Scintille
Uno scrittore è
essenzialmente un uomo che non si rassegna alla solitudine.
François Mauriac |
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IL CIELO CHE FU DELL'AQUILONE |
Vidi
venire su dalla valle un aquilone, e lo seguii con gli occhi passare
sopra a me nell'alta luce, mi chiesi perché, dopotutto, il mondo non
fosse sempre, come a sette anni, Mille e una notte.
Udivo le zampogne, le campane da capre e voci per la
gradinata di tetti e per la valle, e fu molte volte che me lo chiesi
mentre in quell'aria guardavo l'aquilone. Questo si chiama drago volante
in Sicilia, ed è in qualche modo Cina o Persia per il cielo siciliano,
zaffiro, opale e geometria, e io non potevo non chiedermi, guardandolo,
perché davvero la fede dei sette anni non esistesse sempre per l'uomo.
O forse sarebbe pericolosa? Uno, a sette anni, ha
miracoli in tutte le cose, e dalla nudità loro, dalla donna, ha la
certezze di esse, come suppongo che lei, costola nostra, l'ha da noi. La
morte c'è, ma non toglie nulla alla certezza, non reca mai offesa,
allora, al mondo Mille e una notte dell'uomo.
Ragazzo, uno non chiede che carta e vento, ha solo
bisogno di lanciare un aquilone. Esce e lo lancia; ed è grido che si
alza da lui, e il ragazzo lo porta per le sfere con filo lungo che non
si vede... |
Elio
Vittorini |
Conversazione in
Sicilia |
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Piccoli Vortici Frizzanti
Prigioni
di carta igienica, scolapasta e Lettori Ideali
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Fabio wrote: “Perché scrivo? La sola risposta
che sono riuscito a darmi è che scrivo perché non posso farne
a meno. Scrivo per compensare la mia incapacità di comunicare,
almeno a parole, con gli altri, scrivo perché certe cose non
saprei dirle altrimenti, cose che ho dentro e che non riesco a
trattenere, scrivo perché voglio essere ascoltato.
Non ho bisogno di trovare la causa della mia infelicità, già
la conosco, ed è proprio questa mia "Incomunicabilità" quella
forza che mi spinge a scrivere. Però non scrivo per gli altri.
In effetti la vera domanda che mi tormenta è: per chi
scrivo? Scrivo per me stesso, esclusivamente per me
stesso, per liberarmi dai miei tormenti. È l'unica risposta
che so darmi. Ho provato a pensare al mio lettore ideale,
quello a cui, con le mie parole, vorrei cambiare la vita, ho
provato ad immaginarmi un'unica persona composta da tutte
quelle da cui vorrei approvazione, ho immaginato la donna di
cui vorrei destare l'interesse. e in tutto questo non ho visto
altro che egoismo: io non scrivo per gli altri. E non scrivo
neanche per il cassetto. Scrivo esclusivamente per me stesso
perché sono io quel lettore a cui vorrei cambiare la vita e
scrivo , soprattutto, perché solo questo so fare.
Ora la domanda è: voi perché scrivete?”
Stuzzicante domanda. Stavo leggendo 'sta e-mail e
subito mi sono arrivate tre immagini mentali: un albo di Dylan
Dog, un rotolo di carta igienica e la faccia sorridente di
Italo Calvino.
Vado, una volta tanto, in ordine. L’albo di Dylan Dog era un
sincero omaggio a Charles Bukoswki (spero di aver azzeccato le
k), si intitola
‘La prigione di carta’
e già il titolo è tutto un programma. Il protagonista
spiega bene la sua poetica. Scrive per trattenere i suoi
demoni, dico demoni nel senso schiettamente socratico del
termine. Trattenere. Bel verbo. E già questa posizione mi
spinge lontano da Fabio (e di conseguenza lontano da Teresa).
