Febbraio 2004

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Ultima revisione: 28/02/04

       
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Sommario

In principio era il Verbo
Chi brandisce la croce
Egalité
La fede e il dubbio
«Vocatus atque non vocatus, Deus aderit»
A proposito di "taroccati"
Berlusconi e il Papa

Chi brandisce la croce
Nell’accentuare il suo carattere di "partito etnico", la Lega si accinge a un sempre maggiore uso politico della religione. In quanto imprenditore politico della xenofobia il Carroccio è soprattutto un movimento antislamico. A con­ferma che per la Lega l'islam è davvero l'Altro irriducibile. La presenza dell'islam nel territorio è percepita dal Carroccio come evento che mette in discussione uno dei cardini della weltan-schaaung padana: l'unità armonica tra comunità originaria e luogo, minacciata dalla globalizzazione del locale. Difendendo quest'artificiale visione della so­cietà, che perde così qualsiasi connotazione di differenziazio­ne, la Lega tenta di dare forma po­litica alla nostalgia della "comu­nità impossibile". Un "cerchio caldo" sbrecciato dai mutamenti sociali, immigrazione compresa, che hanno investito la società ita­liana. Difende, però, anche il lo-calismo, forma specifica di inter­pretare il mondo. Per la Lega l'islam è, soprattutto, un fattore di "inquinamento etnico del terri­torio"; un innesto estraneo, e pa­tologico, che minaccia l'integrità e "l'identità dei popoli padani" fondata su presupposti e "innati" vincoli culturali
Un'identità che a Nord non può prescindere interamente dal rapporto con la cristianità. La Le­ga è storicamente radicata in Ve­neto, in Brianza, nel Bergamasco e in alcune aree del Piemonte. Terre tradizionalmente cattoli-che, un tempo politicamente bianche, poi transitate nell'Italia "verde". Terre in cui la Chiesa è stata a lungo riferimento etico e normativo della società locale, come ricorda nel suo recente la­voro Ilvo Diamanti. Alla dispera­ta ricerca di riferimenti alternati­vi Bossi aveva in passato resusci­tato improbabili miti celtici. Ma lo stesso radicamento territoriale del partito rendeva mero folclore quelle simbologie paganeggian-ti. Simboli più consoni alla me­moria cristiana locale, ipotecati dal loro riferimento antislamico, come Poitiers, Lepanto, Vienna, sono cosi diventati i veri miti-motore del movimento.
Il cristianesimo in salsa leghi­sta, più che un marcatore religio­so è un marcatore identitario che cerca di saldare, etnicamente, identità cristiana e "identità pa­dana". Ma rifarsi alla cristianità significa, inevitabilmente, incro­ciare la strada della Chiesa, della sua rappresentazione e della sua rappresentanza. In particolare nel Nordest, dove Chiesa e Lega sovrappongono la loro sfera d ' in­fluenza, etica e politica, nel me­desimo territorio. Ne è nato un conflitto nemmeno tanto sotter­raneo. Negli Anni 80 la Lega ha guardato alla Chiesa come un Nemico per il sostegno che essa dava alla De: la fine dell'unità po­litica dei cattolici era un passag­gio obbligato per fare del Carroc­cio un partito territoriale di mas­sa. In seguito l'episcopato del Nord ha contrastato le spinte centrifughe che minacciavano l'unità.
Oggi la competizione ha come oggetto transizionale l'islam. Agitare genericamente la que­stione immigrazione, nonostan­te le molteplici sindromi dell'at­tuale "società della paura", non è sufficiente per conquistare am­pie fette del voto cattolico del Nord. Realisticamente il Nord del paese sa che, senza immigrati, il sistema produttivo sarebbe al collasso. Da qui la necessità le­ghista di declinare la questione immigrazione in questione isla­mica, da questione affrontata sin qui in termini di ordine pubblico e mercato del lavoro in questione religiosa. Per intercettare quella parte del mondo cattolico che potrebbe decidere il suo orienta­mento elettorale in relazione a un tipico tema valoriale come la di­fesa della propria identità religio­sa.
Così, al grido bossiano di «mai il minareto butti l'ombra sul cam­panile», la Lega ha cercato spesso di intervenire nella discussione sull'islam in corso nella Chiesa. Flirtando con il cattolicesimo preconciliare dei lefebvriani o di
Baget Bozzo, che nel Carroccio vede il principale attore della «difesa della Padania dall'islamizzazione». Sostenendo le posizioni di vescovi come Biffi e Maggioli­ni. Schierandosi in prima linea in battaglie come quella del crocifisso. La recente rivendicazione di Bossi, che afferma apertamen­te il suo cattolicesimo tradiziona­lista e condanna il Concilio Vati­cano II come evento che segna l'abdicazione della Chiesa alla modernità, è solo l'ultimo episo­dio di questa saga religiosa. In cui il Carroccio si batte più per un cri­stianesimo senza Chiesa che per un cristianesimo ecclesiocentrico diversamente orientale. Per un cristianesimo identitario, più che per un cristianesimo fondato sulla religiosità. Per un cristiane­simo senza Cristo, che per il cristianesimo della Croce.
Nonostante le convergenze su temi come bioetica, sostegno alla famiglia, crocifisso, o i recenti in­contri coni vertici della CEI, la Le­ga percepisce la Chiesa come un ostacolo che gli impedisce di ca­pitalizzare una formidabile risor­sa simbolica, l'identità cristiana, nella battaglia contro l'islam; che inibisce la massimizzazione di quella risorsa simbolica proprio nel momento in cui si apre a destra uno spazio politico impensa­bile sino a qualche tempo fa. u neorevisionismo di AN, il cui rifiuto della xenofobia è essenziale per dare piena legittimità politica al nuovo corso senza tutela del partito postfascista, spalanca un vuoto enorme sul terreno del contrasto ideologico all'immi­grazione. E in politica i vuoti si riempiono rapidamente. Tanto più in presenza di un partito co­me la Lega che ha la xenofobia nel suo dna politico.
Sulla questione islam il Car­roccio lancia la sua sfida ai cristiani per decidere chi impugna la Croce. Come in tutte le società postindustriali, dunque, anche in Italia il conflitto di valori diventa decisivo. E l'uso politico della religione diviene, sempre più, parte integrante di quel tipo di conflitto.
Renzo Guolo, da: la Repubblica

