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  Ultimo aggiornamento: 14-11-04

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8.10.2004
«Per l’Europa ora si apre la grande sfida dell’unità politica»

«È adesso che dobbiamo vivere la sfida più grande, quella dell’unità politica dell’Europa». Giuliano Amato non è uno dei tanti padri acquisiti della Costituzione che oggi si firma a Roma: in quel testo c’è parecchio della capacità di elaborazione e mediazione che in Italia gli hanno valso la nomea di «dottor sottile» della politica e delle istituzioni. Si è fatta valere anche nel complesso lavoro della Convenzione europea, di cui è stato vice presidente. Ma, in tutta onestà, non giudica l’approdo ratificato dai capi di Stato e di governo l’optimum. «Ce lo siamo fatti tante volte l’elenco delle aspettative, delle proposte non passate, degli insuccessi nel trasferire i principi all’interno delle norme. Per certi aspetti siamo davanti a un ibrido. Forse più a un Trattato che a una Costituzione. Ancora...».
Cosa serve perché diventi vera Costituzione?
«Una battaglia a viso aperto, perché la Costituzione non è un surrogato delle responsabilità politiche. Ce lo siamo appena detti, tra gli esponenti della famiglia socialista riuniti a Roma: non chiediamo alla Costituzione ciò che è giusto fare per l’Europa, chiediamo a noi stessi ciò che è giusto fare per l’Europa con gli strumenti che la Costituzione offre. E, a onor del vero, vedo che questa tenzone politico-istituzionale comincia a farsi strada».
Una strada accidentata, a giudicare dall’empasse della nuova Commissione europea. L’ombra della contrapposizione parlamentare, che ha indotto José Manuel Durao Barroso a chiedere il rinvio del voto di fiducia, non s’allunga sulla solenne cerimonia della firma del Trattato costituente?
«È innegabile la crisi. Ma, attenzione: è crisi di crescita. Non dimentichiamo che il Parlamento europeo è l’unico organismo dotato di rappresentanza popolare diretta nell’assetto delle istituzioni europee, ma paradossalmente risulta il più debole. Era nato come organismo consultivo dei governi, con una elezione - come si dice - di secondo grado, senza effettivo potere, né legislativo né politico. Ma, poi, è stato eletto dai cittadini, e un Parlamento eletto porta dentro di sé l’aspettativa della rappresentanza legislativa e delle responsabilità politiche. Questi poteri il Parlamento se li sta conquistando poco alla volta. Era riuscito a crearsi uno spazio nella possibilità di votare ex post la sfiducia alla commissione Santer. Aveva provato a testare politicamente lo strumento formale della fiducia con la commissione Prodi. Questa volta ha cercato di dare sostanza politica alla forma sulla struttura della Commissione Barroso: se voto di fiducia deve essere, che voto di fiducia sia».
Vien quasi voglia di aprire una parentesi sulla liquidazione della fiducia d’investitura al premier assoluto tratteggiato nella revisione della nostra Costituzione da parte del centrodestra...
«Apriamola e chiudiamola: anche su questo l’Europa offre ampia materia di riflessione».
Non è chiuso però il pomo della discordia nelle mani di Rocco Buttiglione...
«Quello del commissario designato dall’Italia è il caso più vistoso, ma dell’occasione hanno in qualche modo fatto parte altri: dalla commissaria olandese con i suoi ipotizzati conflitti d’interesse ai fini dell’antitrust a quello ungherese all’energia a cui è stato addebitato di non essere sufficientemente preparato...».
Verissimo, ma è al caso del cattolicesimo rivendicato da Buttiglione che si è intrecciata una polemica sulla stessa essenza della Costituzione perché priva del riferimento ai valori cristiani. C’è questo nesso?
«Infilare di traverso la vicenda Buttiglione per legarla a un presunto disprezzo dell’Europa per i valori cristiani, di cui la Costituzione sarebbe testimonianza, è del tutto strumentale al tentativo di far rivivere uno spirito di minoranza oppressa che la cristianità sicuramente ebbe ai tempi di san Paolo ma non ha davvero oggi. Se c’è un documento europeo in cui si riconosce fortemente il ruolo delle religioni e richiama il cuore del messaggio cristiano, questo è proprio la Costituzione. È nero su bianco: l’Europa è fondata sulla dignità della persona».
C’è altra fascina sul fuoco delle polemiche di casa nostra: ha visto manovre punitive per il governo italiano?
«Avrà anche pesato la credibilità di un governo, di cui Buttiglione fa parte, che rivendica il portafoglio su libertà, giustizia e sicurezza ma è - lo hanno notato concordemente Romano Prodi e Angelo Panebianco - ancora inadempiente sul mandato di arresto europeo. Ma questa è, appunto, una valutazione politica, obbiettivamente non arbitraria da parte di un Parlamento».
Come ricondurre tutte queste lacerazioni nell’ambito di un corretto riequilibrio istituzionale?
