Pregiudizio anticristiano?
Bartolomeo Sorge S.I.
15-10-04
La bocciatura dell'on. Rocco Buttiglione a Strasburgo ha avuto un effetto
devastante. Il nuovo presidente della Commissione europea, José Manuel Durão
Barroso, gli aveva offerto il portafoglio della Commissione "Giustizia,
Libertà civili e Sicurezza", più una vicepresidenza. Sennonché l'11 ottobre,
al termine delle audizioni di rito, la stessa Commissione parlamentare
bocciava la nomina di Buttiglione a commissario e a vicepresidente. Era la
prima volta che un commissario designato veniva giudicato inetto a reggere
il portafoglio per il quale era stato indicato. Le opinioni si sono subito
divise: alcuni hanno parlato di valutazione "tecnica"; altri di "ripicca"
contro Berlusconi; altri ancora (tra cui l'interessato) di "pregiudizio
anticristiano". La conseguenza è stata che il presidente Barroso è stato
costretto a rinviare il voto di fiducia dell'Europarlamento, previsto il 27
ottobre, e a partecipare senza la sua Commissione alla storica firma del
Trattato costituzionale (Roma, 29 ottobre 2004). Alla fine, Buttiglione ha
correttamente rinunciato all'incarico.
Tuttavia la questione non si può considerare archiviata, perché rimane un
interrogativo di fondo ad agitare l'opinione pubblica: esiste in Europa un
"pregiudizio anticristiano", uno scontro aperto tra "integrismo" e
"laicismo"? Alcuni lo sostengono collegando la bocciatura di Buttiglione
all'ordinanza del Tribunale dell'Aquila sulla rimozione del crocifisso da
un'aula scolastica, alla legge francese che vieta l'ostensione in classe di
simboli religiosi, alla mancata menzione delle "radici cristiane" nel
Preambolo del Trattato costituzionale, al programma con tratti laicisti di
Zapatero in Spagna. Altri invece lo negano: nessuno vuol discriminare
nessuno; Buttiglione è stato bocciato non per le sue dichiarazioni di sapore
"integrista" (che certo hanno influito negativamente), ma perché non è
apparso idoneo a ricoprire il ruolo a cui era designato.
Da questo increscioso incidente noi vorremmo trarre una lezione utile.
Anzitutto, però, è necessario chiarire i termini della questione: che cosa
si intende per "integrismo" e per "laicismo"? Solo dopo apparirà che casi
come quello di Buttiglione si superano non tornando a innalzare
anacronistici "storici steccati", ma adeguandosi a una concezione matura di
"laicità".
1. L'integrismo
L'accusa più insistente mossa a Buttiglione è stata quella di essere un
integrista: "Non è stato bocciato dai parlamentari europei in quanto
cattolico - scrive, per esempio, Miriam Mafai -, ma in quanto ritenuto
inadatto al compito cui era chiamato, per un suo manifesto integralismo" (la
Repubblica, 10 ottobre 2004). Che cosa è dunque l'integrismo o integralismo?
Esso consiste nel dedurre direttamente da principi ritenuti assoluti un
determinato modello di società e di prassi sociale e politica, senza le
necessarie mediazioni culturali e storiche. Questo atteggiamento teorico e
pratico si può avere sia in relazione a una fede religiosa la quale, poiché
è ritenuta poggiare sulla rivelazione di Dio, si presenta come assoluta e
non ammette compromessi (integrismo confessionale), sia in relazione a una
ideologia accettata dogmaticamente, a cui conformare, anche con la forza, la
vita politica e sociale (integrismo ideologico). Dal punto di vista
psicologico e culturale i due integrismi sono analoghi: la pretesa di
dedurre immediatamente dal Vangelo un modello unico di "società cristiana" è
analoga alla pretesa di dedurre direttamente da una ideologia il modello di
società da realizzare a qualsiasi prezzo (come nel caso del comunismo e di
altre ideologie totalitarie, fino alla recente ideologia della "guerra
preventiva"). L'integrismo (confessionale o ideologico) nelle sue forme
estreme, come nel caso oggi del fondamentalismo islamico, comporta il
rifiuto della tolleranza, del dialogo, della collaborazione e del rispetto
verso il diverso. È essenzialmente una dittatura, una forma di
totalitarismo.
