TASPI


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Chi siamo

CHI SIAMO – DOVE ANDIAMO




Non dite mai queste parole: - Io non so, perciò è falso - bisogna studiare per sapere; sapere per comprendere; comprendere per giudicare.


Apoftegma di Narda (filosofo indù)

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Uccidi l’ambizione, ma lavora come quelli che sono ambiziosi.
Uccidi il desiderio di vivere, ma rispetta la vita come quelli che la desiderano
Conosci te stesso e tu conoscerai l’Universo e gli Dei, dai quali discendono i seguenti princìpi:


L’Evoluzione è la legge della Vita il numero è la legge dell’Universo
Se non ti aspetti l’inaspettato non troverai la Verità


Eraclito




Se vedi qualcuno fare una cosa che tu non sai fare, non chiederti come fa lui a fare tale cosa,
ma come mai Tu non sai farla.

M.F.S. Taspi

*

Se anche l’erba Chun-sheng può prolungare la vita,
perché non provi a mettere l’elisir in bocca?
L’oro, per sua natura, non nuoce;
esso è, fra tutti gli oggetti, il più prezioso.
Quando l’alchimista l’include nella sua dieta,
la durata della sua vita diviene eterna…
Quando la polvere eterna dorata entra nei cinque pertugi,
la nebbia è dissipata come le nuvole di pioggia al vento…
I capelli bianchi ritorneranno neri;
i denti caduti ritorneranno al loro posto.
Il vecchio rammollito è di nuovo un giovine pieno di desideri;
la donna vecchia e acciaccata è di nuovo una giovane ragazza.
Colui la cui forma è cambiata e che è sfuggito
ai pericoli della vita
ha per titolo: Uomo Reale.


(Ts’an T’ung Ch’i 142 d.C.)





“ Non finirò mai di ripetermi… quando si parla di: Oro, Argento, Luna, Sole, od altro, nel linguaggio esoterico non sarà mai ciò che s’intende nel mondo materiale, ma nel mondo spirituale” (M.F.S. Taspi)


Precetti d’Oro

Cerca chi deve darti la nascita nell’Aula della Sapienza, nell’Aula che si trova di là, dove le ombre sono ignote e dove la luce della verità risplende con gloria imperitura.
Perché solo quando avrà cessato di udire egli potrà discernere l’UNO. Ma prima che la sua anima possa udire, deve diventare sorda ai rumori come ai mormorii, al selvaggio barrito dell’elefante come al ronzare della lucciola.
Prima che l’anima possa comprendere per ricordare, deve essere unita a Colui che Parla in Silenzio, poiché allora l’anima udrà e ricorderà.
E allora all’interno l’orecchio ascolterà.


Il Nautilo imprigionato



Anno dopo anno contemplò il silente lavoro
che produceva la sua lucida spira.
Tuttavia, mentre la spirale progrediva,
lasciò la dimora del trascorso anno, per la nuova.
Penetrò con passo leggero nella lucida arcata,
ne costruì la pigra porta,
si adagiò nella nuova dimora, dimenticando la vecchia.
Grazie per il celeste messaggio da te recato,
figlio dell’irrequieto mare
rigettato dal suo desolato grembo!

Dalle tue labbra morte echeggia una nota più chiara
di quella che Tritone mai soffiò dal suo corno inghirlandato.
Mentre essa risuona al mio orecchio,
attraverso le profonde caverne del pensiero odo una voce che canta:
Costruisciti più maestose dimore, o anima mia!
Mentre le brevi stagioni trapassano,
abbandona il tuo passato angusto!
Lascia che ogni nuovo tempio, più nobile dell’ultimo,
ti abbracci dal cielo con una vòlta più vasta
fino a che tu sia finalmente libera
abbandonando la tua conchiglia,
ormai troppo piccola,
lungo l’irrequieto mare della vita!


Oliver Wendell Holmes




“Ecco una chiara espressione per spiegare, nel modo più semplice, il motivo per cui nella rinascita l’uomo dimentica la vita passata. Ed anche come raccoglie le esperienze delle varie vite costruendosi un Tempio Celeste, il quale altro non è che il proprio EGO. La scintilla Divina. Inoltre che meriti ci sarebbero, se alla rinascita in questo mondo, noi ricordassimo gli errori fatti; oppure se avessimo mantenuto gli odi e gli amori passati? – (M.F.S. Taspi)"





Quando la Coscienza di un Discepolo, dopo la prima Iniziazione, sposta il suo “centro” d’interesse dal Regno Fisico e realizza la visione di quel primo Regno Superfisico della Natura al quale la tradizione cattolica attribuisce il nome di “Inferno”. (da Inferi: inferiore)
Per la tradizione esoterica, anche questa prima radiosa conquista – che dà a pochi privilegiati la possibilità di accedere da vivi al Regno dei morti – è la manifestazione di una Legge che con progressione aritmetica regola il manifestarsi della Vita nella Natura; e non può, pertanto, essere spiegata né con il “caso” né, tanto meno, con l’arbitrio di una “Grazia” che – comunque sia intesa – alternerebbe sempre l’Ordine, l’Armonia e la Giustizia che sono le caratteristiche fondamentali dell’Universo.
La tradizione esoterica, di conseguenza, affida solo all’uomo la possibilità di realizzare una simile conquista attraverso l’esperienza del dolore, in cicli successivi di “nascite” e di “morti” (o di “incarnazioni” ed “ascensioni”) che lo renderanno capace, alla fine, di conquistare penosamente, ma nobilmente e dignitosamente, quei superiori livelli d’esistenza ai quali le tradizioni religiose danno il nome di “Paradiso”.
All’insieme dei piccoli cicli di vite umane che si susseguono, la filosofia esoterica, e molte religioni, danno il nome di reincarnazione; mentre all’aprirsi ed al chiudersi di un solo di questi piccoli cicli, l’uomo dà il nome di nascita e di morte.

Taspi

C


(tratto dal “Rabbino Ben Ezra” di Robert Browning)

Allora, benvenuta sia ogni mortificazione
Che fa ritornare ruvida la levigatezza della terra,
Ogni trafittura che ingiunge di non sedere né di sostare
Ma di andare!
Siano le nostre gioie per tre quarti pene!
Combattere, e tenere in poco conto lo sforzo;
Apprendere, e non considerare la fitta acuta e improvvisa;
Osare, senza mai lesinare lo spasmo!

Per questo – un paradosso che conforta mentre frustra –
La vita avrà successo in quello che sembra fallire;
Quello che ho spirato ad essere,
E non fui, mi conforta,
Avrei potuto essere un bruto, ma non caddi giù dalla scala.

