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tratto da "L'UNITA'" - 07/05/1989

 

UN ITALIANO A HOLLYWOOD: E' MORTO LO ZORRO TV

Don Diego de la Vega era un hidalgo di bell'aspetto, un po' azzimato, con baffetti da furbacchione e una buona famiglia un po' ingombrante. Ma invariabilmente, dopo una ventina di minuti di telefilm, indossava maschera e poncho neri, fischiava per richiamare il fedele cavallo Tornado, ache'esso nero come la pece, e diventava Zorro, la volpe, il difensore dei deboli e degli oppressi, una specie di Robin Hood del Messico sempre alle prese con i gendarmi guidati dal grasso sergente Garcia.

Avvenne 65 volte. 65 telefilm prodotti dalla Walt Disney che vennero trasmessi, nel corso degli anni, dalle televisioni di tutto il mondo. In Italia la RAI li ha programmati un'infinità di volte. Il personaggio di Zorro è sepolto nella coscienza di tutti coloro che sono stati bambini tra gli anni sessanta e i settanta grazie proprio a quei telefilm, più che ai film dedicati al famoso spadaccino. Sì, perchè film su Zorro se ne sono fatti decine, i tre interpreti più famosi: Douglas Fairbanks, Tyrone Power, Alain Delon, ma il personaggio si prestava alla serialità e quindi era ovvio che trovasse in TV la propria consacrazione. Inoltre i film, soprattutto quello con Power, tendevano a prendere fin troppo sul serio un personaggio a cui si adattava, invece, il tono ironico dei telefilm della Disney. Ebbene, quello Zorro televisivo ci ha lasciati, e oggi è quindi il giorno in cui racconteremo la storia dell'attore, dopo aver trepidato per 65 volte ma anche di più, viste le repliche, per le avventure del personaggio Guy Williams: vi dice qualcosa questo nome?

Una bella faccia da nobile Messicano, una faccia non tanto da americano. E infatti il suo vero nome era Armando Catalano. Era nato a New York da genitori italiani, nel 1924, ed è morto a Buenos Aires. E' stato trovato nell'appartamento dove si era trasferito alcuni anni fa. Da Brooklyn all'Argentina, passando per Hollywood. Una vera storia da "paisà", da emigrante povero. In fondo la vicenda di Armando Catalano, diventato Guy Williams, ricorda quella di Rodolfo Guglielmi da Castellaneta, diventato Rudolph Valentino. Figli di italiani poveri arrivati nel paese di Bengodi con le uniche armi dell'ambizione e dell'avvenenza. Rodolfo Guglielmi divenne divo del cinema negli anni del massimo splendore di Hollywood, Armando Catalano incontrò la televisione e passò alla storia del piccolo schermo. Quei famosi telefilm sono stati visti veramente in tutto il mondo. Da milioni, forse miliardi di bambini e genitori.

Armando Catalano - Guy Williams è stato forse meno famoso ma ha "stracciato" tutti gli altri interpreti di Zorro. Per tutti noi Zorro sarà sempre lui: con il cavallo Tornado e il fedele servitore muto Bernardo. E con quelle "zeta"  tracciate con la punta della spada. Dovunque. Ma preferibilmente sulla pancia debordante del sergente Garcia.

 

di Alberto Crespi.

 

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tratto da "LA REPUBBLICA" - maggio 1989

E' MORTO GUY WILLIAMS

FU ZORRO PER WALT DISNEY

BUENOS AIRES - L'attore americano di origine italiana Guy Williams, interprete dei 65 episodi della celebre serie "Zorro", prodotta dalla Walt Disney negli anni Cinquanta, è morto a Buenos Aires, dove si era trasferito da anni. Nato a New York nel 1924 da padre siciliano, il suo vero nome era Armando Catalano. I primi accertamenti sul corpo dell'attore, trovato nel suo appartamento, indicano che la morte è avvenuta tre giorni fa per cause naturali. Williams aveva superato il provino tra parecchie decine di attori per interpretare il famoso personaggio del nobile Diego che, con maschera e mantello, lotta per il trionfo della giustizia. Il suo "Zorro" è stato visto in molti paesi del mondo.

