidente del consiglio Conte di
Cavour per ordine di S.A.R il Principe di Carignano, luogotenente di
S.M.
Napoli 20
maggio 1861-
... Le
gravi difficoltà incontrate dal Governo di S.A.R nè 4 mesi trascorsi
furono in qualche parte provocate da fatti recenti e transitori; ma la
più parte di esse ha origine da cause remote e durevoli. Lo scioglimento
dell'esercito borbonico, le misure prese a riguardo loro, i capitoli di
Gaeta che permisero a Francesco il soggiorno di Roma (asilo politico), contribuirono
senza dubbio a suscitare al Governo di queste province serissimi
imbarazzi. Non è qui opportuno discutere le ragioni di questi fatti, ma
è importante di constatare che l'amministrazione di S.A.R. fu del tutto
estranea ai medesimi e che essa dovette solamente subirne le
conseguenze. Ad ogni modo però i fatti accennati non avrebbero di per sé
soli dato luogo ai torbidi scoppiati nelle provincie e a Napoli
stessa, senza la condizione generale di cose la cui
gravità non poteva nemmeno sospettarsi se la rivoluzione dello scorso
autunno e gli eventi posteriori non fossero venuti a manifestarla.
....
continua..a BRIGANTI
una storia diversa da come ve la raccontano.
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