La spedizione
dei mille
- la premessa
Nel
Regno delle Due Sicilie si costituisce nel 1853 un ristretto comitato
repubblicano segreto che esordisce con l'insurrezione del barone
Bentivegna e l'attentato a Re Ferdinando da parte di Agesilao Milano.
L'ipotesi di una spedizione nel mezzogiorno era stata ventilata già anni
prima, quando nel '55 l'esule Antonio Panizzi aveva organizzato un
blitz, poi fallito, all'isola di Santo Stefano per liberare i
prigionieri politici. L'idea fu ripresa da Pisacane e da Mazzini,
sebbene quest'ultimo sembrò metterla in discussione negli ultimi mesi.
Da wikipedia: A Palermo, il 4 aprile 1860, si accese
la fiamma della rivolta con un episodio, subito represso, che ebbe
tra i protagonisti, sul campo, Francesco Riso e, lontano dalla scena,
Francesco Crispi, che coordinò l'azione dei rivoltosi da Genova.
Nonostante il fallimento, l'accaduto diede il via ad una serie di
manifestazioni ed insurrezioni tenute in vita dalla famosa marcia di
Rosolino Pilo da Messina a Piana dei Greci, fra il 10 ed il 20 aprile. A
coloro che incontrava lungo il percorso il Pilo annunciava di tenersi
pronti "…che verrà Garibaldi". La notizia della sollevazione fu
confermata sul continente da un telegramma cifrato inoltrato da Nicola
Fabrizi il 27 aprile. Il contenuto del messaggio, non eccessivamente
incoraggiante, accrebbe le incertezze di Garibaldi tanto da indurlo a
rinunciare all'idea di una spedizione. Tale fu la delusione tra i
sostenitori dell'impresa, che Francesco Crispi, che aveva decodificato
il telegramma, sostenendo di aver commesso un errore, ne fornì una nuova
versione. Quest'ultima, molto probabilmente falsificata dal Crispi,
convinse il nizzardo
La Galassia dei briganti e dei loro
sostenitori o affiancatori era molto complessa e comprendeva varie
figure, assenti nell'Italia settentrionale. C'erano i favoreggiatori per
lucro, sic et simpliciter, i proprietari terrieri (e fra questi il clero
che disponeva di latifondi) pro restaurazione (si trattava di una
nobiltà che non aveva nulla da spartire coi Savoia e spesso più antica
di questi), familiari (contadini) di
briganti o contadini nei cui ambiti si svolgeva il brigantaggio, i
reazionari sempre e comunque contro il nuovo stato nazionale (per vari
motivi non ultimo la perdita di potere o di favori), gli sbandati
ex soldati borbonici non recuperati dallo stato piemontese poi i giovani
che dovranno rispondere ad una chiamata di leva (siciliani compresi che
ne erano esentati) che li porterà lontano nel freddo nord. Cafoni e
galantuomini era poi una ulteriore connotazione sociale. Dei primi è
superfluo l'inquadramento, dei secondi si ricomprendeva nella categoria
signorotti, impiegati e professionisti oltre che commercianti che
sbracciavano per occupare tutte le leve del potere, prima e dopo
Garibaldi, a danno dei primi.
L'ufficialità delle forze borboniche
è così descritta dallo storico pugliese Michele Farnerari: "Nell'armata
navale un'accozzaglia di ufficiali, più bellimbusti che soldati, dal
fanciullone alfiere, di fresco uscito di collegio, al vecchio capitano
imbellettato ed armato, tu non vedevi che mozze effigie, nature
incomplete di uomini sol vaghi di splendere, la mercé di quei Principi
che dovean più tardi abbandonare e tradire (...) non dissimili le
condizioni erano dell'esercito. Traevasi l'ufficialato da Collegi aperti
a privilegiati, zeppa di nobili dissoluti (...) la striscia di sangue
che dall'estrema Sicilia va segnata sin dentro Gaeta, fu dei figliuoli
del popolo". È da rilevare che mentre gli alti gradi si vendevano
all'invasore, furono pochissimi i soldati e marinai che aderirono
all'appello di Garibaldi di unirsi ai suoi, sia nella campagna di
Sicilia che in quella della parte continentale del regno. I vertici
militari, invece, avevano in tasca, oltre al denaro profuso a piene mani
dai Piemontesi, la promessa di essere inseriti nelle forze armate del
costituendo nuovo regno italiano conservando il loro grado e le
pensioni, cosa che avvenne per tutti (o quasi), per i collaborazionisti
fino ad arrivare addirittura al ministro della Guerra delle Due Sicilie
Giuseppe Pianell. Alla cessazione delle ostilità "le posizioni e le
richieste degli ufficiali superiori ed inferiori furono valutate da una
commissione mista presieduta dal generale De Sauget, comandante generale
della Guardia Nazionale; dei 3600 di essi, transitarono nell'esercito
italiano in 2311: di questi ultimi 862 appartenevano ai servizi
sedentari, 363 erano religiosi, medici e veterinari, 159 erano ufficiali
garibaldini già ex ufficiali borbonici. In sostanza furono solo 927 gli
ufficiali provenienti dall'armata napoletana che andarono a rinforzare
l'esercito combattente piemontese"
Il generale Alfonso La Marmora, comandante del 6° C.d.A a Napoli " ..