 

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tratto da "TV SORRISI E CANZONI" - n.21 - 27/05/1989

 

ADDIO E GRAZIE, ZORRO

L'hanno trovato nel suo appartamento di Buenos Aires: un infarto lo aveva stroncato da tre giorni. Se n'è andato così, in maniera triste e poco eroica, Guy Williams, l'indimenticabile interprete dei telefilm di Walt Disney dedicati a Zorro. 65 anni, nato a New York da emigrati siciliani (il suo vero nome era Armando Catalano), alla metà degli Anni cinquanta, dopo una breve carriera di fotomodello, Guy era stato notato dai boss della Disney, alla ricerca di un erede credibile di Douglas Fairbanks e Tyrone Power per la parte del vendicatore mascherato. Nei fortunatissimi telefilm girati tra il 1957 e il 1959 Williams era affiancato da Gene Sheldon e Henry Calvin. Negli ultimi anni, ritiratosi dal cinema dopo qualche film di scarso successo, "Zorro" gestiva un ristorante nella capitale argentina.

 

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Tratto da: "IL VENERDI' DI REPUBBLICA" - 03/07/1998

 

IL SOGNO DI ZORRO

 

L'eroe mascherato torna sugli schermi con qualche anno in più. Invecchiato e pronto a scegliersi un successore. Così lo ha voluto Steven Spielberg che ha prodotto il film, l'ennesima storia americana e che deve la sua gloria al cinema e alla letteratura. Ecco la leggenda: dalla nascita al trionfo.

 

In settantanove anni di vita, Zorro è stato romanzo, film, telefilm, fumetto, cartone animato, trasmissione radiofonica e maschera di carnevale. Se, come avviene ai grandi vecchi, dovesse fare un bilancio della sua lunga vita, ricorderebbe malvolentieri le canzoni e le poesie composte di giorno sotto il nome di Diego (e qualche volta Ramon), e con entusiasmo le cavalcate notturne sul suo stallone nero che si chiama Tornado, e qualche volta El Rey (nome che porto in un film del 1937, dove rivaleggiò, vittorioso, con un treno). Non potrebbe non parlare dei suoi fedelissimi, il servo muto Bernardo e la sua spada, la "fine lama di Toledo" che porta il suo stesso nome. Forse sorvolerebbe sulle scarse fidanzate, così poco determinanti nella sua vita che in un film degli anni Ottanta, Zorro the Gay Blade, si disvelò come omosessuale. Infine, all'avvicinarsi del suo primo secolo, elencherebbe con vanto i propri nemici: colonnelli e governatori che si chiamano di volta in volta Alvarez o Gutierrez o Huerta o Monastario, ma sono comunque perfidi. E poi traditori spagnoli, uomini d'affari americani, cosacchi in missione californiana, persino Maciste e Richelieu (in due film italiani degli Anni 60). Avrebbe dovuto anche combattere contro Dracula nella Cattedrale di Notre Dame e contro le tartarughe Ninja, in due progetti, un fumetto e un cartoon: ma non se ne fece niente.

Dovremo abituarci all'idea di uno Zorro invecchiato: perché è così che lo presenterà agli americani, l'ultimo film che lo vede protagonista. Ovvero, La maschera di Zorro, che Martin Campbell dirige e che Steven Spielberg ha prodotto, realizzando un suo vecchio progetto che inizialmente prevedeva Sean Connery e Andy Garcia al posto degli attuali Anthony Hopkins e Antonio Banderas e soddisfacendo la sua costante mania di far diventare kolossal i miti della propria infanzia. Possibilmente invecchiandoli, come Peter Pan in Hook. E, appunto, come Zorro: che qui passa il testimone a un giovane ladruncolo. Una variante, l'ennesima, di una lunga vicenda che al cinema deve la sua gloria, alla letteratura il suo successo, alla storia la sua origine.

Era, infatti, l'anno 1821: la California, una delle ultime colonie spagnole in america, vide assumere il ruolo di governatore da Antonio Arguello, che prendeva il posto dell'autoritario Pablo Vincente Sola. Sembrava l'inizio di un'epoca nuova, in cui diventava legittimo il sogno dell'indipendenza. Durò poco. Arguello venne in breve rimpiazzato dal crudele colonnello Manuel Victoria, subito detestato da tutti, comprese le grandi famiglie che fino a quel momento avevano appoggiato il regime. Così, nel 1831, scoppiò un'insurrezione sostenuta dai nobili. Los Angeles e San Diego passarono ai rivoltosi, che liberarono un personaggio popolare, José Maria Avila, in prigione per aver ucciso in duello il braccio destro del governatore, il capitano Romualdo Pacheco.

