Intervista
a FILIPPI FRANCO (16/20)
Eravamo
quart'ultimi, e la situazione era
preoccupante. La società mi ha chiesto
di allenare la squadra, chiedendomi cosa
desiderassi in cambio. Ho accettato
l'incarico e non ho voluto nulla, tranne
due palloni nuovi per la squadra. Ho
iniziato dalla 7a di ritorno con una
vittoria sonante in casa contro il Dolo
per 5 - 1. In 9 partite, abbiamo ottenuto
8 punti (2 vittorie, 4 pareggi e 3
sconfitte).
Alla conclusione del
campionato ci siamo salvati, giungendo a
metà classifica. La società mi ha
inviato un biglietto di ringraziamento
che ancora conservo.
E' stata la mia ultima
stagione all'interno del Calcio Battaglia.
Ho iniziato la mia carriera con il
Battaglia a Chioggia nel '49/50, l'ho
chiusa dopo un decennio sempre a
Chioggia, nell'ultima partita di
campionato. Qui ho infatti giocato da
centravanti, e ho anche segnato un gol.
Nel secondo tempo è stato espulso
Chinchio e sono arretrato, giocando al
posto suo, da terzino. La mia ultima
partita si è chiusa sull'1 - 1.
Molte delle foto degli anni in
cui ho giocato sono state scattate da uno
dei fratelli Scarparo (ora residente a
Milano o nei dintorni), appassionato di
calcio e di fotografia.
In quegli anni i dirigenti del
Battaglia erano una decina: quasi tutti
lavoravano alle Officine
Elettromeccaniche Galileo, dove era
attivo, come in molte altre aziende, il
CRAL (Centro Ricreativo Aziendale
Lavoratori). Al suo interno, un gruppo di
sportivi cercava di promuovere la squadra
di calcio e sostenerla dal punto di vista
economico (spese per giocatori,
materiale, campo, viaggi...). Ricordo,
tra questo gruppo, Pasetto Gino,
Mascalchin Mario, Bottaro Vittorio, Zodio
Miro. 200-250 persone lasciavano 150 lire
al mese come contributo per la squadra;
tale somma veniva elargita anche dai
giocatori che lavoravano alla Galileo.
GIOCO, GIOCATORI E ARBITRI
Non apprezzo il gioco
particolarmente falloso di questi anni:
spinte, maglie tirate, sgambetti,
sgomitate ... Ai miei tempi non si faceva
tutto questo, perché considerato stupido
e anche perché non sarebbe stato
accettato dagli arbitri. Si mettevano in
pratica delle astuzie che, senza far del
male all'avversario, lo mettevano in
difficoltà. Ad esempio, si appoggiava il
proprio piede su quello dell'avversario (senza
troppa forza) quando stava per saltare,
oppure lo si aiutava a salire di più nel
momento dello stacco, in modo da fargli
mancare la palla...
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