Ventennio: le conquiste Italiane L'argomento sullo sviluppo artistico e tecnologico applicato al quotidiano nel periodo fascista, viene lasciato ad autorevoli commentatori che ne hanno fatto, riteniamo, una lodevole trattazione. Di difficile reperimento sulla storiografia e saggistica ufficiale, merita oggi una più approfondita analisi. Chiunque voglia concorrere con sunti e precisazioni può indirizzare opinioni al sito via e-mail.
Ritratto di un'idea... di Vittorio Sgarbi
"Ritratto
di un'idea. Arte e architettura nel fascismo" di V. Sgarbi La mostra organizzata dalla "Galleria ..." negli spazi romani di Palazzo Valentini, offre un quadro complessivo di ciò che è stata la politica artistica del fascismo durante il Ventennio. Animo in fondo romantico, convinto dell'autonomia spirituale dell'arte, Mussolini aveva affermato nel 1923, sulle pagine de "Il Popolo d'Italia": "Dichiaro che è lungi da me l'idea di incoraggiare qualche cosa che possa assomigliare all'arte di Stato. Lo Stato ha un solo dovere, quello di non sabotarla...". Pare, quindi, che Mussolini, nei primi anni del fascismo, non fosse molto propenso a promuovere un'arte di stato e di regime! Poi, avrebbe cambiato idea, aiutato soprattutto da una donna, Margherita Sarfatti (scheda biografica nella seconda guerra mondiale fra i personaggi), che riesce a convincerlo sull'importanza che avrebbe avuto, anche ai fini della politica fascista, la promozione di uno stile che fosse allo stesso tempo nazionale e moderno. Mussolini voleva cambiare radicalmente l'Italia: voleva modernizzarla, evolverla economicamente e culturalmente, trasformarla in una potenza mondiale in grado di dettare legge come un tempo aveva fatto Roma. Quale strumento migliore dell'arte per costruire, diffondere, dare letteralmente "forma" a questa nuova identità? La Sarfatti lo aveva capito, anche se da un punto di vista culturale più che politico: se il fascismo voleva essere una nuova civiltà, come Mussolini affermava, non poteva esimersi dall'esprimere una sua arte. E così è stato; dopo le esitazioni iniziali, le ricorrenze per il decimo anniversario della Marcia su Roma (1932) hanno dato il via a un programma sempre più intenso e sistematico di iniziative promosse dal regime. Attraverso l'arte e l'architettura, il fascismo si avvia a diventare "immagine". Ma la Sarfatti non fa più parte del gioco, ingenerosamente liquidata dai gerarchi che si preoccupavano della sua influenza sul Duce. Prima ancora che il fascismo potesse stabilire una propria politica
artistica, sono stati gli artisti a offrire la possibilità del proprio apporto
al disegno culturale fascista; infatti, erano già arrivati a concepire uno
stile moderno e nazionale, come ad esempio i pittori di "Novecento".
Bisognava fondare un nuovo ordine, un nuovo classicismo in cui da una parte si
guardasse alla tradizione latina e rinascimentale, dall'altra al plasticismo
cubista e alle atmosfere rarefatte della Metafisica. Da Novecento sarebbe emersa
la personalità di Sironi, il maggior teorico di una nuova arte fascista della
società di massa; ma Sironi è stato fascista per conto proprio, non ha
direttive dall'alto, è totalmente convinto dell'utilità del progetto di
Mussolini. E' in questa dialettica fra politici e artisti, che va inquadrata
l'intera strategia del fascismo volta a creare un nuovo stile nazionale. La
politica dà l'ideologia, i progetti generali, i contenuti propagandistici; gli
artisti hanno la "libertà", se così si può dire, di dare forma a
quelle idee e a quei progetti secondo i loro propositi estetici, nella coscienza
di dover concorrere a un obiettivo che è comune: la fondazione di una nuova
civiltà italiana. A differenza di Hitler, Mussolini non era un mancato
architetto, un artista fallito che si è preso le sue rivincite quando è salito
al potere. Mussolini equiparava l'arte alla politica, come aveva fatto
D'Annunzio; in entrambe le discipline bisognava essere geniali, creativi. Ecco
perché non ha mai voluto entrare nelle questioni strettamente artistiche,
imporre gusti personali: in questo senso i veri "capi" dell'arte
italiana erano altri artisti (Sironi, Cipriano Efisio Oppo), altri architetti
(Marcello Piacentini). Altri artisti si sono fatti conoscere (praticamente i
migliori di quanto poteva offrire il panorama nazionale compresi gli
"eretici" Fontana, Melotti, Mafai, valutati non per la loro fedeltà
al credo fascista, ma per quello che sapevano fare.
