Home page | Grafologia | Psicologia | Cinema |
Gennaio | Febbraio | Marzo | Aprile | Maggio | Giugno |
Luglio | Agosto | Settembre | Novembre | Dicembre |
Sommario |
... e i due saranno una carne sola Il cavaliere e il contratto tradito Gli stili cognitivi e l'invecchiamento La meditazione |
La
meditazione
Ci sono tre modi di pensare a Dio: con la modalità del cuore, della mente,
della volontà. Ci sono tre modi di predicare e di rivolgersi ai fedeli da parte
dei sacerdoti.
C’è la predica incentrata sull’emotività in cui si corre spesso ad
immagini, considerazione che suscitano sentimenti di amore, dolore, di pace e
rasserenamento, di turbamento, di lode, di ringraziamento, di abbandono, di
estasi. I sacerdoti che utilizzano questo stile sono di solito, nelle loro
prediche enfatici, prolissi e teatrali. Fanno questa scelta o per inclinazione
personale o in considerazione del tipo di uditorio.
Altri predicatori danno vita a delle considerazioni costruite sulle capacità razionali,
sul ragionamento e sull’esercizio del pensiero. Questo è l’approccio a Dio
che più piace agli intellettuali, siano essi i predicatori che gli ascoltatori.
Ci sono poi dei sacerdoti che infarciscono le loro predica di precetti, di
comandamenti, di divieti, di consigli. È la predica precettistica che poi
dovrebbe tradursi in concreti gesti di virtù pratica nella
vita quotidiana.
Tutto è valido, tutto è confacente ad un avvicinamento a Dio. Cambia lo stile,
perché molti sono i carismi delle persone che predicano o che ascoltano.
L’importate che unico rimanga lo spirito.Tuttavia si deve ammettere che le tre
modalità non sono tra loro incompatibili e potrebbero (o dovrebbero) essere
prese in considerazione da ogni cristiano. Solo il prevalere nelle singole
persone dell’una o dell’altra dipende dal “talenti” di ciascuno.
Ci sarebbe da chiedersi perché Dio ha bisogno della nostra lode, del nostro
amore, del nostro ringraziamento. Non è egli l’essere perfettissimo? Ma le
cose, nella tradizione biblico - giudaica e in quella cristiana, stanno così
inequivocabilmente. Non è così forse anche nella preghiera insegnataci da Gesù?
Questa nella prima parte chiede in primis che “sia santificato” il suo nome,
cioè l’adesione a Dio con cuore.. Segue poi – a conferma delle
considerazioni sopra esposte - la chiesta dell’avvento del suo “regno”,
che non può realizzarsi se non con l’annuncio, che è comunicazione, che è
conoscenza. Il vangelo prima di essere praticato deve essere conosciuto.
L’ultima “richiesta” (“sia fatta la tua volontà”) tocca la sfera
della volontà, cioè di un comportamento nella vita quotidiana,
che sia coerente all’amore e alla conoscenza di Dio.
Gli
stili cognitivi e l'invecchiamento
Una delle
peculiarità dell’infanzia è il pensiero magico, cioè la tendenza a
trasformare gli aspetti e le dimensioni del reale secondo modi fantastici,
nell’ambito di una atmosfera incantata; l’infante (colui che non sa parlare) vede nelle cose degli esseri animati e si sente dotato di
poteri su di esse. Il fanciullo (colui che sa parlare) lascia questo mondo per
dirigersi verso una modalità di approccio con la realtà più oggettivo, ma
capace di conoscere solo le cose concrete, cioè solo la realtà che può
vedere, toccare, percorre.
Divenuto più adulto il ragazzo matura un pensiero caratterizzato da una
spiccata progettualità, sostenuta dalla capacità che ha maturato di staccarsi
dal concreto per navigare anche sul possibile. Per poter progettare occorre
sapere analizzare col solo pensiero tutte le possibilità che un problema o una
situazione presentano.
Da adulto l’uomo passa poi alla fase della realizzazione dei suoi progetti.
La caratteristica del pensiero anziano è invece la narratività, quasi sempre
autobiografica, cioè la tendenza a raccontare il passato. L’adulto cioè
cessa di norma di progettare e di realizzare il suo progetti per per adagiarsi
in una situazione inerte dal punto di vista realizzativo.