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Egalité
In nome della uguaglianza si sono massacrate individualità, culture, destini. A tutte le "grandi parole" è ora di porre il silenziatore -o almeno evitare che ne usino i tromboni. Ma è davvero inevitabile, per intendere il senso di "uguaglianza", pensare ad una essenza naturale dell'uomo, e cioè spogliarlo di ogni propria personalità, "liberarlo" dalla sua storia? Se così fosse, "uguaglianza" confliggerebbe tragicamente con libertà. Ma forse, invece, è lecito intendere uguaglianza come la condizione che ci consente di manifestare la diversità di ciascuno, come il disporre di mezzi uguali proprio per poter liberamente divergere. E poter divenire amici proprio grazie, e non malgrado, tale libero distinguerci. Al termine "fatale" fraternité penso andrebbe preferito questo di amicizia. Egalité pensa l'amicizia come, appunto, amicizia tra uguali; e perciò parla di fratellanza. Quell'uguaglianza e quella libertà cui abbiamo accennato pensano invece all'amicizia che può legare anche le stelle più lontane.
Massimo Cacciari

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La fede e il dubbio
Possono stare assieme? Sono ugualmente utili e necessari?
La fede cieca è spesso beata, ma anche beota o almeno una fede passiva, perché non filtrata dalla riflessione, che nasce invece proprio dal dubbio. La fede senza riflessione comunque  ha una sua funzione: quella di accompagnare le anime semplici prive di cultura e  di attitudine alla riflessioni. Dovrebbero  forse essere privati del dono della fede, dal momento che non hanno cultura e intelligenza?
Il dubbio è fonte di ricerca e gravido di riflessioni e capace quindi di portare ad una fede consapevole e, a certe condizioni, più solida. Quali le condizioni? L’umiltà, la consapevolezza che la mente umana non può penetrare tutto. È la condizione, se ben si riflette, del vero intellettuale che “sa di non sapere”.
Ma la fede non può essere nemmeno un sentimento individuale, che ognuno si accomoda da sé, magari dopo lunga e dubbiosa riflessione. A parte i rischio di confondere la fede individuale con  quell’egoismo che ci porta a scegliere sempre quello che ci fa comodo, il rischio cioè di confondere la fece col proprio piacere; a parte questo rischio un fede che discenda da una autorità, fondata su una autorità, quindi una Chiesa è utile e proficua anche sul piano pratico, sul piano della necessaria trasformazione del credere nell’agire e nel fare qualcosa che trascenda la propria individualità, nel fare qualcosa in una comunità per unire le proprie forze a quelle degli altri per un bene superindividuale. Quale Chiesa? La vita, la storia propongono agli alcuni sempre qualche “chiesa; l’importante è non vivere una fece individuale e solitaria, tendenzialmente egoistica, e quindi condannata alla sterilità, ma unire la forze che da la fede a quella di altri solidali.

P.S.
In morte di Norberto Bobbio
Quanta tristezza in quelle ultime parole delle interviste trasmesse dalle TV! Era un grande uomo  di cultura, ma un piccolo essere  solitario e senza speranza, perchè senza  una fede vera e viva  e senza una "chiesa", nè laica, nè religiosa, nè politica, che gli offrisse una confortante compagnia di sodali.

