Gli esperimenti più belli

Eratostene misura la circonferenza della Terra

Galileo e la caduta dei gravi dalla Torre di Pisa

Galileo ed il piano inclinato

Newton scompone la luce con dei prismi

Cavendish misura il peso della Terra

La scoperta del carattere ondulatorio della luce di Young

Il pendolo di Foucault

La goccia d'olio di Millikan

La scoperta del nucleo atomico di Rutherford

L'interferenza quantistica di elettroni singoli

 

Newton scompone la luce con dei prismi

Nel gennaio 1672 Isaac Newton (1642-1727) inviò una breve lettera a Henry Oldenburg, segretario di un'istituzione scientifica fondata di recente da un gruppo di eminenti scienziati (o « filosofi », come venivano chiamati allora): la Royal Society di Londra. Il giovane fisico, che aveva impressionato tutti con l'invenzione di un ingegnoso nuovo tipo di telescopio a riflessione, era stato accolto fra i membri della società da appena una settimana. Newton vi comunicava a Oldenburg di avere compiuto una « scoperta fìlosofica, che a mio giudizio è la scoperta più strana se non la più considerevole, che sia stata compiuta finora nelle operazioni della natura». Possiamo certamente giustificare Oldenburg se giudicò assurda quest'affermazione, una vanteria arrogante di un giovane di sfrenata ambizione. Newton era in effetti un soggetto difficile: combattivo, ipersensibile e dedito a una segretezza ossessiva. Ma la sua affermazione non era esagerata.

Qualche settimana dopo Newton inviò al membri della Royal Society la descrizione di un esperimento che mostrava a suo dire in modo decisivo che la luce solare, o luce bianca, non era pura come si era creduto in precedenza, bensì composta da un miscuglio di raggi di diversi colori. Newton definì questo esperimento il suo experimentum crucis, o « esperimento cruciale». La sua scomposizione della luce fu a un tempo una pietra miliare nella storia della scienza e una dimostrazione sensazionale del metodo sperimentale. Questo metodo, scrisse uno dei molti biografi di Newton, « fu altrettanto bello nella sua semplicità quanto efficace nel contenere in nuce la teoria di Newton ».

Isaac Newton era nato nel Lincolnshire, in Inghilterra, nel 1642, lo stesso anno in cui morì Galileo. Venne al mondo, forse opportunamente, il giorno di Natale. Dal 1661 al 1665, Newton studiò al Trinity College, alla Cambridge Uni-versity. La sua fu, secondo un altro biografo, « la carriera di studente più notevole nella storia dell'istruzione universitaria », in quanto egli scoprì e padroneggiò senza l'aiuto di nessuno, nella solitudine dei suoi appunti privati, la nuova filosofìa, fìsica e matematica che i più grandi scienziati europei stavano forgiando lentamente e con molta fatica. Nel 1665, quando Newton, che si era laureato, continuava a restare all'università per compiere ulteriori studi, l'Inghilterra fu colpita dalla Grande Peste e la Cambridge University chiuse i battenti, cosicché il giovane Isaac tornò nel Lincolnshire. Quell'ozio intellettuale obbligato fra i campi e i frutteti della madre non fu un freno per la sua istruzione, bensì piuttosto una benedizione inattesa. Esso permise a Newton, che era all'apice del suo vigore intellettuale, di meditare senza interruzione su numerosi argomenti scientifici su cui aveva già lavorato ai massimi livelli.

Gli storici chiamano questo periodo della vita di Newton il suo annus mi-rabiiis. Egli gettò infatti in questo periodo le basi di molte delle sue idee fondamentali: in fìsica l'idea della gravitazione universale (la storia della caduta della mela dall'albero che lo avrebbe ispirato - storia che ci è pervenuta attraverso la nipote di Newton, Catherine, figlia di una sua sorellastra, e attraverso Voltai-re - si sarebbe verifìcata a quest'epoca); in astronomia le leggi dei moti planetari; in matematica il calcolo infinitesimale. A quest'epoca Newton cominciò anche a lavorare a un insieme rivoluzionario di esperimenti in ottica.