Non è un bruto colui la cui anima si adegua alla carne,
Il cui spirito lavora affinché braccia e gambe si divertano?
All’uomo proponi questo test:
Essendo il tuo corpo nelle migliori condizioni,
Quanto lontano può proiettare la tua anima sulla sua via solitaria?

Eppure i doni dovrebbero comprovare la loro utilità:
o possiedo ciò che il Passato ha profuso
Di potere in ogni aspetto, di perfezioni in ogni senso;
Gli occhi, le orecchie accettarono il loro sussidio;
Il cervello tesaurizzò il tutto;
Non dovrebbe il cuore pulsare in un solo battito
“Quanto è bello vivere ed imparare?”


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Morte?
(leggiamo questi pensieri)


Io morii come minerale e divenni una Pianta.
Morii come pianta e riapparvi in un Animale.
Morii come animale e divenni Uomo.

Perché dunque dovrei temere?
Quando sono io diminuito, morendo?

La prossima volta morrò come Uomo,
per poter sviluppare le ali dell’Angelo.
Anche come Angelo devo cercare il progresso:
tutte le cose periranno, tranne la Sua Faccia.

Ancora una volta spiccherò il mio volo al di sopra degli Angeli:
diverrò ciò che l’immaginazione non può concepire.

Quindi che io divenga nulla, nulla.
Poiché la corda dell’arpa mi grida:
“In verità, a Lui torneremo”.

“Mesnavi” IV, Jalal-ud-Din Rumi







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L’Anima umana, soffio della Grande Anima, è immortale; essa progredisce e risale verso il suo Creatore attraverso numerose esistenze, alternativamente terrestri e spirituali, mercé un continuo perfezionamento.
Nelle sue incarnazioni corporee, essa costruisce l’uomo, la cui natura ternaria: Corpo, Anima e Spirito, forma un Microcosmo o Piccolo Mondo, immagine ridotta dal Macrocosmo o Gran Tutto.
E’ perciò che noi possiamo ritrovare Dio nel più profondo del nostro essere, interrogandoci nella solitudine, studiando e sviluppando le nostre facoltà latenti, la nostra ragione e la nostra coscienza.
La vita universale ha due aspetti: l’Involuzione, o discesa dello Spirito nella Materia per la creazione individuale, e l’Evoluzione, o ascensione graduale attraverso la scala delle esistenze, verso l’Unità Divina. A questa filosofia si lega tutto un complesso di scienze: la scienza dei numeri o le matematiche sacre, la teologia, la cosmogonia, la psicologia, la fisica. In esse il metodo induttivo e il metodo sperimentale si combinano e si controllano talché formano un complesso imponente, un edificio di proporzioni armoniche.
Questo insegnamento apre al pensiero prospettive che possono dare la vertigine agli spiriti impreparati e perciò venivano riservati ai forti. Se la vita dell’Infinito turba e sconvolge le anime deboli, essa fortifica e ingrandisce le anime elette; nella conoscenza delle leggi superiori esse attingono la fede illuminata, la confidenza nell’avvenire, la consolazione nel dolore.
Questa conoscenza rende benevoli verso i deboli, verso tutti coloro che si avvolgono ancora nei cicli inferiori dell’esistenza, vittime delle passioni e dell’ignoranza e ispira la tolleranza per tutte le credenze.
L’Iniziato sa unirsi a tutti e pregare con tutti; onora Brahma nell’India, Osiride a Menfi, Giove in Olimpia, come pallide immagini della Potenza Suprema, direttrice delle anime e dei mondi. Così la vera religione s’innalza al di sopra di tutte le credenze e non ne maledice alcuna.
L’insegnamento dei Santuari produsse uomini veramente prodigiosi per l’elevatezza della mente e per la potenza delle opere, un’eletta di pensatori e di uomini d’azione i cui nomi si ritrovano ad ogni pagina della storia. Da essi sortirono i grandi riformatori i fondatori di religioni, gli ardenti seminatori delle idee: Krishna, Zoroastro, Ermete, Mosè, Pitagora, Platone, Gesù e tutti quelli che misero a portata delle masse le verità sublimi che costituivano la loro superiorità.
Essi gettarono ai venti il seme che feconda le anime; promulgarono la legge morale, immutabile, dovunque e sempre identica a se stessa. Ma i discepoli non seppero conservare intatta l’eredità dei maestri.
Dopo la morte di questi i loro insegnamenti furono snaturati e divennero irriconoscibili per successive alterazioni; la media degli uomini non era atta a percepire le cose dello spirito; e le religioni perdettero presto la loro semplicità e la loro purezza primitiva. Le verità che esse apportavano vennero soffocate dai commenti di un’interpretazione grossolana e materiale; si abusò dei simboli per colpire l’immaginazione dei credenti, e ben presto sotto il simbolo l’idea madre fu sepolta e dimenticata.
La verità è simile a quelle gocce di pioggia che tremolano all’estremità di un ramo; finché vi restano sospese, brillano come puri diamanti nello splendore del giorno; quando toccano il suolo si mescolano ad ogni impurità.
Tutto ciò che viene dall’alto si corrompe al contatto della Terra; fino nell’intimo del santuario l’uomo portò le sue passioni; le sue cupidigie, le sue miserie morali. Così in ogni religione l’errore, frutto della terra, si mescola alla verità che è il bene dei cieli.

*


Oggi i più bassi difetti dell’uomo, nella sua materia densa, ha soffocato anche il più piccolo insegnamento di tutti i personaggi che hanno sacrificato la loro vita per divulgare gli insegnamenti morali che portano all’elevazione spirituale. I pseudodiscepoli pretendono di essere loro i cultori di verità supreme, e giungono a perseguitare altri fratelli che, cadendo nello stesso errore, dicono la stessa cosa. Tutto questo per una volgare volontà di potere materiale, di vedere le folle che giungono ad adorare quello che essi propongono e che persino arrivano anche ad essere adorati come dèi. Dimenticano che i veri Dèi sono comparsi sulla terra per servire e non per farsi servire.
La loro ignoranza in fatto di moralità e di conoscenza del divino sapere, lo dimostrano nel combattere ogni forma d’amore come se fosse sintomo di forze demoniache, quando tutti i pensieri filosofici indicano un amore universale, una unione nell’eternità che altro non è se non una Energia d’Amore. Anticamente con l’amore fisico, si elevavano nell’amore spirituale, e potevano percepire i piani superiori.
Ecco, quindi, perché i pseudodiscepoli dei Veri Maestri di moralità divine, nel loro culto dell’odio e della distruzione, non sono più in grado di capire le antiche scritture e si nascondono dietro a falsi “tabù”, indicando come “misteri della Fede” tutto quello che non sanno spiegare. Ma temono coloro che conoscono la Verità, e cercano di indirizzare le folle a combattere i nuovi maestri che conoscono l’Infinito.




