IL GLADIATORE - Il Copione (quarta parte)

 

Dedea (dedea@libero.it) ha tradotto il copione del film "Il Gladiatore" nella versione trovata sul sito "Dream Works SKG Fansite"

Quarta parte

 

CAMBIO SCENA. Grande panoramica di Roma così come si ammira dai gradini del Senato. Milizie romane sono schierate lungo le vie, il popolo è allegro (nonostante ci sia una piccola fazione che contesta urlando furiosamente) petali di fiori volteggiano attraverso l’aria per onorare il nuovo Cesare.

I senatori stanno in piedi sui gradini del Senato aspettando, Lucio al loro fianco, mentre il nuovo Cesare e Lucilla entrano nella piazza su un cocchio circondato da pretoriani a cavallo.

GRACCO: Egli entra in Roma come un eroe conquistatore. Ma che cosa ha conquistato?

FALCO: Dagli tempo. E’ giovane. Io penso che possa fare molto bene.

GRACCO: Per Roma o per te? Vai da tua madre Lucio, le farai piacere.

Sui gradini bambini con fasci di fiori, aspettano l’arrivo del nuovo Cesare. Essi lo onorano con i fiori pronunciando il suo nome “Cesare”. Commodo accetta gli omaggi e a sua volta offre i fiori alla matrone presenti. Lucio corre per dare il benvenuto a sua madre.

LUCIO: Madre

LUCILLA: Lucio (Lucio e Lucilla si abbracciano)

COMMODO: Senatori

FALCO: Roma saluta il suo nuovo imperatore. I tuoi sudditi leali ti hanno dato il benvenuto Principe.

COMMODO: Grazie Falco, e per i sudditi leali….confido che non siano costati troppo.

GRACCO: Roma si rallegra per il tuo ritorno Cesare. Ci sono molte questioni che richiedono la tua attenzione.

CAMBIO SCENA. Senato dove sono raccolti tutti i senatori. Il senatore Gracco sta parlando mentre Commodo, apparentemente annoiato e sempre più impaziente, siede roteando velocemente il manico della sua spada sul pavimento di marmo; il penetrante rumore del metallo rompe l’intima quiete della sala.

GRACCO: Cesare, il Senato ha preparato una serie di disposizioni per iniziare ad affrontare i molti problemi che affliggono la città, ad iniziare dal risanamento del quartiere greco, per combattere la peste che la si sta già diffondendo. Così……

Mentre Gracco continua con il suo discorso, Comodo lo interrompe.

COMMODO: Shhhhhh! Non lo vedi Gracco. E’ questo il grande problema, non altro. Mio padre ha trascorso tutto il suo tempo a studiare, leggendo libri, imparando la loro filosofia. Trascorreva le ore del crepuscolo a leggere gli scritti del Senato. Nel frattempo il popolo era dimenticato.

GRACCO: Il Senato è il popolo Cesare, scelto dal popolo per parlare al popolo.

COMODO: Dubito che la maggior parte del popolo mangi bene come te Gracco, o che abbia splendide amanti Gaio. Io credo di capire il mio popolo.

GRACCO: Forse Cesare potrebbe essere così buono da spiegare anche a noi, dall’alto della sua vasta esperienza (si sente una leggera risata dei senatori)

COMMODO: Io lo chiamo amore. Il popolo rappresenta i miei figli ed io il loro padre. Li terrò al mio petto e li abbraccerò teneramente…….

GRACCO: (interrompendolo) Hai mai abbracciato un uomo che sta morendo di peste Cesare?

Commodo si ferma. Tiene la sua spada dietro la testa con entrambe le mani come se dovesse appoggiare la sua testa e lentamente si volta verso Gracco. Mentre si gira si può sentire il suono stridente dei legamenti dell’armatura di cuoio di Lorica di Commodo. Lucilla, intuendo il potenziale pericolo, decide di intervenire. Un momento molto pericoloso.

COMMODO: No. Ma se mi interromperai ancora, ti assicuro che lo farai tu! (Egli lascia il Senato e ritorna la palazzo).

LUCILLA: Senatore, mio fratello è molto stanco. Lascia a me la tua lista. Cesare farà ciò che Roma gli chiede.

GRACCO: Mia signora, come sempre le tue maniere gentili impongono obbedienza

 

CAMBIO SCENA: Al palazzo, dove Lucilla, di ritorno dal Senato incontra Commodo che sta lottando per rimuovere attraverso il collo la cinghia che trattiene la sua spada. Lucilla lo assiste.

COMMODO: Chi sono loro per ammonire me?

LUCILLA: Commodo, il Senato ha la sua utilità.

COMMODO: Quale utilità? Tutti loro non fanno altro che parlare. Dovremmo essere soltanto…..tu ed io, e Roma.

