Fabrizio
Cristiano De André nacque a Genova Pegli, in via De Nicolay
12, il 18 febbraio 1940. Leggenda vuole che sul grammofono
di casa, per alleviare le doglie della moglie, il professor
Giuseppe De André mettesse il Valzer campestre di Gino
Marinuzzi, da cui anni dopo Fabrizio avrebbe tratto spunto
per uno dei suoi primi brani, Valzer per un amore.
A causa della guerra, che aveva indotto molta gente a
sfollare, trascorse i primissimi anni della sua vita nella
casa di campagna di Revignano d'Asti, in compagnia della
madre (Luisa Amerio), del fratello Mauro e delle due nonne,
mentre il padre fu costretto alla macchia per sfuggire ai
fascisti che lo braccavano.
Quel breve periodo fu sicuramente uno dei più importanti e
formativi per lui: per il tipo di vita che condusse, libero
e spensierato, e per alcuni incontri determinanti, come
quello col fattore Emilio Fassio, che gli trasmise l'amore
per gli animali e per un ambiente che Fabrizio ricercherà
per tutta la vita. L'infanzia a Revignano d'Asti e i
personaggi che la popolarono - come la piccola Nina Manfieri
(cui molti anni dopo dedicherà la canzone
Ho visto Nina
volare) o i contadini Emilio e Felicina Fassio - rimarranno
fonte di rimpianto e di ispirazione fino alla sua
ultimissima produzione.
Come ha raccontato la madre, "Fabrizio era felicissimo di
correre per i campi, di seguire i contadini nel lavoro, di
andare a caccia con loro... Finita la guerra eravamo tutti
felici di ritornare in città. Lui era disperato... Aveva
cinque anni. Fu una dura sofferenza per lui, abituato
com'era a correre libero per i prati... Fin da piccolo non
sopportava di veder la gente soffrire. Quando uscivamo
insieme, ogni volta che incontravamo un mendicante mi
obbligava a fermarmi e a dargli dei soldi" [In queste ultime
parole emerge la spontaneità, direi quasi l'innatezza della
dimensione solidaristica del futuro anarchico].
Al termine del conflitto, la famiglia ritornò a Genova
stabilendosi nella nuova casa di Via Trieste 13.
Nell'ottobre del 1946 Fabrizio fu iscritto alla prima
elementare presso l'Istituto delle suore Marcelline, che
egli - manifestando fin da allora l'insofferenza agli spazi
ristretti e alla disciplina, ma anche una vena ironica che
saprà spesso trasformarsi in autoironia - ribattezzò
"Porcelline". Vani essendo risultati i tentativi delle
monache di indurlo a studiare, i suoi decisero di iscriverlo
per l'anno successivo a una scuola statale: Fabrizio iniziò
così la seconda elementare alla scuola Armando Diaz, in via
Cesare Battisti 5.
Nell'agosto 1948, a Pocol, sopra Cortina, incontrò per la
prima volta Paolo Villaggio, allora sedicenne. I due
simpatizzarono subito, ma i sette anni di differenza non
permisero allora che quella simpatia sfociasse in una vera e
propria amicizia. Paolo e Fabrizio si persero così di vista
per ritrovarsi solo una decina di anni dopo sulle tavole di
un palcoscenico; e da quel momento divennero inseparabili.
Nell'estate del 1950, terminata la quarta elementare,
Fabrizio trascorse l'ultima vacanza a Revignano. Il
professore aveva infatti deciso di vendere il cascinale e di
acquistare un appartamento ad Asti. Fabrizio soffrì
moltissimo, perché a quel luogo erano legati i suoi più bei
ricordi d'infanzia. Dentro di sé decise che, una volta
diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale e comunque
non avrebbe abbandonato quei posti che tanto amava. Quel
desiderio lo avrebbe accompagnato negli anni a venire e,
agli amici che aveva (e che avrebbe avuto) non mancò di
confidare il desiderio di un'azienda agricola tutta per sé.
Anni dopo realizzerà questo sogno, anche se al di là del suo
mare, in Sardegna.
Nell'ottobre del 1951 Fabrizio iniziò le medie alla Giovanni
Pascoli, nello stesso complesso scolastico che ospitava le
elementari Armando Diaz. Ma, attratto com'era dal gioco e
dalla vita di strada, non mostrava interesse allo studio,
tanto da rimediare una bocciatura in seconda. Il padre,
infuriato, decise allora di affidarlo ai rigidissimi gesuiti
della Arecco, ma un deprecabile episodio con un padre "bulicio"
(omosessuale) lo indusse poi a fargli terminare le medie
nell'Istituto Palazzi", di cui era proprietario.