L'ottica, lo studio scientifico della luce, stava allora acquisendo sempre maggiore importanza. Fin dall'antichità i pensatori avevano sviluppato una teoria fondamentale del modo in cui la luce si riflette e si rifrange (ossia si piega a un certo angolo quando passa attraverso un materiale trasparente). Prima del Seicento, però, specchi e lenti erano di qualità grossolana. Il loro studio era inoltre ostacolato dal pregiudizio che le immagini prodotte non meritassero un serio esame essendo innaturali:

quale importanza potevano avere immagini distorte e ingannevoli? Tuttavia, le invenzioni del telescopio e del microscopio alimentarono la richiesta di specchi e lenti migliori, che a loro volta accrebbero l'interesse per la loro produzione e per il loro studio. La nuova scienza promosse inoltre la nozione che le distorsioni e le trasformazioni ottiche non fossero innaturali (come i moti « violenti » aristotelici), ma (come il moto dei proietti galileiani) fossero semplicemente un altro campo governato da principi meccanici e leggi matematiche che potevano essere scoperti attraverso la sperimentazione. Eppure ancora Descartès e altri pionieri dell'ottica nel Seicento accettavano una concezione, risalente fino ad Aristotele, secondo la quale la luce bianca sarebbe pura e omogenea, e i colori sarebbero una modificazione o « colorazione » della luce bianca.

Costretto a soggiornare in campagna nella proprietà di sua madre, mentre nelle città infuriava la peste, Newton trasformò una stanza in un laboratorio d'ottica, escludendone la luce del giorno con l'eccezione di un forellino m comunicazione con l'esterno. Ivi egli trascorreva un giorno dopo l'altro assorto nei suoi esperimenti. Un suo collega scrìsse: « Per rendere più pronte le sue facoltà e stabilizzare la sua attenzione, si limitava a consumare sempre una piccola quantità di pane, con un po' di vino bianco secco e acqua, cose di cui si cibava senza alcuna regolarità quando gliene veniva un forte desiderio o gli mancavano le forze ». Lo strumento principale di Newton era il prisma, che a quel tempo era una curiosità popolare tenuta in alta considerazione per la sua capacità di trasformare la luce bianca in vari colori. Newton trasformò però quel giocattolo in un potente strumento per l'investigazione scientifica nel suo studio della luce.

Uno stereotipo comune, imposto a generazioni di studenti, presenta il metodo scientifico come una sorta di impresa robotica, consistente nel formulare, verìfìcare e correggere ipotesi. Una spiegazione in apparenza più vaga ma in realtà più corretta di quel che fanno gli scienziati sarebbe quella di dire che essi « guardano » un fenomeno: lo esaminano da angoli diversi e lo capiscono manipolandolo in vari modi per vedere che cosa accade. Nella sua stanza trasformata in laboratorio, Newton osservò la luce usando varie configurazioni di prismi e di lenti; la conclusione a cui pervenne infine fu che la luce bianca non è pura, bensì è un miscuglio di luce di colori diversi.

Newton avrebbe scritto in seguito: « Il metodo migliore e più sicuro per filosofare sembra essere, primo, di investigare diligentemente le proprietà delle cose e di stabilirle attraverso esperimenti, e poi procedere più lentamente a ipotesi per spiegarle ». Per molti anni, però, Newton riferì sul suo lavoro solo a poche persone. Quando tornò al Trinity College alla sua riapertura nel 1667, frequentò le lezioni sull'ottica tenute da Isaac Barrow, il primo occupante della cattedra lucasiana di matematica a Cambridge (una cattedra famosa, che sarebbe stata occupata più tardi da Paul Dirac e da Stephen Hawking), corresse le bozze delle lezioni di Barrow e nel 1670 gli successe come professore lucasiano. Il titolare della cattedra lucasiana doveva portare una toga scarlatta, che indicava la sua posizione elevata sugli altri professori. Questa carica imponeva anche di tenere una lezione agli studenti almeno una volta la settimana, in latino, su qualche argomento di matematica. Newton scelse l'ottica, che gli permetteva di mescolare matematica e scienza sperimentale e « portare i princìpi della sua scienza a un esame più rigoroso ». Le sue lezioni non erano molto frequentate. Un suo collega osservò che « Il numero dei suoi uditori era così piccolo, e così pochi erano coloro che lo capivano, che si può dire che spesso, per mancanza di uditori, 'fece lezione ai muri' ». Letteralmente ai muri: alla sua seconda lezione non si presentò nessuno.