Questa è la condizione degli adulti che hanno perso la carica giovanile. È una
evoluzione che va combattuta, cercando di mantenere l’anziano il più a lungo possibile
nella capacità di progettare e di realizzare.
Il cavaliere e il contratto
tradito
È la fissazione
di Berlusconi, ovunque vada e ovunque parli: dimostrare che il governo sta
attuando il programma, anzi è in anticipo sui tempi previsti. . Ma, checché ne
dica, il premier non sta affatto onorando i suoi impegni. Al
contrario: è in grave e irrimediabile ritardo sulla sua tabella di marcia.
Nel cosiddetto Contratto con gli italiani, firmato
1'8 maggio 2001 a Porta a porta sotto lo sguardo complico di Bruno Vespa,
Berlusconi fece cinque promesse.
1.
Prima
promessa. Il premier promise l'esenzione totale dei redditi fino a 11 mila
euro annui e il passaggio a due sole aliquote IRPEF, 23 e 33 per cento. Se il
piano promesso diventasse mai operativo, esso farebbe crollare le entrate
fiscali di 15-17 miliardi d'euro; per colmare questa voragine bisognerebbe
infliggere alla spesa pubblica un taglio mostruoso, con conseguente taglio della
spesa sanitaria, di quella per l’istruzione in primo luogo e poi, visto che la
scorta dei condoni si è ormai esaurita, ci vorrebbe una riforma delle pensioni
da scatenare un’autentica rivoluzione di piazza.
2.
Seconda
promessa: Difesa dei cittadini e prevenzione dei crimini. Per questo punto
Berlusconi, furbescamente si è ben guardato dal fissare dei riferimenti a numeri precisi, per cui ogni risultato può
essere considerato come obiettivo raggiunto. I cittadini hanno la sensazione che
la criminalità sia diminuita? Ad ogni modo, il tanto declamato poliziotto di
quartiere, chi lo ha visto in giro?
3.
Terza
promessa. Aumento delle pensioni minime ad almeno un milione di lire al mese.
Fatto? Berlusconi non ha detto agli italiani il beneficio avrebbe riguardato
soltanto una piccola percentuale degli interessati. Purtroppo per lui e per
tanti anziani, invece, è andata proprio cosi: a chi aveva meno di 71 anni o un
reddito di coppia d'oltre 6.800 euro all'anno non è stato dato un solo
cen-tesimo. Alla fine del 2002 c'erano ben 8 milioni di pensioni inferiori a 500
euro al mese Per portarle tutte al famoso milione, ci vorrebbero ben 8 miliardi
d'euro, circa un punto e mezzo del Pil, una cifra spropositata che neppure l'immaginifico Giulio
Tremonti saprebbe raggranellare da qui al 2006. Il programma dunque è rimasto
sulla carta, e li morirà
4.
Quarta
promessa. Dimezzamento dell'attuale tasso di disoccupazione. Il dimezzamento
del tasso di disoccupazione significava un calo dal 9,6% nel maggio 2001 al 4,8
del 2006. Ma una simile performance è da escludere, posto che nel luglio scorso
si era ancora inchiodati all'8,3. Anche le previsioni governative per il 2004
parlano -d'un tasso superiore all'8%..
5.
Quinta
promessa. Il paino decennale delle grandi opere. Anche qui furbescamente
Berlusconi non diceva che alludeva
a una semplice posa di prime pietre e non a un completamento delle opere.
Nonostante i trucchetti, però, adesso Berlusconi è
nei guai. Davanti al notaio egli mise nero su bianco quanto segue: "Nel
caso in cui al termine dei 5 anni di governo almeno 4 di questi 5 traguardi
non fossero stati raggiunti, Berlusconi s'impegna formal-mente a non
ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche".
Ebbene, gli obiettivi dei punti 1,3 e 4 sono ormai fuori della sua portata.
II nostro presidente del Consiglio ha bisogno d'un nuovo contratto". A
fine settembre anche Ferrara ha chiesto di voltare pagina: "Perché siamo
ancora fermi a Vespa, alle promesse e alla scrivania di ciliegio su cui furono
vergate?".
Per Berlusconi però c'è un problema urgente e drammatico, impedire che il
fallimento del Contratto 2001 venga certificato ufficialmente. In quel caso
l'inadempiente dovrebbe ritirarsi a vita privata tra i fischi della gente.