M.F.S. Taspi










IL DIAVOLO SIAMO NOI


Un principio del male, il Demonio o Satana, non esiste nei culti Primordiali dell’uomo, che vedevano il bene ed il male in entità, abitatori delle foreste, dei fiumi, dei monti, delle nubi, suscitatori di pestilenze, siccità, ma anche di buoni raccolti e di periodi fecondi.
Questo nel concetto “animistico”, così come in quello pagano, dove gli Dèi e gli uomini erano arrivati a confondersi, a convivere, a procreare, con la nascita di Eroi e di Semidei.
Il concetto del Male come entità opposta al Bene, cioè, a Dio, ci viene dall’Egitto di Hermes Trismegistus, il tre volte grande, e dalla Persia di Zoroastro.
E’ nella cultura giudaica, invece, che prende forma l’entità malefica di Satana, che significa esattamente l’Avversario. Che non è il serpente dell’Eden, ma la somma di divinità benefiche che i giudei combattevano contro i loro nemici.
I giudei hanno un Dio unico, ma un Dio o più Dèi, hanno anche i loro nemici: ebbene, le divinità, benefiche, di questi ultimi, una volta sconfitti, vengono relegate dai giudei nelle schiere infernali, accanto a Satana.

Ciò che è Bene, poiché sconfitto, diventa Male. (in storia, politica, religione)

Ecco dunque perché i vari nomi dati al Diavolo hanno in realtà spiegazioni benefiche e non demoniache, essi erano Dèi buoni.
Oltre a Satana, l’Avversario, esaminiamo alcuni di questi nomi:
Baal per i Medi, era il Signore, come lo era Jehovah per i Giudei
Belzebu significa “Il Signore delle Mosche” un’entità benefica, in Medio Oriente, dove le mosche rappresentavano l’origine delle malattie, delle pestilenze che uccidevano uomini e bestie. Tanto che i sacerdoti di Belzebù, costruirono dei Templi, dentro i quali, sotto la protezione di Belzebù, le mosche non entravano.
Diavolo il nome deriva dal greco Daimon, che è il nome di una pianta salutare la cui radice brilla come un diamante: anche questa è un’entità benefica.
Lucifero lo sappiamo: è il “portatore di Luce” (dal latino: Lux Fer), l’Angelo ribelle che porta agli uomini la conoscenza, come Prometeo nella tradizione religiosa Greca.
Astarotte il suo nome è un derivato di quello della Dea romana Astarte, che presiedeva i culti misterici e la prostituzione sacra a Roma.
Belfagor che significa “Signore Principio della Vita”, esattamente come il nostro Dio.

Con questo si vuol dire che sono molte le mistificazioni storiche, religiose, antropologiche, anche circa il Male e il Bene, ma non si vuole negare che il Male esiste. Ha scritto il grande Charles Baudleire: “La più grande astuzia del Diavolo è di riuscire a far credere che non esiste”. E d’altronde non può esservi bene senza male, luce senza buio, maschile senza femminile.
Soltanto che nei secoli, per combattere presunti demoni e loro accoliti, si attuarono stermini, massacri, genocidi, guerre sante e tante crudeltà, nel nome di quel Cristo che è il Salvatore e il Figlio di Dio. Massacri eretici, di donne e bambini. Si arrivò a mandare al rogo, da parte della truculenta Inquisizione di Spagna, persino un cavallo da circo, affermando che i suoi giochi erano opera del demonio.
Ma l’Inquisizione si macchiò del più grande genocidio di ogni tempo: nove milioni di streghe sul rogo, in una Europa che aveva meno di trenta milioni di abitanti.
E l’Inquisizione non si poteva sopprimere, stabilirono prelati e statisti, perché era diventata una vera e propria industria, che dava lavoro a preti, esorcisti, cacciatori di streghe, inquisitori, boia e mercanti: questi ultimi, infatti, avevano preteso che i roghi avvenissero nelle pubbliche piazze, con una cornice spettacolare, per poter vendere la loro merce al popolo che correva a guardarsi lo spettacolo. Venne stabilito, quando si capì che l’inquisizione era una mostruosità, che non la si poteva abolire, altrimenti l’Europa avrebbe conosciuto la più grande crisi economica di ogni tempo.
E non si può dire che l’Inquisizione sia mai finita. Perché, in forma più sottile e più crudele, esiste anche oggi, contro artisti, scienziati non dogmatici, ricercatori e quanti vengono emarginati e ghettizzati per motivi di razza, di politica, di ideologia. I roghi di oggi sono le persecuzioni contro Freud, Einstein, Darwin, o gli uomini di cultura che finiscono anche in Italia, nei gulag e nelle cliniche sovietiche.
Il Diavolo è stato cantato da molti artisti: da Goethe a Marlowe, e in Italia il cantore del Diavolo non è il patetico Giosuè Carducci col massonico “Inno a Satana”, ma il sottile e sofferto Giacomo Leopardi della quasi sconosciuta poesia “Ad Ahrimane”. Arimane è il principio del Male, nella tradizione di Zoroastro.
Con l’avvento della psicanalisi, si è cercato di dare una collocazione sia al Diavolo, sia a Dio. E si sono collocati nel nostro inconscio, dove convivono ed emergono. Personalmente ritengo che Satana sia l'inconscio di Dio e Dio l’inconscio di Satana.
Infine Carl Gustav Jung parla dell’inconscio collettivo, che è la divinità stessa, nelle due facce del bene e del male, come somma delle esperienze ancestrali e archetipe di tutta l’umanità, dalle origini a oggi e anche nel futuro, perché il tempo è un’invenzione dell’uomo, che non corrisponde alla sua realtà metafisica.

Insomma il Diavolo siamo noi.

Basta guardarci attorno. Se esiste un Diavolo come entità a noi esterna, è un disoccupato. Non si possono fare patti col Diavolo, perché l’offerta è sproporzionata alla richiesta. E al Diavolo non resta che la Cassa Integrazione. Annoiato, in disparte, non gli resta che guardarci compiere i più grandi crimini di ogni tempo, che nemmeno lui sarebbe capace di attuare.
Guarda alla diabolica scienza che tramite la tecnologia si è venduta al potere, costruire nel nucleare e nell’atomico armi che possono distruggere l’intera umanità e, nei laboratori diabolici, manipolare i principi stessi della vita, per costruire una razza di mostri, com’era nei sogni di Hitler e del suo esecutore, il dottor Joseph Mengele, il medico criminale dei Lager nazisti.
Un Diavolo disoccupato, al quale abbiamo tolto il lavoro. Anche perché crediamo che, grazie all’infinita bontà di Dio, l’Inferno esista davvero, ma sia un luogo completamente disabitato.