Riferendoci in particolare all'integrismo confessionale, dobbiamo
riconoscere che esso è una tentazione costante per chiunque professi una
fede religiosa. Infatti, la certezza della verità spinge i credenti non solo
a conformarvi la propria vita personale, ma anche a operare affinché gli
altri e la vita sociale vi si adeguino, sicuri di perseguire così il bene di
ciascuno e di tutti. Dunque, l'integrismo confessionale è una scorretta
interpretazione della fede religiosa e può anche diventare una sua
degenerazione. In ogni caso, è un fenomeno chiaramente circoscritto e
rilevabile nelle sue manifestazioni.
Da questo integrismo la Chiesa ha preso da tempo le distanze. Il Concilio
Vaticano II riconosce apertamente che "parecchi elementi di verità" si
trovano anche al di fuori della Chiesa cattolica, perfino presso quei non
credenti "che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano
ancora la sorgente" (Gaudium et spes, n. 92). Più ancora, la Chiesa dichiara
di non avere una risposta bell'e pronta a tutti i problemi anche gravi che
sorgessero (cfr ivi, n. 43); la fede non garantisce i credenti dal pericolo
di sbagliare, né si sostituisce alla fatica di cercare con tutti gli uomini
di buona volontà le soluzioni più valide ai problemi del tempo. Al Convegno
della Chiesa italiana su "Evangelizzazione e promozione umana" (1976) l'integrismo
fu definito "il tarlo del Vangelo" (Atti del Convegno ecclesiale, AVE, Roma
1977, 327).
L'integrismo, perciò, non ha nulla a che vedere con l'atteggiamento di chi -
nel rispetto della libertà e della identità altrui - si comporta apertamente
in coerenza con la fede che professa, senza nasconderla. Il solo fatto di
affermare in pubblico la propria fede religiosa, e il cercare di trasferirne
i valori aventi rilevanza sociale nella legislazione, attraverso il metodo
democratico, non significa affatto imporla a chi non la condivide, né
impedisce ad altri di affermare la loro diversa identità.
In realtà, l'accusa di integrismo che spesso si rivolge ai cristiani viene
da più lontano. Nasce infatti dal pregiudizio illuministico, oggi ereditato
dal "pensiero unico" neoliberista dominante, secondo cui la fede religiosa
apparterrebbe alla mera sfera privata della coscienza personale e sarebbe
quindi priva di ogni rilevanza sociale. Infatti - si sostiene - la soluzione
dei problemi sociali non può venire dalla fede religiosa, che è una
esperienza metascientifica, ma si ottiene solo usando le regole e gli
strumenti scientifici propri delle scienze sociali, dell'economia e della
politica.
A questa argomentazione si può rispondere, anzitutto, che i credenti oggi
sono consapevoli che dalla rivelazione non si può dedurre direttamente un
modello di società e che le regole della politica e dell'economia sono
laiche, come laico è il bene comune. I cristiani, pertanto, si impegnano a
edificare una società non confessionale ma laica. Tuttavia, ciò non vieta
che essi traggano "ispirazione" e "forza" dalla fede, a cui attingono valori
da tradurre in programmi sociali e politici attraverso le mediazioni
necessarie e nel pieno rispetto delle regole democratiche, contribuendo a
legiferare, per esempio, in tema di immigrazione, di pace e di guerra, di
procreazione assistita, ecc.
Quindi l'integrista è, in sostanza, un cristiano immaturo. Spiega il card.
Martini: "I principi della fede devono essere trasformati in valori [laici]
per l'uomo e per la città, devono risultare vivibili e appetibili anche per
gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili" ("Chiesa e comunità
politica", in Aggiornamenti Sociali 9-10 [1998] 715); devono, cioè, essere
sottoposti a un processo non facile di mediazione culturale. Ora, quest'opera
di mediazione culturale può essere il frutto solo di un laicato maturo. In
pratica, saranno gli strumenti e le regole della democrazia a imporre ai
cristiani scelte di opportunità e di gradualità nel confronto con soggetti e
programmi politici laicisti in contrasto con l'etica cristiana. A nulla
servirebbe reagire in termini integralistici, muro contro muro, creando una
frattura tra cattolici e laici. Ecco perché l'integrismo oggi è ripudiato
dalla Chiesa, e perché "questo della mediazione antropologico-etica è forse
uno dei lavori più importanti e urgenti dei cristiani impegnati in politica
ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare
alla società civile oggi" (ivi).
2. Il laicismo
All'integrismo si oppone specularmente il "laicismo", che i cristiani
giustamente denunciano, vedendo in esso un vero e proprio pregiudizio nei
confronti di tutto ciò che è cristiano. "Temo - dice, per esempio, il card.
