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Sorrento - Le terrazze di agrumi

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I “giardini” terrazzati per la coltivazione degli agrumi costituiscono l’impareggiabile caratteristica della penisola sorrentina. I limoni che grevi pendono dagli alberi della Costiera, negli impianti a terrazze, sono per lo più d’una qualità talmente dolce, poco agra e di sapore rotondo, che viene detta “pane”, in quanto si può gustare tranquillamente a fette, come dessert con o senza aggiunta d’un cucchiaio di zucchero. Racconta la storia che fu proprio con un gran cesto di limoni ed altri agrumi che gli abitanti di Minori convinsero il Papa a restituire alle loro città il vescovado perduto. Ora i limoni della Costiera , oltre ad aromatizzare creme pasticciere, servono soprattutto a fabbricare il celebre “limoncello”, un liquore aromaticissimo, dal colore giallo chiaro e dallo stupendo profumo del limone. In tutta la penisola Sorrentina gli agrumeti, per fornire una buona produzione di frutti, devono essere protetti dalle gelate notturne, dalla pioggia forte e dalla grandine. Per moltissimi anni sono stati quindi coperti da un tetto di pagliarelle poggiate su di un alto pergolato, ma negli ultimi decenni reti di plastica verdi o nere a maglia stretta hanno sostituito le tradizionali pagliarelle.

Per la costruzione del pergolato (prevola) si usano i pali di castagno (lieveni o levene) e ricordiamo che la maggior parte dei castagneti della Penisola Sorrentina sono cedui e sono utilizzati per produrre pali e pertanto vengono tagliati dopo un periodo di 12-15 anni. I più grossi e diritti (‘mpieri, ma anche allirti) sono piantati in terra, secondo una griglia a maglia quadrata di 2,80 metri di lato, per una profondità di circa un metro lasciando all’esterno 5/6 metri. Oltre un metro più in basso delle cime dei pali si crea una griglia di pali un po’ più sottili che portano nomi diversi a seconda della loro posizione: i currienti reggono i cavalli e con essi formano i quadrati che hanno i vertici negli allirti; sempre perpendicolarmente ai currienti e poggiati su di essi, fra i cavalli, si stendono le curreje che quindi dividono i quadrati a metà formando dei rettangoli. Fra currienti e curreje si stendevano quindi le pagliarelle. Per evitare sbandamenti e per dare maggiore solidità a tutta la struttura del pergolato si aggiungevano delle diagonali poze (con la o chiusa), utilizzando per ciascuna di esse due o tre lieveni scelti fra quelli più storti e irregolari. Infine si creava un altro livello di currienti più o meno a metà dell’altezza dei ritti.

Currienti, curreje e cavalli, per essere accoppiati alle estremità e dare quindi continuità alla struttura, dovevano essere assottigliati alla base. Questa operazione si chiamava spalettatura e si effettuava con un’ascia a forma di zappa dopo aver bloccato il palo, posto in diagonale, contro una base di legno. Le parti tagliate si chiamavano tacche.  Tutti i fissaggi venivano effettuati a mano senza uso di chiodi, ma solo con legature di filo di ferro da 1 mm. Questo si comprava in matasse e poi veniva trasferito su bastoncini di legno (mazzarielli, ovviamente di castagno) utilizzati anche come leva per ottenere una legatura stretta. Il trasferimento dalla matassa al mazzariello avveniva con l’ausilio di un apposito congegno detta molto genericamente machinetta. Per essere fissato il mazzariello aveva una delle due estremità quadrata.

Nel limoneto tradizionale al centro di ogni quadrato, quindi fra quattro ‘mpieri, c’era un albero circondato da una piazzola circolare ribassata (fonte), ciò per trattenere l’acqua quando non si irrigava ancora con i moderni metodi. Infatti, se oggi si usano gli impianti a goccia o altri sistemi simili, un tempo si scavavano (con la zappa) dei canali che correvano lungo i poggetti che separavano le fonti e quindi, aprendo la vasca di raccolta acqua che si trovava nella parte più alta dell’agrumeto, si riempivano le fonti una per volta deviando il flusso dell’acqua chiudendo un canale e aprendo il successivo più a valle. Per questo motivo l’agrumeto classico doveva essere terrazzato e le terrazze avevano una leggera pendenza verso valle.

Le pagliarelle cui abbiamo accennato prima sono degli “scudi” di paglia tenuta insieme da listelli di legno. Hanno una dimensione prestabilita (200x120cm), ovviamente compatibile con le dimensioni del pergolato. La costruzione delle pagliarelle era, ed è tuttora, completamente manuale e richiedeva una certa abilità. Si procedeva in questo modo: si preparava un telaio rettangolare (telariello) di listelli di castagno tagliati longitudinalmente a metà (chierchie): i quattro lunghi (perecuni) erano ricavati dalla parte più spessa e robusta e i quattro corti (traverse) da quelle con qualche irregolarità. Le traverse venivano inchiodate sui perecuni, entrambi con la parte curva all’esterno.  Il telariello veniva poi poggiato su una specie di tavolo, fatto di assi di legno montate su due cavalletti, e sopra vi si stendevano due strati di paglia di grano, uno opposto all’altro, nel senso delle traverse. Quindi si fermava la paglia con altri quattro listelli di castagno (cimme), più sottili dei pereconi, inchiodati su questi ultimi faccia contro faccia in modo da lasciare all’esterno tutte le parti curve. Per questa ultima operazione si usavano chiodi un po’ più lunghi che, dopo aver attraversato i tre listelli sporgevano di vari millimetri dall’altro lato, quindi si girava la pagliarella e si ribattevano le punte in modo da fissare definitivamente il tutto e non creare pericoli. 

Con una piccola accetta o con delle apposite lunghe lame (curtielli) si tagliava la paglia in eccesso in modo da ottenere un bordo diritto, sporgente solo di pochi centimetri dal telaio; attualmente è più comune usare delle grosse cesoie. Per completare la pagliarella si dovevano tagliare le parti sporgenti delle cimme (effettivamente le cime delle chierchie). Infatti questi erano i soli listelli non tagliati a misura essendo la parte che restava della chierchia intera dopo aver tagliato gli altri pezzi. Per questa ragione di solito eccedevano la misura della pagliarella e la parte sporgente veniva stroncata con il serracchio (saracco). 

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