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GIUGNO
2003
- Uno scoppio d'iris
Una
certa visione tardo-romantica della vita e dell'arte, tutt'ora attiva,
impone un sentimento tragico e lacerato dell’esistenza e una coscienza
fortemente soggettiva e tesa verso l'indefinito.
Ciò ha una valenza duplice: se potenzia l’esperienza creativa, d'altra
parte la fa contemporaneamente esplodere in derive decadenti,
rendendola introversa e rancorosamente inquieta. In nome della
creatività così la vita viene invasa e assimilata in una sorta di
“vampirizzazione" faustiana e narcisistica.
Questa visione dell'arte spinge l’occhio a introflettersi, a guardare
a sé e alle proprie viscere di sentimento e sofferenza, mentre
l’occhio dovrebbe estroflettersi e guardare al mondo in una visione
che mai si riduce ad una brillante o desolata o patologica
visionarietà.
Le parole più profonde sono sempre il frutto di una visione lucida,
esatta e non il risultato empirico di una ricerca viscerale e
soggettiva. Ce lo hanno insegnato i classici, ma anche i grandi poeti
cinesi. Nominare significa vedere il mondo, ordinarlo in una
prospettiva.
La parola poetica vive innanzitutto dell'esperienza (non trasognata né
degradata) del mondo. Ogni parola è incatenata al mondo e "le parole
progrediscono interrandosi", scriveva William Carlos Williams,
l'autore di questi versi, così freschi di mattino, che consegno alla
nostra estate:
uno scoppio d’iris così
scesi per la
colazione
esplorammo tutte le
stanze in cerca
di
quel profumo dolcissimo e da
prima non riuscimmo a
scoprirne la
sorgente poi un azzurro come
di mare ci
colse
in sussulto improvviso di tra
gli squillanti
petali. |
MAGGIO
2003
-
La
letteratura preventiva
Nelle
riflessioni sulla letteratura si percepisce spesso un certo "ritardo".
Essa infatti, a giudizio di molti, servirebbe a capire meglio,
interpretare, intendere meglio la vita e le sue vicende, "dopo" che
esse siano accadute. L?elaborazione del proprio vissuto o
l'approfondimento e il disvelamento restano sempre processi a
posteriori, seppure capaci di rivitalizzare ciò che non abbiamo colto
mentre accadeva. La letteratura allora sarebbe la camera oscura dove
si sviluppa ciò che è già impresso (dunque viene dopo l?evento); il
sistema per incanalare il torrente della vita (che già scorre); la
digestione e la ruminazione (di ciò che è già stato ingerito). Sembra
che tra vita e la letteratura si stabilisca un rapporto di prima/dopo.
Tutto ciò è verissimo e importantissimo.
Tuttavia si deve considerare la questione anche da un altro punto di
vista. La letteratura infatti gioca anche d?anticipo e aiuta a
prepararsi a ciò che si ha da vivere e che ancora non è accaduto. Si
tratta di una funzione "prolettica" o, se si vuole, "profetica" (nel
suo senso più ordinario) della letteratura. A volte ci si ritrova ad
affrontare certe situazioni (emotive, o storiche) grazie al fatto che
la letteratura ci aveva di nascosto preparati a viverle.
Spesso gli eventi non ci colgono impreparati perché ci troviamo ad
afferrare quello che capitava proprio grazie ad un bagaglio misterioso
che ci aveva allenati a vivere situazioni a noi lontane, impedendoci
in molti casi di ritrovarci spiazzati anche di fronte a realtà che ci
sono naturalmente estranee. La letteratura, a suo modo, era venuta
"prima". E' anche vero che la letteratura pre-viene e pre-para proprio
perché è interpretazione del già vissuto.
Dunque la letteratura non solo "pre-viene", ma a volte offre gli occhi
per vedere ciò che altrimenti resterebbe non visto e anzi non visibile
(e dunque non "vivibile", in qualche modo).
(n.b. devo l'idea di questa riflessione a Francesco Longo, che
ringrazio)
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APRILE
2003
- La freschezza del reale
Nel film
Lisbon story di W. Wenders il protagonista è un regista che
intende girare le sue immagini mediante una telecamera con l’obiettivo
poggiato sulle spalle per riprendere scene mai viste, neanche da chi
«gira».