Nel 1671 Newton presentò ai membri della Royal Society un telescopio che aveva inventato fondandosi sui suoi studi di ottica. La Royal Society era stata fondata solo poco più di dieci anni prima, col nome di Royal Society of London for Improving Natural Knowledge; il motto inciso nel suo emblema era l'espressione latina «Nullius in verba», che significa « [non prendere per buona] nessuna cosa sulla parola di qualcuno ». I membri della Royal Society si riunivano settimanalmente, analizzando e discutendo gli articoli dei membri. Questo modo di procedere fu decisivo per la stimolazione della ricerca e per la professionalizzazione della scienza, sveltendo il processo per mezzo del quale l'informazione scientifica veniva diffusa e difesa; ci si poteva concentrare nella ricerca su un argomento specifico e riferire Ì propri risultati in una lettera. Le lettere venivano pubblicate in quella che inizialmente si chiamò la Corre-spondence della società, e in seguito le Philosopkical Transactions, antenate della moderna rivista scientifica. Quando Newton fu accolto nella società, ben pochi avevano sentito parlare di lui. Il suo telescopio fece tuttavia sensazione. Lungo solo poco più di 15 cm, era stato progettato in modo ingegnoso e costruito con cura, e le sue prestazioni uguagliavano quelle di molti telescopi più grandi. Vari membri cominciarono a tentare di costruirsene uno da sé e ben presto invitarono Newton a unirsi a loro.

La prima presentazione formale del telescopio alla società avvenne nella lettera con la quale Newton soddisfece l'audace premessa fatta a Oldenburg di riferire sulla scoperta fìlosofìca « più strana » che fosse mai stata fatta sulle operazioni della natura. Questo saggio è citato a volte come un capolavoro della letteratura scientifica e un modello di scrittura scientifica. Esso fornisce una descrizione eccellente non solo dell'esperimento cruciale stesso ma anche del processo di pensiero che condusse ad esso, e un lettore acuto osserverà, fra le righe, la gioia pura che Newton provò nel corso di queste ricerche. Il saggio si apre nel modo seguente:

Per adempiere alla mia precedente promessa, vi informerò senza altre cerimonie che all'inizio dell'anno 1666 [...] mi procurai un prisma triangolare di vetro, per fare con esso esperimenti sui famosi fenomeni dei colori. E avendo in ordine a ciò oscurata la mia camera e praticato un piccolo foro nell'imposta della mia finestra, per consentire il passaggio della luce del sole in quantità conveniente, collocai il prisma all'ingresso di esso in modo che così potesse essere rifratta sulla parete opposta. Vedere i vividi e intensi colori prodotti fu da principio uno svago molto piacevole.

Altri avrebbero potuto essere tentati di prestare attenzione solo al seducente gioco dì colori simile all'arcobaleno. Newton stava però osservando ciò che accadeva dal maggior numero dì angoli possìbile. Egli vide, al di là dei colori, la forma che assumevano. « Rimasi sorpreso nel vederli disposti secondo una forma oblunga, mentre, per le note leggi di rifrazione, mi attendevo che essa fosse circolare. »

Perché Newton fu sorpreso? Nella concezione prevalente dì Descartes e altri, i prismi in qualche modo modificavano o co-j: loravano la luce bianca per produrre lo spettro. In tal caso, dal |. prisma sarebbe dovuto emergere un raggio sottile come una matita con lo stesso profilo circolare che aveva quando era entrato. Newton vide invece che l'immagine aveva una forma simile a quella della pista di un ippodromo, con curve semicircolari sopra e sotto, unite da tratti rettilinei; i colori erano disposti in bande orizzontali, col colore blu là un estremo e il rosso all'altro. Newton notò anche un secondo carattere curioso: mentre le sezioni rettilinee dell'immagine erano ben marcate, le curve ai due estremi - blu e rosso - erano confuse. Questo fatto, più «un divario così fuori dall'ordinario » fra lunghezza e larghezza - la prima era circa cinque volte maggiore della seconda - « stimolò in me una curiosità straordinaria di ricercare da che cosa potesse derivare ».

Newton descrive poi i suoi tentativi di determinare perché l'immagine avesse acquistato una figura così inattesa semplicemente dopo avere attraversato il prisma. Newton tentò di vedere se non potesse riuscire a modificare tale figura, usando prismi di vario spessore, e facendo passare la luce attraverso parti diverse del prisma. Ruotò il prisma avanti e indietro sul suo asse. Modificò la grandezza del foro nell'imposta della finestra e provò a mettere il prisma fuori della finestra, in modo che la luce del sole passasse per il buco della finestra dopo avere attraversato il prisma. Si sforzò di controllare se potessero avere qualche responsabilità le imperfezioni nel vetro del prisma. Nulla di tutto questo risultò incidere sulla figura dell'immagine. In ogni caso restava sempre la sconcertante forma oblunga, e tutti i colori, mentre attraversavano il prisma, continuavano a essere rifratti - ossia deviati a un certo angolo -nello stesso modo.

