1860- La Guerra nell'Italia centrale 

La presa di Fano, Massimiliano Menotti, Luigi Carlo Farini, Cialdini, i Generali Garibaldini, I Mille a Marsala e "Teano", Bronzetti, Grosso Campana, Negri e la nascita del Brigantaggio, la rivolta d'Isernia, Caprera.

dossier completo Garibaldi - http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/garibaldi.htm

'11 e 12  marzo 1860 si tengono in Toscana ed Emilia i plebisciti per l'annessione al regno. Un mese più tardi quelli proforma di Nizza e della Savoia per l'annessione alla Francia. Nell'intervallo di tempo trascorso Garibaldi ha dato inizio alla spedizione dei Mille di cui tracciamo sotto un breve profilo e di cui trovate qui una sequenza a fumetti http://digilander.libero.it/trombealvento/forattini/trevisan.htm . Dopo 4 mesi Garibaldi è alle porte di Napoli. Francesco II, ultimo dei Borboni (appena salito al trono e figlio di una Savoia), deve fare le valigie per la fortezza di Gaeta con la moglie Sofia di Baviera, sorella di Sissi per tentare un'ultima resistenza. Il 7 Settembre Garibaldi, partito da Salerno, sale sul treno Vietri-Napoli ed entra da trionfatore in Città. Il 9 settembre, il redivivo Cavour preoccupato dalla nuova situazione, secondo quanto concordato con Napoleone, fa intervenire i due corpi dell'armata del Generale Fanti dall'Italia Centrale verso Sud.  L'esercito del Papa, comandato dal Generale Lamoriciere, è molto inferiore di numero, e si ritira subito verso la fortificata Ancona lasciando libero spazio (o quasi) agli invasori (I piemontesi si guardano però bene dal violare il confine storico del Lazio che intendono lasciare al Papa).  Questa era la situazione dello schieramento delle truppe pontificie alla vigilia dell'invasione sarda: Prima Brigata generale Schmdit a Foligno con 4 battaglioni, una compagnia di gendarmeria mobile, la sesta batteria con sei pezzi e un distaccamento di Gendarmeria  a cavallo. Seconda Brigata generale De Pimodan a Terni con 4 battaglioni e mezzo, due squadroni di Dragoni, uno squadrone cavalleggeri, l'undicesima batteria con sei pezzi. Terza Brigata generale De Courten a Macerata con 4 battaglioni, uno squadrone di Gendarmi, la 7° e 10° batteria con 12 pezzi. Questa Brigata è destinata a completare i presidi di Ancona nel caso in cui questa piazza fosse seriamente minacciata. Riserva colonnello Cropt sotto gli ordini del Generale in capo a Spoleto con il 1° reggimento straniero, 2 battaglioni di volontari pontifici a cavallo l'8° batteria con sei pezzi. Guarnigioni di sicurezza ad Ancona, Pesaro, Perugia, Orvieto, Rocca di Viterbo, Spoleto e Roma http://www.comune.castelfidardo.an.it/Visitatori/Storia/archivio_pillole/18set1860-rievocazione_battaglia_castelfidardo1.htm La Battaglia di Castelfidardo

Dei 33.000 "piemontesi" i bersaglieri sono circa 10.000 coi battaglioni 6-7°, 11-12°, 14-16°, 9-22°,-23-24-25°-26°. I nuovi arruolati dal 22° in su con meno esperienze di guerra e di addestramento facevano parte di una Brigata di riserva ed erano in parte  composti da Modenesi (23°), comandati dal capitano Massimiliano Menotti, da  Veneti (24°),  da Romagnoli (26°) e Parmensi (ma anche il 25° lo era). L'11 settembre, allo scadere dell'ultimatum, i bersaglieri sono già sotto le mura di Pesaro.

- Gualtiero Santini Generale dei Bersaglieri maggiore a Fiume - Fano Risorgimentale 1860/1960.

Attacco di Fano: la notte fra l'11 e il 12 fu di attesa e di fervore per la popolazione fanese, che alacremente si diede a confezionare bandiere e coccarde e ad apprestare arazzi, mentre la gendarmeria (pontificia) concitatamente pattugliava le vie dell'abitato.  Alle ore 6 del 12 settembre, l’azione fu ripresa dalle truppe della 7a Divisione avanzanti su Fano.
Le comandava il generale Alberto Leotardi barone di S. Alessandro (1806-1888), che si era distinto nel '33-'34 nei moti dj Savoia, in Crimea nel '55, alla battaglia di S. Martino nel '59, ove si era guadagnata la Croce di Ufficiale dell'Ordine militare di Savoia, di Ufficiale della Legion d'onore e la promozione a generale. A Castelfidardo meriterà la commenda dell'Ord. mil. di Savoia. Per le operazioni di investimento della città di Fano furono costituite le sottonotate tre colonne di attacco con truppe tratte dalle brigate "Como» (23°-24° regg. fanteria), e Bergamo (25°-26°) dal Regg. Lancieri di Milano, dal 12° battaglione Bersaglieri, colonne rafforzate con aliquote di artiglierie, genio e servizi

l' Colonna - al comando del gen. Leotardi - obbiettivo porta Maggiore.
2’ Colonna - al comando del brigadiere Alessandro Avogrado di Casanova - obbiettivo porta Castello.
3' Colonna - al comando del col. Grixoni - di riserva a nord Ovest della città. in corrispondenza della porta Giulia.
All'azione contribuirono solo le due prime colonne, che si schierarono alle ore 7 in corrispondenza dei rispettivi settori di attacco: borgo Mazzini e di S. Leonardo. Il primo intervento lo si deve alle artiglierie piemontesi che aperto il fuoco contro le porte riuscirono a bucarle e a scheggiarle, ma non ad abbatterle. ….

