Un forte aroma
di caffè si diffuse con discrezione nella piccola dimora,
mentre stava tentando di scrivere qualcosa di significativo;
era ben impressa in lui l'immagine di Hemingway che se ne
stava davanti alla sua macchina da scrivere, con le onde
dell'oceano che lo investivano di iodio e creatività.
Aveva tutti gli ingredienti per creare l'atmosfera giusta:
-la casetta-non proprio sul mare, le leggi sul demanio non lo
consentono più- ma "a un tiro di schioppo", pensò,e
congratulandosi con se stesso per quella definizione, la
inserì in un taccuino a parte, dove stava raccogliendo tutti
gli effetti speciali per il suo libro;
-il tempo. Si era preso due settimane di ferie,chissà,forse
sarebbe stato necessario qualcosa di più,ma bastava produrre
qualcosa di decente,e poi Wilbur Smith in quindici giorni
magari di libri ne avrebbe scritti due;
-il caffè. Aveva imparato dalla sua enciclopedia medica che
per tenersi sveglio non c'era di meglio della caffeina- della
famiglia delle metilxantine, insieme alla teina-,che agiva sul
sistema nervoso ortosimpatico stimolando una maggiore capacità
di attenzione, eh sì.. un po' come quando attingeva dal
bollente thermos di liquido nero,strizzava gli occhi e si
pizzicava i polsi durante un lungo viaggio in macchina,e
l'attenzione era proprio quello di cui aveva bisogno; "guidare
è un po' come scrivere, necessita di continua attenzione e
concentrazione" e scrisse ancora sul suo "molesquine", questo
l'aveva imparato da Sepùlveda;
-un buon vino e una bottiglia di Martini. Male si conciliavano
con la metilxantina, ma non mancavano gli alcolici e i super
in casa Hemingway e in casa Bukowski. Servivano a smussare gli
spigoli, ridurre i contrasti, amalgamare la realtà,e ad
attenuare ,appunto,gli effetti del caffè,in caso di abuso.
-un dizionario dei sinonimi e contrari. Questo era farina del
Marchi,suo ex compagno di liceo, un tipo che nei suoi temi
raggiungeva sempre e rigorosamente la lunghezza ideale di
quattro colonne di foglio protocollo, che utilizzava il
righello per non sconfinare oltre la metà del rigo, e che
arrivava sempre al nocciolo della questione. Aveva, anche lui,
imparato ad attingere dal dizionario in modo
abbondante, copioso, fertile, in altri termini non carente, non
esiguo, non sterile.
"Può bastare", pensò;era il primo giorno e quella barretta
verticale lampeggiante sembrava che dicesse: "Muovimi, dai,
spostami un po' a destra e scrivi qualcosa. Bastano poche
grandi battute ed è fatta,dai,su... Hemingway aveva le stesse
cose che hai tu, che ci vuole?"
"Magari parti da quando ti sei accorto di desiderare quella
bionda, alle scuole superiori, ci spremi sopra qualche
condimento erotico, ed è fatta!"
"...Forse, però, è un soggetto troppo acerbo, e poi non
successe quasi nulla, quindi dovrei inventare di sana pianta..
Oppure racconto del viaggio in Irlanda, dei tramonti
sull'oceano, delle rocce di basalto, del forte odore di
torba... no, un po' troppo "National geographic"..
Allora, dei vent'anni di ufficio a mangiare merda, con quello
stronzo del Giuliani, sempre lui, immancabilmente lì, accanto
a me? Lì sì che ci sarebbe da dire, eh! Ma non posso
raccontare delle mie figure, e poi a chi frega? Nessuno
vorrebbe identificarsi nel protagonista..
Dei miei successi sportivi? Successi,non esageriamo..
Del mio incidente d'auto? Un po' troppo banale, è successo a
molti.
Di politica? Non ho la competenza, e poi lo leggerebbero in
tre.."
Insomma, per quale motivo aveva letto tutti quei libri tediosi
e preoccupanti, perchè aveva speso soldi per quel corso di
scrittura creativa?
Per scrivere!
Per far schiantare di bile il Giuliani, magari regalandogli una
copia del suo libro autografata.
Dopo mezz'ora circa di black-out si soffermò disperatamente
sui rari oggetti di quella cucina, cercava di trarre
ispirazione dalle curve di quel vaso dozzinale, souvenir di
Portofino... che aveva a che fare con Portofino, poi?
E quella tendina a quadretti rossi e bianchi, un po'
ingialliti, come lui.
Cominciò a scrivere:
"La mia vita è..." Sembrava un buon esordio, un po' indefinito
ma diretto, che ti avrebbe sparato dentro la storia. Rilesse
più volte quelle tre parole, come se fosse sotto esame,o agli
ultimi minuti di un compito di matematica che, salvo disperati
guizzi dell'ultimo momento non prometteva nulla di buono, e
cercasse la risposta esatta.
"...è..."
"... insignificante?"
Pensò ad una formulazione migliore, cancellò tutto e riscrisse:
"Scrivo perchè la mia vita è insignificante, e voglio
renderla, appunto, significativa grazie ai proventi di questa
nuova attività; vi condurrò per mano in un mondo scialbo,
ordinario, banale e ripetitivo. Grazie."
Più che un incipit sembrava un SOS, una specie di messaggio in
bottiglia da mandare al mondo intero, era comunque, a suo
avviso, convincente, originale e sincero; sincerità a tutti i
costi, sì, poteva essere la strada giusta da percorrere.
Cominciò pian piano a prelevare dolenti periodi dalla memoria,
a scrivere della sua squallida esistenza, dei suoi desideri
repressi, delle sue invidie, di quanto era per lui opprimente
avviarsi ogni mattina in ufficio, del suo amore naufragato.
Giorno dopo giorno, il file diventava sempre più corposo e lui
diventava sempre più curvo e stanco.
Scrivere quelle note dolenti non gli faceva bene, e
rileggendole, si soffermava e riviveva ciò avrebbe voluto, in
realtà, cancellare con un semplice tasto.
Andò meccanicamente avanti,e pian piano srotolò in quel
monitor tutta la sua vita; nonostante sembrasse invecchiato
all'improvviso, si ritenne soddisfatto e mise la parola fine
al suo romanzo.
Si mise il costume e si avviò verso il mare.
La parte finale del libro diceva così:
"..nonostante sembrassi invecchiato all'improvviso, mi ritenni
soddisfatto e misi la parola fine al mio romanzo.
Mi misi il costume e mi avviai verso il mare.
Le ombre erano lunghe, i toni accesi del tramonto ben si
adattavano al mio stato d'animo,non c'era nessuno intorno,
sentivo solo il rumore dei miei passi.
Arrivai dunque alla battigia, posai i miei oggetti personali
ordinatamente sull'asciugamano-a pensarci mi venne quasi da
ridere, lo feci meccanicamente, ma avrei potuto scagliarli
nell'acqua- e mi immersi nel mare ormai cupo e livido.
Vidi il sole che stava per toccare il bordo sfumato
dell'orizzonte, provai un gran desiderio di raggiungerlo e
cominciai a nuotare; e nuotai, fin quando le mie forze me lo
concessero.
Un ultimo confortante pensiero al mio libro e, inabissandomi,
raggiunsi il sole. |