Fin qui il mondo è reale. Ma anche in quello letterario stavano per avvenire molte cose. Quattordici anni dopo la rivolta californiana, per esempio, Edmond Dantés avrebbe nascosto sotto falso nome la propria brama di vendetta, e più tardi la Primula Rossa avrebbe lasciato dispettosamente in giro il proprio segno di riconoscimento. Alla Primula, al conte di Montecristo e a una vasta genia di fuorilegge delle foreste, avrebbe infine pensato uno scrittore canadese, Johnston McCulley, che decise di trasportare le avventure dei vendicatori mascherati di ogni tempo nel Nuovo Mondo e all'epoca della ribellione dei nobili. Così, dal 9 agosto al 6 settembre 1919, apparve a puntate su All Story Weekly "The Curse of Capistrano", la maledizione di Capistrano: storia di Diego Vega, figlio del signore della missione di San Juan Capistrano, che all'insaputa di tutti giurò di assumere il nome di José Maria Avila per liberare il popolo oppresso.

Tutto qui? Niente affatto. Si dice che gli eroi nati in questo secolo siano eroi ambigui, perché portatori, insieme, di memoria e di futuro. E se il passato, qui, sono le ombre e le nebbie del Romanticismo che Zorro reca con sé, l'avvenire è ciò che diventerà il suo piccolo villaggio, Los Angeles. Una metropoli simile alle molte che saranno popolate da altri abitatori della notte, da altri possessori di identità segrete. Perché se Zorro è figlio della Primula Rossa e di Robin Hood, è anche padre di miriadi di eroi del fumetto che si celano sotto una maschera e un falso nome: Clark Kent - Superman, Bruce Wayen - Batman, per citarne due. Zorro ha attraversato il secolo, e lo simboleggia benissimo: anche perché è uno di quei miti consegnati immediatamente ai mass-media, e che a questi ultimi, più che alla letteratura, devono la fama. A un anno dalla pubblicazione del romanzo, Douglas Fairbanks Sr. lo sceneggia e lo interpreta, nel film muto Il marchio di Zorro. Un trionfo. Tanto che, vent'anni dopo, si deciderà di rinverdirne i fasti passando la maschera e soprattutto la spada di Fairbanks (quella vera, conservata dal maestro d'armi Fred Cavens) a Tyrone Power per Il segno di Zorro. Il film costò una montagna di soldi, perché Linda Darnell arrossiva ogni volta che veniva baciata e il regista doveva girar nuovamente la scena (valore di ogni bacio? Cinquecento dollari). Ma, come era prevedibile, rafforzò la leggenda. Destinata però a sfiorire, cirnematograficamente parlando: Zorro passò attraverso svariati B-movies, incontrò Franco e Ciccio e si impegnò in avventure erotiche, fino al tentativo di resurrezione del 1975, con Alain Delon nel film di Duccio Tessari. Non funzionò. Perché di Zorro si era intanto impadronita la televisione. Fu la Walt Disney a fiutare l'affare, producendo, a partire dal 1957, 78 episodi (più 4 episodi lunghi) con Guy Williams che fecero del nobile vendicatore un eroe dell'infanzia. Eroe redditizio: al momento di girare la serie, la Disney acquistò dalla famiglia Gertz, che dagli anni Quaranta detiene i diritti di sfruttamento del nome e dell'immagine di Zorro, il copyright della sola spada. Risultato? Le successive produzioni, per poter girare scene con Zorro impegnato in duello, devono pagare diritti speciali. Naturalmente c'è altro. C'è, soprattutto, quello che si chiama immaginario collettivo, dove Zorro è e resta il simbolo della giustizia. A proposito, un paio di anni fa, un docente di letteratura latino-americana, Nicola Bottiglieri, ha messo in guardia i sognatori: Zorro non era un rivoluzionario, ma un giustiziere riformista. Non voleva, a differenza di altri colleghi banditi, sovvertire la legge, ma solo punirne i cattivi amministratori.

 

Loredana Pipperini

 

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