Gli insufficienti effetti del breve fuoco di artiglieria sollecitarono I'intervento della fanteria e, per esse, dei Bersaglieri, che, di slancio, diedero la scalata alle mura di Porta Maggiore e di S. Leonardo, le porte delle quali furono abbattute dall'interno e con l'aiuto di reparti del genio, sicché il grosso delle due colonne poté irrompere nella città senza colpo ferire, eccezione fatta per qualche bersagliere che nell'azione fu più o meno gravemente contuso.
Le mura di porta Maggiore furono scalate nel settore immediatamente adiacente alla porta, nel tratto di cortina verso il baluardo Nuti, alla sommità del quale, a ricordo dell'impresa, furono piantati dei pini, uno del quali ancora esistente, mentre nella porta stessa l'avvenimento fu consacrato da una iscrizione lapidaria. A porta S. Leonardo, aiutate da donne del borgo che fornirono scale e corde, le mura furono superate dai Bersaglieri in corrispondenza dell'attuale casa Vitali, nell'interno della quale è posta una piccola targa che ricorda i Bersaglieri che vi irruppero.
FANO REDENTA
Le due colonne - Leotardi e Casanova - entrarono in città avendo « in testa alle truppe liberatrici, belli e festanti gli emigrati fanesi. Incanalatisi per via del Corso e della Posterna (oggi Garibaldi) le due colonne confluirono quasi contemporaneamente in piazza Maggiore (attuale 20 settembre) dove il maggiore Dosi con parte del presidio pontificio, arma al piede, sostava per arrendersi nel corpo di guardia sotto le Logge, ove era il caffè del Teatro. Altri drappelli pontifici caddero pure prigionieri nel quartiere del Corpus Domini (via Nolfi), dove pare fosse ucciso un soldato svizzero, gettato entro un pozzo. Complessivamente: 6 ufficiali, 250 fra ausiliari indigeni (l compagnia circa] e Bersaglieri esteri pontifici (l compagnia circa con 8 cavalli) furono disarmati e concentrati nella Caserma dei Carabinieri (palazzo Pasqualucci), per essere inviati il 13 settembre a Rimini, sotto scorta di 50 militi della Guardia nazionale di Fano, che, comandati da Giorgio Luttichau, presero in consegna a Pesaro i prigionieri della Rocca Costanza, fra i quali mons. Bellà, il quale, durante la notte dall'11 al 12 settembre, era stato segregato in un campo cintato da siepe, ubicato fra il forte e la città, e dove trascorse quelle ore di rigida nottata d'autunno". Non tutti i militi del presidio di Fano caddero però in mano dei Piemontesi, perché molti altri si gettarono alla rinfusa sovra barche pescherecce, e sovra carri, e raggiunsero Ancona. Nessuna rappresaglia venne esercitata contro i vinti.


Il 9°,14° e 16° battaglione Bersaglieri tre giorni dopo espugnano Perugia. Il 17 settembre cade la rocca di Spoleto ad opera del 9°. Il Gen. Enrico Cialdini, nei cui ranghi servono l'11°,12° e 26° viene in contatto il 18 con le retroguardie del Lamoricière sulle colline di Castelfidardo. Il 26°, attardato, raggiunge gli altri dopo una marcia forzata di 60 km. La marcia vittoriosa dei Piemontesi nell'Italia centrale intanto prosegue e il 23 settembre le truppe si stringono sempre più sotto la cinta delle mura di Ancona. A Monte Acuto e Pelago i Bersaglieri, della riserva coi fanti della Brigata Bologna, danno prove di valore. Il 7° a Borgo Pio e il 6° alla porta del Lazzaretto impegnano le ultime difese. Il sottotenente Luigi Ferrari, formata una piramide d'uomini, scala le mura, introducendosi nella cannoniera e da li poi allo sblocco delle porte. Il 29 settembre il tricolore sventola su Ancona. I battaglioni dal 22° in su (escluso il 24°) vengono ritirati sul Po per parare eventuali minacce austriache e sostituiti dal 21°e 27°. Il 9°,14° e 16° stanno scendendo lungo l'Appennino centrale per coprire il resto dell'armata che scende verso Napoli.

 

I MILLE

 

Non è stato dato ampio risalto alla impresa di Garibaldi nella prima stesura dei capitoli, pur parlandone nel sito in approfondimenti più tecnici e dei personaggi, per alcune anomalie che questa impresa presentava. Qui accenno pertanto alla fase preparatoria che vide al nord un consenso diffuso sulle idee di Garibaldi e al Sud un non altrettanto riuscito tentativo di far insorgere i Siciliani (popolo diviso) contro i Borboni (Napoletani).  Nel corso degli anni, erano state diverse le ribellioni che i Borbone avevano dovuto sedare sia in Sicilia(la rivoluzione indipendentista siciliana del 1820) che sul continente: la rivoluzione calabrese del 1847, di nuovo la rivoluzione indipendentista siciliana del 1848, un'altra calabrese nello stesso anno, ed il movimento costituzionale napoletano del 1848.

La Sicilia ora indivisa all'interno del Regno godeva e continuava in parte a godere di diritti che le venivano dalla sua vecchia forma istituzionale di Regno separato sotto gli spagnoli (da wikipedia ... Il Regno di Sicilia, istituito nel 1130, con Ruggero II d'Altavilla, e durato fino all'inizio del XIX secolo con indipendenza (assicurata comunque dalla presenza del pluricentenario Parlamento), fu "il primo modello dello stato moderno in Europa"...Dal 1415, la Sicilia ospitò un primo viceré anche se fu solo formale. Il periodo vicereale per conto della Spagna Aragonese (che governava separatamente Sardegna, Sicilia e Napoli appunto con Vicerè, finirà nel 1713 a causa della guerra di successione iberica. Nel 1713 il trattato di Utrecht riconosce il Ducato di Savoia annesso al regno di Sicilia con corona a Vittorio Amedeo che ne manterrà la sovranità fino al 1720, quando in cambio gli verrà assegnato il Regno di Sardegna, da cui il nome allo stato piemontese).

La presa di AnconaSe la classe dirigente militare era spesso formata da mercenari (reazionari anche stranieri) così non si poteva dire della marina considerata liberale (che a conti fatti non muoverà un dito contro Garibaldi). Nella primavera stessa del 1860 al Sud si tento una rivolta detta della Gancia organizzata dai fuoriusciti Pilo e Crispi che andò incontro al fallimento (per ora).

Da wikipedia: A Palermo, il 4 aprile, si accese la fiamma della rivolta con un episodio, subito represso, che ebbe tra i protagonisti, sul campo, Francesco Riso e, lontano dalla scena, Francesco Crispi, che coordinò l'azione dei rivoltosi da Genova. Nonostante il fallimento, l'accaduto diede il via ad una serie di manifestazioni ed insurrezioni tenute in vita dalla famosa marcia di Rosolino Pilo da Messina a Piana dei Greci, fra il 10 ed il 20 aprile. A coloro che incontrava lungo il percorso il Pilo annunciava di tenersi pronti "…che verrà Garibaldi". La notizia della sollevazione fu confermata sul continente da un telegramma cifrato inoltrato da Nicola Fabrizi il 27 aprile. Il contenuto del messaggio, non eccessivamente incoraggiante, accrebbe le incertezze di Garibaldi tanto da indurlo a rinunciare all'idea di una spedizione. Tale fu la delusione tra i sostenitori dell'impresa, che Francesco Crispi, che aveva decodificato il telegramma, sostenendo di aver commesso un errore, ne fornì una nuova versione. Quest'ultima, molto probabilmente falsificata dal Crispi, convinse il nizzardo ad intraprendere la spedizione.