se l'Ignoranza e la ferocia sono i caratteri delle classi inferiori,
l'egoismo, l'intrigo e la sete di dominio sono quelli dei cosiddetti
galantuomini" Fra questi poi potevano riconoscersi, come diceva
Govone, il primo agente segreto: "L'origine del brigantaggio è
soprattutto nelle inimicizie feroci che in ogni paese dividono i pochi
signorotti, fra loro. i più ricchi sono chiamati borbonici dai meno
ricchi, e questi si intitolano liberali per rendersi forti con questo
nome, e poter denunziare gli altri e sfogare l'invidia e la vendetta per
antiche prepotenze sofferte da quelli ... I partiti si fanno nella plebe
dei clienti, e se ne giova all'occasione per spingerli al saccheggio
degli avversari, e così nasce e si alimenta il brigantaggio". Alcuni
galantuomini erano impegnati contro i briganti ma, salvo eccezioni,
erano in genere poco affidabili".
Il brigantaggio meridionale
risaliva ad almeno due secoli prima e venne combattuto sia da Murat
(Napoleone) sia dagli stessi Borboni i quali, incapaci di farvi fronte,
ricorsero anche a militari stranieri, come il Generale britannico
Richard Church e agli Svizzeri. Addirittura, Re Ferdinando I nell'aprile
1816 emanò un decreto per lo sterminio dei briganti che infestavano
Calabria (quella Calabria dove già gli uomini del Cardinale Ruffo
avevano assoldato i briganti contro la Repubblica Napoletana
d'ispirazione Giacobina del 1799), Molise,
Basilicata e Capitanata. Ma il legame che univa briganti e re era molto
più complesso (localmente) e altalenante. Durante il potere francese con
Murat, i briganti svolsero la stessa funzione (1806/1815) come arma di
riserva dei Borboni funzione che ebbe a replicarsi già alla fine di
ottobre del 1860 quando fu chiaro che da parte dei nuovi padroni nulla
sarebbe cambiato. Le prime avvisaglie si ebbero all'indomani della
battaglia del Volturno (1.ott 1860) quando circa 100.000 uomini andarono
ad ingrossare le schiere dei "disoccupati". Erano i soldati, non
ufficiali borbonici, quelli che da borbonici avevano tradito per
diventare Garibaldini e quelli, molti che si erano per strada uniti ai
Garibaldini chiamati Esercito Meridionale (irregolare) Briganti
compresi. Tutta questa schiera probabilmente doveva rispondere di
infrazioni militari se Manfredo Fanti non dubitò della fucilazione sul
posto, prima ancora della Legge Pica. Mentre si mandavano a casa i
soldati partivano le prime cartoline precetto come detto che vennero
rifiutate per anni ingrossando le fila dei briganti.
Dall'esercito di Garibaldi a quello dei briganti
Osservazioni di Fabio Carcani indirizzate alla onorevole
commissione d'inchiesta sul brigantaggio. L'« esposto» Carcani fu
pubblicato a Trani, nel 1863 col titolo "Sul brigantaggio nelle
provincie napoletane".
... Annovero fra le cause principali [del progredire del brigantaggio]
una serie di errori governativi. Non devo ricorrere ad idee
trascendentali per venire alla dimostrazione di taluni fatti ch'emergono
spontanei dall'analisi di tante disposizioni dal primo giungere di
Garibaldi a Napoli sino ad oggi (1863). In primo luogo vi è il congedo
in massa dato verbalmente il giorno istesso che giungeva alla Capitale
l'invitto Eroe Nizzardo a tutti i soldati borbonicì, che avessero voluto
ritirarsi alle proprie famiglie. Chiunque si trovava a Napoli in quei
giorni dové vedere, come vid'io, passare per le vie, tra il plauso e il
contento di tutti i cittadini, una numerosa quantità di soldati, che
sbucando dai quartieri e dalle castella dove stavano di guarnigione,
prendevano ciascuno la volta della terra natia. Napoli gioiva, e ben a
ragione; vedendoli allontanare, perché la presenza di quei soldati dopo
la partenza di Francesco II per Gaeta, era l'incubo ed il terrore che
avvelenava in certo modo le gioie ed i tripudi inenarrabili del fausto
avvenimento ai suoi abitatori, i quali ad ogni momento temevano un
movimento reazionario per parte di quelli. Però i luoghi dove essi
giungevano erano malcontenti del loro arrivo per la ragione istessa che
Napoli si rallegrava della loro partenza.