Pier Carpi





Gli antichi studenti delle scuole di Pitagora e di Platone chiamavano daimon, o demone, quello che ai nostri tempi la teosofia chiama Ego Superiore.
Questi nomi designano il lato spirituale dell’anima, separato da ogni elemento puramente umano, vale a dire la parte più elevata nell’uomo.
Colui che può realizzare l’unione della sua coscienza fisica (femminile) con l’Ego superiore (maschile), abitatore dei cieli, ottiene, anche durante la sua vita terrestre, intermediari tra gli uomini e gli dèi.
In un grado ancora superiore l’uomo può unirsi alla sua Anima Divina: egli diventa allora un Dio sopra la Terra; più in alto ancora, allorché compie la sua unione perfetta con Dio, esso diviene “Dio”.






Quel Dio si chiama Abisso


Era la divinità del “Vangelo secondo Filippo” di cui fu ispirato Valentino, il grande eretico alessandrino vissuto nel II secolo dopo Cristo – portava uno strano nome, in lui riposava il Silenzio, una entità femminile, e insieme si fondevano nella perfetta unità dell’androgino. Una fioritura di fantasia teologica duramente repressa: oggi ne restano pochi relitti e nessuna iconografia.

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“In principio – dice la Genesi (quella non manipolata da Roma) – Elohim creò il cielo e la terra. E la terra era deserta e vuota, e le tenebre erano sulla superficie dell’abisso, e lo spirito di Elohim aleggiava sulla superficie delle acque”. La Genesi secondo Valentino – il grande eretico alessandrino, vissuto nel secolo secondo dopo Cristo – risale molto più indietro, quando Dio riposava solo con se stesso, nelle “altezze invisibili e incomprensibili”.
Il Dio di Valentino portava uno strano nome: Abisso. Questo nome non significava che egli fosse una cavità scoscesa e infinita, o la vasta distesa degli oceani primordiali. Significava che era superiore a tutte le qualità umane: senza vista, senza sensibilità, senza passione, senza desideri, senza immaginazione, senza intelligenza, senza pensiero; non conosceva numero, forma, ordine, grandezza, eguaglianza e diseguaglianza; non viveva e non era senza vita, non si muoveva né era immobile, non agiva né creava, e risiedeva fuori dal tempo e dallo spazio.
Ma Abisso ignorava anche le qualità che di solito vengono attribuite a Dio: scienza, regalità, saggezza, verità; non era il Tutto perché il Tutto rientra nella categoria della grandezza; non era l’Uno o il Bene o il Padre o il Signore – vani nomi che rivelano soltanto l’impotenza delle intelligenze e delle lingue umane.
Chi era dunque, Abisso? Chi era questo Dio indicibile, incomprensibile, inafferrabile, inesplorabile? Chi era questo Dio sconosciuto, di cui non si poteva affermare né negare nulla?
Se potessimo fidarci delle nostre parole, potremmo dire che Abisso era l’immenso Nulla, lo sterminato Non-Essere, l’inconcepibile Vuoto, che conteneva in sé la possibilità di tutti gli esseri e i nomi che esistono.
Subito dopo averci detto che Abisso “stava in grande tranquillità e solitudine nei tempi infiniti”, Valentino aggiunge che insieme a lui riposava un’entità femminile: “Silenzio”. Cosa dobbiamo pensare? Nel Silenzio degli spazi, Abisso aveva dunque creato Qualcuno o Qualcosa? Com’è possibile attribuire ad Abisso un sesso, se ignora la natura degli uomini? Valentino stava lottando, fino all’orlo del paradosso con i limiti delle nostre lingue. Abisso non aveva creato nulla: Silenzio era Lui stesso; dapprima concepito nei termini dello spazio, come negazione di ogni spazio (Abisso), e poi concepito nei termini della lingua, come negazione di ogni lingua (Silenzio).
Mentre il Dio ebraico e quello cristiano erano degli dèi maschili, con la coppia Abisso-Silenzio Valentino affermava che il principio divino era tanto maschile quanto femminile; o, per meglio dire, l’elemento maschile e quello femminile si fondevano e si annullavano nella perfetta unità dell’androgino. Nei frammenti di altri eretici gnostici, come Basilide, abbiamo invece il brivido di cogliere un atto di creazione nel cuore del Non-Essere. Chi non è genera un’altra entità che non è: il nulla genera il nulla, il vuoto si rispecchia nel vuoto, e poche pagine ci sembrano più straordinarie di questo altissimo tentativo metafisico di esplorare ciò che sta oltre le soglie dell’esistenza.
Alla fine, l’assoluta purezza del Non-Essere venne violata. Abisso depose un seme in Silenzio, come un uomo lascia cadere un seme in una matrice: Silenzio diventò pregna e generò Intelletto, simile ed eguale a chi l’aveva emanato. Intelletto era dunque il “doppio” di Abisso; ma mentre Abisso restava chiuso nell’oscurità, nell’incomprensibilità e nel Silenzio, Intelletto abitava nella luce chiara dell’essere, della conoscenza e della parola.
Poi il processo di emanazione continuò: nacquero Logos e Vita, Uomo e Chiesa, Figlio Unico e Felice, Paracleto e Fede, Paterno e Speranza, Materno e Amore, Voluto e Sapienza, sino a raggiungere il numero di trenta Eoni (Eterni).
Abisso restava invisibile agli Eoni, tranne che ad Intelletto, il quale “gioiva a vederlo e godeva a contemplare la sua grandezza”. Avrebbe voluto condurre tutti i fratelli e le sorelle alla conoscenza di Abisso. Avrebbe desiderato avvicinarli alla sua essenza senza principio. Ma forse gli Eoni non avrebbero potuto sopportare la visione di quella oscurità vuota, di quelle profondità imperscrutabili, di quel Nulla grandioso. Prima che Intelletto compiesse il suo desiderio, venne trattenuto dalla madre. Il varco al Principio fu chiuso, e gli Eoni contemplarono Abisso soltanto nel riflesso luminoso, che offriva suo figlio.
Uno degli Eoni non si accontentò di questa contemplazione indiretta. Sapienza, l’ultima delle emanazioni di Abisso mosse ardentemente verso il Padre, agitava dal sogno di conoscere “la grandezza della sua profondità e della sua imperscrutabilità”. Era un peccato: il più grande dei peccati, un peccato sorto dall’orgoglio intellettuale, dal desiderio di superare i limiti che ogni entità possiede nell’universo. In quel momento essa generò una sostanza amorfa e inconscia, un aborto, una natura quale poteva partorire da sola, senza il concorso del suo corrispondente maschile “la Materia”.
Quando la scorse, Sapienza si addolorò per l’imperfezione di ciò che aveva prodotto, poi fu presa dal timore di provare anche lei la stessa sorte, infine fu assalita dallo stupore e dall’incertezza. Tesa sempre in avanti, attratta dalla dolcezza del Padre, si sarebbe perduta nella vanità dolorosa dell’Infinito, se non fosse intervenuta la forza a cui Abisso aveva affidato il compito di ordinare il mondo degli Eoni e di dividerlo dal nostro universo: la Croce, il Limite.
La Croce purificò Sapienza, la consolidò e la ristabilì tra gli Eoni, e Sapienza, cancellando il proprio peccato dalla memoria, ritornò nei confini di sé medesima. Per ovviare ad altri peccati, Abisso generò per mezzo dell’Intelletto: Cristo e lo Spirito Santo. Cristo annunciò con la sua parola definitiva che né lo spazio né il pensiero possono comprendere Abisso, egli è indicibile, incomprensibile, inconcepibile, perennemente nascosto nell’oscurità del proprio silenzio.
