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In principio era il Verbo Chi brandisce la croce Egalité La fede e il dubbio «Vocatus atque non vocatus, Deus aderit» A proposito di "taroccati" Berlusconi e il Papa |
Chi brandisce la croce
Nell’accentuare
il suo carattere di "partito etnico", la Lega si accinge a un sempre
maggiore uso politico della religione. In quanto imprenditore politico della
xenofobia il Carroccio è soprattutto un movimento antislamico. A conferma che
per la Lega l'islam è davvero l'Altro irriducibile. La presenza dell'islam nel
territorio è percepita dal Carroccio come evento che mette in discussione uno
dei cardini della weltan-schaaung padana: l'unità armonica tra comunità
originaria e luogo, minacciata dalla globalizzazione del locale. Difendendo
quest'artificiale visione della società, che perde così qualsiasi
connotazione di differenziazione, la Lega tenta di dare forma politica alla
nostalgia della "comunità impossibile". Un "cerchio
caldo" sbrecciato dai mutamenti sociali, immigrazione compresa, che hanno
investito la società italiana. Difende, però, anche il lo-calismo, forma
specifica di interpretare il mondo. Per la Lega l'islam è, soprattutto, un
fattore di "inquinamento etnico del territorio"; un innesto
estraneo, e patologico, che minaccia l'integrità e "l'identità dei
popoli padani" fondata su presupposti e "innati" vincoli
culturali
Un'identità che a Nord non può prescindere interamente dal rapporto con la
cristianità. La Lega è storicamente radicata in Veneto, in Brianza, nel
Bergamasco e in alcune aree del Piemonte. Terre tradizionalmente cattoli-che, un
tempo politicamente bianche, poi transitate nell'Italia "verde". Terre
in cui la Chiesa è stata a lungo riferimento etico e normativo della società
locale, come ricorda nel suo recente lavoro Ilvo Diamanti. Alla disperata
ricerca di riferimenti alternativi Bossi aveva in passato resuscitato
improbabili miti celtici. Ma lo stesso radicamento territoriale del partito
rendeva mero folclore quelle simbologie paganeggian-ti. Simboli più consoni
alla memoria cristiana locale, ipotecati dal loro riferimento antislamico,
come Poitiers, Lepanto, Vienna, sono cosi diventati i veri miti-motore del
movimento.
Il cristianesimo in salsa leghista, più che un marcatore religioso è un
marcatore identitario che cerca di saldare, etnicamente, identità cristiana e
"identità padana". Ma rifarsi alla cristianità significa,
inevitabilmente, incrociare la strada della Chiesa, della sua rappresentazione
e della sua rappresentanza. In particolare nel Nordest, dove Chiesa e Lega
sovrappongono la loro sfera d ' influenza, etica e politica, nel medesimo
territorio. Ne è nato un conflitto nemmeno tanto sotterraneo. Negli Anni 80
la Lega ha guardato alla Chiesa come un Nemico per il sostegno che essa dava
alla De: la fine dell'unità politica dei cattolici era un passaggio
obbligato per fare del Carroccio un partito territoriale di massa. In
seguito l'episcopato del Nord ha contrastato le spinte centrifughe che
minacciavano l'unità.
Oggi la competizione ha come oggetto transizionale l'islam. Agitare
genericamente la questione immigrazione, nonostante le molteplici sindromi
dell'attuale "società della paura", non è sufficiente per
conquistare ampie fette del voto cattolico del Nord. Realisticamente il Nord
del paese sa che, senza immigrati, il sistema produttivo sarebbe al collasso. Da
qui la necessità leghista di declinare la questione immigrazione in questione
islamica, da questione affrontata sin qui in termini di ordine pubblico e
mercato del lavoro in questione religiosa. Per intercettare quella parte del
mondo cattolico che potrebbe decidere il suo orientamento elettorale in
relazione a un tipico tema valoriale come la difesa della propria identità
religiosa.
Così, al grido bossiano di «mai il minareto butti l'ombra sul campanile»,
la Lega ha cercato spesso di intervenire nella discussione sull'islam in corso
nella Chiesa. Flirtando con il cattolicesimo preconciliare dei lefebvriani o di
Baget Bozzo, che nel Carroccio vede il principale attore della «difesa della
Padania dall'islamizzazione». Sostenendo le posizioni di vescovi come Biffi e
Maggiolini. Schierandosi in prima linea in battaglie come quella del
crocifisso. La recente rivendicazione di Bossi, che afferma apertamente il suo
cattolicesimo tradizionalista e condanna il Concilio Vaticano II come evento
che segna l'abdicazione della Chiesa alla modernità, è solo l'ultimo episodio
di questa saga religiosa. In cui il Carroccio si batte più per un cristianesimo
senza Chiesa che per un cristianesimo ecclesiocentrico diversamente orientale.
