La
pioggia sottile rendeva più grigio il cemento dei moli, il
mare viola ed invernale già urlava, dall'altra parte.
La macchina rossa si ferma, le portiere si aprono su una
sabbia fangosa e giallastra. Più in la, una pozzanghera
d'acqua salata riflette il piombo delle nuvole.
Scendono senza fretta, mancano ancora venti minuti buoni alla
partenza della nave. Un borsone da viaggio breve, di cuoio e
fibbie d'ottone, la giacca nera, il bavero rialzato. I capelli
dell'uomo sono neri, un poco lunghi e morbidi. Qualche piccola
ruga si intravede, un volto che da poco non è più di ragazzo,
anche se negli occhi non è cambiato. Lei, per evitare
l'ingombro del volante, torce un poco il busto, sporge
inclinata la testa, per uscire. Scivolano i capelli, una
cascata dritta e liscia di petrolio manda brividi di luce
catturata. La pelle è bianchissima, gli occhi neri e tagliati.
Un naso non piccolo infonde equilibrio e, così, altra
bellezza.
Le mani sono da bambina, le unghie corte, la pelle di sopra un
poco scabra, per l'inverno passato appena.
Esce dalla chiesa del paese. C'è molta gente intorno ma sono
pochi che si avvicinano, miracolosamente il giusto numero, che
decisi caricano la bara sulle spalle. Il cimitero è lontano,
ma il viaggio sarà fatto a piedi. Una processione antica,
lenta e faticosa. Così ha voluto.
È iniziato tutto da molto prima. La mattina presto, lasciato
l'albergo, pagato in fretta il conto. Lei aspettava, nella
pioggia fredda. È iniziato tutto da prima, da quando hanno
fatto l'ultimo amore, in fretta ma vibrante, nel tempo rubato
al check out.
È iniziato quando hanno capito che era morto. Hanno chiamato i
becchini, solerti. Hanno scelto la cassa, senza soffermarsi
troppo sull'oscenità del catalogo plastificato. Hanno
scritto,pagato il bollettino postale ed inviato i necrologi
via fax al giornale. Hanno parlato con il prete, indicato più
o meno la gente che si aspettavano, scelto le letture e
proibito commoventi prediche. Sono arrivate le donne, per
lavarlo. Non è stato lungo. L'hanno rasato e pettinato bene.
L'hanno rivestito di uno dei suoi abiti, scelto tra quelli
meno usati. Poi, composto sul letto, la porta della grande
casa è stata aperta, in attesa. Sono arrivati, da soli o in
piccoli gruppi. Hanno pregato e stretto mani, hanno ricevuto
cibo e condoglianze sussurrate, in un tentativo di conforto
unico e multiplo, che coinvolgesse spirito e stomaco, che è
durato una notte intera.
Tutta la notte era durata, l'ansia di doversi dire un
arrivederci, dal sapore delicato di un addio nascosto. Ma poi
il giorno aveva fatto giustizia dei pensieri, e lui s'era
trovato a prepararsi, in ritardo, lui che dormiva sempre così
poco, e lei ad aspettare, piccola e bianca nella luce grigio
ferro che filtrava.
Le parole dette in quei giorni insieme, trattenute, per non
essere inutilmente drammatiche, erano sospese tra loro come
nebbia, mentre facevano colazione. Ridevano di cose semplici e
quotidiane, singolari ed eccezionali proprio perché, di
solito, tra loro quella quotidianità non esisteva.
Era sceso, come diceva lei. Un lungo viaggio, reso breve
dall'aereo e dalla nave. Era sceso, con il commiato pronto nel
cuore. Perché il viaggio era programmato breve ed incerto,
alla fine. Come tutti i viaggi, in fondo, è vero, ma questo
senza scuse di lavoro che richiede o di amici da ritrovare.
Solo per raggiungere quella che, in fin dei conti, si sarebbe
potuta rivelare una disillusione facile e senza appello. E
magari, all'inizio, era stato proprio questo il motivo. La
ricerca di qualcosa che stridesse, la volontà di scoprire
orrendi nei, in rilievo su quella pelle così bianca, e
conoscerla infantile e troppo complicata dai suoi pochi anni,
per sopportare il pensiero di rimanerle dentro.