Intanto la sostanza amorfa e inconscia, l’aborto generato dalla passione di Sapienza, era stata cacciata dal mondo degli Eoni, e ribolliva nelle regioni dell’ombra, Cristo rivelò la bontà che l’animava, si piegò sulla figlia di Sapienza e le diede forma e conoscenza. Poi l’abbandonò. Allora, essa si mosse alla ricerca della Luce di Cristo, ma non la poté raggiungere, perché venne impedita dal limite della Croce. Non sapendo varcarla, cadde in preda ad ogni genere di passione: dolore, perché non aveva compreso; timore, per paura di perdere con la Luce anche la Vita; disagio e ignoranza… “A volte piangeva e si addolorava perché abbandonata sola nella tenebra e nel vuoto; a volte pensando alla Luce che l’aveva lasciata riprendeva a ridere; poi di nuovo si addolorava, e altre volte era ripresa dal disagio e dallo stupore…”
Così si formò la materia da cui è sorto questo universo; dalle lacrime della figlia di Sapienza nacque la sostanza umida, dal suo riso quella luminosa, dal suo dolore e dalla costernazione gli elementi corporei. Vennero alla luce il Demiurgo, il Dio inferiore e mediocre, il Dio dell’Antico Testamento, che molti confondono con Abisso; gli Astri, i Cieli, la Terra, gli Angeli, i Demoni, gli Uomini e tutto quanto noi scorgiamo nell’Aria, nell’Acqua, nel Fuoco, nella Terra, tutto quanto noi sospettiamo nelle sostanze invisibili.
Questo grandioso mito cosmogonico, che ho cercato di raccontare con parole moderne, senza alone, senza eco, senza ricchezza, senza forza, è solo uno dei tanti bellissimi miti che possiamo cogliere tra i testi, i frammenti e i relitti della letteratura gnostica. Immagino che molti lettori di oggi provino una specie di diffidenza per questa abbondanza e fioritura della fantasia intellettuale, che il cristianesimo ortodosso represse nelle costrizioni più severe. Per conto mio, non posso che ripetere le parole del Vangelo secondo Filippo, un testo ispirato da Valentino: “La Verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini”.
L’immaginazione teologica è una delle forme più alte e più pure, che possa assumere il pensiero; e se oggi esso piega e declina, è perché ha cessato di nutrirsi alle fonti della teologia, e non costruisce, non figura, non gioca con le sue forme. Del resto i miti gnostici possono essere compresi in molti modi. Chi è sordo alle loro risonanze teologiche, può leggere la storia di Abisso e di Silenzio, di Intelletto e di Sapienza come la rappresentazione dei processi della nostra mente: come il pensiero nasca nei luoghi vasti e indeterminati del Non-Essere, come la tenebra diventi luce, come il silenzio diventi parola, come l’astratto pensiero si determini in pensieri; come pecchi contro se stesso, cercando di contemplare la propria origine oscura; e come, infine, da questo errore nasca l’immagine informe di tutte le cose.
In un episodio famoso del Vangelo secondo Matteo, Gesù domanda ai discepoli: ”Chi dite sia il Figlio dell’Uomo?”. Simon Pietro disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù gli rispose: “Beato sei tu, Simone, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
In un testo gnostico, il Vangelo secondo Tommaso, troviamo una variazione e un capovolgimento di questo episodio. “Gesù disse ai suoi discepoli - Paragonatemi, ditemi a chi assomiglio – Simon Pietro gli disse: “Tu assomigli ad un filosofo saggio”, Tommaso gli disse: “Maestro, la mia bocca non accetterà assolutamente che io dica a chi tu assomigli”. Tommaso, il discepolo eletto secondo la gnosi, rifiutò di rivelare ciò che egli sapeva nelle profondità del suo spirito: perché il cristo è ineffabile come l’Abisso “Gesù disse: - Io non sono il tuo maestro, perché tu hai bevuto, ti sei inebriato alla fonte ribollente che io ho misurata”. E lo prese, si ritirò e gli disse tre parole”.
Secondo Henri Charles Puech, che ha appena dedicato alla gnosi un libro molto ricco (Enquète de la Gnose, Gallimard), queste parole potrebbero essere “Il Padre, il Figlio e lo Spirito” oppure “La Via, la Verità, la Vita”, oppure “Kaulakau, Saulasau, Zeesar” tre misteriosi nomi gnostici. (Come può lo scrittore di questo articolo conoscere le tre parole se queste non si possono pronunciare?). Ma come egli osserva, la cosa più significativa è appunto che le tre parole, non vengano pronunciate. Il nome di cristo, che nel Vangelo secondo Matteo Pietro manifestava senza timore, resta segreto. La verità rimane nascosta. Ora, quando Tommaso fu ritornato presso i suoi compagni, essi gli domandarono: “Che ti ha detto Gesù?” Tommaso rispose loro: “Se io vi dico una sola delle parole che mi ha detto, voi prenderete delle pietre e le scaglierete contro di me, e un fuoco uscirà dalle pietre e vi brucerà”.
Quando venga pronunciato nel mondo, ogni discorso intorno a Dio è scandaloso: porta all’assassinio e al fuoco vendicatore, e il nome segreto deve restare affidato alla confidenza tra il Maestro e il discepolo eletto.
Questa è dunque la prima e l’ultima parola della gnosi? Il silenzio, lo stesso che legava Abisso alla propria parte femminile? L’impossibilità di esprimere? Con uno dei totali capovolgimenti tipici della gnosi, il Vangelo secondo Tommaso insiste: “Non vi è nulla di nascosto che non sarà manifestato, non vi è nulla di coperto che non sarà rivelato”. Nella piccola comunità gnostica, che preannuncia l’unanime comunità della fine del mondo, tutti i nomi vengono conosciuti, tutti i segreti vengono pronunciati, tutti gli uomini sanno da dove vengono e dove vanno. Nessuno potrebbe ignorare il nome e la presenza di Cristo – perché “Solleva la pietra, e là lo troverai, fendi il legno e di nuovo egli sarà là”. Egli è il Fuoco divoratore, il Fuoco che sta nascosto dietro i sette veli del Trono, il Fuoco della carità, il Fuoco che arderà l’universo – egli dice – ed ecco io veglio su di esso, fino a che non bruci”.
A questo ardore, sale la preghiera dello gnostico (La Gnosi è una filosofia che intende unificare tutte le religioni in una sola conoscenza esoterica, ritrovando la Religione Prima, da dove tutte le religioni hanno attinto per costruire la propria storia. Dubito di quanto detto): “Gesù, mistero nascosto che mi è stato rivelato, in me tu hai manifestato i tuoi misteri più che a tutti i miei compagni, a me hai detto parole delle quali io brucio, ma che non posso esprimere… Sia gloria a te, vivente dal vivente! Sia gloria a te, datore di vita a molti! Sia gloria a te, aiuto sostegno di coloro che vengono al tuo luogo di rifugio! Sia gloria a te, insonne da tutta l’eternità, ridestatore degli uomini!… Io ti ringrazio con quella voce che è compresa dal silenzio, che non si ode apertamente, che non è emessa da organi corporei, che non entra in orecchi di carne, che non è udita da un essere corruttibile, che non si spande sulla terra, che non è scritta in libri”.
Ma questo Cristo (Cristo significa Iniziato, colui che si è addentrato nei Misteri divini è evidente che lo scrittore non conosce l’esoterismo.) infuocato non ha nulla a che fare con il Cristo dei vangeli e di san Paolo. Quando passa attraverso i cieli scendono sulla terra, il Cristo gnostico riveste l’apparenza di un angelo, per nascondere il suo viaggio agli angeli malvagi che reggono i cieli, e sulla terra riveste soltanto l’apparenza di un uomo. Il suo corpo non è dunque formato, come il nostro, di carne, di ossa, di nervi, di sangue: ma è un corpo sottile, spirituale, o fantasma, uno spettro illusorio e mutevole. Negli atti di Giovanni, gli apostoli cercano invano di scorgere le impronte dei suoi piedi sul suolo, e se posano la mano sul corpo di lui, affondano la mano in una sostanza immateriale.