Newton ricordava di aver visto a volte una « palla da tennis, colpita obliquamente con una racchetta » descrivere una linea curva. Cominciò a sospettare che si potesse spiegare la forma della macchia luminosa supponendo che il prisma facesse in qualche modo incurvare i raggi di luce. Ciò lo indusse a progettare un'altra serie di esperimenti.

L'eliminazione graduale di questi sospetti mi condusse infine all'Experimentum crucis,che fu il seguente: presi due assicelle, e una la collocai subito dietro il prisma sulla finestra in modo che la luce potesse passare attraverso un piccolo foro, praticato in essa a questo scopo, e cadere sull'altra assicella che collocai a una distanza di circa 12 piedi, avendo prima praticato anche in essa un piccolo foro, affinchè una parte della luce incidente lo attraversasse. Dietro questa seconda assicella collocai poi un altro prisma, in modo che la luce, attraversate entrambe le assicelle, passasse anche attraverso quello e venisse di nuovo rifratta prima di arrivare sulla parete. Fatto questo, presi in mano il primo prisma, e ruotatolo lentamente avanti e indietro intorno al proprio asse, per fare si che le diverse parti dell'immagine, proiettate sulla seconda assicella, passassero una dopo l'altra attraverso il foro praticato in essa, potei osservare su quali luoghi della parete il secondo prisma le avrebbe rifratte. E per effetto della variazione di quei luoghi, notai che la luce diretta verso quell'estremità dell'immagine, in dirczione della quale avveniva la rifrazione del primo prisma, subiva nel secondo prisma una rifrazione considerevolmente maggiore di quella della luce diretta verso l'estremità opposta.

Il diagramma dello stesso Newton per il suo experimentum cru-tis, da lui disegnato su un pezzo di carta nelle sue prime lezioni di ottica. Un sottile fascio di luce, che entra attraverso un piccolo foro nell'imposta della finestra, attraversa un primo prisma, per aprirsi poi a ventaglio verso un'assicella, posta a una distanza di una dozzina di piedi (un po' più di tre metri e mezzo). Così facendo, esso proietta uno spettacolo di colori simile all'arcobaleno, oblungo nella dirczione verticale, ma con bande orizzontali di colore in successione dal rosso al blu. Chiunque si fosse dilettato con prismi aveva osservato questo spettacolo, anche senza rendersi conto necessariamente del significato di tale figura. Ma quel che Newton fece dopo era del tutto nuovo: aggiunse una seconda assicella e un secondo prisma. Praticò un foro nell'assicella, fece passare per esso una parte della banda oblunga di luce m dirczione del prisma sull'altro lato e poi diresse il fascio che ne emergeva verso la parete. Facendo ruotare il primo prisma, potè spostare la banda oblunga verso l'alto e verso il basso, così che una luce di diversi colori passasse attraverso il foro, e poi attraverso il secondo prisma, verso la parete. Osservò poi esattamente che cosa accadeva, Newton osservò che la luce blu, che era molto rifratta dal primo prisma, lo era anche dal secondo; similmente la luce rossa, che era meno rifratta dal primo prisma, era meno rifratta anche dal secondo. Notò anche che il modo in cui questi raggi venivano rifratti non dipendeva dall'angolo di incidenza (l'angolo a cui colpivano la superficie del prisma). Newton concluse che la misura in cui i raggi venivano riflessi - la loro rifrangibilità, dal verbo latino refrangere (rompere, spezzare) - era una proprietà dei raggi stessi e non del prisma. I raggi, passando per i due prismi, mantenevano la loro rifrangibilità. I prismi non modificavano i raggi di luce, ma si limitavano a separarli secondo la loro diversa rifrangibilità.

Ora Newton aveva la risposta al suo interrogativo iniziale. L'immagine dai colori dell'iride aveva la forma di un ippodromo perché il modo in cui il prisma spandeva il fascio di luce dipendeva dal comportamento dei singoli colori componenti. Se l'asse del prisma è orizzontale, il fascio che ne esce conserva la stessa larghezza ma viene diffuso verticalmente. I due estremi verticali (le « curve dell'ippodromo » della figura oblunga) sono confusi perché in tali parti della figura ci sono meno raggi. L'esperimento rivelò a Newton che « la vera causa della lunghezza di quell'immagine [la figura oblunga] in altro non consisteva che nel fatto che la luce è costituita di raggi diversamente rìjran-gibili, Ì quali, indipendentemente dalla diversa incidenza, e in accordo con i propri gradi di rifrangibilità, erano proiettati verso i diversi luoghi della parete».