Non a caso, all'interno
dello stile fascista, c'è stato spazio per il Neo-Rinascimento e per il
Neo-Futurismo, per il Razionalismo e per l'Espressionismo, senza nessuna
contraddizione. Certo, non sono mancati i casi in cui la propaganda (con
l'arroganza dell'ideologia) ha sopraffatto la dignità della forma; ma non era
la regola assoluta, non si doveva arrivare a tanto per compiere il proprio
dovere! E' questa particolare dialettica che ha permesso all'arte del fascismo
di essere la più evoluta (anche con tutti i suoi limiti) fra quelle promosse
dagli altri regimi totalitari della stessa epoca, il nazista, lo stalinista, il
franchista. Rinnovamento e tradizione, classicismo e modernità: questi sono stati i termini fondamentali entro i quali si è mossa la politica artistica del fascismo. Molti ritengono, giustamente, che l'architettura sia stata la più emblematica e coerente espressione dello stile fascista. Nella mostra di Palazzo Valentini, si evidenzia infatti la maggiore aderenza dell'architettura ad alcune delle imprese più simboliche della politica fascista (la creazione delle nuove colonie nell'Agro Pontino -Latina--Sabaudia, a Carbonia, in Africa; la preparazione dell'E.U.R.); la stessa pittura, attraverso Sironi, aveva accettato questo primato accettando di produrre decorazioni nelle grandi commesse pubbliche. Un elemento comune ha tenuto salda l'architettura italiana del Ventennio come nessun altro: la "scoperta" del Razionalismo, interpretato in modo più entusiastico e "internazionale" da alcuni (Pagano, Libera, Michelucci, Moretti), in modo più cauto e in parziale conciliazione con l'eclettismo accademico da altri (Piacentini, La Padula, Montuori, Del Debbio). In passato si è molto insistito sulla positività del primo Razionalismo e sulla negatività del secondo; oggi credo sia più interessante rilevare la complementarietà fra l'uno e l'altro, all'interno di un unico stile fascista (non si dimentichi che niente si poteva costruire senza il volere del potere), dove ciò che veniva permesso all'uno era compensato da ciò che faceva l'altro. Estratto da "La Storia del design industriale" : Electa Editrice 3° volume.
George
Kubler - da Storia dell'Arte a Storia delle Cose. .. si può
dire che all'insaputa di molti storici del design si offrì un primo chiaro
quadro di riferimento in cui inserire la cultura del design....La Storia delle
Cose intende riunire idee (cultura mentale) e cose sotto la rubrica di
"forme visive" includendo in questo termine sia i manufatti (prodotti
lavorati) che le opere d'arte, le repliche e i pezzi unici, in breve tutte le
materie lavorate dalla mano dell'uomo o da cose fatte da macchine prodotte
dall'uomo. I prodotti dell'uomo includono sempre utilità e arte in varie
proporzioni e non possiamo concepire un oggetto senza l'uno o l'altro di questi
ingredienti. Alla sfera dell'arte lasceremo quelle cose che non sono attrezzi e
ci occuperemo dei prodotti concepiti per un mercato di bisogni e desideri. In questa complessa prova di
osservazione del sistema produttivo
italiano nel periodo fascista indicheremo soltanto alcuni passaggi salienti.
