ALLEANZAGIOVANI

"Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha abbandonato e chi mi ha tradito, vada il mio perdono... "

Benito Mussolini

E' sorta in questi anni un' altra Italia, umile e tenace,orgogliosa e onesta,moderata ma ferma nel difendere i principi di libertà e che non ha paura di sperare e credere. Questa Italia siamo noi.

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Questa pagina è un saluto all'uomo che più di tutti ha amato la sua patria, all'uomo che ci ha fatto rivivere quei momenti di splendore per ventidue anni, quei momenti che  l' Italia non provava dai tempi di Roma. Quest'uomo é Benito Mussolini.

Nato nel 1883 a Dovia di Predappio (Forlì) da Alessandro e Rosa Maltoni visse un umile infanzia. Studiò nel collegio salesiano di Faenza e in seguito nel collegio Carducci di Forlimpopoli, conseguendo nel 1901 il diploma di maestro elementare. Nel 1900 si iscrisse al partito socialista, mostrando subito un grande interesse per la politica, nel 1902 emigrò in Svizzera per sottrarsi al servizio militare, fu qui che conobbe vari rivoluzionari che influenzarano enormemente sulla sua vita politica. Nel 1904  fece ritorno in Italia, e dopo aver prestato servizio militare a Verona. Per qualche anno si dedicò all'insegnamento in una scuola elementare, senza trascurare però la politica (collaborò attivamente con "La Lima", un periodico socialista). Nel 1909 ricoprì  la carica di segretario della Camera del Lavoro di Trento (1909) e diresse il quotidiano "L'avventura del lavoratore", ma dopo sei mesi fu espulso anche da questa carica, nonostante i vari consensi ottenuti. Tornato a Forlì sposò Rachele Guidi, con cui ebbe la prima figlia Edda (Edda sposò Galeazzo Ciano, ma sembra che lo tradisse con molti uomini. Passò molti anni a Capri dove conduceva una vita di totale divertimento passando da una festa all'altra), poi ebbe nel 1916 Vittorio nel 1918 Bruno nel 1927 Romano e nel 1929 Anna Maria. 

Fu direttore del quotidiano "Lotta di classe" e in seguito dell' "Avanti", diventando il portavoce di tutte le lamentele del popolo trascinando con se sempre più persone in scioperi, e manifestazioni violente. Nel 29 novembre 1914 fu espulso definitivamente dal partito socialista, per i suoi articoli favorevoli all'entrata dell'Italia in guerra, nel marzo 1919 fondò i fasci di combattimento. Dopo i primi insuccessi politici, il suo movimento divenne un partito, e la sua ascesa al potere aumentava sempre più fino a quando divenne "Duce". Così in una nazione vuota, ferita, che stava cadendo nelle mani dei soviet (il biennio rosso) Mussolini vi fondò una grande patria, colmò il debito pubblico, raggiunse l' autosufficienza alimentare, bonificò paludi, riappacificò Italia e Vaticano, conquistò l'Etiopia, l'unico stato guerriero dell'Africa dove meno di cinquant'anni prima erano stati sconfitti i socialisti Depretis e Crispi.

Ma proprio quando sembrava che tutto filasse liscio arrivò il giorno fatale. Mussolini firmò con Hitler il patto d'acciaio che impegnava Germania e Italia ad aiutarsi in guerra sia in caso offensivo che in caso difensivo. Firmando questo accordo Mussolini dimostrò di non conoscere bene le intenzioni del dittatore tedesco.

Così dopo l'occupazione della parte nord-orientale della Francia da parte dei Nazisti fummo trascinati in una guerra dove non eravamo preparati. Alla fine l'Italia perse la guerra, ma soprattutto perse l'onore. Infatti dopo i primi insuccessi molti italiani disertarono il codice di onore, e iniziarono a combattere contro lo stesso uomo che il giorno prima andavano  ad  acclamare in piazza, giurarono di uccidere lo stesso uomo per cui il giorno precedente dicevano di essere pronti alla morte. Da convinti fascisti si trasformarono in  partigiani comunisti, che rinnegavano il loro passato dedicandosi al massacro di tutte le famiglie ancora fedeli al Duce e alla lotta contro la Repubblica Sociale, ossia uno stato che aveva fondato Mussolini dopo esser stato arrestato per ordine del re e liberato dai paracadutisti tedeschi per continuare la guerra. Ma ormai non più giovane, stanco, ammalato e senza più poteri dovette abbandonare la lotta, tentando di scappare verso la Valtellina insieme alla sua compagna Claretta Petacci, ma venne riconosciuto e arrestato. Il 28 aprile 1945 fu giustiziato per ordine del Comitato di Liberazione Nazionale presso Giulino di Mezzegra.

