Mariella tosoni
 
 
       La presentazione di un libro di storia locale è sempre un momento importante perché significa che ci sono ancora degli studiosi che, nelle biblioteche e negli archivi, vanno alla ricerca di manoscritti, documenti e tracce del nostro passato; tracce che, come tessere un po’ sbiadite dal tempo, ci aiutano a comporre e capire il mosaico multicolore del nostro esistere qui, oggi.
        Per Dalmine, secondo me, questa giornata è anche un momento felice perché vede il coronamento di un lavoro che ha coinvolto diverse persone, che con varie competenze e conoscenze, hanno contribuito alla pubblicazione di questi 2 volumi, in cui si analizzano su vari piani il mondo del lavoro e l’evoluzione della città di Dalmine; e proprio di Dalmine, uno delle due opere  propone e sintetizza già nel titolo  la sua unicità e la sua dicotomia: le campane e la sirena.
       La sirena simbolo dell’espansione industriale, urbanistica e sociale conseguente all’insediamento della Mannesmann, oramai più di cento anni fa  nel territorio dalminese, e le campane a ricordare le preesistenti comunità del circondario, tra cui appunto Dalmine,  Mariano, Sabbio e Sforzatica che da secoli si raccoglievano attorno alle loro chiese.
        Un’altra tessera dunque si aggiunge nel mosaico Dalmine, che molti anni fa, quando avevo scelto di farne l’argomento della mia tesi di Laurea, il professore relatore della stessa definì: ”il paese senza anima e senza storia”. L’affermazione mi offese molto perché era assolutamente falsa; Dalmine ha infatti una storia lunga almeno 1000 anni, poiché testimoniata già dal 975 in un atto di donazione di terre in loco et fundo Almene da parte di Eremberto da Levate   al nipote Rotepaldo; una storia che ha attraversato lo scorrere dei secoli lasciando tracce interessanti, ma non sempre note se non agli studiosi, e che sarebbe auspicabile venissero fatte conoscere a tutti, ma  soprattutto ai giovani.
        Tra queste tracce, tanto per fare qualche esempio, i reperti archeologici del periodo romano, i Cabrei, bellissimi disegni settecenteschi con relative descrizioni dei possedimenti dalminesi dei Canonici Lateranensi di Santo Spirito, quelli della famiglia Camozzi, gli affreschi ottocenteschi della villa Dall’Ovo, ed altri che sarebbe lungo elencare; oltre poi ai documenti del periodo risorgimentale-preunitario e quelli del secolo scorso, presenti in vari archivi tra cui quello storico del Comune o quelli  delle parrocchie, che vedo con piacere aprirsi alla consultazione anche di qualche laico. Documenti che ci fanno conoscere le vicissitudini del comune  di Dalmine in lotta con i comuni confinanti; ma anche e soprattutto ci permettono una lettura delle condizioni di vita degli abitanti, non sempre facili a causa di epidemie, malnutrizione e miseria, per non parlare della tragedia delle guerre.
         L’anima di Dalmine poi è quella secolare dei suoi abitanti, segnata dal lavoro dei campi, dalle razzie di guelfi e ghibellini, da possidenti  interessati a volte più al loro fruttamento che alla loro vita, dagli ideali economico-patriottici del Risorgimento, dall’impatto, certamente non facile, con un mondo operaio che invadeva e a volte calpestava i ritmi di sempre, ma con il quale seppe fare fronte comune  nel momento difficile della lotta al nazi-fascismo o, in quello più vicino a noi, degli opposti estremismi.
          É l’anima della chiesina di S.Giorgio che accoglieva in un  tenero abbraccio  i bimbi morti del paese  che nei secoli passati erano purtroppo numerosi, Dalmine è anche l’anima di un “Pirto” l’ortolano antifascista che trangugiava olio di ricino sorridendo, ma non parlava con i repubblichini;   l’anima di un “Gioanì de Leat” e delle sue sonate col mandolino, dei “mangia pà a tradimet della lotta di classe”, così erano soprannominati inizialmente i giovani operai provenienti dalle più varie località della Lombardia, della Toscana, del Friuli e di altre regioni, l’anima delle cascine e delle canoniche dove furono nascosti prigionieri alleati ed armi per i partigiani, l’anima, infine, della solidarietà  mostrata dalle famiglie dalminesi nell’accoglienza ai piccoli sfollati dell’alluvione del Polesine del 1951 e nell’attuazione anche oggi, di iniziative solidali a vantaggio, con lungimiranza, di un vasto ambito territoriale.
       Di tutto ciò è permeata oggi l’anima di Dalmine, così dilatato da chiudere proprio in questi giorni (lunedì 15 marzo 2010) il suo quindicesimo anno come città; Dalmine che, forse, fatica a trovare tracce esteriori del proprio passato più remoto, ma che, appunto per questo, deve  vedere nella ricostruzione della storia locale un importante veicolo di formazione e di coscienza civile; obbiettivo tanto più importante se si pensa ai giovani che, generalmente, vivono la realtà dei luoghi del proprio crescere senza percepire la stratificazione del passato e lo scambio continuo tra quel passato, il presente e il loro futuro: senza cogliere cioè  l’intreccio tra il mosaico della Storia, (quella con la S maiuscola), e le indispensabili tessere delle storie locali che la compongono e che ce la rendono vicina e comprensibile.
       Il mio augurio oggi, nella giornata in cui si offrono all’attenzione della collettività queste opere, stese dopo un ampio lavoro di scandaglio ed analisi dei documenti, è che esse aiutino a creare o ad alimentare la passione per la  ricostruzione dal vivo della storia locale, attraverso la conoscenza e l’uso delle fonti, e che questa passione catturi particolarmente i giovani e possa aiutarli nella lettura e  nella interpretazione delle vicende di Dalmine per  renderli coscienti e consapevoli  che il futuro di questo territorio, che io auguro pensato a misura d’uomo, dipenderà anche e soprattutto dalla loro azione.
  
Mariella Tosoni
Mariella Tosoni -