Tra sirena e campane
 
 
Tra sirena e campane
Dalmine si scopre
in un secolo di storia
 
Pronti due volumi grazie a parrocchie e Centro di pastorale sociale
Ricerca per ripercorrere i rapporti  fra territorio, azienda e lavoro
 
DALMINE - La sirena, «ol còren», dello stabilimento, che per decenni risuonava tre volte prima dell'inizio di ogni turno di lavoro, ha smesso di suonare dal gennaio 1990. La fabbrica, la vecchia Dalmine (oggi una delle sedi del colosso ! mondiale TenarisDalmine), ha smesso di essere il centro produttivo e sociale della città e del territorio circostante. Il suono delle campane invece, di quelle sette parrocchie che animano il cuore delle comunità cristiane del Dalminese, continua a rieccheggiare. Per dirla tutta lo facevano già prima del 1909, anno in cui nasceva la prima Dalmine in versione tedesca. Ma come il suono delle campane si spinge ben al di là dei confini della parrocchia sembrerebbe che per guardare al futuro Brembo, Sabbio, Guzzanica, le due Sforzatica (Sant'Andrea e Santa Maria d'Oleno), Dalmine e Mariano debbano «guardare a un progetto comune di etica del lavoro e di comunità».
È quanto emerge da due volumi, risultato di una doppia ricerca condotta su input delle comunità parrocchiali di Dalmine e del Centro di pastorale sociale della diocesi, che verranno presentati sabato alle 10 nella sala della comunità di viale Betelli 1 a Dalmine. Nel primo volume, intitolato proprio «Le campane e la! sirena. Dalmine: 1909-2009» curato da Claudio Pesenti, Valeri! o Cortes e, Enzo Suardi, per la prima volta la storia di Dalmine ha cambiato punto di osservazione. «Le ricostruzioni storiche su Dalmine – anticipano Pesenti, Cortese e Suardi – hanno posto l'attenzione sulla centralità dell'azienda, considerata, come luogo privilegiato della classe operaia. In primo piano sono stati posti gli edifici promossi dalla company town relegando la zona comunale restante nell'anonimato. Queste descrizioni, che guardano solo alla fabbrica e agli ultimi cento anni, non aiutano a cogliere la complessità di questa città. Il libro, che sarà donato a tutti i dalminesi, fa emergere la pluralità di storie sottese al comune nato nel 1927, delinea le vicende e il profilo delle persone che hanno aiutato il territorio a riconquistare una propria autonomia, evidenzia il contributo della "Chiesa che è in Dalmine" come disse il vescovo Roberto Amadei nel cammino che la città sta compiendo per darsi una nuova identità in questa crisi economica che lo ha investito».
Per leggere la complessità delle relazioni tra l'azienda, i lavoratori e il territorio, le comunità dalminesi si sono avvalse inoltre del contributo di un sociologo, Dario Nicoli, docente incaricato dell'Università Cattolica di Brescia, e raccolto nel volume «Dalmine: l'azienda, i lavoratori, il territorio». Una ricerca che permette di riflettere sul rapporto tra pastorale e nuove realtà del lavoro. «La Dalmine non divenne mai una company town come Crespi d'Adda, perché trovò delle radici contadine e comunitarie molto forti con cui confrontarsi – spiega Nicoli –. Nella storia delle comunità cristiane dalminesi ci furono delle figure di sacerdoti capaci di essere lungimiranti e confrontarsi con l'azienda. Ricordo anche grandi figure di laici, impegnate a livello sindacale e politico, capaci di portare avanti le istanze del lavoro in termini di contrattazione aziendale ma anche di qualità della vita dei dipendenti in un'etica del lavoro armoniosa con lo sviluppo della persona. ! Oggi la Dalmine non è più un punto di riferimento lavorativo p! er i dal minesi, impegnati nel settore servizi: questa sopravvivenza forte di un territorio al di là dell'azienda ha permesso a Dalmine di non diventare una città morta come Crespi».
«Certo – conclude Nicoli – le sfide che si fanno avanti per le comunità cristiane dalminesi sono alte: la forte mobilità delle persone per il lavoro, una concezione dell'uomo più individualista. Occorre, sulla scorta del passato, interrogarsi sul presente. Oltre i campanilismi».
 
Elena Catalfamo
 
 
L’Eco di Bergamo, 11 marzo 2010, pag. 41