Questo è il testamento del Duce scritto il 27 aprile 1945:

Nessuno che sia un vero italiano, qualunque sia la sua fede politica, disperi nell'avvenire. Le risorse del nostro popolo sono immense. Se saprà trovare un punto di saldatura, recupererà la sua forza prima ancora di qualche vincitore. Per questo punto di fusione io darei la vita anche ora, spontaneamente, qualunque sia purché improntato a vero spirito italiano. Dopo la sconfitta io sarò coperto furiosamente di sputi, ma poi verranno a mondarmi di venerazione. Allora sorriderò, perché il mio popolo sarà in pace con se stesso.

Il lavoratore che assolve il dovere sociale senz'altra speranza che un pezzo di pane e la salute della propria famiglia, ripete ogni giorno un atto di eroismo. La gente del lavoro è infinitamente superiore a tutti i falsi profeti che pretendono di rappresentarla. I quali falsi profeti hanno buon gioco per l'insensibilità di chi avrebbe il sacrosanto dovere di provvedere. Per questo sono stato e sono socialista. L'accusa di incoerenza non ha fondamento. La mia condotta è sempre stata rettilinea nel senso di guardare alla sostanza delle cose e non alla forma. Mi sono adattato socialisticamente alla realtà. Man mano che l'evoluzione della società smentiva molte delle profezie di Marx, il vero socialismo ripiegava dal possibile al probabile. L'unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo, punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi rispetto all'interesse collettivo.

La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perché lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile da definirsi, perché è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non ci sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. La mia dittatura è stata assai più lieve che non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie. Il fascismo ha avuto più morti dei suoi avversari e il 25 luglio al confino non c'erano più di trenta persone.

Quando si scrive che noi siamo la guardia bianca della borghesia, si afferma la più spudorata delle menzogne. Io ho difeso, e lo affermo con piena coscienza, il progresso dei lavoratori. Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda ed implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello legittimo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro. L'umile gente del lavoro mi ha sempre amato e mi ama ancora.

Tutti i dittatori hanno sempre fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo passivo: tremila morti contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la dittatura. Forse l' ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. E' male?  Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera.

Vent'anni di fascismo nessuno potrà cancellarli dalla storia d'Italia. Non ho nessuna illusione sul mio destino. Non mi processeranno, perché sanno che da accusato diverrei pubblico accusatore. Probabilmente mi uccideranno e poi diranno che mi sono suicidato, vinto dai rimorsi. Chi teme la morte non è mai vissuto, ed io sono vissuto anche troppo. La vita non è che un tratto di congiunzione tra due eternità: il passato ed il futuro. Finché la mia stella brillò, io bastavo per tutti; ora che si spegne, tutti non basterebbero per me. Io andrò dove il destino mi vorrà, perché ho fatto quello che il destino mi dettò.

Non è la fede che arriva nell'ora del crepuscolo quella che mi sostiene, è la fede della mia infanzia e della mia vita che mi impone di dover credere, anche quando avrei diritto di dubitare. Non so se questi miei appunti saranno mai letti dal popolo italiano; vorrei che fosse così, per dargli la possibilità di raccogliere in confessione di fede il mio ultimo pensiero. Non so nemmeno se gli uomini mi concederanno il tempo sufficiente per scriverli. Ventidue anni di governo non mi rendono probabilmente degno, a giudizio umano, di vivere altre ventiquattro ore.

Ho creduto nella vittoria delle nostre armi, come credo in Dio, Nostro Signore, ma più ancora credo nell'Eterno, adesso che la sconfitta ha costituito il banco di prova sul quale dovranno venire mostrate al mondo intero la forza e la grandezza dei nostri cuori. E' ormai un fatto che la guerra è perduta, ma è anche certo che non si è vinti finché non ci si dichiari vinti. Questo dovranno ricordare gli Italiani, se, sotto la dominazione straniera, arriveranno a sentire l' insoffocabile risveglio della loro coscienza e dei loro spiriti.

Oggi io perdono a quanti non mi perdonano e mi condannano condannando se stessi. Penso a coloro ai quali sarà negato per anni di amare e soffrire per la patria e vorrei che essi si sentissero non solo testimoni di una disfatta, ma anche alfieri della rivincita. All'odio smisurato ed alle vendette subentrerà il tempo della ragione. Così riacquistato il senso della dignità e dell'onore, son certo che gli italiani di domani sapranno serenamente valutare i coefficienti della tragica ora che vivo. Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha abbandonato e a chi mi ha tradito, vada il mio perdono, come allora perdonai al Savoia la sua debolezza.

I fascisti che rimarranno fedeli ai principi dovranno essere cittadini esemplari. Essi dovranno rispettare le leggi che il popolo vorrà darsi e cooperare lealmente con le autorità legittimamente costituite per aiutarle a rimarginare nel più breve tempo possibile le ferite della patria. Chi agisce diversamente dimostrerebbe di ritenere la patria non più patria quando si è chiamati a servirla dal basso. I fascisti, insomma, dovranno agire per sentimento, non per risentimento. Dal loro contegno dipenderà una più sollecita revisione storica del fascismo, perché adesso è notte, ma poi verrà giorno.