 

La pace con l'Austria era stata fatta e le regole le aveva dettate Napoleone III che se ne era si ritornato in Francia, con due province in più ma con un numero di morti impressionante per l'epoca e quindi difficilmente sarebbe tornato per difenderci. Ora eravamo scoperti e a rischio perché  al Nord le regole non venivano rispettate sopraffatte da referendum e plebisciti che di fatto escludevano i vecchi monarchi da una compartecipazione all'ideale stato (regno) federale dell'alta Italia. Questo infatti era l'unico titolo di cui avrebbe potuto fregiarsi Vittorio Emanuele II. Naturalmente una sollevazione popolare non autorizzata (ufficialmente) da Torino era un'altra cosa, pensava Cavour. Garibaldi non poteva essere incarcerato a ogni piè sospinto per quanto andava dicendo nelle piazze e non solo perché già a fine 1859 dalla Romagna aveva progettato l'invasione dello stato della Chiesa, cosa si che avrebbe fatto intervenire l'Austria e infuriare Parigi che a Roma teneva ancora suoi uomini. Spostarlo quindi su un'altra direttrice che mettesse più strada fra lui e Roma era nei desiderata. Il Cavour pertanto, contrariamente alle aspettative, decise di assumere un atteggiamento attendista ed osservare l'evolversi degli avvenimenti, in modo da poter profittare di eventuali sviluppi favorevoli al Piemonte: solo quando le probabilità di un esito positivo della spedizione appariranno considerevoli, Cavour appoggerà "apertamente" l’iniziativa Garibaldina. In quest'ottica, il 18 aprile, in seguito ai moti anti-borbonici, Cavour inviò in Sicilia due navi da guerra: il Governolo e l'Authion. Ufficialmente i due vascelli avevano il compito di proteggere i cittadini piemontesi presenti sull'isola. L'effettivo incarico, però, consisteva nel valutare accuratamente le forze degli opposti schieramenti (e fare un pò di intelligence). Nello stesso tempo, il primo ministro piemontese riuscì, attraverso Giuseppe La Farina (che sarà inviato in Sicilia dopo lo sbarco, per controllare e mantenere i contatti con Garibaldi), a seguire tutte le fasi preparatorie della spedizione, finché egli stesso, il 22 aprile, non si recò a Genova per rendersi conto di persona della situazione. Da una stampa inglese falsi garibaldini contro truppe regolari ??Gli ultimi accordi fra Cavour e Vittorio Emanuele II vennero presi in un incontro a Bologna, il 2 maggio. Naturalmente se gli austriaci avevano spie, e le avevano, a Vienna non potevano che trasmettere che le azioni di Garibaldi avvenivano alla luce del sole con raccolte di armi bagagli e denaro. Le somme stanziate dal Piemonte per la spedizione, ammontarono a diversi milioni cosi come le raccolte sostenute dai comuni e enti nazionalisti, i quali raccolsero dieci volte lo stanziamento piemontese ben 70.226,85 di lire. Il 3 maggio, a Modena, venne siglato un primo accordo, attraverso il quale si rendevano disponibili ai garibaldini i due vascelli con i quali avrebbero raggiunto la Sicilia. In rappresentanza dello stato sabaudo erano presenti l'avvocato Ferdinando Riccardi e il colonnello Alessandro Negri di San Front, entrambi riconducibili ai servizi segreti piemontesi. Il più era fatto o quasi.


Così Alberto Mario nelle sue memorie: Garibaldi salpò (da Quarto) con 1019 fucili e con ottomila lire, che dopo un mondo di opposizioni, Cavour gli fece consegnare dal Lafarina. Invalse allora seriamente l’idea, e i casi posteriori la cresimarono, che il Cavour mirasse di disfarsi di un uomo il quale tentò alla Camera di porlo in istato d’accusa per lesa patria (l'aver ceduto Nizza), e il cui genio audace e la cui popolarità infinita scompigliavano i suoi disegni, ben alieni allora dall’abbracciare il concetto dell’unità d’Italia. Dicevasi che Cavour contemplasse Garibaldi mandato a picco dalle navi borboniche, o schiacciato dai 50.000 soldati di Sicilia. Nessuno diffatti immaginava che Garibaldi potesse sottrarsi al funesto dramma. E si aggiunse che il Lafarina d’intesa con Cavour, avesse impedito alla barca delle munizioni e delle rivoltelle d’accostarsi ai piroscafi (.... e infine, ma non in ultimo, c’era il problema delle munizioni e possibilmente qualche arma in più dato che i 1.019 fucili in dotazione, consegnati, come si è visto, dal La Farina e provenienti dalla Società Nazionale (Crispi 1911, p. 114, nota), erano dei ferrivecchi “di avanti il ’48, trasformati da pietra focaia a percussione, lunghi, pesanti, rugginosi, tetri” (Abba 1904, p. 131), praticamente manici per baionette..). Per il che Garibaldi accortosene in viaggio, dovette provvedersi a Talamone; ove rinvenne 100 mila cartucce e 4 piccoli cannoni. A Talamone bandì il proclama Italia e Vittorio Emanuele, ordinò il suo corpo in sette compagnie, comandate da Bixio [Vincenzo Giordano] Orsini, Stocco, Carini, La Masa, Anfossi, Cairoli, sbarcò una sessantina di uomini, duce Zambianchi, a cui commise di gettarsi negli Stati pontifici e persuader che quivi mirasse l’intera spedizione; indi disparve in alto mare verso sud.

 

Per aver ulteriori munizioni (per gli insorti siciliani) conveniva toccare un porto della Toscana e si scelse Talamone. Io devo encomiare le autorità tutte di Talamone e di Orbetello per la cordiale e generosa accoglienza, ma particolarmente il tenente colonnello Giorgini comandante militare principale, senza il concorso del quale non avremmo certamente potuto provvederci del necessario. Non solo trovammo munizioni a Talamone e ad Orbetello, ma carbon fossile e cannoni, ciò che facilitò molto e confortò la spedizione nostra (Memorie Garibaldi, p. 340).