"Dopo le medie - ha raccontato ancora la madre - si iscrisse
al liceo classico Colombo, che frequentò regolarmente fino
alla licenza. Nelle materie letterarie andava abbastanza
bene, anche se non studiava molto, ma in quelle scientifiche
faceva fatica. Comunque non faceva proprio nulla per
prendersi un bel voto; gli bastava la sufficienza... La sua
passione era sempre la musica. Aveva avuto in regalo una
chitarra e non la lasciava mai, neppure quando andava in
bagno... Incominciò a scrivere qualche canzone, a cantarla".
Proprio durante gli anni del liceo avvenne un'esperienza
determinante per De Andrè: nella primavera del 1956,
infatti, suo padre portò dalla Francia due 78 giri di
Georges Brassens. Dall'incontro col grande cantautore
francese, Fabrizio ricavò stimoli per la lettura di autori
anarchici che non abbandonerà più: Bakunin e Malatesta,
Kropotkin e Stirner. Inoltre, nel mondo cantato da Brassens,
egli ritrovava quei personaggi così umili e veri che
vivevano nei caruggi della sua città e che troveranno
spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni.
De André si iscrisse anche all'università, ma le sue scelte
confermarono la scarsa propensione agli studi "ufficiali":
frequentò medicina, poi lettere e infine giurisprudenza,
senza laurearsi. Le sue giornate trascorrevano infatti tra
musica, letture (Villon e Dostoevskij, sempre Bakunin e
Stirner) e, soprattutto, serate in compagnia degli amici
Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo Villaggio e altri. Affermerà
in seguito, ricordando quel tempo: "Ebbi ben presto
abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due
binari: l'ansia per una giustizia sociale che ancora non
esiste, e l'illusione di poter partecipare, in qualche modo,
a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben
presto, la prima rimane".
Intanto, nel 1958, aveva composto Nuvole barocche e E fu la
notte, brani modesti scritti in collaborazione, che anni
dopo Fabrizio definirà come "due peccati di gioventù". E
infatti, già nell'estate del '60, scrisse insieme a Clelia
Petracchi quella che ha sempre considerato la sua prima vera
canzone, La ballata del Miche', che rimane, se non una delle
più belle, una delle più note e, in considerazione dei soli
vent'anni dell'autore, una delle più significative.
Nel luglio 1962 sposò Enrica Rignon (detta Puny) e il 29
dicembre dello stesso anno nacque il figlio Cristiano.
Fabrizio aveva appena ventitue anni, una famiglia e, più che
un lavoro, un hobby poco redditizio. Ma una svolta nella sua
carriera si verificò nel 1965, allorché Mina interpretò una
sua composizione, La canzone di Marinella, che divenne
immediatamente un best seller e lo impose all'attenzione
generale. "Mi arrivano seicentomila lire in un semestre (per
quegli anni una somma davvero considerevole) - dichiarò
Fabrizio in un'intervista. - Allora ho preso armi e bagagli,
moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso
Italia, che era un quartiere chic di Genova. Quindi chiusa
la storia con la laurea e con tutto il resto. Da quel
momento, cominciai a pensare che forse le canzoni
m'avrebbero reso di più e, soprattutto, divertito di più".
Sulla spinta di questo successo, nel 1966 vide la luce l'LP
d'esordio: Tutto Fabrizio De André, contenente alcuni dei
migliori brani scritti fino a quel momento, tra cui La
canzone di Marinella, La guerra di Piero, Il testamento, La
ballata del Miché, La canzone dell'amore perduto, La città
vecchia, Carlo Martello.
Al 33 giri fece seguito nel 1967
Volume 1, in cui spiccano
Via del Campo,
Bocca di rosa e
Preghiera in gennaio: le
prime due dedicate, con profondo senso di solidarietà e
comprensione, a due figure di prostitute; la terza composta
in occasione e a ricordo della tragica morte dell'amico
Luigi Tenco, suicidatosi il 27 gennaio a Sanremo.
Con questo album si aprì la stagione più prolifica della
carriera di De André; a breve distanza uno dall'altro
uscirono infatti:
Tutti morimmo a stento (1968),
Volume 3
(1968),
La buona novella (1970),
Non al denaro non all'amore
né al cielo (1971),
Storia di un impiegato (1973),
Canzoni
(1974) e
Volume 8 (1975).
Nel 1975 De André, che aveva sempre rifiutato il faccia a
faccia col pubblico, esordì dal vivo nel locale simbolo
della Versilia, "La Bussola". Nonostante i suoi timori
(sembra che all'ultimo momento non volesse più salire sul
palco), il concerto fu un vero e proprio successo.