Che cosa c'era di cosi cruciale in questo esperimento di Newton, uno delle centinaia da lui compiuti, molti dei quali avevano rivelato effetti simili? La sua fiducia nelle conclusioni che ne trasse era fondata non solo su di esso, ma su tutti gli altri suoi tentativi di esaminare la luce con prismi e lenti. Tuttavia, Newton non vedeva alcuna ragione nell'insistere che i suoi colleghi seguissero le sue vaste investigazioni. Tutto quel che richiedeva per metterli sulla via giusta era un unico esperimento. NeìYexperimentum crucis c'era senza dubbio una certa teatralità; esso era una dimostrazione o ricapitolazione di quel che egli aveva imparato a fare fino a questo punto. Il fine della dimostrazione era quello di convincere i colleglli; essa doveva quindi essere semplice, doveva essere fatta con strumenti facilmente disponibili e doveva mostrare il risultato in modo preciso e vivido per massimizzare l'impatto. Come egli avrebbe scritto ìn seguito a qualcuno che si sforzava di replicare i suoi esperimenti: « Invece di tentare di fare molte cose, provi solo Yexperìmen-tum crucis. Non si dovrebbe infatti considerare il numero degli esperimenti, bensì il loro peso; e dove basta uno, che bisogno e e di molti?»

Questo esperimento diede a Newton non solo una risposta alla sua domanda iniziale sul perché la figura dell'immagine luminosa prodotta dal prisma sia oblunga, ma dischiuse altre possibilità e sollevò nuove domande. Egli si era molto impegnato nella molatura di lenti per telescopi, ma vide che questa scoperta col prisma implicava un'importante limitazione alla qualità dei telescopi costruiti con lenti. « Capito questo », scrisse, « misi da parte il mio predetto lavoro di molatura delle lenti. Rilevavo infatti che il perfezionamento dei telescopi era stato fin qui limitato non tanto dalla mancanza di lenti correttamente formate [...], quanto dal fatto che la luce stessa è una mescolanza eterogenea di raggi diversamente rijrangibili». Le lenti Concentrano la luce deviandola o rifrangendola, ma poiché diversi tipi di luce si rifrangono in misura diversa, neppure una lente perfetta potrebbe raccogliere tutti i raggi in un punto. Un modo più efficace per focalizzare la luce di telescopio, si rese conto Newton, sarebbe stato quello di usare specchi invece di lenti, poiché quando gli specchi riflettono la luce per fecalizzarla, l'angolo a cui i diversi tipi di luce si riflettono è sempre lo stesso. Newton prese allora in esame le riflessioni e si accinse subito a costruire un telescopio a specchio, ma il suo intento fu interrotto dalla peste.

Nel 1671 riuscì infine a costruire un telescopio a riflessione che lo convinse appieno e che lo colmò d'orgoglio, al punto da fargli riuscire a superare l'ossessione della segretezza e da indurlo a presentarlo alla Royal Society. Newton espose tutto questo nella prima metà del saggio « Sulla luce e sui colori ». Nella seconda metà discusse varie implicazioni della sua scoperta. Una prima implicazione era che la rifrangibilità della luce non era una proprietà causata dal prisma attraverso una qualche forma di modificazione, come credevano Descartes e la maggior parte degli altri autori sull'argomento: « I colori non sono qualificazioni della luce, derivanti dalla rifrazione o dalla riflessione dei corpi naturali (come generalmente si crede), bensì proprietà originali e connaturate, diverse nei diversi raggi...». Una seconda implicazione era che «Al medesimo grado di rifrangibilità appartiene sempre il medesimo colore, e al medesimo colore appartiene sempre il medesimo grado di rifrangibilità». Una terza era che la rìfrangibilità o il colore di un raggio non vengono modificati dalla sostanza che esso attraversa. Newton aveva osservato questo punto con molta cura:

La specie di colore e il grado di rifrangibilità, propri a un qualsiasi particolare tipo di raggio, non sono mutabili né per effetto della rifrazione né per effetto della riflessione causate da corpi naturali, né per effetto di qualsiasi altra causa che finora abbia potuto osservare. Quando un qualsiasi tipo di raggio sia stato ben diviso da quelli di altro genere, esso ha successivamente conservato ostinatamente il proprio colore, nonostante Ì miei reiterati tentativi di mutarlo. L'ho rifratto per mezzo di prismi e riflesso per mezzo di corpi che alla luce del giorno erano di altro colore; l'ho intercettato per mezzo dì un sottile strato colorato d'aria contenuta fra due lastre di vetro sovrapposte; l'ho trasmesso attraverso mezzi colorati e attraverso mezzi irradiati con altri tipi di raggi, e che lo delimitavano diversamente: tuttavia non ho mai potuto estrar-ne un colore diverso.