Talamone, nel tempo della visita dei Mille, aveva un povero forte, poveramente armato, comandato da un ufficiale e da pochi veterani. (...) conveniva adoperare un po’ di tatto, ed all’amichevole. E qui valse un bonetto (vestito) da generale che per fortuna il Comandante della spedizione aveva aggiunto al suo bagaglio. Quel bonetto da generale, agli occhi dell’ufficiale veterano, ebbe un effetto stupendo, e metamorfosò in un momento il Capo rivoluzionario in Comandante legale.... Il risultato fu che dal comandante del forte di Talamone, il sessantenne “sottotenente aiutante di piazza, comandante del minuscolo presidio” (Brancaccio 1909) Salvatore De Labar, ottennero due pezzi di artiglieria; dal tenente colonnello Giorgini invece, il grosso: due pezzi da campagna (due cannoni di bronzo con la data di fusione e il nome di battesimo incisi sulla culatta: 1802, Ardito e Gioioso -Sacerdote 1933, p. 648), cartucce, polvere, e poi ancora un’infinità di schioppacci vecchi, sciabole rugginose, trombe, marmitte ed altre ferravecchie: roba tutta che, in que’ momenti, fu per noi preziosa quanto la manna agli ebrei. Dal maggiore Macedonio Pinelli, comandante il 25º battaglione bersaglieri (emiliani) di stanza temporanea ad Orbetello (Brancaccio 1909) furono fornite qualche migliaio di capsule, un centinaio di carabine Enfield, il tutto con la raccomandazione di rimandare a terra quanti dei suoi uomini fossero scappati per unirsi (era diserzione dal Regio Esercito ) alla spedizione, come puntualmente avvenne; e Garibaldi dette la sua parola. Per quanto riguarda i viveri, assieme a utensili per cucinare a bordo, “i quarti de’ bovi e i caci maremmani e le corbe del pane e i barili del vino erano sul cassero” (Bandi 1886, p. 49) arrivati il 9 allo spuntar del giorno, approvvigionati dal Commissario Paolo Bovi da Grosseto, e si aspettava solo lui (e Garibaldi era nervoso per il ritardo) per levare le ancore per Porto Santo Stefano dove si doveva fare la provvista del carbone e dell’acqua; infatti, saputo che a Porto Santo Stefano esisteva un importante deposito creato per rifornire il Giglio, l’ex “gran vapore da guerra di Leopoldo II”, fu deciso di farvi una puntata per il rifornimento. 

Il 9 mattina all’alba quindi stavano ancora in Toscana dopo 4 giorni dalla partenza. Nel frattempo Garibaldi era sceso a terra e il Bandi, di ritorno dalla missione provvista carbone, mentre Bixio sorvegliava il carico, lo trovò che “si smammolava nel guardare un bel giardino, pieno zeppo di grosse piante di limoni e di aranci”. In quella circostanza Garibaldi dovette anche fronteggiare la prevista invasione sul Piemonte e sul Lombardo di un “nuvolo” di bersaglieri e di alcuni artiglieri e guardie di finanza che, come temuto dal Pinelli, avevano disertato dai loro corpi per unirsi ai Mille; ma Garibaldi aveva dato la sua parola e non voleva che si pensasse che voleva scompaginare l’esercito; dette quindi ordine che fossero tutti rispediti a terra, cosa che avvenne tra non poche difficoltà. Il Bandi dice che ne sfuggirono quattro, tra cui il sergente Bideschini, fratello di Italia che diverrà moglie di suo figlio Menotti (Bandi 1886, p. 54). Il 9 stesso, nelle prime ore pomeridiane, il Piemonte al comando di Garibaldi e il Lombardo al comando di Nino Bixio filano via verso la Sicilia.
Raggiunta Marsala (e vi dirò come fra poco) in pochi giorni ottennero numerosi successi contro l'esercito borbonico (a Calatafami, Palermo e Milazzo). A mano a mano che la spedizione procedeva Garibaldi assumeva il potere sulle terre conquistate in nome di Vittorio Emanuele II. Garibaldi godeva dell'appoggio sia del popolo, che sperava in un riscatto sociale con la fine del latifondismo e un'equa distribuzione delle terre, sia della classe dirigente meridionale (aristocratici e latifondisti), che puntava ad una trasformazione politica, in quanto riteneva che i Savoia potessero difendere i loro interessi meglio dei Borboni. Non andrà così e lo si capirà dagli Ingenui rivoltosi di Bronte che verranno sacrificati all'interesse e alla linea politica nazionale.

da "C’è urgente bisogno di Carabinieri!" di Danilo De Masi…..Sbarcato a Marsala l’11 maggio il successivo 15 era a Salemi dove aveva assunto la Dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele Il. Vinta la battaglia di Calatafimi Garibaldi si era avventato su Palermo scontrandosi sul "ponte dell' Ammiraglio" il 27 maggio 1860 (in una battaglia ricordata da Guttuso in un celebre quadro del 1956). Aveva quindi fatto irruzione in Palermo….. Cavour aveva accettato - pur senza dichiaralo (coram populo) - l'iniziativa di Garibaldi e degli Inglesi amici di entrambi, un po' perché temeva che (secondo la teoria lumeggiata nel capitolo "Gli anni fatali") anche inventandosi un altro Garibaldi gli Inglesi avrebbero comunque orchestrato una secessione della Sicilia facendone una "Trinacria" libera dai Borbone ma sotto protettorato Britannico. Si sarebbero assicurati così una grande base navale, mineraria (inglesi erano le attività di estrazione dello zolfo) e - non dimentichiamo la scelta del dove effettuare lo sbarco – enologica (il vino marsala).