Coi soldi guadagnati acquistò un'azienda agricola nelle
vicinanze di Tempio Pausania, in Sardegna. E nel 1977,
dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante milanese alla quale
si era legato dal 1974, dopo la separazione dalla prima
moglie), nacque Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo
uscirono gli album
Rimini (1978), scritto in
collaborazione con Massimo Bubola, e
In concerto con la PFM
(1979).
La sera del 27 agosto 1979 Dori e Fabrizio furono
sequestrati e rimasero prigionieri dell'Anonima per quattro
mesi. La drammatica esperienza non cancellò tuttavia l'amore
di Fabrizio per la sua terra d'adozione; tant'è vero che non
vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui
rilasciate dopo la liberazione: "I rapitori - disse - erano
gentilissimi, quasi materni... Ricordo che uno di loro una
sera aveva bevuto un po' di grappa di troppo e si lasciò
andare fino a dire che non godeva certo della nostra
situazione".
Il 29 ottobre 1980, all'età di sessant'anni, moriva l'amato
Brassens, ucciso da un tumore. De André ebbe a dire un anno
dopo, durante un'intervista concessa al quotidiano "La
Stampa": "Pur avendone avuto la possibilità, non ho mai
voluto conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse
una persona e magari scoprirlo anche antipatico. Per me è
stato un mito, una guida, un esempio; è grazie a lui che mi
sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il
superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai
borghesi certe forme di rispetto ai quali non erano
abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la
musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come
comportarsi o, al minimo, come non comportarsi".
Dopo un periodo di riposo, il cantautore tornò all'attività
con un album,
Fabrizio De André (Indiano) (detto così per
via del disegno di copertina), che contiene un brano,
Hotel Supramonte, che è la rievocazione dei traumi e delle
incertezze patiti durante il rapimento.
Nel 1984 uscì
Creuza de mä, da molti critici
considerato il suo capolavoro. Il disco, che gli valse
numerosi premi e riconoscimenti e che venne presentato al
pubblico nel corso di una memorabile tournée col figlio
Cristiano e con Mauro Pagani (della PFM), evoca suoni,
profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è
soprattutto - come lo ha definito Luigi Viva - "un canto
d'amore a Genova".
L'anno successivo Fabrizio fu colpito da un grave lutto:
all'età di 72 anni moriva infatti suo padre, uomo influente
e assai noto a Genova. In un'intervista all'amico Cesare G.
Romana dirà: "Il problema non è che gli volevo bene, perché
questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me".
Pochi anni dopo, nell'estate del 1989, morì il fratello
Mauro, colpito da aneurisma. Aveva appena 54 anni, e
Fabrizio fu naturalmente scosso dalla terribile notizia:
"Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era
anziano. Ma Mauro...".
Ci furono, però, anche momenti lieti, come il matrimonio con
Dori Ghezzi, celebrato nel dicembre del 1989 dopo quindici
anni di convivenza; e ci fu anche il matrimonio di
Cristiano.
Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, uscì il nuovo album
Le
nuvole, sicuramente il disco più apertamente
politico di tutta la produzione del cantautore, che tocca il
suo apice con La domenica delle salme.
Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour,
Fabrizio tornò a calcare il palcoscenico con rinnovato
successo, traendone l'album dal vivo
1991 -
Concerti.
Nel 1992, anno delle Colombiane, Genova festeggiò con
un'esposizione e lavori per svariati miliardi i cinquecento
anni della scoperta dell'America: De André venne invitato a
partecipare e ad esibirsi con Bob Dylan, ma rifiutò il
benché minimo coinvolgimento, ricordando anzi lo sterminio
degli Indiani d'America.
Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatré anni, venne a
mancare la madre Luisa, unica della famiglia a morire di
vecchiaia.
Nel 1996 uscì
Anime salve, scritto in collaborazione con
Ivano Fossati, che ruota intorno al duplice tema delle
minoranze isolate e della solitudine. Nello stesso anno
pubblica presso Einaudi Un destino ridicolo, romanzo scritto
a quattro mani con Alessandro Gennari.
Nel 1997 fu pubblicato Mi innamoravo di tutto, raccolta di
vecchi brani scelti dall'autore, fra cui spiccano la
versione originale di Bocca di rosa e La canzone di
Marinella cantata in duetto con Mina.
Nell'estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour
seguito ad Anime salve. La tac, eseguita il 25 agosto, non
lasciava speranze: tumore ai polmoni.
Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell'11
gennaio 1999, Fabrizio moriva presso l'Istituto Tumori di
Milano, dov'era ricoverato, assistito sino all'ultimo
momento dai suoi cari.
Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i
suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di
Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la
bandiera del Genoa (la sua squadra del cuore) e quella
anarchica (a testimonianza e ricordo del suo "credo"
politico, o meglio del suo "modo d'essere").
Riposa al
cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia. |