Julián Herranz, presidente del Pontificio Consiglio per l'interpretazione
dei testi legislativi - che ci troviamo di fronte a un'ondata di
fondamentalismo laicista"; stiamo assistendo al "tentativo di fare del
laicismo - non della laicità - una religione di Stato. Con il rischio di
instaurare così una forma di totalitarismo laico, finendo con ledere uno dei
diritti fondamentali della persona, che è la libertà religiosa" (Il
Giornale, 19 ottobre 2004). Che cos'è, dunque, il laicismo?
Esso è una degenerazione del processo di secolarizzazione e di laicizzazione,
affermatosi in Europa e nel mondo occidentale dall'Illuminismo in poi. Di
per sé la secolarizzazione e la laicizzazione, in quanto riaffermano la
legittima autonomia delle realtà temporali e la loro laicità, sono un
fenomeno positivo di maturazione sia civile, sia religiosa: contribuiscono
infatti a distinguere ambiti che sono diversi, a purificare i contenuti
della fede, ad accrescere la responsabilità civica dei credenti e a
stimolarne la creatività, aprono la strada al dialogo tra gli uomini di
buona volontà. Il secolarismo e il laicismo, invece, in quanto escludono
totalmente Dio dall'orizzonte umano e della storia e negano rilevanza
sociale alla religione, sono una sorta di integrismo ideologico,
intollerante verso ogni manifestazione pubblica di fede e verso ogni ricerca
dei credenti di tradurre politicamente, con metodo democratico, certi valori
della loro fede.
Dunque, "laicismo" e "laicità" sono due realtà diverse: la laicità è un
valore, il laicismo ne è la degenerazione. Non si mette in dubbio che lo
Stato sia e debba rimanere laico; non può però essere laicista. Infatti la
libertà religiosa è una dimensione costitutiva della persona, è un diritto
civile: va rispettato come tutti gli altri diritti umani. Lo Stato, per
esempio, non può vietare l'ostensione dei simboli religiosi in nome della
laicità; tale divieto è solo un atto di intolleranza dettato dall'ideologia
"laicista". Soprattutto esso non può vietare che la religione assuma
rilevanza sociale, quando lo faccia nel rispetto della libertà di tutti.
Il Trattato costituzionale, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, mostra quanto
questa ideologia "laicista" sia anacronistica. Infatti, esso riconosce la
rilevanza sociale della religione, delle Chiese e delle loro associazioni:
"Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un
dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese" (art. I-52,3).
Giustamente perciò la Chiesa, mentre rispetta la "laicità" dello Stato,
ribadisce la sua contrarietà all'espandersi del "laicismo": "La
marginalizzazione delle religioni che hanno contribuito e ancora
contribuiscono alla cultura e all'umanesimo dei quali l'Europa è
legittimamente fiera - ha detto Giovanni Paolo II, lamentando la mancata
menzione delle "radici cristiane" nel Trattato costituzionale -, mi sembra
essere al tempo stesso un'ingiustizia e un errore di prospettiva.
Riconoscere un fatto storico innegabile non significa affatto disconoscere
l'esigenza moderna di una giusta laicità degli Stati e, dunque, dell'Europa"
(Discorso al Corpo Diplomatico, 10 gennaio 2002).
A questo punto, chiarita la natura dell'integrismo e del laicismo, si
comprende perché l'unico modo per vivere "uniti nella diversità", è
l'accettazione da parte di tutti di una concezione matura della laicità.
Altra strada non c'è.
3. La laicità
In genere, parlando di laicità, si è soliti restringere il discorso alla
regolazione delle relazioni giuridiche e istituzionali tra religione e
politica, tra Chiesa e Stato, con la quale si riconosce a ciascuna delle due
parti la propria autonomia e le proprie competenze, senza ingerenze dell'una
negli affari dell'altra.
In realtà, l'orizzonte è molto più ampio. Il Concilio Vaticano II colloca il
discorso sulla laicità all'interno dello stesso rapporto tra fede e ragione,
tra Chiesa e mondo. Laicità cioè significa che le realtà temporali hanno una
propria consistenza e autonomia. Per volere di Dio creatore, la politica,
l'economia, le scienze, la cultura seguono leggi proprie che non dipendono
dalla fede, ma dalla ragione (quantunque questa trovi luce e forza nella
fede); hanno fini propri da raggiungere, che hanno valore in se stessi
(sebbene il fine ultimo sia solo Dio); dispongono di una pluralità di
strumenti adeguati al raggiungimento dei loro fini, che non dipendono
direttamente dalla rivelazione soprannaturale, ma sono semplicemente
razionali, quindi accettabili anche dai non credenti. Di conseguenza, la
fede non solo non si contrappone alla ragione e alla laicità, ma esige che i
cristiani si impegnino nella costruzione della città degli uomini, in
collaborazione con tutti, osservando le regole e usando tutti gli strumenti
razionali (democratici) per raggiungere insieme il bene comune, che è laico,
ancorché aperto alla trascendenza.