Nel segno dell'Invenzione 1918-1930 - Il primato dei carrozzieri italiani
L'apparato industriale produttivo riconvertito
in bellico aveva conosciuto una grande espansione e si era raffinato nei
processi produttivi della siderurgia, energia e aeronautica con meccanica di
precisione a scapito di altri beni di uso comune. La grande crisi seguita alla
fine della guerra venne con misure draconiane risolta entro il 1925 con il
pareggio di bilancio. La nuova forza della lira e la caparbia volontà della sua
rivalutazione voluta da Mussolini (quota 90) portò ad una recessione che
coincise con restrizioni creditizie pari a quelle del 29 in america. (lira
rivalutata esportazioni difficili) Erano si andate in crisi grandi industrie e banche che le spalleggiavano alla
fine del conflitto, ma erano sopravvissute piccole e grandi realtà che
producevano beni di consumo con tecniche semi artigianali e si riferivano ancora
al pezzo unico o oggetto primo. L'oggetto veniva spesso progettato su misura,
(La
Fiat forniva chassis e motori a carrozzieri che le vestivano su misura del
cliente come una sartoria), e dell'azienda, era l'imprenditore la sua immagine:
vedi Olivetti, Guzzi, Lancia, Caproni etc... nei rispettivi settori. La produzione di moto a Torino
passava attraverso 350 assemblatori che davano al telaio altrettante versioni e
personalizzazioni. Se consideriamo la formazione dei progettisti possiamo
affermare che siamo alla presenza di una cultura scientifico-tecnica uscita dai
politecnici di Milano e Torino rafforzata dalla conoscenza di quanto si
andava facendo nelle officine di nazioni industrialmente più avanzate
dell'Italia. Siamo dunque di fronte a un progettista che, benché le dimensioni
produttive fossero a volte non irrilevanti, si poneva di fronte all'oggetto con
l'atteggiamento di un artista. Questo comportamento non era dissimile da quello
di un'artista tradizionale. Nascono in questo periodo le biennali e triennali
d'arte etc, per comunicare idee alla gente. Esponente classicista di questo
periodo Gio Ponti (rivista Domus) direttore artistico (oggi lo chiameremo
designer) della Richard Ginori
(Ceramiche) che passava indifferentemente da porcellane a mobili, posate, vagoni ferroviari e
ville. Milano-Laghi, prima autostrada del mondo Il macadam, pavimentazione di pietrisco rullata e amalgamata col suo stesso detrito fine o sabbia di frantoio (non ancora asfalto), fino ai primi anni del 900, pavimentava tutta le rete stradale italiana *. La diffusione delle auto mise in crisi questo sistema, poiché le strade accusarono un eccessivo logorio delle massicciate con la conseguente formazione di buche profonde e pericolose, se non riparate in tempo, a cui si aggiungeva il sollevamento della polvere originato dall’aumentata velocità dei veicoli a motore. Si iniziò dunque una ripavimentazione delle strade con applicazione di catrame all'ultimo strato, che in Italia venne usato per la prima volta nel 1900 a Lugo di Romagna. Con la legge 17/5/28 era stata creata l’A.A.S.S. (Azienda Autonoma delle Strade Statali ora Anas). Il compito dell’A.A.S.S. era quello di gestire le strade più importanti, dette “statali” o SS e numerate da 1 (la via Aurelia) a 137, per un totale di 20.622 km. In pratica, si trattava di provvedere alla manutenzione ordinaria, alle riparazioni straordinarie e alle sistemazioni generali. E’ all’ingegner Piero Puricelli, grande imprenditore di costruzioni stradali e industriali, che si deve la realizzazione del concetto di autostrada, idea quasi nuova, di creare delle grandi strade da riservare al solo traffico automobilistico: si sarebbe trattato di strade a pedaggio, in concessione 50ennale, ideate e costruite per un traffico veloce. La “pubblica utilità” del progetto ne favoriva, in caso di bisogno, l’acquisizione per esproprio delle aree utili alla realizzazione. I lavori del primo tratto di autostrada d’Italia (e del mondo), la Milano-Laghi, iniziarono regolarmente il 26 marzo 1923 con la posa della prima pietra da parte del Duce, con una durata totale dei lavori di sedici mesi !!!. (Ndr: inconcepibile e non si aggiunge altro per decenza…oggi i tempi lunghi servono solo per costruire tangenti). Ad eccezione delle ultime due, a bitume, le altre furono pavimentate in calcestruzzo. Questa tecnica si basava su un’esperienza già affermata (a differenza dei conglomerati asfalto bituminosi, ancora poco sperimentati) a cui il cemento nazionale autarchico dava una mano. Dal 1927 al 1935 furono quindi completate.
*Il
Macadam, pietrisco e materiale collante compresso (rullato), collante
rappresentato dall’acqua (indurimento della sabbia da frantoio), dal bitume
(affioramenti rintracciabili un po’ ovunque) o dall’asfalto (che contiene
catrame e che sarà l’inizio della fase successiva) è una tecnica costruttiva
ideata dall’ingegnere scozzese John Loudon McAdam nel 1820 con cui si possono
realizzare sia strati di fondazione che pavimentazioni stradali più scorrevoli.
