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Politica Estera: riflessioni all'indomani della scomparsa del senatore
Mario Pedini
16-7-03
La morte dell’On Pedini, ci può e
ci deve far riflettere: sulla vecchia Dc molto è stato detto e scritto nel
bene e nel male. Tuttavia, sulla politica estera, di cui attivamente
ed in prima persona si era occupato il nostro compianto cittadino, bisogna
riflettere in modo particolare.
La Democrazia Cristiana era
riuscita a fare dell’Italia, un paese che aveva combattuto sette guerre in
un secolo, una potenza pacifica rispettata da tutti.
Di una nazione non grandissima e
povera dal punto di vista delle materie prime, drammaticamente sconfitta in
guerra, famosa per il trasformismo e i tradimenti, la DC era riuscita a fare
uno dei tre pilastri su cui sorgeva l'Europa.
L'Italia non e' sempre stata il
paese del benessere diffuso, della vita media più lunga, dei telefonini:
c'e' stato un momento in cui eravamo una specie di “Iraq” bombardato, con le
macerie al nord e la fame nera al sud, senza industrie, senza agricoltura.
"Italian fascists", ci
chiamavano, o - i piu' benevoli - "macaroni'" o "mandolini". La prima volta
che questa Italia andò all'estero, a un dibattito pubblico europeo, il
nostro rappresentante era un signore occhialuto alto e magro, abiti
decorosi, sorriso raro.
Attraversò la sala - quando toccò
a lui prendere la parola - fra sguardi compassionevoli e sorrisini. "Mr
Digaspery of Aitaly!". "So bene - cominciò - che tutto in questa sala,
esclusa la vostra personale cortesia, ci è contro. Ma noi italiani...". E
parlò. Parlò dell'Italia povera ma coraggiosa, delle guerre subite e della
pace sperata, delle macerie che già - senza aspettare nessuno - stavamo
rimuovendo. Parlava sempre più piano, epperò ascoltato da tutti, perché il
silenzio era grande, mentre - per bocca del suo leader - nella sala
passavano le sofferenze e i meriti, gli errori e i doni di tutto un popolo.
Che ritornava adesso a parlare - dopo un buio di tanti anni - con tutti gli
altri: senza più imporre niente a nessuno, senza più Imperi, ma con una sua
profonda civilissima dignità Infine De Gasperi tacque, raccolse lentamente
le carte e si avviò per uscire: al suo passaggio, tutti i delegati -
americani, francesi, inglesi, canadesi e tutti gli altri - si alzavano l'un
dopo l'altro in piedi, in segno di rispetto; dietro di lui uscì la piccola
delegazione italiana, composta da democristiani, liberali, azionisti,
socialisti e comunisti.
Da quel momento l'Italia tornò ad
essere un paese d'Europa. Insieme - ed alla pari - con i francesi e i
tedeschi fu anzi la prima a dire che bisognava unire l'Europa. Una
via per costruire la pace, per garantire il benessere e la democrazia, per
evitare altre sciagure come quelle che allora erano appena state vissute.
Per circa cinquant’anni la nostra politica proseguì in quel solco,
perseguendo la pace, la collaborazione internazionale, l’unità europea. In
questo solco operò il nostro concittadino Pedini, con il suo stile colto e
riservato.
E ora, nel momento in cui
finalmente l'Europa cresce
economicamente e fa politica, fa fronte all'impero americano, prepara forze
armate comuni - nel momento in cui, dal punto di vista nazionale, c'era da
raccogliere il frutto di cinquant'anni di semina coerente e faticosa - ecco
che arriva un colpo di scena: i rappresentanti del nostro governo che
esordiscono con scambi di insulti mai registrati, scuse, rincrescimenti,
ritiri di scuse e rincrescimenti, attacchi all’Europa ed ai tedeschi da
parte di esponenti autorevoli del governo, smentite, fraintendimenti.
Tutto ciò che si era
faticosamente costruito in anni di lavoro serio e sistematico rischia di
andare irrimediabilmente perduto. Soprattutto sotto l’aspetto dell’immagine,
aspetto importantissimo in politica estera. Di questo siamo preoccupati, per
il bene nostro, del nostro Paese e per il nostro futuro di Europei.
Gruppo di coordinamento di Montichiari
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