Nel primo entusiasmo di una fortunata rivoluzione essi furono accolti
dai loro concittadini con isdegno, con ingiurie, con minacce, e
vilipesi, sorvegliati, malmenati da per tutto, come i fautori ed i
propugnatori della tirannide caduta: essi trovarono allora
inconfortevole la vita cittadina e con l'animo pieno di amarezza e di
livore si cominciarono a ritirare nelle campagne per vendicarsi delle
ingiurie ricevute contro i loro oppressori, e formarono cosi il primo
nucleo del brigantaggio (post unitario). Non vi era altra forza allora
nel regno che avesse potuto inseguirli e batterli, le poche migliaia di
garibaldini erano tutti intorno Capua a sostenere, con sforzi sublimi,
lo assedio: le Guardie Nazionali male organizzate, senz'armi , bastavano
appena con la forza morale a mantenere l'ordine nelle città e quei
tristi imbaldanzivano nelle campagne, si organizzavano, si provvedevano
di armi e munizioni, minacciavano, atterrivano, taglieggiaveno i
proprietari, facevano proseliti tra i soldati e i gendarmi sparsi per le
provincie, anch'essi vituperati, (s)trapazzati, derisi.
Giunto il Re Vittorio a Napoli fu rinviato Garibaldi a Caprera e poscia
fu disciolto lo esercito meridionale. Questo provvedimento, imposto
forse da gravi condizioni politiche, ingrossò le bande brigantesche,
perocché, bisogna pur dirIo sinceramente, tolto molte nobili eccezioni,
le compagnie di garibaldini delle nostre provincie non erano composte
dagli stessi elementi di quelle dell'Italia superiore ... : nelle nostre
vi erano in certo numero gli uomini piu abietti, più oziosi, più
denigrati nella pubblica opinione, una ciurmaglìa raccolta dalla feccia
delle popolazioni, la quale per riacquistare la stima perduta, e
guadagnarsi una sistemazione vantaggiosa si era arrischiata a
rappresentare la rivoluzione armata.
Non posso dimenticare la impressione che ricevette la bella e gentile
nostra Napoli quando vide sfilare per Toledo le compagnie de' montanari
calabresi: molti credettero che quella dolcissima terra delle sirene
fosse divenuta un covo di belve, od una spelonca di ladri, tanto alcuni
ceffi avevano della fiera più che dello umano, tanto alcuni costumi
avevano del masnadiere più che del soldato. Ma Garibaldi aveva bisogno
in quel momento di partigiani, di proseliti, nulla curava se questi
fossero o no degli uomini onesti, se venissero da una città o da uno
speco: chiunque sapeva impugnare una carabina era quanto bastava per
tirarselo appresso. Però quando le speranze di questa gente caddero
deluse e si vide fatta segno della ingratitudine e dello sprezzo dei
governanti, e del ludibrio di alcuni suoi concittadini; essa, che aveva
fatto assegno di ribattezzarsi nel lavoro della rivoluzione, per tornare
stimata ed agiata al tetto natio, si dette nelle smanie della
disperazione, e taluni, vagheggiando un pensiero di vendetta, si
(ri)gittarono furiosamente fra le bande brigantesche ...
Se questi poveri sventurati che ravveduti dei loro errori passati,
aborrenti della vita ante(f)atta, cercavano nella rivolta un modo di
riabilitazione in mezzo al consorzio sociale, avessero avuto un posto,
anche da soldati, nelle file dell'esercito, certo che non si sarebbero
così sciaguratamente perduti. Avvedutosi intanto il governo del grave
errore commesso, cercò, dopo qualche tempo, di riparare, facendo
ricomporre quello esercito, però dopo aver diviso il gentile anemone dal
cardo spinoso, la ruvida ortica dall'erba soave e profumata, di talché
non ne rimase dopo un severo scrutinio, che un povero manipolo, da un
grosso fascio che egli era. E poiché gli esclusi maggiormente menavano
rumore, si pensò in prosieguo di ordinare in ciascuna provincia delle
compagnie di guardie mobili, nelle quali si avessero potuto quelli
nuovamente raccogliere e riannodare, per non lasciare un fornito di
dispiacenza continua nella città. Il rimedio però fu assai
peggiore del male istesso, perché dopo pochi mesi le guardie mobili
furono disciolte e questi poveri giovani, ingannati una seconda volta
dalla lusinga di una onorata situazione, furono rimandati a casa, ancora
più miseri di quello che erano e con l'animo ribollente di tanta bile ed
indignazione che fu poi la origine di quei fatti dolorosi che tutti
ricordano ...