Ci sono persone che credono sia questo il modo migliore per fare arte:
eliminare ogni traccia di espressione per aprire il terreno ad una
oggettività «pura», incontaminata. Ogni intenzione (tensione di una
coscienza individuale o collettiva verso qualcosa da rappresentare)
così dovrebbe lasciare il posto a una pura e neutra registrazione del
reale o del linguaggio. L’io in questo caso scomparirebbe e l’arte
diverrebbe neutra.
Si tratterebbe di una reazione a quel pesante sentimentalismo che
spesso gronda da opere acerbe, dove l’io dello scrittore diventa tanto
ipertrofico da invadere e affogare la pagina. Ma se l’arte è
innanzitutto ascolto del reale, questo reale non è mai neutro perché
ad ascoltare è una coscienza umana, incarnata in una storia e in una
personalità umanissima. La freschezza del reale può risuonare solo in
una coscienza disponibile e obbediente, non in una assenza di
coscienza o in una incoscienza neutra. Ecco la risposta di Wenders:
«Se nessuno guarda attraverso la lente, ecco quello che vedranno su
questi dannati video le generazioni future: il punto di vista di
nessuno. Non c’è ragione di fare immagini spazzatura da buttare un
minuto dopo».
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MARZO
2003
- Le verità attendono in tutte le cose
"Tutte le verità attendono in tutte le cose (All truths wait in all
things)". Si tratta di un verso tratto da Foglie d'erba di Walt
Whitman. La sua densità è esplosiva.
Le cose non affrettano né ostacolano la manifestazione della loro
verità, ma stanno lì, attendono di essere viste, ascoltate, toccate,
gustate, annusate, contemplate.
Senza attesa e senza realtà non si fa arte. L'arte nasce anche dalle
fratture tra realtà e verità, come nel caso di Pirandello. E allora si
sprigiona la tensione tremenda e possente della realtà in cerca della
sua verità o del personaggio in cerca del suo autore o della sua
origine. E allora ecco scaturire l'attesa.
Così anche per il testo letterario. Esso sta lì, attende e senza
lettore non esiste neppure. Poi arriva il lettore e la verità di quel
testo, rimasta in attesa, può manifestarsi in un approccio
interpretativo infinito. Un caso particolare ed esemplare è quello
della traduzione. E' vero che un testo andrebbe sempre letto in
originale. Ma l'imprescindibilità di tale lettura in originale è
maggiore quanto minore è il suo valore. Infatti il valore di un testo
si misura anche dalla resistenza che oppone alle traduzioni, uscendone
indenne o quasi. Perché? Perché la verità che attende in tutte le cose
e in tutti i grandi testi è resistente e generosa.
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FEBBRAIO
2003
- Il sentimento del tempo
L'espressione creativa deve confrontarsi con il tempo, che è una
dimensione fondamentale dell'esistenza di ogni uomo. Il tempo non
scorre mai senza tensione dell'animo. Esiste sempre un "sentimento
del tempo". Vorrei indicare almeno tre sentimenti fondamentali: la
nostalgia, la percezione della presenza e la tensione dell'attesa.
Tutte e tre hanno prodotto capolavori. C'è bisogno di fare esempi?
Basti pensare allo sguardo rivolto al passato dall'Odissea alla
Recherce di Proust, allo sguardo rivolto al reale da Verga a Flannery
O'Connor, allo sguardo slanciato in avanti dai romanzi d'avventura di
tutti i tempi ai Promessi Sposi di Manzoni...
Ma non sempre i termini sono chiari.
- Lo sguardo al passato è forse solo il doloroso vagheggiamento di un
tempo tramontato o di un luogo perduto?
- Il presente è forse solo la superficie visibile, attuale, ma
fuggente ed effimera della vita?
- Il futuro è forse solo una alternativa eccentrica a ciò che è
attuale e concreto?
Non ci sono alternative?
Noi pensiamo che lo sguardo al passato sia da intendere come
un'apertura verso ciò che sempre ci supera dal basso: le nostre
radici, le origini della nostra storia, dei nostri pensieri e della
nostra emozionalità, il desiderio originario di senso.