Per un cristianesimo identitario, più che per un cristianesimo fondato sulla
religiosità. Per un cristianesimo senza Cristo, che per il cristianesimo
della Croce.
Nonostante le convergenze su temi come bioetica, sostegno alla famiglia,
crocifisso, o i recenti incontri coni vertici della CEI, la Lega percepisce
la Chiesa come un ostacolo che gli impedisce di capitalizzare una formidabile
risorsa simbolica, l'identità cristiana, nella battaglia contro l'islam; che
inibisce la massimizzazione di quella risorsa simbolica proprio nel momento in
cui si apre a destra uno spazio politico impensabile sino a qualche tempo fa.
u neorevisionismo di AN, il cui rifiuto della xenofobia è essenziale per dare
piena legittimità politica al nuovo corso senza tutela del partito
postfascista, spalanca un vuoto enorme sul terreno del contrasto ideologico
all'immigrazione. E in politica i vuoti si riempiono rapidamente. Tanto più
in presenza di un partito come la Lega che ha la xenofobia nel suo dna
politico.
Sulla questione islam il Carroccio lancia la sua sfida ai cristiani per
decidere chi impugna la Croce. Come in tutte le società postindustriali,
dunque, anche in Italia il conflitto di valori diventa decisivo. E l'uso
politico della religione diviene, sempre più, parte integrante di quel tipo di
conflitto.
Renzo Guolo, da: la Repubblica
Egalité
In nome della uguaglianza si sono
massacrate individualità, culture, destini. A tutte le "grandi
parole" è ora di porre il silenziatore -o almeno evitare che ne usino i
tromboni. Ma è davvero inevitabile, per intendere il senso di
"uguaglianza", pensare ad una essenza naturale dell'uomo, e cioè
spogliarlo di ogni propria personalità, "liberarlo" dalla sua storia?
Se così fosse, "uguaglianza" confliggerebbe tragicamente con libertà.
Ma forse, invece, è lecito intendere uguaglianza come la condizione che ci
consente di manifestare la diversità di ciascuno, come il disporre di mezzi
uguali proprio per poter liberamente divergere. E poter divenire amici proprio
grazie, e non malgrado, tale libero distinguerci. Al termine "fatale" fraternité
penso andrebbe preferito questo di amicizia. Egalité pensa l'amicizia
come, appunto, amicizia tra uguali; e perciò parla di fratellanza.
Quell'uguaglianza e quella libertà cui abbiamo accennato pensano invece
all'amicizia che può legare anche le stelle più lontane.
Massimo Cacciari
La fede e
il dubbio
Possono stare assieme? Sono ugualmente utili e necessari?
La fede cieca è spesso beata, ma anche beota o almeno una fede passiva, perché
non filtrata dalla riflessione, che nasce invece proprio dal dubbio. La fede
senza riflessione comunque ha una
sua funzione: quella di accompagnare le anime semplici prive di cultura e
di attitudine alla riflessioni. Dovrebbero
forse essere privati del dono della fede, dal momento che non hanno
cultura e intelligenza?
Il dubbio è fonte di ricerca e gravido di riflessioni e capace quindi di
portare ad una fede consapevole e, a certe condizioni, più solida. Quali le
condizioni? L’umiltà, la consapevolezza che la mente umana non può penetrare
tutto. È la condizione, se ben si riflette, del vero intellettuale che “sa di
non sapere”.
Ma la fede non può essere nemmeno un sentimento individuale, che ognuno si
accomoda da sé, magari dopo lunga e dubbiosa riflessione. A parte i rischio di
confondere la fede individuale con quell’egoismo che ci porta a scegliere sempre quello che ci
fa comodo, il rischio cioè di confondere la fece col proprio piacere; a parte
questo rischio un fede che discenda da una autorità, fondata su una autorità,
quindi una Chiesa è utile e proficua anche sul piano pratico, sul piano della
necessaria trasformazione del credere nell’agire e nel fare qualcosa che
trascenda la propria individualità, nel fare qualcosa in una comunità per
unire le proprie forze a quelle degli altri per un bene superindividuale. Quale
Chiesa? La vita, la storia propongono agli alcuni sempre qualche “chiesa;
l’importante è non vivere una fece individuale e solitaria, tendenzialmente
egoistica, e quindi condannata alla sterilità, ma unire la forze che da la fede
a quella di altri solidali.
P.S.
In morte di Norberto Bobbio
Quanta tristezza in quelle ultime parole delle interviste trasmesse
dalle TV! Era un grande uomo di cultura, ma un piccolo essere
solitario e senza speranza, perchè senza una fede vera e viva e senza
una "chiesa", nè laica, nè religiosa, nè politica, che gli offrisse
una confortante compagnia di sodali.