Presa la fortezza di Gaeta furono capitolati tutti gli individui di quel
presidio (soldati regolari), e gli altri delle fortezze di Capua, e di
Messina: si rimandarono a casa con congedo. Dopo tanti stenti patiti,
dopo corso tanto rischio della vita, tornati costoro nel seno delle
proprie famiglie, che più non credevano dover rivedere, si abbandonarono
spensierati alle più ineffabili dolcezze delle affezioni domestiche ...
Dopo due o più mesi un ordine inopportuno li richiama a servire, gli
obbliga rigorosamente a compiere il loro impegno. Quest'ordine scoppiò
come un fulmine sul loro capo, su quello dei loro congiunti. Spaventati
dai gravi pericoli percorsi, strappati alla santità degli affetti
familiari, distaccati dalle loro intraprese, questi poveri infelici non
ebbero più pace. Un baratro terribile si schiudeva dinanzi ai 1oro
piedi; essi non seppero superarlo, credettero utile rifugiarsi nelle
campagne per sottrarsi alla pubblica forza.
Fu allora che si formarono le così dette compagnie de' sbandati, le
quali finirono con l'essere un terzo ausilio alle bande de' masnadieri
perché questi sbandati, rimasti senza mezzi di sussistenza, cominciarono
a molestare le proprietà altrui per prendere vettovaglie ed altro
bisognevole.
I proprietari e i fittaiuoli risentiti dei danni sofferti cominciarono
di conserva con la truppa a ricercarli, a combatterli, ad inseguirli:
vistosi essi a mal punto pensarono allora d'armarsi e provvedersi di
cavalli per essere all'uopo pronti così,alla difesa che alla fuga.
Trovarono ne' soldati congedati da Garibaldi (che pazienti alle ingiurie
erano rimasti tuttavia nelle città) compagni novelli essendo stati
anch'essi richiamati a servire. Molti sanguinosi scontri si avverarono
senza che la truppa ed i cittadini li avessero potuti del tutto vincere
o distruggere: si stimò, per costringerli a presentarsi, imprigionarne i
loro padri, le madri, le mogli, i fratelli, i figlioli. Questo mezzo
mise gli sbandati nella massima irritazione, nel massimo orgasmo, li aizzò
in tal modo che giunsero a prendere il disperato partito di entrare
perfino nelle città onde liberare i parenti e punire i loro persecutori,
ed allora avvennero stragi, rapine, saccheggi, incendi, uccisioni,
vituperi, e mille altre scene di sangue, orribili a dirsi. lo non posso
scusare i loro eccessi, le loro barbarie, ma dimando a chiunque sente
battersi il cuore nel petto, fu tutta, loro la colpa ? ...
Relazione di Costantino Nigra al presidente del consiglio Conte di
Cavour per ordine di S.A.R il Principe di Carignano, luogotenente di
S.M. Napoli 20 maggio 1861 - ... Le gravi difficoltà incontrate dal
Governo di S.A.R nè quattro mesi trascorsi furono in qualche parte
provocate da fatti recenti e transitori; ma la più parte di esse ha
origine da cause remote e durevoli. Lo scioglimento dell'esercito
borbonico, le misure prese a riguardo loro, i capitoli di Gaeta che
permisero a Francesco il soggiorno di Roma (asilo politico),
contribuirono senza dubbio a suscitare al Governo di queste province
serissimi imbarazzi. Non è qui opportuno discutere le ragioni di questi
fatti, ma è importante di constatare che l'amministrazione di S.A.R. fu
del tutto estranea ai medesimi e che essa dovette solamente subirne le
conseguenze. Ad ogni modo però i fatti accennati non avrebbero di per sé
soli dato luogo ai torbidi scoppiati nelle provincie e a Napoli stessa,
senza la condizione generale di cose la cui gravità non poteva nemmeno
sospettarsi se la rivoluzione dello scorso autunno e gli eventi
posteriori non fossero venuti a manifestarla. ....