Cristo si trasforma secondo le ore e le persone: ora è un bambino, ora un gigante con la testa che tocca il cielo, ora un uomo bellissimo e dallo sguardo sereno, ora un uomo calvo, piccolo e brutto. Con questo ingannevole corpo d’aria non può soffrire e morire sulla croce, e Basile giunse al punto di affermare che sulla croce salì Simone il Cireneo, mentre Cristo, che aveva assunto le proprie apparenze, “stava lì vicino camuffato, e irrideva i propri crocefissori”.
Il dramma dell’incarnazione e lo scandalo della croce, cuore della rivelazione cristiana diventano così per gli gnostici un gioco teatrale, gioco dei suoi avversari. Ma gli gnostici vennero sconfitti. Il Cristo illusionista (o Cristo-Angelo) fu vinto dall’Uomo-Dio: la materia, il corpo, il dolore vennero redenti e assunti in cielo e, come scrive Henri Corbin, “La sorte del pensiero e della cultura occidentale fu decisa per diciassette secoli”.
Nel nostro mondo, nato dall’aborto informe, inquieto e inconscio di Sapienza, lo gnostico vive nell’angoscia. (Un gnostico non vive nell’angoscia, ma conosce l’importanza della materia e ne usa per apprendere e migliorare il proprio EGO). Tutto ciò che lo sfiora è degradato: il Demiurgo, gli astri, gli angeli, il tempo, il corpo umano, gli animali. Il Demiurgo è un essere maledetto o imperfetto, cieco, debole, ignorante. Il firmamento, le stelle e i pianeti, che agli occhi di un stoico formavano un ordine meravigliosamente armonico, le sfere planetarie sono dei posti di dogana, dove dei guardiani demoniaci si sforzano di trattenere le anime che cercano di scampare al divenire, e lassù egli scorge il Destino tessere la rete tremenda della sua vita.
Il “mondo” gli sembra una fortezza ermeticamente chiusa, circondata da muri e da fossati invalicabili. Il tempo potrebbe divertirlo con la sua incostanza, la sua fluidità, l’apparire, scomparire e riapparire degli eventi, ma tutti gli attimi staccati e dispersi finiscono per formare una catena, rigida e oppressiva come di ferro. Quanto al corpo – questo vestito, questo cadavere, questa tomba, questo legame, questo carcere, questo dragone – stringe e soffoca l’anima, la comprime, la umilia, l’opprime, e tute le sue manifestazioni non destano in lui che ripugnanza. Così lo Gnostico vive sulla terra come uno straniero o un viandante, abbandonando le attività a cui gli altri dedicano tutto il loro tempo, e chiudendosi in un perpetuo “Sabato” spirituale. (Qui si denota la profonda ignoranza dello scrittore. Solo uno Gnostico, può sapere e conoscere uno Gnostico. Coloro che sono estranei alla via Iniziatica non possono capire, sarebbe opportuno per loro tacere).
Eppure questa dottrina, che così disperatamente deplora la miseria dell’uomo, innalza il più trionfale inno di gloria che sia mai stato elevato a lode della nostra sostanza. (Questo non lo fa pensare?). Con gli occhi dell’anima lo Gnostico guarda nell’altro Universo, il luogo della “Vera Vita”, del “Riposo” e della “Pienezza”, e scopre che lassù vive il suo vero IO, il suo doppio celeste, la sua immagine nata prima di lui, che non muore e non si manifesta. “Tu non sei di qui – egli ripete – la tua radice non è nel mondo”. “Io non sono un figlio della terra, la mia radice non è del mondo”. Anche qui, nel carcere del destino (Destino, significa ciò che noi abbiamo scritto prima di venire in questo mondo), del tempo e del corpo, lo gnostico sa nascondere nella più fine punta della sua anima una scintilla di Luce Divina: una scintilla che possiede egli solo (No!… per favore, la scintilla Divina è dormiente in tutti gli esseri, gli Iniziati hanno imparato a destarla, a gradi), non gli altri uomini, una scintilla quale ignora persino il Demiurgo (?), che ha foggiato la prigione nella quale viviamo.
Con questa scintilla divina nell’animo, lo gnostico non teme danno, sventure o pericoli. Come erede di una razza privilegiata, come il “Figlio di Re”, egli è salvo per natura e per grazia. Nessuno degli atti che compie nell’esistenza, simile a uno straniero o a un viandante distratto, nessuna delle esperienze nelle quali rimane per caso o fatalmente coinvolto, gli fanno perdere la sua condizione di “Figlio di Re”.
“L’elemento spirituale – scrive Valentino – non può accogliere corruzione, quali siano le opere nelle quali si trova implicato. Come infatti l’oro, posto nel fango, non perde la sua bellezza ma conserva la propria natura, perché il fango non può in nulla danneggiare l’oro, così gli esseri spirituali, quali siano le azioni materiali in cui sono implicati, in nulla ricevono danno né perdono il loro fondamento”. Se è simile in natura al Cristo, tanto più lo gnostico diverrà come lui quando la conoscenza avrà purificato le scorie della sua natura. Alla fine dell’insegnamento iniziatico, il discepolo si identifica col Maestro: ciò per un cristiano è empio e inconcepibile. (Perché nella loro bassa natura, seguono il potere materiale ed il piacere personale nelle sofferenze altrui, e sono contro ogni manifestazione di affetto sincero).
“Tu hai visto lo spirito e sei diventato spirito, - dice il Vangelo secondo Filippo -. Tu hai visto Cristo e sei diventato Cristo. Tu hai visto il Padre (non è Abisso, ma Sapienza) e diventerai il Padre”. Così, con un altro capovolgimento, questa religione che aveva sottolineati i limiti delle entità divine, toglie ogni limite ai desideri e alle speranze delle creature umane.
L’ultimo appello dei Vangeli gnostici invita all’unione “Per questo motivo è venuto il cristo: per annullare la separazione che esisteva fin dalle origini, per dare vita a coloro che erano morti nella separazione e per unirli di nuovo”. Ogni gnostico deve dunque vincere in se stesso le forze corrosive della divisione: facendo corrispondere nel proprio io l’interno e l’esterno, la profondità e l’intelletto, il movimento e la quiete, e identificando la scintilla luminosa della sua anima con il beato doppio celeste.
Ma questa riunione inferiore non basta, perché alla perfezione compatta di ogni singola persona deve corrispondere l’annullamento di ogni persona. Ciascun uomo diverrà “Uno” col suo simile, e i due sessi uniranno le loro membra separate e divise in una figura unica, simile a quella che apparve per la prima volta nel Paradiso Celeste, “Quando Eva era in Adamo non esisteva la morte. Ma dopo che essa si fu separata, la morte è sopravvenuta. Se essa entra di nuovo in lui, e se egli la riprende in se stesso, non esisterà più la morte”, dice il Vangelo secondo Filippo.
La grande mitologia gnostica si conclude così, con questa negazione del tempo e dei corpi, con questo sogno incontaminato dell’androgino e la speranza di sconfiggere la morte che di soppiatto, come una nemica, si è insinuata nell’universo protetto dal primo Androgino, Abisso, che si rispecchia in Silenzio, Silenzio che si rispecchia in Abisso.