Newton giunse alla notevole conclusione che la luce bianca non è originale bensì composta, fatto che aveva già trovato conferma in alcuni esperimenti in cui aveva usato prismi e lenti addizionali per ricombinare la luce che aveva precedentemente separato:

Tuttavìa, il composto più sorprendente e meraviglioso fu quello del bianco. Non vi è nessun tipo di raggio che da solo possa esibirlo. E sempre composto, e per la composizione di esso sono richiesti tutti i predetti colori primati, mescolati secondo una data proporzione. Ho spesso osservato con ammirazione che, fatti convergere tutti i colori del prisma, e avendoli nuovamente mescolati come erano nella luce prima che incidesse sul prisma, a causa di ciò riproducevano luce interamente e perfettamente bianca [...]. Da quanto detto segue, dunque, che il bianco è l'usuale colore della luce. La luce, infatti, è un confuso aggregato di raggi, dotato di tutti i generi di colori, irradiati promiscuamente dalle varie partì dei corpi luminosi.

La scoperta « sorprendente e meravigliosa » di Newton stimolò una nuova percezione di quelli che erano stati profondi misteri. Nella parte restante del saggio egli affrontò alcuni di questi misteri uno a uno, risolvendo con facilità rompicapi che avevano eluso gli sforzi dei suoi colleghi. Come funzionano i prismi, e come producono la forma oblunga dell'immagine luminosa che generano? Essi non trasformano la luce, ma la separano in bande di uguale rifrangibilità. Immaginiamo (questa non è un'immagine di Newton) un gruppo di corridori, ognuno dei quali è in grado di prendere in velocità una curva a un certo angolo. Anche se, quando procedono in linea retta, si mantengono raggruppati, alla prima curva brusca si aprono in un ampio ventaglio. Come si forma l'arcobaleno? Newton spiega questo fenomeno ipotizzando che le gocce di pioggia agiscano come una nuvola di minuscoli prismi, rifrangendo la luce del sole. E che dire di quei « curiosi fenomeni » implicanti vetro colorato e altri materiali in cui la stessa materia produce colori dì-versi? Questi « non sono più misteriosi », dice Newton, in quanto si tratta di materiali che riflettono e trasmettono tipi diversi di luce ìn condizioni diverse.

Newton spiegò anche « un imprevisto esperimento » compiuto da Robert Hooke, il curatore degli esperimenti della Royal Society. Hooke aveva fatto passare della luce attraverso un vaso pieno di un liquido rosso e uno pieno di un liquido blu. Ciascuno di essi, considerato da solo, era abbastanza trasparente, ma quando si voleva far passare la luce attraverso tutti e due, diventavano del tutto opachi. Hooke non era riuscito a spiegare questo fenomeno: perché, se i singoli vasi singolarmente presi, lasciavano passare la luce, la loro combinazione ne bloccava totalmente il passaggio? Lo sconcerto di Hooke, secondo Newton, era evidentemente dovuto all'assunto che la luce fosse una sostanza uniforme» mentre in realtà essa era composta da moiri tipi di raggi. Il vaso blu lasciava passare una parte dei raggi ma bloccava tutti gli altri; il vaso rosso lasciava passare un'altra parte dei raggi e bloccava tutti gli altri. Poiché i due vasi non lasciavano passare gli stessi tipi di raggi, «nessun raggio poteva passare attraverso entrambi». Newton era ora in grado di spiegare il colore dei corpi naturali - i corpi « sono variamente qualificati a riflettere un tipo di luce più abbondantemente di un altro » — e descrisse i propri esperimenti in una stanza oscurata, nella quale aveva proiettato luce di vari colori su diversi oggetti, trovando che « con quel mezzo si può far apparire qualsiasi corpo di qualsiasi colore». Al buio ci sono colori? e il colore è una proprietà degli oggetti? No, il colore è una proprietà della luce che li illumina.