In Italia la tecnica di costruzione delle strade introdotta da MacAdam
sostituisce quella di Trésaguet, che aveva il difetto di impedire il deflusso
delle acque piovane a causa dell’utilizzo di due grosse file di pietre poste ai
margini della massicciata e del fondo che non era impermeabile. Questo, la
curvatura del fondo e le fosse laterali permettevano di far filtrare l’acqua in
profondità mantenendo sempre una pista asciutta. La tecnica
Macadam è usata ancora per molti campi da tennis in terra battuta.
http://www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/strade/asfalto.htm Classificazioni dei materiali per coperture stradali
Per bitume si intende una miscela di
idrocarburi naturali o residuati derivanti dalla distillazione o raffinazione
del greggio simile all'asfalto ma meno caro perché residuo non altrimenti
utilizzabile per il momento. Per catrame si intende invece un materiale bituminoso, derivante
dalla distillazione secca del carbone fossile, in particolare del litantrace
(cokerie).
L'asfalto è una roccia calcarea porosa, naturalmente impregnata di bitume
(evaporazione del petrolio).Solo dal XVIII secolo si cominciò a impiegare
l'asfalto come materiale da costruzione. La roccia veniva frantumata e macinata
per ricavarne un mastice che, eventualmente addizionato con materiale inerte
fino, veniva colato a caldo per pavimentare marciapiedi poi strade. L'odierno
materiale da costruzione utilizzato per la pavimentazione stradale, finto
"asfalto", è in realtà un conglomerato bituminoso artificiale ottenuto
miscelando opportune quantità di inerti grossi (ghiaia), fini (sabbia e filler)
e bitume.
La prima grande area di servizio fu costruita presso il casello di Genova, dove oltre ad ampie zone adibite alle operazioni di smistamento e trasbordo merci (molte delle quali dovevano passare dai camion alle navi del porto), e al rifornimento di carburante, venne realizzato un fabbricato destinato al ristoro dei viaggiatori ed alle attività direzionali. Questa struttura comprendeva ristorante, albergo diurno, ufficio di posta e telegrafo, rivendita di giornali, bar, stanze di riposo, uffici di controllo e alloggio dei dirigenti della stazione e stazione di pedaggio. Lo sviluppo delle prime autostrade italiane è indissolubilmente legato al particolare clima politico nel quale l’impresa nacque, ovvero il fascismo. Gli storici quindi, tenendo presente la tendenza fascista a gloriarsi delle imprese nazionali, hanno cercato di ridimensionare la retorica delle autostrade come “creazione italiana”. Per il regime fascista le autostrade furono un grande vanto, una grandiosa anticipazione italiana all’avanguardia nel mondo. Secondo Bortolotti e De Luca, che trattano anche l’attribuzione dell’invenzione delle autostrade a Puricelli come un’amplificazione del regime: la maggior novità delle autostrade è l’idea del pedaggio, che tuttavia non era completamente originale. Probabilmente il primo tratto “autostradale” a pedaggio è americano e risale al 1904: l’Holland Tunnel, che collegava a pagamento Long Island e il New Jersey, sotto lo Hudson River. (Ndr. Ma era solo un tunnel o come succedeva da noi nel medioevo potevi pagare anche passando da un ponte). Comunque già nel 1906 l’ingegner Giuseppe Spera lanciò l’idea di una “autovia”, una “strada per uso esclusivo automobili”, da realizzare sul tratto Roma-Gaeta-Napoli, corredandola di un progetto tecnico abbastanza sostenibile. La critica degli autori riconosce comunque a Puricelli il vanto di primo realizzatore e le sue indubbie capacità tecniche. Già prima del regime fascista e parallelamente all’ingegno dei singoli uomini e alle iniziative governative, operava un altro organismo che fu importante per lo sviluppo delle autostrade e va ricordato: il Touring Club Italiano**: Questa organizzazione fece della modernizzazione delle strade il suo cavallo di battaglia. (Dal Touring proveniva anche Piero Puricelli). “Puricelli non ottiene, e probabilmente non chiede, posizioni di potere nell’apparato statale, e non diventa segretario di confederazioni e corporazioni, come altri grandi impresari. Il suo comportamento è quello di altri fra i maggiori industriali, che più che servire al fascismo se ne servirono”. Il parlamento prese poi a dimostrarsi chiaramente ostile alle imprese autostradali per gli appetiti che avevano scatenato. ** Il Touring Club Italiano viene fondato l'8 novembre 1894 da un gruppo di 57 velocipedisti, con l'intento di diffondere i valori ideali e pratici del velocipedismo, e del viaggio. Nel 1897 avvia la realizzazione e l'impianto di cartelli stradali turistici e con l'avvento del nuovo secolo e dell'automobile il T.C.I. si apre a tutte le nuove forme di turismo e diventa istituzione di prestigio nazionale. Propone la scoperta e la rivalutazione delle regioni poco conosciute a livello turistico e realizza la prima "Guida d'Italia per Stranieri" nel 1922 e la prima guida gastronomica d'Italia nel 1931.