Ma come scongiurare la maledetta ipotesi? Truccare i dati dell'INPS o
dell'ISTAT non è facile nemmeno per lui. La sua migliore via d'uscita, gira
e rigira, si chiama elezioni anticipate. Soltanto se la legislatura finisse
prima della scadenza del Contratto, primavera 2006, il premier potrebbe
dichiararsi non colpevole di alcuna violazione.
È da tempo
oltretutto che si augura lo scioglimento delle Camere. Per prevenire il ritorno
in Italia di Romano Prodi; per ridisegnare i rapporti di forza nel centrodestra
punendo gli alleati infidi; per tuffarsi a corpo morto nell'unica attività in
cui eccelle, la propaganda violenta.
…e
i due saranno una carne sola
All'inizio della creazione Dio li «
creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre
e i due saranno una carne sola». {Marco 10,6-7). Purtroppo questo essere
"una carne sola" nell'atto sessuale, sì, ma soprattutto nella
donazione delle due vite e del proprio amore, è stato spesso deformato in un
gesto di violenza brutale. Già nella Genesi, dopo il peccato, quel rapporto è
letto in tutt'altra forma: «Verso il tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti
dominerà» (3,16).
L'amore ma anche la violenza sono un po' il filo conduttore della storia di
una giovane donna, la cui vicenda amara è narrata nel capitolo 34 della Genesi.
Il suo nome era Dina ed era la figlia che il patriarca Giacobbe aveva avuto
dalla prima moglie Lia. Il clan ebraico si era accampato nei pressi di Sichem,
una città posta nella regione centrale della Terra santa, la futura Samaria.
La ragazza aveva voluto recarsi in città per incontrare e conoscere qualche
coetanea e divertirsi con lei.
La notò, forse proprio perché straniera, il figlio del principe della città,
il cui nome era lo stesso di quello della città, Sichem. Fu un colpo di
fulmine:
si innamorò, la corteggiò e riuscì a conquistarla. Ma, anche dopo l'atto
sessuale, il suo desiderio era quello di sposarla. Giacobbe e i fratelli di
Dina, saputa la notizia, s'indignarono
per quella che essi consideravano una violenza e una violazione delle norme
procedurali matrimoniali dell'antico Vicino Oriente.
Nonostante la buona volontà
del padre di Sichem, che aveva subito aperto il procedimento per legalizzare
l'unione di suo figlio con Dina, avviando una trattativa con Giacobbe, i
fratelli di Dina covavano in cuor loro il desiderio di vendicare quello che
consideravano un affronto. Così escogitarono un tranello. Imposero come
condizione che Sichem
e tutti i maggiorenti della città si circoncidessero
per avere, così, un'omogeneità culturale e religiosa con loro. Il principe
Sichem accolse questa proposta, convinse «quanti avevano accesso alla porta
della sua città» - cioè i notabili e i guerrieri perché la "porta"
era il nostro municipio o palazzo comunale e di governo - a circoncidersi.
È a questo punto che scatta la brutale vendetta dei fratelli di Dina. Ascoltiamo
il racconto biblico: «Al terzo giorno, quando i Sichemiti erano più sofferenti
(per il taglio della circoncisione), due figli di Giacobbe e fratelli di Dina,
Simeone e Levi, presero ciascuno una spada, entrarono senza difficoltà in
città e uccisero tutti i maschi. Passarono a fil di spada Sichem e suo padre,
portarono via Dina e si allontanarono. Gli altri fratelli si buttarono sui
cadaveri e saccheggiarono la città» (34,25-27).
Giacobbe reagì a questa strage, consapevole che sarebbe scattata la
ritorsione da parte delle tribù collegate ai Sichemiti e fu costretto a
trasferirsi col suo clan altrove. Anche in punto di morte ricorderà con
asprezza la violenza di Simeone e Levi: «Strumenti di violenza sono i loro
coltelli... Maledetta la loro ira, perché violenta, la loro collera perché
crudele!» {Gè-nesi 49,5-7). È curioso notare che Dina non dice una
parola, lei che pure era innamorata di Sichem: è questo il segno di quei tempi
(ma non solo!), in cui il maschio imperava e la donna era solo una suddita silenziosa
e obbediente.
Ravasi Gianfranco, Famiglia Cristiana del 5
ottobre 2003
Gennaio | Febbraio | Marzo | Aprile | Maggio | Giugno |
Luglio | Agosto | Settembre | Novembre | Dicembre |
Home page | Grafologia | Psicologia | Cinema |