In concreto: agire da laico in politica non solo non è in contrasto con
l'agire da cristiano, ma è dimensione intrinseca dell'identità cristiana.
Dunque i cattolici, nella loro azione politica, possono e devono agire da
laici. Ciò non significa rinunziare a proporre e difendere nel dibattito
pubblico i valori trascendenti della persona umana (che la Chiesa annuncia
profeticamente), né rinunziare a ispirare la propria attività politica ai
principi etici della dottrina sociale cristiana e a ricercare la loro
attuazione legislativa con il metodo democratico. Significa invece che la
maturità del cristiano si misura, oltre che dalla testimonianza integrale
della propria vita, anche dalla capacità di esercitare in politica l'arte
della mediazione e della gradualità.
Spiega, in termini chiari e convincenti, il card. Martini: "Occorre
distinguere, innanzitutto, tra principi etici e azione politica. I principi
etici sono assoluti e immutabili. L'azione politica, che pure deve ispirarsi
ai principi etici, non consiste di per sé nella realizzazione immediata dei
principi etici assoluti, ma nella realizzazione del bene comune
concretamente possibile in una determinata situazione. Nel quadro di un
ordinamento democratico, poi, il bene comune viene ricercato e promosso
mediante i mezzi del consenso e della convergenza politica. Nel fare ciò non
è mai possibile ammettere un male morale. Può però accadere che, in concreto
- quando non sia possibile ottenere di più, proprio in forza del principio
della ricerca del miglior bene comune concretamente possibile -, si debba o
sia opportuno accettare un bene minore o tollerare un male rispetto a un
male maggiore" ("Criteri cristiani di discernimento nell'azione politica",
in Aggiornamenti Sociali, 9-10 [1998] 715).
Dunque, il cristiano maturo applicherà in politica il principio del "maggior
bene concretamente possibile", impegnandosi ad attuare in ogni situazione,
attraverso il dialogo, tutto il bene che è possibile fare: "vale più la
proposta di cammini positivi, pur se graduali, che non la chiusura su dei
"no" che, alla lunga, rimangono sterili. […] Non ogni lentezza nel procedere
è necessariamente un cedimento. C'è pure il rischio che, pretendendo
l'ottimo, si lasci regredire la situazione a livelli sempre meno umani" (ID.,
"Chiesa e comunità politica", in Aggiornamenti Sociali, 2 [1996] 174).
Jean-Louis Bourlanges, presidente della Commissione Libertà del Parlamento
europeo che ha bocciato Buttiglione, ha detto: "Il voto nella mia
commissione non è stato un processo personale contro Buttiglione o, peggio
ancora, un voto anticattolico. Noi non siamo dei leoni nel Colosseo e
Buttiglione non è un martire"; la realtà è che "le sue risposte non hanno
rassicurato", neppure in tema di immigrati e di richiedenti asilo, e
Buttiglione "fa parte di un Governo che ha frenato su molte questioni: il
mandato d'arresto UE, la direttiva sul razzismo e la xenofobia, il
pluralismo dei media..." (la Repubblica, 17 ottobre 2004). È chiaro quindi
che sul voto negativo ha influito pure il clima ostile a Berlusconi che si
respira in Europa: anche all'on. Frattini, come prima a Buttiglione, è stata
imposta la supervisione di una commissione ristretta. È una ulteriore
conferma che non si è agito per "pregiudizio anticristiano". Del resto, la
Casa delle Libertà non si distingue certo per la fedeltà ai valori
cristiani, come dimostrano la legge Bossi-Fini sulla immigrazione,
l'appoggio alla guerra in Iraq e altre scelte, lontane dalla dottrina
sociale della Chiesa.
In conclusione, il "caso Buttiglione" insegna che, se vogliamo un'Europa
"unita nella diversità" (come dice il Preambolo del Trattato
costituzionale), dobbiamo tutti abbandonare i toni anacronistici dell'integrismo
e del laicismo e condividere invece una concezione matura di laicità. Per
quanto riguarda i cristiani, infine, è evidente che oggi non c'è alcun
bisogno di un "forte movimento trasversale per la difesa della libertà di
coscienza". Occorrono invece cristiani laici maturi: integrali nella
testimonianza della fede, ma non integralisti nel costruire e gestire la
"Casa comune".