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I Romani dell’epoca imperiale già conoscevano la Solfatara. Strabone
(66 a.C. -24 d.C.) ne dà la più antica testimonianza scritta giunta
fino a noi, nella sua “Strabonis geographica”, indicandola con il
nome “Forum Vulcani”, Dimora del Dio Vulcano, ingresso per gli
Inferi. La Solfatara apre ufficialmente alla visita nell’anno 1900,
pur essendo sin da tempi remoti meta di escursioni per i noti
fenomeni vulcanici, per la cura delle acque sulfuree e per le stufe
calde; era infatti compresa tra le quaranta più famose terme dei
Campi Flegrei sin dal Medioevo.
Non vi era viaggiatore del ‘700 e ‘800 che non inserisse la
Solfatara tra le sue escursioni nell’ambito del cosiddetto “Grand
Tour”, viaggio di istruzione per i giovani delle famiglie nobili
europee.
Intorno al 1900 è stato organizzato all’interno della Solfatara
anche uno stabilimento termale come testimoniano sia un foglio
pubblicitario sia una stampa illustrativa dell’epoca. In questo
“bagno termale” era possibile curarsi con i fanghi, data l’esistenza
di una fangaia naturale, e con le acque sulfuree nonché fare i bagni
di vapore nelle cosiddette stufe. Nella Solfatara è stata operante
sino agli inizi del ‘900 un attività estrattiva di allume, zolfo e
bianchetto, attività che ebbe il suo apice nel Medioevo. Un vero e
proprio laboratorio en plein air diventa la Solfatara di Pozzuoli,
quando, nel 1861 l'acquistano i fratelli De Luca, di origine
calabrese.
Fino ad allora, tra alterne vicende, viene soprattutto sfruttata dal
punto di vista minerario, per produrre allume e bianchetto, tagliare
legna, estrarre acqua dal sottosuolo, o ancora per offrire piacevoli
brividi di paura a turisti imbevuti di reminiscenze mitologiche.
Nei primi anni dell'Ottocento diventa una struttura militare, e
viene anche adibita a zona di esercitazione per il tiro al
bersaglio.
Questo antico uso, forse, è rimasto nella successiva predilezione
mostrata per questo luogo come sede di duelli più o meno all'ultimo
sangue. Ma è soprattutto Sebastiano De Luca , chimico e naturalista,
l'artefice principale della trasformazione di "uso" della famosa
località, che diventa palestra di studio, di scoperte, di ricerca
pura. Sebastiano è per molti versi una figura misteriosa, solitaria,
quasi un "apprendista stregone", che sfrutta ogni elemento presente
nella sua proprietà, organico o inorganico, pietra, pianta o animale
per farne oggetto di analisi, di studio, di sperimentazione, curioso
di ogni fenomeno, teso a mille applicazioni delle scoperte fatte.
Non si ferma neanche di fronte ad esperimenti di cui egli stesso è
cavia: affascinante è, infatti, la descrizione che fa, lucida e
precisa, degli effetti provocati su di sé dall'assunzione di
hashish...
Con lo stesso rigore e
con la stessa passione Sebastiano De Luca svolge i suoi studi e i
suoi esperimenti sull'aria, l'acqua, le terre della Solfatara, non
trascurando di operare chimicamente anche su piante e animali del
posto. Molto accurate sono, in particolare, le descrizioni delle
diverse terre presenti nel cratere del vulcano quiescente, la
piombina, la terra gialla e il bianchetto, del quale ricorda l'uso
nella manipolazione delle tinture, nella preparazione della calce e,
al tempo dei Romani, per rendere bianchissima l'alica o abica, un
preparato per torte e focacce...
...E d'altra parte, quando alla fine del '400 gli Aragonesi
restituiscono la "lumiera della Solfatara" alla famiglia di Jacopo
Sannazaro, legittima proprietaria, essa doveva avere il suo valore
dal punto di vista minerario, se, in precedenza, aveva spesso
costituito la dote di molte spose dei suoi non pochi detentori. In
seguito attraversa un periodo oscuro sotto questo aspetto, dovuto
forse al boicottaggio, ottenuto a suon di ducati, da parte della
Chiesa, diretta concorrente nella produzione dell'allume e nella
relativa fornitura a sud di Roma. Il suo momento d'oro è proprio
alla fine del Settecento, quando passa, come si diceva, a Giuseppe
Brentano, cui la Casa Santa dell'Annunziata di Napoli elargisce 300
ducati per mettere in attivo la fabbrica, sotto l'egida e la
supervisione di Scipione Breislak. Poi è tutto un turbinio di
passaggi di mano, di affittuarii o di censuarii, che lavorano, o
fanno lavorare, fino a 360 uomini, come racconta Lorenzo Palatino
nella sua "Storia di Pozzuoli e contorni" del 1826. E ci ritroviamo
così, poco dopo, a quando ne entra in possesso Sebastiano De Luca,
il cui interesse per la Solfatara e i suoi prodotti è puramente
scientifico. Nel cratere del Vulcano Solfatara è presente una
notevole varietà di specie botaniche, anche molto differenti tra
loro per esigenze climatiche e pedologiche; ciò è dovuto
essenzialmente a due fattori:
a) L'attività vulcanica che eleva la temperatura della rizosfera e
impedisce la sopravvivenza della vegetazione o le impone un anomalo
adattamento con un tessuto radicale eminentemente superficiale.