Noi pensiamo che il presente sia la crosta di terra che ci
sostiene, ma anche la capacità di percepire la realtà che investe il
significato del gesto che compiamo, delle forme che ci riempiono gli
occhi.
Noi pensiamo che il futuro sia attesa di una apertura radicale
e profonda che si iscrive nella nostra carne quotidiana e di cui
abbiamo già, in qualche modo, una anticipazione e un presentimento.
Ecco una sfida per l'espressione creativa: il confronto con il tempo
che passa e che resta.
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GENNAIO 2003 - Tre
forme di scuole di scrittura
Esistono varie forme di "scuole di scrittura creativa".
Dal compositionis exemplum della Ratio studiorum dei
Gesuiti (fine del XVI secolo) e passando per le storytelling
activities delle scuole universitarie di creative writing
staunitensi (inizio del XX secolo), si giunge alle formule
sperimentate nel nostro Paese a partire dalla fine degli anni ‘80.
Quanti "tipi" di scuole esistono in Italia? Schematicamente posso
distinguerne almeno tre:
- il primo tipo è quello che definirei “professionalizzante”,
funzionale all’apprendimento di tecniche e competenze. Queste scuole
sono gestite, in genere, da una istituzione orientata a fornire
docenti validi e strutture efficienti. Spesso offrono prospettive di
un impiego in ambiti affini a quello della scrittura.
- il secondo tipo è quello che definirei “artigianale”. Queste
scuole sono legate all’idea di una bottega dove l’artigiano (in questo
caso uno scrittore) condivide la sua esperienza e le sue competenze
con apprendisti, realizzando con loro un rapporto individuale. La vera
scuola, in questo caso, si identifica con lo scrittore, il quale crea
per i suoi apprendisti anche occasioni di incontri con altri
artigiani.
- il terzo tipo è quello che definirei “militante” perché
centrato su un progetto culturale, su idee condivise e su una forte
dimensione comunitaria. In questa tipologia di “scuola” ciò che conta
è che l’apprendimento della scrittura e delle sue tecniche avvenga
sempre all’interno di una "visione" e di una formazione attraverso la
scrittura, intesa come esperienza di vita dotata di senso. La "scuola"
allora diventa un laboratorio in cui si fa un lavoro di èquipe e in
cui le competenze sono diffuse e condivise. La formazione si gioca in
una dialettica tra rigore e accoglienza, professionalità e amicizia,
esercizio e gioco, fantasia e ascesi.
Bombacarta è nata (il 12 gennaio 1998) e si è sviluppata (in
questi cinque anni di attività) come una “scuola” del terzo
tipo.
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DICEMBRE 2002 - Le strade del romanzo
Guardando
al futuro, mi sembra di riconoscere più bivi che autostrade. Enumero
brevemente possibilità e rischi per il romanzo. Su questi incroci e
sulle scelte di percorso, a mio parere, si gioca oggi la partita del
romanzo e del racconto:
- La possibilità di valorizzare l’immaginario come luogo di simboli e
metafore della vita e il rischio di costruire un catalogo di fantasie
futili e gratuite e di storie da raccontare all’infinito.
- La possibilità di recuperare il valore specifico dello scrivere e il
rischio di rendere la scrittura subalterna ad altri linguaggi e
modelli.
- La possibilità di "inventare" (= dal latino "invenio", trovare) la
realtà e il rischio di appiattirsi sulla cronaca.
- La possibilità di costruire strumenti ottici per guardare in
direzione del reale e il rischio di perdere la dimensione
dell’interpretazione per carenza di modelli.
- La possibilità di essere ancorato alla vita, alla storia,
all’esperienza "umana" e il rischio di perdere il legame fisico con
l'esperienza e acquistare quello con la manipolazione.
- La possibilità di recuperare il senso della soggettività narrante e
il rischio di perdere il valore e il senso dell' "autore" come
soggetto.
- La possibilità di valorizzare, al di là di folklorismi, in
maniera "divergente" le tradizioni culturali del nostro paese e il
rischio dell’assoluta omologazione a modelli ed etichette.
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4 Antonio
Spadaro |
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