Cavour aveva anche chiesto ai comandanti dell' Armata Sarda e della Regia Marina se il Piemonte sarebbe stato in grado di "occupare" la Sicilia militarmente: gli fu risposto positivamente ma che in termini di costi materiali e di perdite umane, si sarebbero pareggiati quelli pagati per annettere Milano ed una parte della Lombardia. Ecco perché, alla fine, non gli dispiacque l'idea di lasciare che i "servizi" di Sua Maestà Britannica spendessero qualche promessa con i più "rispettati" Campieri (i capi locali della Mafia, formalmente i "guardiani dei campi" per conto dei nobili proprietari terrieri) affinché mettessero una "buona parola" con i soldati borbonici, intimidissero i dubbiosi, promettessero al popolo migliori condizioni, e magari accoltellassero i più riottosi la sera prima dell'arrivo dei Garibaldini ("queste carogne puzzano anche da morte" si dice del povero soldato borbonico trovato accoltellato nel giardino della tenuta palermitana del Principe di Salina, la notte prima dell'arrivo di Garibaldi). Il "Capo- mandamento" Sedara, magistralmente interpretato da Paolo Stoppa nel Film il Gattopardo, diventerà Sindaco del suo paese (Donnafugata) dopo aver dato in sposa la splendida, ma un po' cafoncella, figlia (Claudia Cardinale) al giovane e squattrinato, ma Principe e Tenente Tancredi (Alain Delon), nipote dell'ultimo Gattopardo (Burt Lancaster). Quando Tomasi di Lampedusa si dilunga nella sceneggiata degli Uffìciali della Royal Navy che salgono alla villa del Principe, sulle colline che sovrastano Palermo, chiedendo di poter ammirare il panorama che avevano sentito decantare, vogliono in realtà osservare la rada dall'alto, e verificare se sarebbe stato possibile far "sbarcare" Garibaldi direttamente nel porto di Palermo o nella splendida baia di Mondello... SI SCELSE ALLORA MARSALA
 

MARSALA
Rielaborato da Wikipedia .... Lo sbarco dei garibaldini (atteso) fu favorito da diverse circostanze. Due navi da guerra inglesi, l'Argus e l'Intrepid, provenienti da Palermo (vedi sopra), incrociavano al largo di Marsala ed entrarono nel porto della città siciliana circa tre ore prima della comparsa dei legni piemontesi. Già da tempo altre imbarcazioni della marina militare britannica solcavano le acque del Tirreno nei pressi delle coste delle Due Sicilie effettuando frequenti scali nei porti del regno a scopo intimidatorio e di raccolta di informazioni. Garibaldi, nelle sue memorie, riconobbe che la presenza britannica giocò un ruolo rilevante nell'agevolare lo sbarco, affermando che: « La presenza dei due legni da guerra inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti dei legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo di ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera di Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto. » Durante una riunione della Camera dei Comuni, infatti, il deputato inglese, sir Osborne, accusò il governo di aver favorito lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Lord Russell rispose che le imbarcazioni erano lì, esclusivamente, per proteggere le imprese inglesi della zona, come i magazzini vinicoli del marsala Woodhouse e Ingham, e che non intralciarono le operazioni dei vascelli borbonici nel frattempo accorsi, i quali avrebbero potuto tirare sui garibaldini, ma non lo fecero. Il tenente Acton della marina borbonica che comandava lo Stromboli solo dopo essersi avvicinato ai legni inglesi si accorse che altre due navi, non inglesi, erano in porto e che da queste stavano sbarcando molte persone. In questa incertezza e confusione Garibaldi riuscì a far sbarcare tutti i suoi uomini Nonostante ciò, sempre nelle sue memorie, il generale chiarì che non c'era neanche un principio di verità nelle dicerie che gli inglesi avessero aiutato direttamente lo sbarco: lo sbarco forse non tanto ma i soldi della massoneria per comprare i generali si. In Sicilia al momento dello sbarco di Garibaldi c'erano 30 mila uomini circa e la squadra navale forte di 14 navi da guerra e due rimorchiatori, mentre per la Sicilia occidentale c’erano cinque navi e un mercantile. Ce n'era abbastanza da buttare a mare chiunque bastava volerlo.

Dunque Garibaldi, dopo un'iniziale apertura alla causa dei contadini, decise di schierarsi dalla parte di aristocratici e latifondisti, in quanto aveva bisogno del sostegno della classe dirigente meridionale (borghese) affinché l'impresa non fallisse come erano fallite tante altre scontratesi con la parte più bassa e ignorante del popolo. Perciò quando gli insorti manifestarono l'intenzione di requisire le terre dei latifondisti non esitò a ordinare la repressione (Bronte). Risalita velocemente la penisola Garibaldi "sbarcò" a Napoli. Lo scontro era ormai stato rinviato da tempo col grosso dei borbonici: oltretutto l'armata sarda era ormai in vista dei confini tanto che alcuni reparti piemontesi partecipano alle ultime operazioni di Garibaldi in loco a settembre del 1860. Infatti Cavour decise di intervenire direttamente, mosso dalla paura che Garibaldi, accogliendo l'invito proveniente dai mazziniani, proclamasse la repubblica nel Sud d'Italia e che proseguisse la sua azione puntando su Roma provocando così la reazione della Francia. Ottenuto il consenso di Inghilterra e Francia (per fermare Garibaldi e come non potevano darglielo) scoprirono i confini della valle padana e con tutti i nuovi reggimenti e battaglioni delle terre liberate invasero il centro Italia poi il Sud.
 

Al Volturno, il 1° ottobre, Garibaldi schiera tutte le sue forze, inferiori a quelle borboniche, su un fronte di 20 km. I suoi detrattori  ritenevano che fosse incapace di gestire una grande battaglia. Così scrive Garibaldi nelle sue memorie "20.000 garibaldini si opposero a 40.000 borbonici,..... Uno dei grandi vantaggi fu pure la bravura dei nostri ufficiali, quando si hanno luogotenenti come Avezzana, Bixio, il polacco Milbitz, Medici, Sacchi, Sirtori, Eber, Simonetta, Nullo, Missori, Bronzetti e l'ungherese Stefano Turr è difficile veder la vittoria sfuggire".  

La mattina del 1° ottobre Pilade Bronzetti si trova a Castelmorrone col suo Battaglione di Bersaglieri Garibaldini, quando viene attaccato da una forte colonna borbonica. Per 4 ore i Borboni del Ruiz cercano un passaggio verso Caserta Vecchia, ma vengono sempre respinti. Venute a mancare le cartucce i garibaldini passano all'arma bianca, e nel combattimento corpo a corpo cade Bronzetti (med.d'oro) e duecento bersaglieri Da "Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900", di Augusto Elia - Roma : Tipo-lit. del genio civile, 1904 - È degno di memoria onorata questo episodio; mentre si combatteva accanitamente in tutta la linea a S. Maria, a S. Angelo ed a Maddaloni, il maggiore Bronzetti con 270 dei nostri sosteneva a Castel Morrone l'urto di 3000 borbonici, respingendoli a varie riprese in ben dieci assalti; la maggior parte di quei bravi era caduta; invano gli ufficiali napoletani esortavano i superstiti ad arrendersi, facendo sapere che tanto valore sarebbe stato rispettato; Pilade Bronzetti resistette entro il castello finchè ebbe cartucce, e, quando queste vennero meno, i difensori di Castel Morrone vollero morire da eroi. Stretti come un sol uomo, tentarono aprirsi un varco colla baionetta tra le migliaia dei nemici; caddero quasi tutti; fu ferito a morte lo stesso eroico Bronzetti e i pochi non feriti vennero condotti prigionieri. Fra questi eroi sacrati alla morte, combatterono disperatamente il valorosissimo Mirri capitano ed i tenenti Matteo Renato Imbriani e Vincenzo Migliorini, che si guadagnarono la medaglia al valore militare e la promozione.
 