Newton concluse la lettera con alcuni suggerimenti di esperimenti da fare per Ì suoi colleghi, pur ammonendoli che tali esperimenti, come Vexperimentum crucis, sono molto sensibili. Il prisma dev'essere di qualità elevata, poiché in caso contrario la luce che perverrà al secondo prisma sarà impura; e la stanza dovrà essere assolutamente al buio, per scongiurare che della luce estranea si mescoli con Ì colori confondendo il problema. Quest'ultimo carattere rende Vexperimentum crucis più difficile da replicare di quanto potrebbe sembrare per scuole di livello secondario, benché esso possa apparire seducentemente accessibile e vividamente istruttivo. Newton concluse:

Questo, suppongo, è sufficiente per iniziare esperimenti di questo genere. Se poi qualcuno della Royal Society sarà tanto curioso da proseguirli, io sarei molto contento dì essere informato dei risultati. Perché se qualche cosa appare difettosa, o contraddice questa relazione, potrò avere l'opportunità di dare altre indicazioni oppure di riconoscere i miei errori, posto che ne abbia commesso.

La lettera di Newton arrivò a Oldenburg l'S febbraio. Fortuna volle che Oldenburg stesse preparando un convegno della Royal Society proprio per quello stesso giorno e potè includerla nel programma della giornata. Prima di ascoltare il contributo di Newton, i presenti furono informati attraverso una lettera sulla possibile influenza della Luna sulle letture barometriche, e attraverso un'altra sugli effetti della puntura di una tarantola. La società fu molto impressionata dalla lettera di Newton. Ol-denburg gli riferì che « La lettura del Suo discorso sulla luce e i colori fu quasi l'unica cosa su cui concentrarono il loro interesse. Posso assìcurarLe, signore, che fu accolto con una singolare attenzione e un applauso non comune».1 Oldenburg ricordò anche che Ì membri gli avevano chiesto di pubblicarlo il più presto possibile nelle Philosophical Transactions, ed esso apparve nel numero successivo di quello stesso mese. Non solo Y experimentum crucis di Newton fu un bell'esperimento — e la lettera in cui egli riferì su di esso, pubblicata nelle Philosophical Transactions, fu un vero modello di articolo scientifico — ma generò anche quella che fu la prima « controversia su riviste », in cui degli scienziati sì cimentarono con grande foga su un problema. L'esperimento di Newton, che sfidava l'ortodossia del tempo, secondo la quale i prismi creavano colori modificando la luce bianca, creò una grande animazione nella Royal Society e fra altri scienziati, specialmente in Francia.

Senza nemmeno tentare di replicare Vexperìmentum crucis, Robert Hooke aveva rifiutato la lettera dì Newton una settimana dopo averla letta, sulla base di alcune critiche avventate e scorrette sulle ipotesi che Newton sembrava fare. Newton colse al volo l'occasione, manifestando brillantemente le sue doti di polemista nel carteggio che seguì, in cui ricapitolò e sviluppò le sue argomentazioni, comprendenti una delle critiche più sarca-stiche della storia. In esso sfruttò il fatto che Hooke era così piccolo e curvo (difetto forse accentuato dal faticoso tipo di lavoro che faceva al banco in laboratorio) da assomigliare a un nano. In una lettera che grondava di false adulazioni, Newton elogiò i contributi di Hooke al suo lavoro con le parole: « Se io ho visto più lontano è perché ero issato sulle spalle di giganti ». Questa famosa osservazione è oggi citata come un'espressione di cortesia e di umiltà, mentre in realtà metteva malvagiamente in ridicolo l'aspetto fisico di Hooke.

Gli scienziati in Francia impiegarono più tempo a convertirsi. Uno di loro fu un anziano professore al College dei gesuiti inglesi a Liegi, di nome Francis Hall, anche se nella corrispondenza usava lo pseudonimo dì Linus. Nell'agosto del 1674 LÌ-nus — che aveva quasi ottantenni — scrisse a Oldenburg sostenendo che, in esperimenti con prismi che aveva compiuto trenta anni prima, non aveva mai osservato un'immagine luminosa oblunga in giornate di sole, sostenendo che l'allungamento dell'immagine osservato da Newton era dovuto agli effetti di nubi. Newton, che considerava Lìnus incompetente, non lo degnò di una risposta. Oldenburg incaricò tuttavia Hooke di allestire una dimostrazione dell''experìmentum crucis di Newton a un convegno della Royal Society nel marzo 1675. Le condizioni meteorologiche, purtroppo, non furono favorevoli, e in considerazione delle osservazioni di Linus si ritenne inutile eseguire l'esperimento in una giornata nuvolosa. Linus morì nell'autunno di quell'anno, ma la sua causa fu onorata da un allievo devoto, il quale espresse fiducia che il suo maestro sarebbe stato ['riabilitato la prossima volta che la Royal Society avesse tentato S l'esperimento in una giornata di sole.