Le storie contemporanee, da Colletta in poi, sono piene de' biasimi
dell'Amministrazione borbonica, Ma nessun'a storia ha potuto svelare
1Jutta quanta la immensa piaga. Fatte le debite eccezioni, tanto più
onorevoli quanto più rare, ben si può dire con tanta verità, come ogni
ramo di pubblica amministrazione fosse infetto dalla più schifosa
corruzione. La giustizia criminale serva delle vendette del Principe; la
civile, meno corrotta, ma incagliata anch'essa dall'arbitrio
governativo. Libertà nessuna, né ai privati ne' ai municipi, Piene le
carceri ,e le galere dei più onesti cittadini, commisti 'a' rei dei più
infami delitti. Innumerevoli gli esiliati. 'Gli impieghi concessi al
favore o comperati. Gli impiegati in numero dieci volte maggiore del
bisogno. Gli alti impieghi largamente pagati, insufficientissimi gli
stipendi degli altri. Quindi corruzione e peculato ampiamente e
impunemente esercitati.
Abuso di pensioni di giustizia e di grazia. Ammessi in gran numero ad
impieghi governativi ragazzi appena nati, cosicché contavano gli anni di
servizio dalla primissima Infanzia. Istruzione elementare nessuna. La
secondaria poca o insufficiente. L'universitaria anche più poca e
cattiva. Trascurata più ancora l'istruzione femminile. Quindi ignoranza
estrema nelle classi popolari. Pochi i mezzi di comunicazione. Non
sicure le strade, né le proprietà, né le vite dei cittadini. Neglette le
provincie. Poco commercio malgrado le risorse immense di paese
'ricchissimo. Pochissime le industrie. Perciò aggiunta all'ignoranza la
miseria e la fame. Le spese di amministrazione molto maggiori d'ogni più
largo calcolo. Gli istituti di beneficenza, largamente dotati,
depauperati da schiera immensa di impiegati, di amministratori, di
ingegneri, di avvocati. I proventi loro consumati, di regola generale,
per tre quarti in spese di amministrazione e per un quarto solamente
nello scopo dell'istruzione. Nelle carceri, nell'esercito, nelle
amministrazioni, in tutti i luoghi pubblici esercitata largamente la
camorra, il brigantaggio nelle provincie, il latrocinio dappertutto. La
polizia trista, arrogante, malvagia, padrona della libertà e della fama,
dei cittadini. I lavori pubblici, decretati, pagati e non tatti. Ogni
potere, ogni legge, ogni controllo concentrato nell'arbitrio del
Principe. Nessuna guarentigia del pubblico danaro. Clero immenso,
ignorante, salvo alcune eccezioni meno rare nelle diocesi di Napoli;
sforniti di dignità e della coscienza del proprio ministero. Bassa
superstizione nel popolo. La mendicità esercitata, sotto forme diverse,
da tutte le classi dei cittadini, non escluse le più elevate. Non
giornali, non libri. L'esercito corrotto, non esperto di guerra, privo
di fiducia nei capi. Fu notato a ragione che se le popolazioni
napoletane han potuto resistere 'a tanti mali per si lungo tempo, ben
doveva essere tenace la loro tempra, e profonda la coscienza del loro
diritto. Infatti tutto questo corrotto edifizio, a mala pena sostenuto
dall'ostinata volontà di Ferdinando secondo, si sfasciò sotto l'urto di
un pugno di uomini eroici a cui tenne dietro il sollevamento quasi
istantaneo dell'intera popolazione ...
Non è quindi a stupire, se in un paese da lunga mano esercitato dal
brigantaggio, dopo una rivoluzione ed un cambiamento completo di
dinastia e di ordini governativi, siansi manifestati in varie provincie
moti parziali che sotto il colore politico avevano vero carattere di
grassazione e di saccheggio. A ben determinare quest'ultimo carattere
dei recenti moti degli Abruzzi, di Terra di Lavoro e di Basilicata
gioverà l'esporre un altro fatto sul quale chi scrive chiama la speciale
attenzione di V.E. Accanto ai patrioti onesti e liberali che aiutarono
la rivoluzione in queste provincie si unirono uomini 'rei di ogni
delitto, di perduta fama, ,sfuggiti all'azione della giustizia o alle
carceri, i quali e per fare dimenticare i commessi misfatti e per
acquistar credito o ricchezze, od anche per esercitare private vendette,
cooperarono al compimento del rivolgimento politico che stabili 1ù nuovo
ordine di cose. Credevano essi che :il nuovo Governo (seguendo esempi
non nuovi nelle storie napoletane) non solo 'avrebbe dimenticato 1e loro
nequizie, ma li 'avrebbe ricompensati. Vedendo invece che le loro
malvagie speranze trovavano ostacolo insuperabile nell'onestà e nella
giustizia del Governo, si diedero all'antico mestiere del brigantaggio e
dell'assassinio.