I Borboni, senza porsi interrogativi sull'esito degli altri scontri, stazionano in città per la notte. Il giorno dopo, ignari della sconfitta, ingaggiano di nuovo battaglia.  Il Piemonte è riuscito finalmente a far pervenire 4 compagnie sul terreno dello scontro " Io (Garibaldi) precedevo coi calabresi del Gen. Stocco 2 compagnie di bersaglieri (del 1°) e 2 di fanti del nostro esercito regolare. Il maggiore s'era offerto di accompagnarmi ed io avevo accettato". L'esito era ormai scontato per il grosso dell'esercito borbonico.

 

Così ci tiene a precisare Giuseppe Guerzoni (Di buon'ora era arrivato alla stazione di Caserta un battaglione di 400 uomini; "Il Sirtori, costretto ad accorrere alla difesa con quanta gente si trovava fra le mani, diede modo a quei bersaglieri dell'esercito settentrionale, chiamati alla vigilia, di barattare con i Borboni alcuni felici colpi di carabina e di suggellare anche sui campi del Mezzogiorno la fratellanza mai smentita tra i soldati di Vittorio Emanuele e le camicie rosse della rivoluzione. L'abbiamo detto altrove (vita di Nino Bixio), lo ridiciamo qui, questa e questa sola fu la parte presa da quei bersaglieri alla battaglia del Volturno.  Tutto quanto fu scritto fin qui nell'intento di accrescere ai regolari e far scemare ai Volontari una gloria, a cui basta d'essere italiana, è assolutamente falso; falso che essi abbiano partecipato in un modo qualsiasi alla giornata del 1° ottobre; falso che abbiano contribuito alla vittoria del 2, la quale era già ottenuta prima di combattere, e che fu una scorreria di truppe disperse, non un combattimento, e che in ogni caso sarebbe stata decisa dai movimenti aggiranti di Garibaldi e del Bixio, e non dalle poche fucilate di quei pochi Bersaglieri contro l'avanguardia, deviata da una colonna che era venuta a cascare nel centro delle nostre linee. " (Guerzoni, Garibaldi, Vol. II, pag. 194)


Resistevano ugualmente piazzeforti come Messina (resa 12 marzo 1861), Civitella (ultima ad arrendersi) e Gaeta (resa 15 febbraio 1861.
  Nei territori più impervi i soldati dispersi, agenti del papato, e briganti comuni davano vita ad una resistenza fatta d'assalti a città e contado per poi eclissarsi nelle impervie montagne ed estese boscaglie. Il 6°, 7°,11° e 12° del Generale Griffini si distinguono il 26 ottobre al Macerone  dove, con il supporto della cavalleria, si scontrano con altri Borboni che non hanno accettato la capitolazione.  

 

Bersaglieri sul Volturno PerrinCosi Cialdini, nel suo rapporto, sul combattimento del Macerone,  "l Generale Griffini trovossi per un 'ora e mezza solo con due battaglioni bersaglieri (6° e 7°) ed una sezione d'artiglieria sull'alto del Macerone, là dove è scavalcato dalla strada postale, osservando i movimenti delle tre colonne nemiche, le quali sommavano a seimila uomini, comandati dal Generale Scotti Douglas, una delle quali saliva direttamente per la strada ad attaccare il centro, le due altre pei due contrafforti laterali tendevano ad aggirare la posizione. Arrivai il più celermente che si poteva per lunghissima salita con la Brigata Regina e spingendo subito qualche battaglione a destra e a sinistra, ed avanzando contemporaneamente al centro, in poco più di mezz'ora sbaragliammo completamente il nemico. Uno squadrone di Lancieri Novara (capitano Montiglio) condotto dallo stesso Griffini, e seguito alla corsa dal 7° Bersaglieri, si rovesciò sui fuggiaschi ed arrivò ad Isernia prima di loro. Il Generale Griffini, e quindi lo squadrone Montiglio, il 6° e 7° Bersaglieri ed il l° battaglione del 9° Fanteria si sono molto distinti. Essi fecero tutto. "

 