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«Vocatus atque non vocatus, Deus aderit»
La famosa battuta del Diario di un curato di campagna di Bemanos, «Tutto è grazia», esprime in modo folgorante il cuore della teologia cristiana che esalta il primato dell'amore divino che precede quello umano. Sulla facciata della casa di Jung a Kiissnacht era posta questa epigrafe che raccoglieva un detto della tradizione medievale: «Vocatus atque non vocatus, Deus aderit», la presenza divina antecede ogni attesa o richiesta umana; invocato o ignorato e persino escluso, Dio si presenterà sempre all'orizzonte della storia. Questo primato dell'epifania divina è fondamentale nella Bibbia che non narra tanto un'e­sperienza dell'uomo su Dio ma prima di tutto un'esperienza di Dio che entra nella storia uma­na ed è per que­sto che si parla di «storia santa o sacra».
C'è un a priori assoluto di Dio rispetto ad ogni ricerca dell'uomo. Esso potrebbe essere ben espresso col noto ribaltamento al passivo del Cogito cartesiano operato da Karl Barth: «Cogitor, ergo sum», pro­prio perché io sono pensato e amato da Dio posso poi pensare e amare Dio. Prima ancora che l'uomo inizi la sua strada verso Sion, Dio si è già fatto annunziare alla porta di casa, come dice la stupenda mini-parabola dell'Apocalisse: «Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me». Molto suggestiva è anche la dichiarazione di Paolo nella Lettera ai Romani ove l'Apostolo pone in bocca a Dio questa frase: «Sono stato trovato anche da quelli che non mi cercavano. Mi sono rivelato a quelli che non si rivolgevano a me». Dio è disponibile anche ai lonta­ni, ai peccatori, agli "atei", a coloro che non lo cercano.
L'esperienza di Paolo era ap­punto quella dell'essere stato «conquistato o impugnato» da Cristo sulla via di Damasco, pro­prio quando egli era il più remo­tamente lontano da lui. Questa irruzione del Cristo glorioso non era scaturita da meccanismi psi­cologici di attesa o da scelte di conversione ma dalla libera epi­fania della grazia divina. Paolo, allora, descrive autobiograficamente la sua esperienza perso­nale come un "prima" e un "poi", come un "passato" e un "futuro" che hanno come discri­minante un atto decisivo della grazia divina.
La Bibbia è l'annunzio conti­nuo del primato della rivelazio­ne sulla ricerca, della grazia sul merito, del Regno di Dio che cre­sce da solo come il seme nella terra, sia che il contadino dorma sia che vegli.
Franco Ravasi, da: la Repubblica

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Un presidente "taroccato"
Si dice che Berlusconi sia scomparso dalla circolazione per circa un mese perchè doveva farsi il lifting (intervento di belfaroplastica). Pare che lui stesso abbia affermato che si è rifatto "bello per la TV", in vista delle campagne elettorali per le elezioni amministrative ed europee della prossima primavera. Se questo è vero, si può dire che avremo un presidente non autentico, ma truccato, un presidente che si presenterà agli elettori  di un bello "non suo", ma soprattutto un presidente che è preoccupato soprattutto di mostrasi bello, simpatico, giovanile per attirare i voti. Secondo me, i voti dovrebbero essere "attirati" esibendo ben altri valori: la capacità di governare, progetti programmatici onesti e realizzabili, una specchiata onestà personale, ecc.
Il volersi "far bello per la TV" rivela l'intento, conscio o subconscio, di ingannare gli elettori con delle apparenze e  non quello di convincerli con delle essenze.
Si potrebbe rivolgere  a Berlusconi l'accusa di  volere ingannare gli elettori, come fanno quelli di Striscia la notizia che accusano Bonolis di presentare un programma con dei trucchi. 

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Il Papa e Berlusconi
Come sempre il premier è riuscito nel suo ennesimo colpo mediatico: si è rifatto la faccia in vista dei prossimi impegni “politici”. Da anni ormai ci spiegano che l'immagine è tutto, e che in politica vince non la politica stessa ma la sua apparenza. Non so se il nostro (?) capo saprà essere  un vero leader con una faccia trasecolata, fragile, tecnologicamente imperfetta, svuotata di vita, anonima come tutte quelle da cui si cancellano i pensieri e gli anni, le espressioni e le emozioni, il passato di enormi successi e il presente di molte preoccupazioni.
Certo però fa impressione notare che, mentre il mondo guarda soggiogato e partecipe un Papa che nella sua veste bianca, nel suo parlare affaticato, nel suo corpo piegato, si fa forte della sofferenza,  che non si vergogna della decadenza fisica, non cede alla malattia e agli anni, il premier di un’Italia con mille problemi irrisolti, con la sua smania di impossibile giovinezza, bellezza e perfezione, non si accorga di offendere i milioni di persone toccate dagli anni, dalla decadenza, dalla imperfezione fisica, da tutto ciò che a lui fa orrore e non può accettare per sé.

 

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