«Vocatus
atque non vocatus, Deus aderit»
La famosa
battuta del Diario di un curato di campagna di Bemanos, «Tutto è grazia»,
esprime in modo folgorante il cuore della teologia cristiana che esalta il
primato dell'amore divino che precede quello umano. Sulla facciata della casa di
Jung a Kiissnacht era posta questa epigrafe che raccoglieva un detto della
tradizione medievale: «Vocatus atque non vocatus, Deus aderit», la
presenza divina antecede ogni attesa o richiesta umana; invocato o ignorato e
persino escluso, Dio si presenterà sempre all'orizzonte della storia. Questo
primato dell'epifania divina è fondamentale nella Bibbia che non narra tanto
un'esperienza dell'uomo su Dio ma prima di tutto un'esperienza di Dio che
entra nella storia umana ed è per questo che si parla di «storia santa o
sacra».
C'è un a priori assoluto di Dio rispetto ad ogni ricerca dell'uomo. Esso
potrebbe essere ben espresso col noto ribaltamento al passivo del Cogito
cartesiano operato da Karl Barth: «Cogitor, ergo sum», proprio perché
io sono pensato e amato da Dio posso poi pensare e amare Dio. Prima ancora che
l'uomo inizi la sua strada verso Sion, Dio si è già fatto annunziare alla
porta di casa, come dice la stupenda mini-parabola dell'Apocalisse: «Ecco
sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io
verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me». Molto suggestiva è anche
la dichiarazione di Paolo nella Lettera ai Romani ove l'Apostolo pone in bocca a
Dio questa frase: «Sono stato trovato anche da quelli che non mi cercavano.
Mi sono rivelato a quelli che non si rivolgevano a me». Dio è disponibile
anche ai lontani, ai peccatori, agli "atei", a coloro che non lo
cercano.
L'esperienza di Paolo era appunto quella dell'essere stato «conquistato o
impugnato» da Cristo sulla via di Damasco, proprio quando egli era il più
remotamente lontano da lui. Questa irruzione del Cristo glorioso non era
scaturita da meccanismi psicologici di attesa o da scelte di conversione ma
dalla libera epifania della grazia divina. Paolo, allora, descrive
autobiograficamente la sua esperienza personale come un "prima" e un
"poi", come un "passato" e un "futuro" che hanno
come discriminante un atto decisivo della grazia divina.
La Bibbia è l'annunzio continuo del primato della rivelazione sulla
ricerca, della grazia sul merito, del Regno di Dio che cresce da solo come il
seme nella terra, sia che il contadino dorma sia che vegli.
Franco Ravasi, da: la Repubblica
Un
presidente "taroccato"
Si
dice che Berlusconi sia scomparso
dalla circolazione per circa un mese perchè doveva farsi il lifting (intervento
di belfaroplastica). Pare che lui stesso abbia affermato che si è rifatto
"bello per la TV", in vista delle campagne elettorali
per le elezioni amministrative ed europee della prossima primavera. Se questo è
vero,
si può dire che avremo un presidente non
autentico, ma truccato, un presidente che si presenterà agli elettori di
un bello "non suo", ma soprattutto un presidente
che è preoccupato soprattutto di mostrasi bello, simpatico, giovanile per
attirare i voti. Secondo me, i voti dovrebbero essere "attirati"
esibendo ben altri valori: la capacità di governare, progetti programmatici
onesti e realizzabili, una specchiata onestà personale, ecc.
Il
volersi "far bello per la TV" rivela l'intento, conscio o subconscio,
di ingannare gli elettori
con delle
apparenze e
non quello di convincerli
con delle essenze.
Si potrebbe rivolgere
a Berlusconi l'accusa
di volere ingannare gli elettori, come fanno quelli di Striscia
la notizia che accusano Bonolis di presentare
un programma con dei trucchi.
Il Papa e Berlusconi
Come sempre il premier è riuscito nel suo ennesimo colpo mediatico: si è
rifatto la faccia in vista dei prossimi impegni “politici”. Da anni ormai ci
spiegano che l'immagine è tutto, e che in politica vince non la politica stessa
ma la sua apparenza. Non so se il nostro (?) capo saprà essere un
vero leader con una faccia trasecolata, fragile, tecnologicamente imperfetta,
svuotata di vita, anonima come tutte quelle da cui si cancellano i pensieri e
gli anni, le espressioni e le emozioni, il passato di enormi successi e il
presente di molte preoccupazioni.
Certo però
fa impressione notare che, mentre il mondo guarda soggiogato e partecipe un Papa
che nella sua veste bianca, nel suo parlare affaticato, nel suo corpo piegato,
si fa forte della sofferenza, che
non si vergogna della decadenza fisica, non cede alla malattia e agli anni, il
premier di un’Italia con mille problemi irrisolti, con la sua smania di
impossibile giovinezza, bellezza e perfezione, non si accorga di offendere i
milioni di persone toccate dagli anni, dalla decadenza, dalla imperfezione
fisica, da tutto ciò che a lui fa orrore e non può accettare per sé.
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