LA RIVOLTA D'ISERNIA sunto da Nicola Serra Storia Militare…L'impresa garibaldina non si era ancora conclusa nel Mezzogiorno che una reazione borbonica e brigantesca vi era già scoppiata. Pietro Ulloa, ministro della Polizia di Francesco II, dettò le istruzioni per le bande, definite "Colonne di volontari superiormente approvate", costituite con il compito di operare affiancate alle truppe assediate a Gaeta. L'obiettivo delle bande era quello di concorrere alla restaurazione del legittimo sovrano sul Regno delle Due Sicilie. I "volontari", non ancora denominati "briganti". ebbero il primo vero scontro contro le truppe regolari al combattimento del Macerone, i1 26 ottobre 1860 lo stesso giorno in cui, con l’Incontro di Teano, si materializzava il passaggio del Regno di Napoli ai Savoia. Altre squadre di cafoni briganti, tra settembre e ottobre 1860 (quando la Battaglia del Volturno era ancora in fasce o strategicamente non giocata) ebbero successo conquistando Pontecorvo, Teano, Sora, Venafro, Piedimonte d'Alife e Isernia. E proprio, qui il 30 settembre 1860 ci fu una sollevazione. Garibaldi decise di inviare due battaglioni comandati da suoi ufficiali tra cui il Col. Francesco Nullo. Nullo prese comando il 14 ottobre a Maddaloni dove stanziava la Legione Matese. La Legione costituita da poco più di un mese, con il riconoscimento di Nino Bixio, era formata per lo più, dai Cacciatori Irpini, volontari che si erano distinti nella battaglia del Volturno, e da una fanfara di trentadue persone di Apice. Tra le direttive che Garibaldi aveva impartito al Nullo c’era anche quella di attendere a Bojano e di non muoversi prima del 20 ottobre, al fine di aspettare il Gen. Cialdini, che stava scendendo con le truppe sabaude verso il Macerone, per poi attaccare la cittadina su due lati.
Così invece, a modo suo, Battaglini narra l’intera vicenda http://www.parodos.it/books/storia/alianello.htm : "Fin dalla fine di settembre del l860 il Re [Francesco II ] fece inviare ad Isernia il maggiore di gendarmeria De Liguoro con una colonna ad occuparla, scacciandone i liberali e alimentando la reazione, aizzata in quella regione dalla propaganda viva e indefessa del vescovo della diocesi, monsignor Saladino, animoso borboniano, insieme con funzionari regi, spodestati dal nuovo governo …. frati, preti e signorotti che prospettavano in mala fede Garibaldi e Vittorio Emanuele, nonché tutto il partito liberale come nemici della religione, della famiglia, della proprietà. I garibaldini inviati a spizzico e in tutta fretta da Garibaldi, in seguito alle insistenti e disparate richieste dei liberali locali, riuscirono ad occupare Isernia, scacciandovi i gendarmi borbonici. Allora il maggiore De Liguoro rimasto assediato, mosse da Venafro su Isernia con la sua colonna composta da circa quattrocento gendarmi, rinforzato con un battaglione delle Guardia Reale con due cannoni e un plotone di cavalleria, inviatogli in quei giorni dal Ritucci per ordine dal Re. Il combattimento fu violento; i garibaldini si difesero strenuamente finché furono sbaragliati, lasciando oltre cento morti e cinquanta prigionieri. "Pochi scamparono alla caccia spietata, data loro dalla marmaglia inferocita. "Intanto Garibaldi, in seguito a ulteriori urgenti richieste di rinforzi, aveva mandato Francesco Nullo, il Baiardo garibaldino, come veniva ritenuto, con circa 500 volontari che, uniti a quelli della regione, marciò su Isernia, tratto in inganno da informazioni false di partigiani borbonici, inviatigli incontro, che assicuravano essere sgombro di truppe regie il paese. "Il maggiore De Liguoro, informato di tutto, gli andò incontro con oltre mille uomini, tra soldati, gendarmi e reazionari volontari, attaccando il l7 ottobre irruentemente nei pressi di Carpinone. "Ben presto il Nullo con i suoi fu circondato e, più che un combattimento, fu una strage di garibaldini, dei quali pochi si salvarono dalla ferocia di quella masnada reazionaria, composta di contadinaglia, i cosiddetti cafoni, fra cui vi erano anche donne armate di spiedi. Il Nullo, con pochi suoi, tra i quali il Mario (Alberto), il Zasio, e il Caldesi, riuscì per miracolo a salvarsi, rifugiandosi a Boiano e Campobasso..."
. altre notizie qui 
http://www.comune.pettoranellodelmolise.is.it/ev/hh_anteprima_argomento_home.php?id_blocco=76&id_argomento=3&x=0aa8b45f99ab2c7a0d306f0331c44213
 

L'incontro di "Teano"( http://www.prolocoteanoeborghi.com/tesseramento.html    http://it.wikipedia.org/wiki/Taverna_della_Catena 
Il 26 Ottobre presso Teano (ma secondo alcuni in località detta Taverna Catena), Garibaldi consegna a Vittorio Emanuele II le province meridionali  
Alberto Mario racconta: " .. di sotto al cappellino Garibaldi si era acconciato il fazzoletto di seta per proteggere le orecchie e le tempie dalla mattutina umidità. All'arrivo del re, cavatosi il cappellino, rimase il fazzoletto......Vi saluto caro Garibaldi, Come state?.. Bene Maestà e Lei?... Benone...Garibaldi alzò la voce... Ecco il re d'Italia". La guerra contro le ultime frange continuava e al Ponte sul Minturno i bersaglieri del 7° oppongono tutte le loro forze. Il maggiore Conte Negri viene per gli scontri insignito di medaglia d'oro. I Granatieri, supportati dal 24°, vanno all'assalto di Mola di Gaeta il 3 novembre. Qui trova morte il Maggiore Grosso-Campana del 14°. Il 25 novembre Civitella del Tronto fu accerchiata, ma gli ultimi irriducibili si arrenderanno solo il 20 marzo 1861. Al Colonnello Pallavicini di Priola del 9° viene conferita la Medaglia d'oro. Dopo gli screzi e le incomprensioni con Vittorio Emanuele II, Garibaldi partì da Napoli a bordo del piroscafo Washington per ritirarsi a Caprera a fare il contadino. Solo il giornale "L'indipendente", diretto da Alessandro Dumas, ne dette notizia, elencando le poche cose che il generale, dopo aver conquistato un regno, portava con sé: un sacchetto di sementi, una balla di stoccafissi, una cassa di maccheroni, un sacchetto di zucchero e alcuni barattoli di caffé. Naturalmente, il caffé Garibaldi. L'Eroe dei Due Mondi poteva infatti sopportare qualunque sacrificio ma non rinunciare al caffè. Racconta il cronista Giuseppe Bandi "quell'uomo solito a vivere con quattro picce di fichi secchi o con pochi chicchi di formentone, avrebbe sofferto le pene atroci d'inferno se gli fosse mancata una tazza di caffè". 

Perrin volturnoIl nuovo parlamento italiano fu inaugurato a Torino, nel Palazzo Carignano, l’8 febbraio 1861. Per molti dei suoi nuovi membri era la prima volta che uscivano dalle rispettive regioni. Il parlamento era composto di 443 deputati (collegi uninominali dove bastavano anche 300 voti per essere eletto, ma ci furono casi anche di 40) e 211 senatori di nomina regia. Il parlamento si riuniva per sessioni stagionali, e quindi stava diversi mesi chiuso. I trasporti, l’impossibilità di stare nel proprio collegio (dove si curavano gli interessi) o assoggettarsi a pesanti trasferte a Torino poi a Roma faceva si che le sedute fossero spesso deserte. Cosi venivano descritte le sedute:
"Al senato erano di solito presenti alle sedute non più di sei o sette senatori. Non molto migliore la situazione della Camera dei deputati…le sedute iniziavano tardi e duravano poco, al massimo qualche ora…i discorsi erano di solito ampollosi, retorici, di scarsissimo contenuto politico… inadeguatezza della classe politica del tempo a far fronte ai problemi di una monarchia parlamentare… beghe personali, odi e lotte di fazione prevalevano normalmente su ogni altra questione“
Vittorio Emanuele II, il 17 marzo 1861, assunse il titolo di Re d'Italia in violazione del trattato di Zurigo del 10 novembre 1859, seguito ai patti di Villafranca, nel quale all’art. 3 veniva stabilito che “il re di Sardegna non cambierà affatto di titolo, oppure, se tiene a modificarlo, egli non prenderà che quello di Re del reame cisalpino” (cioè dell’Italia settentrionale). Non cambiò la numerazione (chiamandosi Vittorio Emanuele I) come se l’Italia fosse la continuazione del Regno di Piemonte e Sardegna, e furono ritirate le proposte parlamentari che proponevano di chiamarlo “Re degli Italiani”. La prima legislatura del “nuovo“ Regno d’Italia si chiamò “ottava“ perché tale era quella del regno sabaudo. La costituzione, le leggi, il codice penale, l’ordinamento giudiziario, le istituzioni pubbliche e il sistema finanziario piemontese furono imposte a tutti i nuovi sudditi. Alla fine del 1866, su 59 prefetti esistenti, ben 43 erano piemontesi ed il resto emiliani o toscani (poi le cose cambieranno).