Pietro Citati


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Ho raccolto questo testo in quanto esso è stato ripreso da una delle verità dello studio Iniziatico, purtroppo lo scrittore (Pietro Citati), non esprime una conoscenza Iniziatica, e tratta l’argomento come un qualsiasi “Scriba” dell’antico passato trattò le sacre scritture, di queste una parte malridotta si riscontra nei libri della Bibbia.
Durante il mio personale cammino Iniziatico, che non sto a illustrare, ho potuto trovare conferme sull’eternità dell’Uomo in quanto Spirito contenente la Scintilla Divina. Che l’Uomo viaggia nello spazio e nel tempo in varie dimensioni per accrescere la sua personale conoscenza. E’ nella conoscenza che ci si libera dalla ruota (Croce) che ci fa “nascere” e “morire”, e ci libera in una elevazione spirituale al di sopra di “questo mondo”.
E’ vero che si ritiene questo corpo come un abito “scomodo”, che simbolicamente e sottolineo “simbolicamente”, viene a volte indicato come una “prigione” o “tomba”, la cosa dona una certa volontà alla ricerca per il “risveglio”. Nello stesso tempo viene indicato il “corpo” o “materia”, l’unica possibilità che abbiamo per sperimentare le conseguenze delle nostre energie (positive e negative), su di noi e su altri esseri viventi.
Occorre conoscere perfettamente il proprio corpo, nelle sue limitate possibilità, nelle sue imperfezioni, nelle sue malattie, perché alcune cose furono scelte prima di venire in questo mondo (e non sono da cambiare o evitare), altre cose avvengono durante il cammino (queste si possono evitare, quando non servono alla nostra conoscenza). Il tutto in passato si indicava col nome “destino” (oggi il significato che si dà alla parola “destino” è divenuto un concetto blasfemo), le sue “scritture” sono visibili per coloro che sanno leggere ma non dovrebbero essere svelate se non come avvertimento per quelle che si possono evitare, e come consiglio per quelle che si devono accettare con giusta causa. In questo modo si trae profitto anche dalle avversità della nostra provvisoria esistenza in questo mondo.
Il nostro cammino nella densità della materia, risulta come se fosse un “labirinto” dove noi, nella nostra assoluta libertà possiamo scegliere quale viale percorrere, a volte continuare in un circolo vizioso, solo l’Iniziato può percorrere il labirinto nel percorso più breve a lui consentito.
Non dico altro se non che la scienza della Verità si trova nel Silenzio, in quanto: ”Chi parla Non sa, chi sa Tace!”