Hooke fece nuovamente preparativi per una dimostrazione | alla Royal Society, e quello che Newton ribattezzò « l'esperimento contestato» fu riprogrammato per il 27 aprile 1676 ' (che fu una giornata di sole). Benché Newton non fosse presente — in generale evitava tali occasioni pubbliche — l'esperimento si dimostrò una pietra miliare all'alba della scienza moderna, essendo il primo esperimento progettato ed eseguito da una società scientifica per ottenere una risposta decisiva a un'aspra controversia.

Negli atti ufficiali della Royal Society si legge:

L'esperimento del signor Newton, che era stato contestato dal signor Linus e colleghi a Liegi, fu eseguito dinanzi ai membri della Società, seguendo le istruzioni del signor Newton, ed ebbe successo, com'egli asserì sempre che sarebbe accaduto: e fu ordinato che il signor Oldenburg comunicasse questo successo a quelli di Liegi, i quali avevano in precedenza assicurato che, se l'esperimento fosse stato fatto dinanzi alla Società, e avesse avuto successo conformemente alle asserzioni del signor Newton, avrebbero accettato questo risultato.

Alcuni critici francesi tennero duro ancora per qualche anno. Un gesuita francese, Antoine Lucas, tentò Vexperimentum crii-oc, ma trovò raggi rossi fra quelli di color porpora e raggi rossi e gialli fra quelli violetti. Newton smise di rispondere, scrivendo che « queste sono cose da decidere non col discorso bensì con nuovi esperimenti ». ' Egli aveva già messo in guardia su ciò che poteva fallire nell'esperimento. Come qualsiasi macchina che esegue operazioni complesse, un esperimento può essere preparato in modo scorretto, ma quando viene preparato bene dimostra che cosa c'era di sbagliato in tentativi scorretti; esso fornisce i propri criteri di successo.

U experimentum cntcis di Newton fornì al mondo molte cose a un tempo: un'informazione importante, un insieme di strumenti e di tecniche, e persino una lezione morale. Esso deve la sua bellezza a ciascuna di queste cose. L'esperimento di Newton svelò un pezzo di verità sul mondo con sorprendente semplicità e genialità. Chi avrebbe mai pensato, dopo avere usato un prisma per separare un raggio di luce bianca nei colori dell'iride, di raccogliere una luce di uno di questi colori e farla passare per un altro prisma? Grazie a una tale configurazione sperimentale non si richiedevano altre manipolazioni per mostrare ai colleghi di Newton che la luce bianca è formata da raggi dì colori diversi, con gradi di rifrazione diversi.

L'esperimento permise di capire molti fenomeni sconcertanti della luce, e fornì tecniche per separare la luce di colori diversi e costruire telescopi migliori. La forza di percezione di Newton esplose come un fuoco d'artifìcio, instaurando connessioni in molte direzioni diverse.

Infine, l'experimentum crucis di Newton fu una lezione morale per gli scienziati. Esso diceva in effetti: « Questo è il modo in cui sì deve procedere per capire un fenomeno difficile. Sperimentare a lungo e con impegno, e poi prendere la dimostrazione più economica e lìmpida che si riesca a trovare, indicare i modi in cui essa può fallire, e mostrare quali nuove connessioni renda possibili».

La sua bellezza non ha quindi nulla a che fare con la bellezza dei colori stessi; Newton, come Eratostene con le sue ombre, guardò oltre Ì colori, a ciò che li faceva comportare come si comportavano. Ma come l'esperimento di Galileo sui piani inclinati, V. experimentum crucis di Newton rivelò qualcosa sulla natura della sperimentazione stessa. Quel che c'è di distintivo nell:'experimentum crucis è il fatto che ha una sorta di bellezza morale.

Nel 1721, quando si stava programmando a Parigi una seconda edizione francese dell'Ottica di Newton (la prima era apparsa nel 1704), l'editore francese, Varignon, scrisse a Newton: « Ho letto l'Ottica con grande piacere, tanto più che il Suo nuovo sistema dei colori è saldamente stabilito per mezzo degli esperimenti più belli ». Varignon domandò a Newton un disegno che potesse simboleggiarne i contenuti, da mettere in capo alla prima pagina del libro.

Newton scelse un disegno dell'experimentum crucis con una didascalia laconica: « La luce non cambia colore quando viene rifratta». Era un simbolo elegante di ciò che, nelle mani di Newton, divenne la stessa scienza dell'ottica.

(Tratto da "Il prisma e il pendolo" - Robert P. Crease - 2007 Longanesi)