b) L' orografia che rende più soleggiato il versante nord, arido e
ricoperto di graminacee, più umido e ombreggiato quello opposto dove
è presente un bosco mesofilo, alcune specie di felci ( Pteridium
aquilinum, Asplenium adiantum nigrum, Cystoperis fragilis), castagni
( Castanea sativa Miller) e pungitopo ( Ruscus aculeatus). Il fondo
del cratere offre ampie zone di macchia mediterranea con erica
(Erica arborea), corbezzolo (Arbutus unedo), Salsapariglia (Smilax
aspera L.), cisto ( Cistus salvifolius), mirto ( Myrtus communis) e
ginestre (Cytisus scoparius L., Spartium junceum L.) sono inoltre
presenti due orchidacee, la serapide cuoriforme (Serapias cordigera
L.) e la serapide maggiore ( Serapias vomeracea B.)
Come
specie arboree sono molto diffusi il leccio ( Quercus ilex), la
robinia (Robinia pseudoacacia L.) e l' eucaliptus (Eucalyptus
camaldulensis), introdotto per le indubbie qualità di ombreggiamento
e riparo dal vento e per la sua capacità di adattamento anche nelle
zone più direttamente influenzate dall' attività vulcanica. Di tutte
le piante della Solfatara di Pozzuoli la più singolare e forse la
meno facile da trovare è l' ipocistide (Cytinus hypocistis L.); solo
gli esperti sanno che la si deve cercare ai piedi dei cisti (Cystus
salvifolius L.) in quanto, come indica il suo nome, è una pianta
parassita del cisto.Le sue radici si fissano su quelle del cisto e
ne traggono nutrimento, non essendo la pianta in grado di elaborare
la sintesi clorofilliana. Le foglie ormai inutili sono ridotte a
squame, i fiori globosi e dagli intensi colori gialli e rossi,
crescono rasoterra spesso nascosti dalle foglie secche.
Nella Fangaia sono state isolate
colonie di batteri che vivono a temperature superiori ai 90° C tra
cui il “Bacillus acidocaldarius” e la “Caldariella acidophila”
nonché l’archeobatterio “Sulfolobus solfataricus”. Sulle pareti alle
spalle della Bocca Grande vegetano in condizioni di elevata
temperatura e acidità alghe unicellulari termofile quali il
“Cyanidium caldarium”. È inoltre segnalata la presenza di un
particolare insetto, una nuova specie di collembola denominata
“Seira tongiorgii”.
I Batteri. Con il nome di batteri “estremofili” vengono
attualmente indicati tutti i microrganismi che vivono in ambienti
ritenuti estremi sia per l’essere umano che per la maggior parte
degli organismi superiori. Negli ultimi anni, questi batteri, hanno
acquistato un rinnovato interesse industriale per lo sviluppo di
nuovi processi produttivi. Il “Sulfolobus solfataricus” è utilizzato
in particolare per la produzione di acidi organici combustibili
liquidi e di enzimi termostabili, utilizzati nell’industria
alimentare per la produzione di sciroppi zuccherini.
Insetti. “Seira tongiorgii” è una specie di collembola nuova
per la scienza rinvenuta nella Solfatara di Pozzuoli nel 1989. I
collemboli sono i progenitori degli insetti alati: infatti il più
antico insetto conosciuto è un collembolo, “Rhyniella praecursor”,
rinvenuto in un frammento di ambra del periodo Devoniano, risalente
cioè a circa 400 milioni di anni fa; per questo motivo vengono
talvolta definiti “fossili viventi”. La “Seira tongiorgii” non
presenta particolarità morfologiche ma possiede adattamenti
fisiologici che le consentono di vivere a stretto contatto con un
substrato estremamente acido e ricco di emissioni di zolfo, quale è
quello della Solfatara, proibitivo per altre specie di collemboli.
Proprio tali adattamenti fisiologici suggeriscono che questa specie
sia un endemismo, una specie cioè, esclusiva della Solfatara di
Pozzuoli.
Grande
Fumarola e' il nome della principale fumarola della Solfatara
con temperatura del vapore acqueo di circa 160° C. Nell’interno di
tale bocca si condensano alcuni sali contenuti nel vapore tra cui il
realgar (As S), il cinabro (Hg S) e l’orpimento (As2 S3) che danno
una colorazione giallo rossiccia alle rocce circostanti; è inoltre
presente l’acido solfridrico (H2S), dal caratteristico odore di uova
putride.
La zona della Bocca Grande era denominata dagli antichi “Forum
Vulcani” ovvero la Dimora del Dio del Fuoco.
Agli inizi del ‘900 fu qui edificato, per il vulcanologo tedesco
Friedländer, un piccolo Osservatorio Vulcanologico, di cui restano
alcune rovine, che crollò sia per effetto dei periodici movimenti
tellurici collegati al Bradisismo Flegreo sia per l’apertura di una
fumarola. |