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Sconfitta
Europea...
13-12-2004
Da kapò a
kappao. Il semestre di presidenza italiana della Ue cominciato sotto il sole
di luglio, in quel di Strasburgo, con la rissa con il deputato tedesco
Martin Schulz è terminato ieri, sotto la pioggia di Bruxelles, con la
ingloriosa mancata chiusura della Convenzione. L'Europa non ha una
Costituzione. Fallimento totale. Tutto rinviato ad altra presidenza
sperando, per il futuro dell'Unione, che abbia maggiori capacità di
mediazioni di quelle dimostrate da Silvio Berlusconi che non è riuscito a
mettere la sua firma sotto il Trattato europeo. Gli sarebbe piaciuto molto.
"Io che sono già nonno, mi vedo molto bene nei panni del padre della
Costituzione europea" aveva detto quando ancora qualche speranza sembrava ci
fosse o, almeno, quando ancora lui andava dicendo di avere una serie di
soluzioni in tasca. Due, tre, quattro. Chi più ne ha più ne metta.
In
realtà nessuna, stando al risultato. Che una volta diventato evidente il
premier si è affrettato a interpretare a suo uso e consumo parlando di un
successo che ha visto soltanto lui e nessun altro, di «bottiglia mezza piena
e non mezza vuota», della difficoltà di ottenere il consenso di tutti che,
«quando si è in 28 è molto difficile» anche se, alla fine, ha dovuto
confessare che in fondo lui era stato sempre consapevole che "fare la
Costituzione sarebbe stato molto difficile. Ma dovevo fare l'ottimista
perché altrimenti negavo il mio ruolo e la mia responsabilità. Ma dentro di
me dicevo sempre: non sarà possibile". Insomma "se avessi vinto la lotteria
sarei più contento che non avendola vinta. Però credo di aver fatto il mio
lavoro e anche di più". Insomma, «io ce l'ho messa tutta ma abbiamo
fallito».
Ha detto tutto e il contrario di tutto in questi giorni il
presidente di turno che lascia l'incarico con sollievo. Troppo duro, un
«vero peso». Refrain diversi a seconda dell'ora hanno segnato la due giorni
di vertice stoppato all'improvviso, di colpo, poco dopo che lo stesso
Berlusconi aveva confermato che si sarebbe andati vanti fino a questa
mattina ed oltre. A costo di non poter vedere la partita del Milan. No ad
«un accordo al ribasso» dunque e, poco dopo, «saggezza imporrebbe di
arrivare comunque ad un sistema di voto, anche se non considerato il
migliore».
Con questa posizione ondivaga portare avanti una trattativa è
difficile. Impossibile. Specialmente quando gli interlocutori cominciano ad
innervosirsi davanti al vuoto. Nella riunione di ieri mattina, è rimbalzato
nei corrdoi del Justus Lipsius, ci sarebbe stato anche chi avrebbe
mormorato: «Se la finisce di fare il clown cominciamo a parlare di cose
serie». Seguito poco dopo dall'intimazione: «Non si può fare un negoziato
solo con lo charme».
Per uno che punta tutto sulla politica delle "pacche sulle spalle"
e che ai programmi preferisce le barzellette un richiamo è sembrato contare
poco o niente, anche quando il risultato imporrebbe una riflessione cui con
pacatezza Romano Prodi ha invitato tutti i partecipanti al vertice. I capi
di stato e di governo, la presidenza uscente, quella irlandese che ormai è
pronta a raccogliere il testimone ma la cui azione Berlusconi ha già
liquidato affermando che nei prossimi sei mesi per la Cig non cambierà
niente. «Ci sono le elezioni Spagna, poi quelle europee». Forse quando
arriveranno gli olandesi «qualcosa accadrà». Per allora potrebbe essere
finito nel dimenticatoio anche l'impegno a firmare comunque il Trattato a
Roma. Ma parlarne è prematuro. I problemi sono altri con quella Carta che
non è riuscita a vedere la luce.
Silvio Berlusconi ha cercato di aggirare il nocciolo della
questione durante la conferenza stampa che sancisce la fine dei lavori quasi
a negare a se stesso l'evidenza di una sconfitta. L'ha presa alla lontana.
Rivendicando successi, anzi "trionfi". Economia, difesa, cooperazione alle
frontiere, l'agenzia alimentare assegnata a Parma a conclusione di una
trattativa cominciata con la presidenza di Giuliano Amato ma in un momento
come questo viene rivendicata.Un lungo elenco per poi «venire alla Cig» che
cerca di salvare ricordando che su «82 punti abbiamo raggiunto l'accordo»
anche se poi è costretto a riconoscere che si tratta solo di un impegno
politico e morale». Ergo, non vincolante. Tutto potrebbe dunque cambiare.
Inutile girarci attorno. Il vincente di sempre è costretto ad
ammettere che sul sistema di voto «il disaccordo è stato totale». Che molti
premier hanno chiesto di avere più tempo per potersi consultare con i loro
Parlamenti. Per questo meglio finirla là. Senza perdere altro tempo. D'altra
parte «fare una Costituzione richiede tempo». Piccoli e grandi Paesi su
questo almeno sono stati d'accordo. E lui, che sul piano politico e
professionale «dall'esperienza ha tratto grande arricchimento» ha dovuto
vivere sulla sua pelle che in Europa non vale la politica dell'amicizia e
del "volemose bene".
Lo ha constatato in diretta Berlusconi, un po' sorpreso. Lui si è
speso per «sollevare il basso morale dell'equipe» raccontando storielle e
parabole per alleggerire la tensione di certi momenti. Ed ha rivendicato con
orgoglio lo stile uscito sconfitto, messo all'angolo. «Io faccio il mestiere
di conduzione degli uomini, io faccio il leader di professione da moltissimi
anni. Ho formato eserciti commerciali, eserciti sportivi ed eserciti
politici che normalmente ho condotto alla vittoria usando il bastone e la
carota, il sorriso e il rimprovero. Ed ho ottenuto grandi successi». Questa
volta non è andata così.
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