ho cucinato stasera
sugo, carne e rabbia
- qualcosa dei tuoi baci
sul viale dei giardini pubblici,
qualcosa dei miei occhi -;
ho pulito, lavato, giocato
scritto, parlato, sperato:
tu torni e non dimentichi,
io bevo.
del cibo che apparecchio
prendi gli abbracci,
il sonno la sera, le riflessioni
lente imprecise feroci;
dal gatto immobile, le calze perse,
le mie attese: amore e l'acqua fresca.

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non so dire di te che della tua voce,
della tua pelle di mandarino tiepido,
delle tue dita fredde a raccogliere gocce frementi.
ti ho vista andare senza un volto adeguato,
dalle tue gambe a me quell'incertezza
perché non mi vedi e non sai,
perché ti ho cercato e ti ho chiesto il permesso.
perché è capitato.

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sorretta da una brama solipsista
gratto gli angoli dei libri
scavo felice nel doppio fondo del foglio
la verità macilenta e zuppa di sudore
che tutto è anteriore alla scrittura,
il dettaglio ansioso del sogno,
l'inutilità dell'esplicazione.
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a tratti sogno alternative valide,
la mente solida, pensieri come oggetti
e ciò che vive e muta lo smonto,
i pezzi a rotolare dietro i mobili.


è il meccanismo sordido del sonno a spaventarmi,
lo scrocchio della molla dei ricordi,
i rancori - piccoli ingranaggi arrugginiti -.


posso dimenticare la polvere,
ramazzare lenta, aspettando la fine del pomeriggio,
posso dimenticare il Nome e la Funzione,
osservare un lembo uno stralcio un bullone.

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ho voluto regalare parole nuove
qualcosa dei pensieri, del buio
e del sole dolorante: splendido.
andiamo insieme, a braccetto
come una volta fa, come due
che - lavati di neve ghiacciata -
ancora si conoscono.
io pensavo al vecchio buio,
occhi che non hai guardato,
i gesti degli altri verso me;
se vado, poi ritorno: ma non è la promessa che cercavi,
non è l'asfalto sicuro che mi chiedi,
non le margherite, il vino buono.
oggi ho perso ancora qualcosa
e me
e tu sei qui ed io non vado.

_____________________________

del bicchiere profondo che sono,
dei tuoi occhiali che non ricordo,
di domani, della sera senza fine,
senza te, dei discorsi immensi
e te, te che vivo a sprazzi e luce azzurra.
dei maglioni e del caffè,
di quello che ho detto fra tre giorni
e della notte che sogno veloce;
di qualcosa che ho scoperto.

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dimentica di tutto
fotografo il mio delirio casalingo,
la vecchia scansia, il gatto
di legno, l'arancio asciutto,
i colori modificati, l'ansia dei pesci,
i piedi le mani il jeans.
io, le mie unghie dipinte
scappiamo via
e le penne, il vino antico
asciugato dal collo,
il letto sfatto delle lunghe mattine a venire,
qualcosa di Noi nell'armadio.

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nel tempo in cui osservo un'unghia
o le mani che adesso rovinano in tagli,
la pelle più dura,
trovo me stessa.
è semplice svelare una bugia
o la rabbia covata con cura:
i sentieri ben sterrati del rancore
hanno alberi infiniti e svettanti;
se corro con lo sguardo,
se attendo,
la mente è un'ombra vaga
e non l'afferri.

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sono già le sette
un ultimo tributo al sole,
alle scaglie di tempo sul pavimento,
all'assenza di click nella testa,
a te
campo di papaveri tormentato dal vento.

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QUADERNI SINISTRI

Abbiamo la luce del giorno



abbiamo la luce del giorno
e il coraggio nella notte.
abbiamo la lavastoviglie
e 'al cuor non si comanda'.
siamo milioni
e i nostri capelli tessono lunghi veli preziosi.
siamo la storia
là, dove la Storia non dice.
ma non sappiamo - lungo il confine
fra noi e la parola Madre -
perché nascere ancora
e l'esatto momento.



el poeta dice la verdad
(un esperimento)



non vorrai andare lì
dove ti conduco:
è colpa dei mille nomi delle cose
e delle venti parole che ho a disposizione.

no te querràs ir ahì
donde te conduco:
es culpa de los mil nombres de las cosas
y de las veinte palabras que he a disposiciòn.



il poeta dice la verità che altrove è inganno
io, la traduco.

el poeta dice la verdad que en otra parte es engaño
yo, la traduco.



non voglio quattro gatti al mio funerale



ho sparso al vento piccole verità,
ho seminato paziente bugie e qualche inganno;
non c'è niente come una parola di troppo
detta con foga e con ferocia,
non c'è niente come lacrime, sorrisi e baci.
quello che mi dai è tutto,
ciò che è in più io me lo invento
e lo incastono nella mia tela di ragno.
perché non voglio quattro gatti al mio funerale,
ma una folla avida e sconvolta.



erano i muri lungo i palazzi



l'unico rifugio erano i muri lungo i palazzi,
la sera, lontano dai lampioni:
il momento in cui era palesemente segreto
che stavamo amando,

che disponevamo del mondo.
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