Citerò, per tutti, un esempio sul quale dal Governatore del Principato
Ulteriore ebbi interessanti indicazioni.
Capo dell'orda dei briganti
reazionari che ultimamente fu dispersa sui confini del Principato
Ulteriore e di Basilicata era un certo
Carmine Donatello (Crocco).
Costui pastore di capre di origine, di costumi depravati, analfabeta,
reo di molti omicidi e di altri gravi misfatti, si univa nel settembre
scorso ai liberali, prestava il suo braccio ignominioso alla rivoluzione
e, siccome era fornito di coraggio personale e di attività, giungeva
perfino ad acquistare una certa influenza nel suo Circondario. Sperava
egli dal nuovo Governo perdono e favori; ma, scorgendosi invece pendere
sul capo la mano della giustizia, il Donatello, spinto dalla fame e
disperando di ottener grazia, tornò all'antica vita di omicida e di
ladro.
( LA
STORIA DI CARMINE CROCCO il
libro e il film http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri89.htm )
Carcerato in seguito a mandato di arresto, l'assassino riusciva ad
evadersi aiutato da alcuni amici facenti parte della Guardia Nazionale.
Uscito in libertà, si diede a far soci ed a scorrere la campagna. Prima
che si avesse truppa disponibile da mandare sui luoghi, la banda divenne
numerosa ed insolente. Si fu allora che i partigiani del passato Governo
Borbonico credettero di poter dare uno scopo politico alla comitiva e
trasformare il brigante in capo politico. Il Donatello vi trovava il suo
conto, nell'oro che gli si diede, nella nuova dignità assunta e nella
speranza di quei medesimi compensi che i Borboni nel secolo scorso
accordavano a Fra' Diavolo, a Mammone e ai banditi del Cardinal Ruffo.
Le stesse cose più o meno si verificarono negli Abruzzi, in Capitanata e
altrove. Fu cioè dappertutto un moto di ladri e di briganti, cui si
tentò di dare forma e tendenze politiche. La poca truppa che si poté
spedire ne' luoghi minacciati ebbe facilmente ragione di queste orde. Le
popolazioni e le guardie nazionali si riebbero dallo spavento incusso da
fatti reali e da narrazioni esagerate. Insomma con tante cagioni di
malcontento e di malessere, il movimento non ebbe seguito. Se fosse
stato un vero movimento politico in poco tempo avrebbe preso le più
vaste proporzioni ...
Ricapitolando il sin qui detto appare che le condizioni delle provincie
napoletane hanno subito da gennaio in poi un notevole miglioramento e
che i germi sono gettati per miglioramenti futuri, più considerabili. Lo
stato politico e morale del paese è ben lungi dal rispondere ai nostri
desideri; ma è anche ben lontano da quanto vorrebbero far credere i
nemici dell'unità italiana. Il partito borbonico non ha nessuna radice
nel paese. Non si dimentichi che il concetto dell'unità italiana è nato
qui appena ieri e pure si è già impadronito della coscienza pubblica: lo
spirito autonomino (autonomistico) va decrescendo. Quegli stessi che or
son quattro mesi gridavano contro l'invasione del piemontesismo oggi
domandano che l'altra Italia mandi impiegati, amministratori e
magistrati. In tutto questo tempo il governo dimostrò di fronte ai
partiti imparzialità, autorità e fermezza. Si frenarono e repressero
dimostrazioni e reazioni da qualunque partito venissero, e nessuna
concessione fu fatta alle dimostrazioni di piazza. S.A.R. lascia a chi
le succede nell'arduo compito tutta quanta intatta l'autorità
governativa senza legami, senza impegni. Le difficoltà politiche ed
amministrative di queste provincie sono certamente gravissime, ma non
bisogna dimenticare che non si rovesciano, troni secolari, non si compie
un'opera smisurata come quella dell'unità italiana senza incontrare
difficoltà, inconvenienti, ostacoli .. , Per poco che si consideri la
storia, di questo stesso paese, e quella dei travolgimenti politici
avvenuti presso le altre Nazioni d'Europa, farà anzi meraviglia che i
presenti imbarazzi nostri non siano né più numerosi né più gravi.