Io come il protagonista dell’albo scrivo per trattenere
qualcosa. Siano essi ricordi sdentati che preferiscono
continuare a mordermi l’amore e il cranio di baudeleriana
memoria, siano esse insostenibili leggerezze. Scrivo per
inchiodare qualche buon figlio dei miei neuroni. Così, per non
farlo svolazzare contento nella landa dell’oblio. Mi capitano
notti insonni che passo in compagnia delle zanzare. Sono lì, a
tendere agguati, armato di ciabatte contundenti e mi vengono
schizzi di storie che devo buttare giù, per non perderli. Per
trattenerli.
Il
rotolo di carta igienica è il mio manifesto. I ‘vecchi’
bombers lo conoscono bene. Gli altri devono solo cliccare
qui.
La
faccia di Calvino è arrivata zampettando allegramente al suono
del piffero di Fabrizio. È un’unica immagine mentale nella mia
testa: Fabrizio scrive del Lettore ideale e subito rivivo la
corsa frenetica di ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’.
Non so se
scrivere cambia la vita. Però sono sicuro che aiuta a capirci
qualcosa. È un utile scolapasta noetico:
serve a filtrare i pensieri. E li inchioda sulla carta.
*** |
Fabio wrote: "Per quanto riguarda le affinità con Teresa e
Tonino direi che siamo tutti,se non sulla stessa barca, almeno
sulla stessa rotta. Per spiegarlo vorrei tornare all'immagine
dello scolapasta: trattiene qualcosa, nel caso la pasta;
lascia andare altro, nel caso il liquido di cottura. Quindi
con la scrittura tratteniamo i demoni (quello spirto guerrier
ch'entro mi rugge?) ed i ricordi e ci liberiamo delle cose che
non sapremmo dire altrimenti.
Sarei tentato di scrivere che della nostra cottura non si
butta via niente.
Che ne pensate?”
Ognuno ha il suo modo di cucinare.
Ci sono spunti che lievitano sino a riempire decine di pagine,
altri che si fissano in una experimentazione in versi (non le
chiamerei mai poesie: concordo con Platone, la poesia non è
arte. È infinitamente superiore all'arte, è prodotta dal tocco
delle muse.). Ma è vero: non si butta mai niente, diciamo che
ci sono scolapasta con buchi diversi per differenti selezioni
di pensieri. Quello che resta finisce dritto dritto in una
cartella del desktop: l'ho chiamata spunti spuntati.
Spuntati nel duplice significato di apparsi e di senza punta.
Se qualche neurone ha deciso di regalarmeli ci sarà un motivo,
forse è solo questione di tempo. Troveranno la loro strada o
appassiranno lì.
"E tu, Tonino, a chi ti rivolgi quando racconti? Hai anche
tu un lettore ideale?"
Una domanda da un milione di dollari! Risponderei che
il mio lettore ideale sono io ma ridurrei tutto a uno
sterile onanismo.
“Nessuno scrive per sé. Chi lo fa spera di essere riscoperto
postumo.” (citazione distorta da un’intervista a Tiziano
Sclavi)
Mi
ronza nell'orecchio il solito consiglio che anch'io, nel mio
piccolo, snocciolo: mai innamorarsi di quello che si
scrive. C'è sempre un modo migliore di riscrivere una
frase o di caratterizzare un personaggio.
Vivo il paradosso della ricerca reso celebre dal Menone
platonico. Non ha senso mettersi alla ricerca del lettore
ideale: se già so cosa cercare perché mettermi sulla strada?
E, di contro, se non so come è fatto il mio lettore ideale,
perché darmi tante noie? La ricerca è già morta in partenza.
Distorsioni filosofiche a parte: sono ancora alla ricerca.
Forse sbandierare l'Hegel della Fenomenologia dello Spirito è
una buona soluzione: "devono ancora nascere i lettori del mio
libro". Ecco: i grandi libri creano i loro lettori.
Basta pensare a Joyce o al Dostoevskij delle Memorie del
sottosuolo o al processo di Kafka.
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| BombaSicilia 4.0 # 2 - agosto
2003 | |
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Arretrati .:.
BS #1
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sitemastering, sitedesign, site content manager
Tonino Pintacuda | |
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