Lo dimostra per esempio, nel 1930, la cronaca di una seduta di discussione sul bilancio preventivo dei lavori pubblici in cui il deputato
Francesco Caggese, ingegnere irpino, venne applaudito a più riprese mentre affermava che
“le autostrade non sono assolutamente necessarie… salvo casi particolari sarebbe meglio che lo Stato devolvesse quei denari al miglioramento della rete stradale già esistente”.
(Ndr: si sentono ancor oggi dibattiti simili estesi a tutti i campi del trasporto. In politica non si inventa nulla da
1000 anni). Nel 1923 circolavano complessivamente sulle strade italiane 84.687 autoveicoli, di cui 57.000 automobili
(1/100 di quelle americane), 25.000 autocarri e 2.687 autobus. Il colpo di grazia
sullo sviluppo automobilistico, prima della tragedia bellica su un quadro già precario, si ebbe nel 1935 a causa delle
sanzioni. Discorso autostrade chiuso. Nel segno del Razionalismo 1931-1945. Toccato il fondo della crisi del '29 (1.300.000 disoccupati) l'economia italiana risalì grazie all'intervento dello stato (IRI 1933). In questo contesto la grande e media industria italiana cercò alla fine degli anni venti di ristrutturarsi secondo regole e schemi di produzione provenienti dagli Usa da dove era partita la bolla speculativa. Gli Stati Uniti d'America avevano sostituito la Francia e la Germania nell'immaginario collettivo grazie al Cinema, alla Musica e ai Fumetti (Topolino). I metodi di produzione di massa volenti o nolenti erano entrati dunque nel costume italiano. Così la Fiat passava dalle medie e grosse cilindrate alle piccole (Balilla e Topolino) crescendo al proprio interno i progettisti che si formavano nei vari reparti (Ferrovia, Aviazione, mezzi militari) scambiandosi anche i ruoli e le esperienze. La Topolino ad esempio nasce dall'ufficio Avio. La diffusione della radio nelle case, dei quotidiani, del cinema in distretti rurali, la scolarizzazione di massa diede accesso all'informazione a interi strati della popolazione che prima non avevano mai avuto questa opportunità.
Il Razionalismo ha avuto un ruolo
fondamentale anche nella modernizzazione delle arti applicate (è in fondo in
questi anni che nasce il grande design italiano), nella grafica dei manifesti e
delle pubblicazioni, nella moda, nella scenografia. Recenti acquisizioni,
rappresentative di un periodo nella storia della moda che si sta rivelando un
interessante campo di indagini e di indirizzi tematici sono l'occasione per
mettere a fuoco le sostanziali innovazioni nel taglio con l'utilizzo di nuovi
materiali e di nuove tecniche di lavorazione nel settore del tessile da
abbigliamento, soprattutto in regime di autarchia con sperimentazione di nuovi e
vecchi
filati "autarchici" come
il rayon (vecchio) o l'orbace e il lanital.