«A conferma che la questione non nasce oggi, ricordo che fu oggetto di discussione nella Convenzione. Personalmente avevo proposto che il presidente formasse la Commissione d’intesa con i governi, ovviamente, ma anche ascoltando i gruppi parlamentari. È una di quelle ipotesi che poi non hanno avuto seguito. Di fatto, però, è quel che il Parlamento cerca oggi di recuperare. Ma proprio la consapevolezza dell’insufficienza del rapporto politico con i gruppi parlamentari ad aver indotto Barroso a chiedere il rinvio del voto. Segno che ora la questione è politicamente matura. Ecco perché parlo di crisi di crescita. Se non è spinta al di là del bersaglio, mettendo definitivamente in crisi un presidente su cui il Parlamento si è già pronunciato con un voto, ma produce nuove dinamiche di cooperazione tra il Parlamento e la Commissione, allora anche questa tenzone avrà contribuito a rendere sempre meno Trattato e sempre più Costituzione la cornice di regole dell’Unione europea».
Una volta firmato dai capi di Stato e di governo, il Trattato dovrà essere ratificato nei Parlamenti o approvato nei referendum popolari nei diversi paesi d’Europa. Ma già si levano dubbi, riserve e vere e proprie opposizioni. Lei è proprio sicuro che meriti di essere approvato?
«Sì. E sono arrivato a questa valutazione univoca, scindendo la stessa domanda in due sotto quesiti. Il primo: se non l’approviamo che cosa succede? Il secondo: se lo approviamo, possiamo usare questa Costituzione come piattaforma nel corso del futuro?».
Articoli anche la risposta. Sul primo quesito?
«Il Trattato, pur con tutti i suoi difetti, merita di essere approvato anzitutto perché è comunque migliore dei Trattati precedenti con cui ci ritroveremmo. Ma soprattutto perché anche i no più nobili, espressi in nome di una Costituzione ipoteticamente migliore, finirebbero nello stesso calderone dei no intrisi da veleni antieuropei».
Valutazione che certo non è ignorata all’interno della famiglia socialista. Eppure un esponente di primo piano come il francese Laurent Fabius continua a capeggiare l’avversione al Trattato. Come proverebbe a convincerlo?
«Gli chiederei, appunto, se ha votato contro i trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza? Mi risulta di no. Capisco che ci si aspetti che l’Europa contrasti gli effetti negativi della globalizzazione e abbia una chiara connotazione sociale. Ma questa Costituzione è quanto di più avanzato l’Europa abbia finora prodotto in termini di raccordo tra l’economia di mercato e le azioni volte a promuovere la lotta all’esclusione e l’affermazione dei diritti sociali. Anche quel poco che siamo riusciti a infilare nella Costituzione è comunque un di più che ci legittima nel pretendere che la crescita, la protezione sociale e le opportunità valgano tanto quanto gli obbiettivi macro economici. Ed è in questa chiave che dobbiamo leggere una Costituzione che, per la prima volta, assieme ai tradizionali diritti civili, dà forza legale all’insieme dei diritti sociali».
Qui si colloca il secondo quesito: come «usare» il Trattato per il vero e proprio avvio della fase costituente dell’integrazione polita dell’Europa?
«È l’azione politica, e quindi sono le forze politiche, a dover vivere la sfida che, con l’allargamento, l’Europa si è data, se vogliamo che l’Europa che ha dato la pace a se stessa contribuisca a dare la pace al mondo. Potrà farlo solo facendo pesare tutta la sua storia e sentire la voce di tutti i suoi cittadini, di ieri e di oggi, con l’orgoglio di una unità fondata sui pilastri fondamentali dei comuni valori».
Ma la nuova Europa è fatta da paesi diversi. Può avanzare, un’Europa così grande e variegata, e ancor più destinata ad allargarsi e a inglobare altre diversità, senza un locomotore forte, come quello ipotizzato dalla cooperazione rafforzata tra i paesi fondatori della Comunità?
«Può essere sicuramente utile il traino di gruppi di avanguardia, ma va realizzato con intelligenza politica. Il rischio, altrimenti, è di ritirarsi nel bozzolo della vecchia Europa. Se vogliamo che la cooperazione rafforzata sia espressiva della capacità di integrare le diversità, allora bisogna essere capaci di includere anche paesi diversi da quelli fondatori. Due esempi banali. Il primo investe le frontiere: diciamo agli europei che l’unione serve al controllo della criminalità e, su un altro piano (che però sempre di lì passa), dei flussi d’immigrazione; ma quale gestione integrata delle frontiere è possibile senza includere i paesi nuovi? L’altro può riguardare un tema classico delle maggiori armonizzazioni, come quello fiscale: immaginando di essere tra questi paesi, e mi auguro che così sia, è pensabile una cooperazione rafforzata con la Francia e non, per dire, con la Slovenia?».
Dica la verità, Amato: è più forte la preoccupazione o la fiducia?
«Se ci chiediamo se abbiamo ancora una dimensione della strategia europeista, come quella dei padri fondatori, la preoccupazione è più che legittima. Ma la sfida quella resta: di una grande visione dell’Europa e di una leadership capace di mobilitare gli europei. E vale la fiducia».