Sì, un bisogno di distruggere, di negare, di poter tornare ad
una vita piena di lavoro e di volti, fotogrammi veloci, senza
bisogno di doversi fermare a prenderne nessuno tra le mani.
Alla sua vita negli ultimi mesi, insomma.
Il prete era venuto, con il suo incenso, e lei era uscita
dalla stanza. Per due volte, era uscita, di nascosto, come un
ladra. Poi l'avevano accomodato nella bara, e lenti, la fiamma
ossidrica sibilava la sua bruciante voce, il bacio caldo dello
zinco a chiudere le labbra d'alluminio. Inghiottito, come in
un boccone. Non l'avrebbero mai più visto. Le scale della
vecchia casa strette e ripide, la forza contenuta e misurata,
per far scendere la cassa senza sbattere. La chiesa a pochi
metri e le corone di fiori. Tutto è pronto, ora, per l'addio.
La pace era venuta, finalmente, in quella vita piena di stelle
e fango e polvere di strada. C'era rassegnazione, in quelli
che erano venuti, più che rimpianto. Mancava, certo, la rabbia
dei funerali giovani, la ribellione per l'ingiusto tempo, quel
sentimento di rivolta verso il dio, a volte poco pietoso nel
sollevare troppo in anticipo. No, qui era il tempo adatto, era
la vita piena e passata. Era quasi giusto, insomma. Quasi un
sollievo, che l'orologio avesse funzionato anche per lui, come
per tutti.
Invece, il nodo si era stretto. Aveva scoperto la sua vita,
dietro al poco che conosceva di lei, all'immagine preconcetta
che aveva costruito. Aveva conosciuto l'odore della sua stanza
e delle sue paure, e l'origine dei suoi pensieri, cervello e
ventre, i volti infantili di alcuni degli amici, molte cose
prima solo raccontate. Un mondo lontanissimo, è vero, eppure
non meno
reale e vivo di quello che aveva lasciato lui. E gli era
piaciuto. Aveva scoperto, poi, insopportabili comunioni,
musiche lasciate per caso andare, soste improvvise e violente,
dettate dalla fame, sintetiche uguali commozioni di fronte ad
incomprensibili bellezze, di una natura il cui spettacolo non
provoca abitudine.
Ma ora, ora che la nave stava per partire, lui non vorrebbe
lasciarsi baciare più a lungo di un secondo, così come è stato
nei precedenti addii, ma non riesce a trattenere le mani di
lei che continuano ad accarezzarlo, e le sue braccia che lo
stringono e i baci che sono morsi e baci. Basta, le dice, va
via, ora. Va via, che ti guarderò andare. E spia le sue gambe
lunghe, allontanarsi, i capelli neri che le danzano sulle
spalle. E lei cammina, né veloce né piano, cento metri lungo
il molo, dritta e senza esitazione, fino al varco nella rete,
e poi si gira a salutare. E lui aspira la sigaretta e muove la
mano, mentre il mondo é immobile.
Va via che non ti voglio più vedere, che mi hai già sepolto,
che ti ho già sepolto, mille volte in questa giornata, ogni
volta che controllavamo l'ora, ogni volta che organizzavamo la
partenza, ogni volta che ci guardavamo in viso, e ho scelto la
bara perfetta in cui rinchiuderti, e ho scritto il tuo
necrologio con parole dorate, ed ho pregato per te le
preghiere gentili, quando il prete ha sparso il suo fumo
odoroso. Mille volte ti ho sepolto, amore mio che scalci
dentro e sei vivo, come questo mare che urla e scava e spacca,
ma non serve a niente seppellirti, perché
io so che verrai e tornerò, tutte le volte che sarà
necessario. Perché è inutile buttare terra sul vivo, che non
si seppellisce chi respira forte, perché questo è un bambino
che con la terra gioca, buttandola per aria, e mentre gioca
ride.
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