E' stata la
"cifra" comune, innegabilmente moderna, di uno stile fascista che ha
avuto l'ambizione di essere totale, coinvolgendo volutamente ogni campo del
visivo (le arti tradizionali, le arti applicate, il cinema, la fotografia). http://www.itcpeano.it/Documenti/moda_fascista.htm LA
MODA ITALIANA E IL NON AUTARCHICO
A dir la verità la
coltivazione del cotone non era nuova per noi e non era mai stata interrotta. La
sua introduzione in Italia era stata opera degli Arabi (saraceni)
nel IX secolo; la coltura si diffuse successivamente sotto la dominazione dei
Normanni e degli Svevi estendendosi anche lungo le coste calabre. La più estesa
superficie coltivata, infatti, si è avuta con 88 mila ettari nel 1864 in
occasione della crisi conseguente alla guerra di secessione americana
(produttore) che creò notevoli difficoltà all'industria tessile, specialmente di
quella fiorente in Inghilterra. Un'altra impennata si è registrata nel 1941 in
piena seconda guerra mondiale durante il periodo autarchico, quando il commercio
internazionale era ridotto al lumicino (al primo posto in Italia le province di
Agrigento e di Caltanissetta) e la nostra produzione era stata estesa
anche all'agro pontino che passava dai 10 ettari del 1930 ai 2480 (alla
periferia di Littoria veniva costruito uno sgranatore)Come noto, e detto, la
crisi del 1929 (durerà anni) aveva
avuto il 1932 come apice in Europa. I provvedimenti quindi per la riduzione di
molti consumi di importazione erano già stati sperimentati. Se a queste materie
prime aggiungiamo che eravamo debitori alla Francia anche degli stili (moda) e
delle confezioni ce ne era abbastanza per prendere provvedimenti. L’anno dopo (il
30 Gennaio 1933), in Germania, Hitler va al potere come negli Usa ci va Franklin
Delano Roosevelt la prima di 4
ETR 200 IL SUPERTRENO In altro capitolo (2a guerra mondiale) abbiamo parlato del televisore, che proprio conquista non fù, perché le trasmissioni non andarono in onda per il contemporaneo scoppio della guerra http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/schede/telebenito.htm come di altre innovazioni legate alla contingenza autarchica, ma qui di seguito voglio invece il profilo di quello che fu all'epoca il migliore e il più veloce treno in servizio d'Europa se non del mondo, l'Etr 200 delle Ferrovie dello Stato, esposto anche alla Fiera di New York. “Sbucato dalla galleria
delle Pievi, l’elettrico scivola già col pantografo dentro il fornice della
successiva, portandovi la sua corsa inderogabile, illividita da scintille
violette…Isolatori bianchi alle sandaline dei sostegni, fanno un’allineata di
perle: come a voler agghindare la riviera”. 1936 Carlo Emilio
Gadda, ingegnere e scrittore - Così nell’aulico componimento di Gadda la rivoluzione industriale
della elettrificazione di massa delle principali tratte ferroviarie italiane. L’elettrificazione era già presente in Italia, a varia conduzione, dall’inizio del
secolo, così come le motrici elettriche per reti che andavano da quelle extraurbane a
quelle urbane. Una spinta era stata data, dopo lo stop della
grande guerra, col commissariamento intervenuto nel 1922 delle Ferrovie dello
Stato. Sotto la guida tecnica
dell' ingegner Giuseppe Bianchi e la direzione gestionale del Commissario
Straordinario Edoardo Torre, nominato dopo lo scioglimento del CdA, venne
sviluppata la prima generazione di locomotive elettriche, subito seguita dalle
prime automotrici termiche (per le regioni più disagiate dal punto di vista
della produzione di corrente elettrica e per le colonie) e dalle elettromotrici rapide che ebbero
grande successo e contribuirono a posizionare lo stato fascista tra le potenze
economiche ed industriali dell'epoca. L’elettrificazione della rete ferroviaria
a corrente alternata trifase procede così celermente fino al 1930 anche se la
trifase presentava allora molti inconvenienti. Una ulteriore accelerazione la si
ebbe dopo le sanzioni del 1936 che resero problematici gli approvvigionamenti in
carbone e combustibili
liquidi. La decisione era comunque già presa e il 4 giugno 1932 il Consiglio dei
ministri varò un ambizioso piano di elettrificazione che avrebbe dovuto dotare
in 12 anni 8000 km di rete. La situazione intanto era questa:1237 km a corrente
trifase e circa 400 a corrente continua o monofase considerata la soluzione per
il futuro Per saperne di più
http://www.aising.it/docs/ATTI II CONVEGNO/0223-0236.pdf
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