Nascita del Brigantaggio

Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana Giovanni Treccani, Roma scheda compilata da Nicola RAPONI

... Entrati i Piemontesi a Napoli (il 24 (26) ottobre avveniva l'incontro con Garibaldi a Teano), il 6 novembre Luigi Carlo Farini era nominato luogotenente generale delle province napoletane. La scelta del F. a guidare una situazione così delicata e difficile come quella napoletana fu certamente suggerita, oltre che dalla carica ch'egli rivestiva sin'allora di ministro dell' Interno, dalla brillante esperienza con la quale aveva operato in Emilia dopo Villafranca e dal fatto di non esser per nulla compromesso col mondo napoletano. Ma nella difficile situazione napoletana, caratterizzata dai contrasti fra garibaldini ed esercito regio, da scontri fra i vari partiti, la situazione divenne incerta. Isolato fra le correnti ,ugua1mente avverse» dei municipalisti, fossero o meno filoborbonici, e dei garibaldini, anticavouriani, egli si appoggiò al partito degli emigrati, cioè dei liberali meridionali reduci dal Piemonte (come A. Scialoja, P. S. Mancini, R. Bonghi, G. Massari che egli chiamò a far parte del Consiglio di luogotenenza), ma senza troppo successo. Le proposte di autonomia amministrativa fatte dal Farini in coerenza con il suo progetto di decentramento, mentre non soddisfacevano gli autonomisti, apparivano pericolose agli emigrati, in quanto avrebbero favorito le tendenze municipali e le tendenze separatiste, sopravvalutate, dei murattiani. Rimase celebre il giudizio piuttosto feroce sulla città e sui suoi abitanti che riportò in uno dei suoi resoconti al presidente del Consiglio, Cavour:  "Altro che Italia! Questa è Africa [sic]. I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile!". incontro di Teano"Ho trecento carabinieri e trentamila ladri ... ho distretti interi in balia dei briganti e non ho soldati da mandarci, ho centomila postulanti d'intorno, i garibaldini che ringhiano ... e credete che io ora possa speculare la perfezione delle leggi civili e la euritmia della annessione?. Anche a Cavour scriveva che se avesse avuto più mezzi - soldi e uomini capaci - avrebbe tentato una rivoluzione sociale, iniziando una politica di lavori pubblici, favorendo ogni sorta di operosità, usando ogni artificio stimolativo, creando nuovi interessi, dando un altro indirizzo alla cupidità ». Ma altri consiglieri e lo stesso Cavour esigevano piuttosto più energia contro gli avversari, municipalisti e garibaldini; accentuandosi le difficoltà e diventato più precario il suo stato di salute, a metà dicembre Cavour gli scriveva: Per carità non lasciatevi abbattere. Curatevi, ristabilitevi e andate avanti senza troppa inquietudine ... Fate alcuni atti che indichino chiaro che si vuole unificare l'Italia, che a patto nessuno non si vuole transigere coi municipali, gli autonomisti .”. Malato, scosso per la morte dei genero e segretario F. Riccardi (22 dic. 1860), il 2 genn. 1861 era dispensato a domanda dall'ufficio di luogotenente; in sua vece fu nominato il principe Eugenio di Savoia. Cavour avrebbe detto poco dopo che l'errore del F. era stato quello d'aver trattenuto troppo il re a Napoli, il che sminuiva la sua autorità; anche la presenza di molti ufficiali piemontesi che secondo E. Visconti Venosta mostravano di pensare «che l'aver guadagnata mezza Italia [era] una seccatura e una noia aveva condizionato la sua opera (Passerin d'Entrèves, L'ultima battaglia, p. 508).  Il 7 genn. 1861  Luigi Carlo Farini (poi Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia dal 8 dicembre 1862 al 23 marzo 1863) lasciava Napoli e un mese dopo era a Genova e poi a Saluggia.

Relazione di Costantino Nigra al presidente del consiglio Conte di Cavour per ordine di S.A.R il Principe di Carignano, luogotenente di S.M. Napoli 20 maggio 1861- ... Le gravi difficoltà incontrate dal Governo di S.A.R nè 4 mesi trascorsi furono in qualche parte provocate da fatti recenti e transitori; ma la più parte di esse ha origine da cause remote e durevoli. Lo scioglimento dell'esercito borbonico, le misure prese a riguardo loro, i capitoli di Gaeta che permisero a Francesco il soggiorno di Roma (asilo politico), contribuirono senza dubbio a suscitare al Governo di queste province serissimi imbarazzi. Non è qui opportuno discutere le ragioni di questi fatti, ma è importante di constatare che l'amministrazione di S.A.R. fu del tutto estranea ai medesimi e che essa dovette solamente subirne le conseguenze. Ad ogni modo però i fatti accennati non avrebbero di per sé soli dato luogo ai torbidi  scoppiati nelle provincie e a Napoli stessa, senza la condizione generale di cose la cui gravità non poteva nemmeno sospettarsi se la rivoluzione dello scorso autunno e gli eventi posteriori non fossero venuti a manifestarla.

 .... continua..a BRIGANTI una storia diversa da come ve la raccontano.

 

MEDAGLIERE     FATTO STORICO                                        
Bronzo al 9° Per il combattimento di Spoleto
Bronzo al 7° Per  l'intera campagna
Bronzo al 25° Per il combattimento di Ancona
Bronzo al 26° Per il combattimento di Castelfidardo
Bronzo al 14° Per il combattimento di Ancona
Bronzo al 14° Per il combattimento di Mola di Gaeta
Bronzo al 24° Per il combattimento di Mola di Gaeta

 

   


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