Valentino Venturi
 
 
Vi ringrazio per avermi invitato a partecipare alla presentazione di questo volume “Le campane e la sirena” elaborato con l’analisi di così tanti documenti da parte di molteplici collaboratori.
La mia partecipazione è giustificata non perché sono un esperto della storia di questa città, ma solo perché ne sono stato testimone per un periodo di venti anni, dal 1971 al  1992. Venti anni passati nella storia come gli “anni di piombo”.
In quegli anni ho fatto il medico, medico della mutua e medico condotto, e in queste due posizioni, una privata e una pubblica, ho avuto modo di poter seguire da vicino gli eventi che interessavano la società civile e la gestione pubblica.
Dieci anni dopo la fine della mia professione a Dalmine, nel 2001, avvertii l’urgenza di trasferire in un libro questa esperienza e pubblicai “Sul lago gelato”. Ormai il libro non è più in circolazione. Io ne ho ritirato delle copie residue prima che fossero mandate al macero. Nel libro non riferisco una cronaca. I fatti narrati o sono avvenuti o sarebbero potuti avvenire. I tanti personaggi con nomi di fantasia, o sono esistiti o sarebbero potuti esistere. Il libro riporta un’esperienza sentimentale ed è stato definito un romanzo.
Il titolo del libro, “Sul lago gelato”, potrebbe sembrare poco comprensibile. Che significato può avere un lago gelato negli eventi di quel periodo a Dalmine? Un figlio coinvolto nei movimenti della contestazione, della violenza e poi della droga è come se avesse cominciato a camminare sulla crosta di un lago gelato. La crosta è sottile, può rompersi da un momento all’altro e il figlio va avanti, avanti senza pensare di poter affogare. Il Padre lo guarda dalla riva, soffre per lui, ha paura che finisca male, ma non può farci nulla. Non può andare a soccorrerlo. Non può richiamarlo indietro perché è in mezzo al lago.
Ecco, questo è il motivo conduttore: la fuga, il distacco dei figli dai padri, dalla famiglia, il loro sfidare il pericolo, cercare la lotta, combattere contro la società. L’incapacità, l’impossibilità dei padri di soccorrerli.
Perché? Le loro erano le famiglie degli operai, degli impiegati della Dalmine, dei professionisti. Famiglie che non vivevano nel disagio, nella miseria e i figli non avrebbero avuto l’urgenza di una rivendicazione. E allora perché?
Si erano affermate delle ideologie dominanti di carattere rivoluzionario, di origine marxista. Queste non erano nate dal nulla.
I partiti, quando è successo il peggio, si son sempre dichiarati innocenti, ma per lunghi anni sotto le vesti della democrazia hanno sostenuto l’idea di una rivoluzione permanente. Ci sono stati i teorici locali di queste ideologie estremistiche, che prudentemente rimanevano nell’ombra. Loro nei centri di aggregazione, nei circoli, diventavano i maestri e lasciavano ai giovani, vincolati a loro dall’entusiasmo, la libertà di assumere gli aspetti anche più violenti della contestazione.
Nella scuola superiore non c’era più nessun rispetto della disciplina. Dominava un collettivo. La maggior parte degli alunni si doveva adeguare. Naturalmente non tutti i capi erano anime sante dedite all’ideologia. Molti con furbizia acquisirono posti molto gratificanti nell’ambito della gestione pubblica. Molti altri, quelli che si esposero personalmente, dovettero subire le conseguenze penali di questa azione di massa.
Le istituzioni locali come reagivano a una situazione che era sfuggita di mano? Con la dovuta prudenza. Si lasciavano dare sfogo ai giovani nelle loro clamorose manifestazioni che spesso superavano i limiti della legge a spese della collettività per poi colpire coloro che potevano colpire e risparmiare coloro che dovevano risparmiare. C’era una tolleranza su misura.
La Chiesa? La Chiesa agiva con estrema prudenza per non aggravare il distacco dei giovani dall’altare. Un evento che poi si è verificato ampiamente anche con tutta la prudenza del clero.
L’evoluzione dei movimenti estremistici, com’era prevedibile, portò alle espressioni più violente. I vari tragici episodi, i delitti avvenuti a Dalmine, sono stati puntualmente registrati nel vostro libro. I procedimenti penali portarono in carcere molti giovani. Si verificò, come sempre succede, che i responsabili della teoria della contestazione e della lotta violenta riuscirono a sfuggire all’attuazione delle misure penali, mentre finirono nelle patrie galere i giovani mobilitati dalla propaganda che, guarda caso, sbandierava la visione di una pace universale in contrasto alle imprese belliche in corso allora da parte della nemica America.
Un’altra evoluzione in certo modo più grave fu la diffusione della droga. Le sostanze stupefacenti erano in uso da sempre, limitate piuttosto verso le classi acculturate. C’era una diffusa consapevolezza che l’uso della droga fosse un vizio degradante dell’anima e del corpo.
Nel gran numero di giovani che avevano partecipato alla contestazione e alle violenze, progressivamente, man mano che prendeva corpo quella che loro definivano con spregio la repressione poliziesca di stampo fascista, provarono la delusione per il crollo delle loro aspettative.  I movimenti politici, tutti, anche quelli che avevano la loro stessa matrice ideologica, si tennero bene alla larga da loro. I giovani constatarono la sconfitta e si rifugiarono nel mondo alternativo della droga. La droga diventò un farmaco, una medicina del loro malessere. Fecero una scelta che fu considerata comprensibile, giustificabile e contro la quale non si poteva agire in rispetto della libertà individuale.
Negli ultimi capitoli del libro, un padre si agita alla ricerca del figlio che si è inoltrato nel mondo della droga, che cammina sul lago gelato. Il tentativo di recupero del padre si infrange proprio nella palese indifferenza alle sue attese, da parte del personale addetto ai centri assistenziali che si barrica nella difesa delle libertà individuali di ogni tossicodipendenza.
Ma non finisce nella tristezza la vicenda. L’amore della famiglia ancora una volta riscatta un’anima che poteva sembrare perduta.
 
Valentino Venturi
 
Valentino Venturi, medico a Dalmine dal 1971 al 1992, Presidente dell’Ordine dei medici della Provincia, autore di “Sul lago gelato”, ambientato a Dalmine negli anni del terrorismo.