LUCILLA: Non pensarci neanche! C’è sempre stato un Senato……

COMMODO: (prendendo posto sul trono continua) Roma è cambiata. Ci vuole un imperatore per governare un impero.

LUCILLA: Sicuro, ma bisogna lasciare al popolo le sue…..

COMMODO: Illusioni?

LUCILLA: Tradizioni!

COMMODO: La guerra di mio padre contro i barbari, lo ha detto lui stesso, non ha portato niente, ma il popolo lo ha sempre amato.

LUCILLA: Il popolo ama sempre le vittorie.

COMMODO: Ma perché? Essi non assistono alle battaglie. Cosa gliene importa della Germania?

LUCILLA: Essi tengono alla grandezza di Roma

COMMODO: La grandezza di Roma? Ma che cosa è la grandezza?

LUCILLA: La grandezza è un’idea. La grandezza è una visione.

COMMODO: Esatto! Una visione! Non vedi Lucilla? Io darò al popolo una visione di Roma ed essi mi ameranno per questo. (Egli allunga le sue mani verso di lei e con esitazione lei le prende, Commodo porta la sua mano alle labbra e la bacia) Io darò loro la visione più grande della loro vita.

CAMBIO SCENA. Un modello copia del Colosseo. Commodo sta mettendo delicatamente nell’arena due figurine di gladiatori mentre si sposta più vicino e con ammirazione esamina la sua creazione…….la sua visione per Roma.

CAMBIO SCENA. Si vede l’intera panoramica del Colosseo, in seguito la scena si sposta su Gaio e Gracco che si incontrano in un ristorante parlando dei giochi che Commodo ha fatto tornare in auge per attirare la folla. All’esterno si possono vedere un giocoliere, mercanti che gridano le loro merci e la gente che curiosando va e viene. Si possono sentire le acclamazioni della folla dal Colosseo. Gaio, tenendo un manifesto “ Combattimento gladiatori” raggiunge Gracco.

GAIO: Giochi! 150 giorni di giochi!

GRACCO: E’ più intelligente di quanto pensassi

GAIO: Intelligente? L’intera Roma riderebbe di lui se non avesse paura dei suoi pretoriani

GRACCO: Paura e ammirazione. Una potente combinazione

GAIO: Credi davvero che il popolo si lascerà sedurre da questo?

GRACCO: Io credo che lui sappia cosa è Roma. Roma è il popolo. Lui farà qualche magia per loro e loro saranno distratti. Toglierà loro la libertà e la folla sarà felice lo stesso. Il cuore pulsante di Roma non è il marmo del Senato ma la sabbia del Colosseo. Lui porterà loro la morte e loro lo ameranno per questo.

CAMBIO SCENA. Si torna a Zucchabar. Dentro un carro prigione, seduti lungo i lati, i gladiatori aspettano il loro turno per combattere nell’arena. Bambini corrono sul tetto del carro gettando petali di fiori sull’ispanico. “Ispanico, Ispanico, Ispanico” si sente gridare dalla folla dentro e intorno all’arena.

Massimo ha guadagnato la popolarità tra la folla così come un nome per se stesso “Ispanico”. Egli siede in fondo al carro, l’espressione dura, mentre metodicamente affila la lama della sua spada. E’ arrivato per lui il momento di combattere. Si alza e cammina attraverso il carro. I gladiatori si alzano a sedere e ripetono il suo nome “Ispanico” mentre cammina oltre loro percorrendo la strada verso l’arena per il suo combattimento; entra nella pista mentre la cantilena continua “Ispanico, Ispanico….”

Quando passa attraverso la porta, la folla comincia a fare silenzio. Gli avversari fanno un passo indietro. Massimo si sofferma e inclina leggermente la testa quindi attacca con furore mentre la folla applaude fragorosamente.

Gli avversari aspettano di incontrare Massimo uno alla volta. Hagen si dirige verso il bordo dell’arena per sbirciare e contemporaneamente, più in alto, Proximo si dirige a sua volta verso il parapetto per poter osservare il suo schiavo.

Senza esitazione Massimo attacca pronto, simile ad una macchina e senza emozione, combatte e si libera di ognuno dei contendenti, uno alla volta. Fronteggiando il suo ultimo avversario, raccoglie una spada da terra, si avvicina e lo trapassa nel petto con entrambe le spade. Fa un passo indietro, si porta nuovamente in avanti e rimuove le spade soltanto per assestare una sforbiciata al collo per decapitarlo.

Avendo velocemente e clamorosamente sconfitto i suoi avversari Massimo guarda su verso la folla, le spade sanguinanti ancora in mano. Lancia una spada in alto sulle gradinate colpendo un tavolo e sparpagliando tutto intorno. Allora rivolto alla folla, ora silenziosa, urla loro “Non vi siete divertiti?…..Non vi siete divertiti?…..Non siete qui per questo?!! Si vede Proximo scrutare la gente per la sua reazione. La folla è silenziosa, Massimo getta l’altra spada a terra sputando con disgusto e comincia a lasciare l’arena.