M.F.S. Taspi





Oratio de hominis dignitate



… l’artefice supremo deliberò, che colui, al quale non poteva attribuire nulla in proprio, avesse qualcosa in comune con tutti gli altri esseri. Formò dunque l’Uomo secondo un’immagine comune e, collocatolo nel mezzo del mondo, così gli parlò: “A te, o Adamo, non assegnammo né un luogo determinato, né un aspetto particolare, né un tuo patrimonio esclusivo…
La natura determinata degli altri viventi è legata dalle leggi da noi statuite. Tu non sei costretto invece da alcun limite, te lo porrai secondo la libera volontà che io ti conferisco…
Non ti creammo né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu, quasi modellatore o artefice libero… di te stesso, ti possa dare quella forma che tu ti sarai scelta…
Gli animali nascono portando con sé… dal seno della madre tutto quanto debbono avere; gli spirito superiori, o fin dall’inizio o poco dopo, sono quello che resteranno per tutta l’eternità. All’uomo invece il Padre, quando nasce, conferisce tutti semi e tutti i germi d’ogni genere di vita. Quelli che egli coltiverà, si svilupperanno e daranno frutto in lui.

se sono vegetali: vegeterà
se sono sensuali: s’abbruttirà
se sono razionali: uscirà fuori l’essere celeste
se saranno intellettuali: sarà Angelo o Figlio di Dio










Adamo ed Eva

Il primo Adamo era bisessuale ed ermafrodito, maschio e femmina; come narra Platone nel “Simposio”, era di forma sferica: da un lato la polarità positiva elettrica maschile, dall’altro lato di polarità negativa magnetica femminile.

Infatti, non si tratta di “costola” come afferma il passo biblico della Genesi, ma di “lato”.
L’errata interpretazione dipende dal fatto che in ebraico le parole sono unite le une alle altre ed inoltre mancano le vocali.
Chiarito questo mito che vuole Eva nata da una “costola” di Adamo, rivestita di un ruolo passivo, comprendiamo come non vi sia ragione di pensare ad alcuna sudditanza della donna all’uomo e come essi siano tra loro complementari.
Non esiste alcuna disuguaglianza, né dipendenza di Eva rispetto ad Adamo, poiché l’uno è la controparte dell’altro.
Gli insegnamenti esoterici ci dicono infatti che “l’iniziazione degli esseri umani” cominciò nell’epoca lemuriana e fu la donna, Eva, la prima ad essere iniziata.
Eva, con l’iniziazione luciferica, prese coscienza a poco a poco del corpo fisico e della materia. Fu subito ricettiva agli insegnamenti dei suoi istruttori e a sua volta iniziò il suo compagno Adamo.
Fin dalle origini l’essere femminile fu elemento essenziale ed originale dell’evoluzione, fu protagonista e pioniera.
Ciò che è stato recentemente affermato anche dalla scienza: l’americana Nancy Makepeace Tanner, studiosa di panteologia, con la sua nuova teoria sulle origini dell’uomo, rivoluziona la posizione del maschio.
La donna è per l’uomo la collaboratrice preziosa, complemento indispensabile per il cammino evolutivo e necessaria ad ogni nuova forma di creazione.
E se per la costruzione del corpo fisico il seme è di Adamo, per l’edificazione del corpo di luce il “seme” è di Eva.
“ADAMO FECONDA NELLA CARNE, EVA FECONDA NELLO SPIRITO”.
Eva afferra, coglie i messaggi divini tramite l’immaginazione, il potere creativo femminile, li trattiene li fissa, quindi li trasferisce all’uomo che a sua volta sviluppa e concretizza.
Ella è l’ispiratrice, colei che suscita nell’uomo l’impulso di agire, a crescere, a progredire; conduce l’uomo alla rigenerazione, gli dona l’ardore della vita.
Sa ridestare in Adamo un principio superiore latente, l’elemento spirituale, che, stimolato, prende in lui il sopravvento trasformandolo ed illuminandolo; la donna genera nell’uomo l’essere nuovo, “il risvegliato” così che egli possa gioire della nascita interiore.
Adamo non può procedere alla edificazione del Tempio se non accede alla “coscienza del cuore” e a questa lo conduce la donna poiché essa scioglie in oro la cristallizzazione provocata in lui dal freddo intelletto calcolatore.
La donna è Eva, Arianna, Maria, Eva è Madre!… è soprattutto “MADRE”, colei che dà alla luce, che dà alla vita dell’essere alla luce del mondo… madre dell’uomo nuovo… dell’uomo che rende padre ed è, poi, madre del comune figlio terreno.
Dunque due volte madre: dell’uomo e del figlio.
Tanto più la donna collaborerà col compagno nel lavoro di trasmutazione, tanto più il figlio sarà “figlio di luce”.
Avremo umanità migliore soltanto se l’essere femminile s’impegnerà intensamente a trasformare la sua natura inferiore e si sforzerà ad elevarsi su tutti i piani poiché “è rigenerando se stessa che rigenera l’essere maschile”.
Adamo, spiritualmente, vuole una compagna che non sia soltanto per questa terra, in alto, al di là dei cieli, c’è un mondo eterno!.
Tu donna devi agire in modo da prendere per la mano l’uomo e ripercorrere insieme a lui il cammino del ritorno alla “vera dimora”. E’ necessario il ritorno alle radici, per accedere, non più esseri umani ma divini, all’albero della vita nuova.

Tonia Galvan





Adamo è tetragramma umano che si riassume nel “JOD” misterioso, immagine del fallo cabalistico
Heva è il tetragramma umano che si riassume nel “HE” misterioso, immagine della vagina cabalistica
Homo è il tetragramma umano che si riassume nel “VAU” misterioso, immagine del figlio nato dall’unione di Jod con He

Mare è il tetragramma umano che si riassuma nel “HE” misterioso, immagine della creazione di tutta la materia.

Adamo: è l’uomo in generale; Heva: è la donna in generale; Homo: è tutta l’umanità, maschile e femminile; Mare: è tutta la materia, la creazione della forma.

J.H.V.H. (Javè) è il nome sacro che erroneamente alcuni hanno interpretato quale nome di Dio, o meglio di un Dio terreno e personale alla loro natura.

Di questo nome sacro (simbolo dei quattro elementi della materia densa) è un sigillo che impedisce all’uomo-donna di ritornare nei cieli d’origine. Ma un’altra indicazione misteriosa, ci è data per aprire la porta, o ruota, e questo segno è lo “SHI” (sci), il Tridente Y, anche questo segno fu erroneamente interpretato: chi lo indica come il segno del male e chi lo indica come la Divina Trinità (Padre, Figlio e Spirito – tre volte maschile???).
E’ con questo segno che la parola Jod He Vau He (Javè) si trasforma in Jod He Shi Vau He (Jeshua – tradotto in Jesus).

Certo che valutando queste verità, tutto ciò che ci è stato insegnato negli ultimi millenni, ci fa capire come un movimento sotterraneo ha portato l’umanità nella più nera ignoranza di sé e della propria esistenza spirituale.



Taspi
M. F. S.






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