C. Nigra
Un militare si guarda intorno
Da «Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863» del
conte Alessandro Bianco di Saint-]orioz
... Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio: la povertà dei
coloni agricoli; la rapacità e la protervia dei nobili e dei signori;
l'ignoranza turpe in cui è giaciuta questa popolazione: l'influenza
deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo, l'idolatria, fatte
religione e santificate; la mancanza di senso morale pressoché totale:
la nessuna elementare conoscenza dei dettami d'onore, di probità, di
pudore; la sregolatezza nei costumi; l'immoralità in tutto e in tutti;
lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati, nella
magistratura, nei pubblici funzionari; la rapina, il malversare, lo
sciopero e la malafede fatti articoli di legge; tutto insomma ciò che vi
è di laido e di riprovevole nella umana Società si trova in gran copia
diffuso e penetrato in queste misere popolazioni; tutti i vizi come
tutte le miserie, le violenze e le malvagità si sono scagliate sopra
questo popolo infelice, attalché, per servirmi di un vieto e rancido
paragone mitologico, si può dire che la famosa scatola di Pandora sembra
aversi tutta riversata su questa altrettanto infelice e misera quanto
bella e amena terra, ed avervi sparse in copia le brutte cosacce che
conteneva. Sicché non vi è poi tanto da stupire, se le origini del
brigantaggio siano antiche e quasi perdute nelle nebbie dei secoli; se
sotto tutti i regni e tutte le dinastie vi furono fasti briganteschi: se
finalmente oggidi ancora, sotto un governo unitario, nazionale e
riparatore, vi siano ancora numerose bande e ferocissime che scorazzano,
quasi impunemente, questa peregrina ma cancrenata parte d'Italia.
La configurazione stessa del paese, coperto di interminabili catene di
montagne altissime e vasti dirupi, di macchie foltissime e di oscure,
fitte e immense foreste; [e idee del governo borbonico che di quelle
montagne non davasi cura, non vi tagliava strade, non vi costruiva
ponti; la mancanza totale di commercio, di vita sociale, di movimento
industriale, di comunicazione qualunque intellettuale o materiale, a tal
punto che vi sono tuttora numerosissimi distretti vedovi di una strada
comunale, ignorata la vista di una vettura, sentieri cosi malagevoli e
pericolosi che ti muli stessi non si pentano che con molta prudenza ,a
percorrerli. lo non parlo qui dell'assoluta deficienza di stabilimenti
di carità, d'istruzione, di industria, d'utilità pubblica e di scienze;
queste sono le prerogative dei popoli civili e dei paesi colti. Questo è
il lusso e la superfluità dei popoli gentili e dei paesi educati ,al
vivere civile; ma qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e
nata Italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell'Africa, ai
Noueri, ai Dinkas, ai Malesi di Pulo-Penango, epperciò non è d'uopo
parlar qui di cose che non sono nemmeno accessibili alla loro
intelligenza. Qui dunque non comuni interessi, non contrattazioni, non
scambi, non affetto, non fraterno amore, non mutua stima, ma odio e
livore, libidine di potere e di vendetta; qui invidia, qui tutte le più
basse e vili passioni, tutti i vizi i più ributtanti, tutte le più
nefande nequizie dell'umana natura.
Non solo l'azione dissolvente, immorale e corruttrice del più immorale e
scellerato dei governi, ma il sistema pur anco di agricoltura del paese,
e la vita nomade e solitaria dei pastori e dei carbonai, che vivono su
quelle cime senza famiglia, in mezzo al loro gregge od attorno al loro
forno, in un isolamento selvaggio; e la vita quasi cenobitica delle
popolazioni delle piccole cittaduzze, che poste sul cumignolo di una
roccia nuda ed aspra, lontane da ogni consorzio umano, da ogni suono di
civiltà, e da ogni vista delle intellettuali grandezze, vivendo una vita
miserabile e deserta ed amara, senza nessuna delle morali e materiali
dolcezze che cotanto abbelliscono la vita, sono un incentivo, un
istradamento al brigantaggio. La esistenza così eccezionale, così
singolare e così primitiva e selvaggia di questi popoli li rende più di
ogni altro proclivi al mal fare,alla violenza, all'omicidiare per
vendetta e per rapina; al darsi alla montagna e sbandeggiare per amore
d'indipendenza, e più soventi per riluttanza al lavoro, per voglia di
lucro, qualche volta per vendetta, e sempre per fame ed atroce miseria.