La folla acclama incontrollabile. Massimo rallenta il suo passo guardandola con curiosità e meraviglia. Le acclamazioni continuano “Ispanico, Ispanico,Ispanico……”

CAMBIO SCENA. Massimo è stato convocato negli alloggi di Proximo. Egli cammina avanti e indietro mentre Proximo parla.

PROXIMO: Che cosa vuoi? Hmmm? Donne? Ragazzi?

MASSIMO: Sei preoccupato per me? (si ferma, le braccia lungo i fianchi)

PROXIMO: Si lo sono! Tu sei bravo Ispanico, ma non tanto bravo. Tu potresti essere magnifico.

MASSIMO: Mi chiedono di uccidere, così io uccido. Questo è sufficiente.

PROXIMO: Questo è sufficiente per le province ma non per Roma. (nel frattempo da’ da mangiare alla sua iena incatenata) Il giovane imperatore ha organizzato una serie di spettacoli per commemorare suo padre Marco Aurelio. Io lo trovo divertente visto che è stato Marco Aurelio, il saggio, il sapiente Marco Aurelio ad interrompere i giochi. E così, dopo 5 anni passati a guadagnarci da vivere in luridi villaggi infestati dalle pulci, finalmente torniamo al posto che ci appartiene….il Colosseo. (respira profondamente come se potesse sentirne l’odore) Oh! Dovresti vederlo il Colosseo , Ispanico.

50.000 romani che osservano ogni movimento della tua spada aspettando che vibri il colpo fatale. Il silenzio prima del fendente, e il fragore dopo cresce,….cresce e si solleva come…come una tempesta, come se tu fossi Giove Tonante.

MASSIMO: Tu eri un gladiatore?

PROXIMO: Si lo ero! (risponde nervosamente ma orgoglioso del suo passato)

MASSIMO: Hai vinto la tua libertà?

PROXIMO: Tanto tempo fa l’imperatore Marco Aurelio si presentò a me con un rudio, è soltanto una spada di legno, un simbolo della tua libertà. Egli mi toccò su una spalla ed io fui libero. (Massimo accenna alla spada di legno)

MASSIMO: Tu hai conosciuto Marco Aurelio? (chiede sorpreso ridendo mentre egli parla, dubitando che Proximo possa aver conosciuto un simile uomo)

PROXIMO: Non ho detto che lo conoscevo! Ho detto che una volta mi toccò su una spalla!

Massimo si avvicina a Proximo, abbassando la voce mentre parla.

MASSIMO: Mi hai chiesto cosa voglio. Voglio anch’io stare davanti all’imperatore come hai fatto tu.

(aggrotta il sopracciglio sinistro)

PROXIMO: Allora ascoltami! Impara da me! Io non sono stato il migliore perché uccidevo velocemente. Io sono stato il migliore perché la folla mi amava. Conquista la folla e conquisterai la tua libertà.

Mentre Massimo prende coscienza del suo nuovo compito, sta in piedi sull’attenti, le mani chiuse dietro la schiena come il soldato che è stato per così tanti anni, ma al nominare della libertà rimane indifferente, senza la sua famiglia cosa è la libertà?

MASSIMO: Conquisterò la folla. Darò loro qualcosa che non hanno mai visto prima.

PROXIMO: Haaaa! Così Ispanico! Noi andremo a Roma insieme e avremo avventure piene di sangue e la grande meretrice ci allatterà fino a quando saremo grassi e felici e non potremo più allattare. E allora, quando saranno morti sufficienti uomini, forse avrai la tua libertà. Qui, usa questa….

Proximo lancia a Massimo una corazza per proteggere il suo corpo. Mentre Massimo va via, Proximo si volta a guardare dalla finestra allargando le braccia in segno di gioia.

CAMBIO SCENA. Su un tetto schiavi chiacchierano insieme mentre guardano verso il deserto sotto un cielo azzurro. Sono Juba e Massimo insieme.

JUBA: E’ laggiù da qualche parte, il mio paese, la mia casa. Mia moglie sta preparando il pranzo, mia figlia è andata a prendere l’acqua al fiume. Li potrò mai rivedere? Penso di no.

MASSIMO: Credi che li rivedrai ancora quando morirai?

JUBA: Io penso di si, e poi io morirò presto. Esse non moriranno per molti anni. Le dovrò aspettare.

MASSIMO: Ma tu…..le aspetteresti tu?

JUBA: Certamente.

MASSIMO: Sai, mia moglie e mio figlio mi stanno già aspettando.

JUBA: Tu li rivedrai di nuovo. Ma non ancora. (Juba scuote la mano di Massimo come per rassicurarlo che quel tempo verrà) Non ancora.

MASSIMO: Non ancora….non ancora.

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