Tutti i tribunali d'Europa insieme riuniti non basterebbero a giudicare
tutti i delitti ignorati, le angherie, le vessazioni, le prepotenze e le
nere ingiustizie commesse su quelle alture dai nobili, dai ricchi, dagli
uomini preposti agli impieghi, dalle locali amministrazioni, da tutti
insomma, cominciando dal popolame, che rubava ed uccideva per fame e per
vendetta, al ricco, al nobile, al funzionario, che per cupidigia di
potere e d'oro manometteva la cosa pubblica e vuotava le casse e
angariava e tiranneggiava cosi crudelmente la plebe, che questa
disperata ed affamata si dava alla montagna e briganteggiava. Il governo
borbonico per sistema non solo lasciava impunite simili infamie e non
puniva gli infedeli e disonesti suoi impiegati, ma li lodava e li
promuoveva per soprassello e quasi per insulto alla morale pubblica;
innalzando cosi il vizio e la malafede, I'improbità ed il tradimento a
dogma di governo, e facendo puntello del suo trono della malvagità e
corruttela della burocrazia governativa, e del pervertimento e
scompiglio dell'amministrazione e della giustizia. Esercito e burocrazia
furono le colonne immutabili d'un edificio di Governo che raffigurava la
negazione d'ogni principio buono ed onesto. Da questo putridume di
società e governo sorse come naturale frutta il brigantaggio. Lugubre
storia di nefandezze e di sventure, che dilaniarono miseramente questa
terra infelice!
... L'uomo della campagna è ridotto allo stato d'ilota e di gleba; egli
è oppresso dall'usura, male rimunerato, non sfamato, stremato di forze,
tenuto in servaggio duro, inumanamente malmenato e malversato. In nessun
paese del mondo I'agricoltore è tanto povero ed infelice quanto in
queste contrade, Egli è macilente, lacero, sudicio, sfinito, triste e
muto, e il suo sguardo torvo e fulvo vi dice i suoi rancori ed il suo
odio contro i suoi signori o meglio oppressori; la sua apparente umiltà
e la paura che addimostra in presenza di un qualunque a lui superiore
per condizione ed abito, vi dice lo stato di avvilimento e di
demoralizzazione in cui è caduta quell'anima sofferente e rozza, a chi
tutto si niega ed a chi tutto manca, il pane dell'intelletto ed il pane
del corpo. I suoi sensi sono muti, la sua mente incolta, ignoti i
dettami del bene e del male, è un animale, un bruto, a cui finalmente
non si sono lasciati che gli istinti e i bisogni materiali non mai
soddisfatti, e la consolazione ed il rifugio di una religione che venne
premeditatamente adulterata da un'empia politica di governo, e
naturalmente falsata dall'ignoranza sua e dalle male arti pretine.
Cosicché I'azione di questa religione, fatta idolatra e pagana, fanatica
e feroce, non cristiana e santa, mansueta e benefica com'è la vera
religione di Cristo, è piuttosto fatale che utile, è più fornite di male
che di bene; è phi uno strumento, che un dogma, è finalmente scaturigine
inesauribile di errori e di corruttele più demoralizzatrici che altro.
Nessuna meraviglia adunque che i briganti, e tutti i delitti e le
devastazioni che gli fan seguito, pullulino e continuamente germoglino
in queste contrade; e che ad ogni bivio di strada, dietro un burrone, in
una macchia, o sul pendio di un monte si vada a rischio di trovare una
masnada di malandrini che vi spogli, vi derubi o vi tolga la vita! Non è
forse cosa nota ed oramai vieta, che gli abitanti di un comune sogliano
farsi tutto ad un tratto assassini? Che questi pacifici agricoltori
gettano ad un dato tempo la marra, la zappa, ed abbandonano il manico
dell'aratro per impugnare il calcio del moschetto e darsi alla strada a
depredare e uccidere? E dopo perpetrata impunemente la grassazione
nascondono l'arma omicida e riprendono tranquillamente gli onesti arnesi
della campagna? Non è forse noto che tutti o pressoché tutti gli
abitanti di certi comuni o borgate sono briganti per tradizione, o
fautori di brigantaggio, o conniventi, o manutengoli?
Di nuovo Il generale
Govone, interrogato sui motivi per cui le popolazioni dimostravano tanta
simpatia per i briganti. " i cafoni veggono nel brigante il vindice
dei torti che la società loro infligge" . Pasquale Villari Direttore
dell'Opinione scriveva nel 1865: "Per distruggere il brigantaggio noi
abbiamo fatto scorrere il sangue a fiumi: ma ai rimedi radicali abbiamo
poco pensato. In questa come in molte altre cose l'urgenza dei mezzi
repressivi ci ha fatto mettere da parte i mezzi preventivi, i quali solo
possono impedire la riproduzione di un male che certo non è spento e
durerà un pezzo".
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