« Lo vidi durante un corso di ottica all'Università di Edimburgo », mi scrisse un'astronoma, con riferimento all'esperimento delle due fenditure con elettroni, in risposta al mio sondaggio sulla rivista Physics World.
«Il professore non ci disse che cosa sarebbe accaduto », continuò, « e l'impatto fu tremendo. Non ricordo più i particolari, ma solo la distribuzione dei punti che vidi improvvisamente disposti in una figura d'interferenza. È una cosa emozionante, come può esserlo un capolavoro d'arte o di scultura. Vedere l'esperimento delle due fenditure è come osservare per la prima volta un'eclisse solare totale: un brivido primitivo ti attraversa e ti fa rizzare i peluzzi sulle braccia. Cristo, pensi, questa cosa dell'onda-particella e realmente vera, e i fondamenti della tua conoscenza si muovono e oscillano ».
Nelle sue Lezioni di fìsica, il compianto fisico americano e premio Nobel Richard Feynman osservò che « le cose a una scala molto piccola si comportano in modo diverso da tutto ciò di cui si ha una qualche esperienza diretta». Tuttavia, come ben sapeva Feynman, è fin troppo facile anche per Ì fisici più preparati ignorare le complicazioni della meccanica quantlstica e immaginare, nonostante la loro profonda comprensione dell'argomento, che elettroni, protoni, neutroni e altre particelle siano esattamente simili ai corpi al nostro livello macroscopico, cioè che siano oggetti individuali solidi che quando vanno dal punto A al punto B seguono percorsi ben stabiliti e che, se per qualche ragione perdiamo il contatto con loro in qualche punto intermedio, essi siano ancora 'là' in un certo luogo in un tempo ben preciso ». Noi possiamo però fare degli esperimenti per dimostrare che non è questo che accade nel mondo quantlstico. Questo risultato è in diretta contraddizione con l'assunto - che è considerato una parte certa della scienza da quando l'esperimento di Eratostene ci ha aiutati a rappresentare il ciclo — che noi possiamo in qualche modo immaginare o raffigurarci cose fondamentali.
La singola dimostrazione più efficace ed emozionante che non è così — ossìa che le attività del mondo quantistico non possono essere raffigurate visivamente - è una versione dell'esperimento delle due fenditure eseguito da Thomas Young, compiuto però questa volta usando non la luce bensì partkelle subatomiche come gli elettroni. A causa della difficoltà tecnica della sua preparazione, che fu sviluppata in varie fasi, questo è l'unico dei dieci esperimenti più belli a non essere associato al nome di un singolo scienziato. Esso è noto semplicemente come l'esperimento delle due fenditure, o esperimento dell'interferenza quantìstica, con singoli elettroni. Secondo la mia indagine, questo fu l'esperimento di gran lunga più menzionato. Il mio sondaggio, senza dubbio, non fu scientifico, ma non dubito che la semplicità, l'innegabilità e il valore di sorpresa dell'esperimento delle due fenditure lo farebbero collocare molto in alto in qualsiasi elenco degli esperimenti scientifici più belli.
Nel suo corso di fìsica e in altri libri, Feynman descrisse elegantemente la stranezza del comportamento quantistico confrontando un trio di esperimenti delle due fenditure - uno dei quali usava pallottole (particelle), un altro acqua (onde) e un terzo elettroni (entrambe le cose e nessuna delle due) - per sviluppare progressivamente, « attraverso un misto di analogia e contrasto», le somìglianze e differenze in ciascun caso.
Innanzitutto, scrisse Feynman, immaginiamo un esperimento in cui una mitragliatrice spara a caso delle pallottole disseminandole su una parete corazzata nella quale sono praticati due piccoli fori. Ogni foro ha un otturatore che può essere usato per chiuderlo completamente. Ogni foro è grande esattamente quanto basta per permettere a una pallottola di passare attraverso di esso e colpire una superfìcie d'arresto. Quasi tutte le pallottole colpiscono la parete d'arresto negli stessi due luoghi; un piccolo numero rimbalza sull'orlo dei fori venendone deviate a un certo angolo, cosicché non possiamo mai predire esattamente dove ognuna di queste pallottole andrà a colpire. Nel quadro di quest'esperimento, dice Feynman, immaginiamo che un «rivelatore di pallottole» situato sulla superfìcie d'arresto possa essere mosso in giro per contare il numero di pallottole che colpiscono ogni particolare punto. Lo scopo dell'esperimento è quello di misurare la probabilità che le pallottole colpiscano ogni particolare punto della superfìcie d'arresto. Quando effettivamente spariamo e cominciamo a misurare, troviamo innanzitutto che il rivelatore riceve sempre, ovviamente, pallottole complete: noi troviamo sempre nel rivelatore una pallottola completa, mai mezza pallottola o una frazione di pallottola.
Il modello della distribuzione delle pallottole è quindi « discreto », ossia le pallottole arrivano esclusivamente in unità singole, e ogni specifica misurazione registra un numero specifico dì pallottole intere. Soprattutto, constatiamo anche che la probabilità di trovare una pallottola in ogni particolare posizione quando i fori 1 e 2 sono entrambi aperti è uguale alla somma delle probabilità di ciò che accade quando i fori 1 e 2 sono aperti separatamente. In altri termini, la probabilità che una pallottola passi per il foro 1 non risente del fatto che il foro 2 sia aperto o chiuso.
Per presentare la cosa in termini lievemente diversi, se ti trovi in un poligono di tiro e stai colpendo il bersaglio per una certa percentuale del tempo, tale percentuale non cambia anche se qualcuno colloca un secondo bersaglio vicino al tuo e comincia a sbagliare qualche colpo, centrando anche il tuo bersaglio. Feynman parla in proposito di una condizione di « non interferenza ».
Ora, dice Feynman, immaginiamo un secondo esperimento, il quale implichi, invece che pallottole e una mitragliatrice, un serbatoio d'acqua e una macchina per la produzione di onde. Anche questo esperimento ha una parete con due fori, una superfìcie d'arresto o « spiaggia » che non riflette le onde che la colpiscono, e un rivelatore mobile che misura l'intensità del moto ondoso (in realtà misura l'altezza o ampiezza delle onde e ne eleva al quadrato tale numero per ottenerne l'intensità). Questo è essenzialmente l'esperimento delle due fenditure di Young applicato alle onde dell'acqua.
L'obiettivo dell'esperimento è quello di misurare il moto ondoso quando i fori 1 e 2 sono aperti separatamente e con-
giuntamente. Quando mettiamo in azione il meccanismo che produce il moto ondoso, dice Feynman, rileviamo varie differenze chiave nei confronti dell'esperimento precedente. Innanzitutto le onde possono avere qualunque grandezza — non sono discontinue, come le pallottole - e la loro altezza può variare in modo regolare e continuo. Inoltre la figura prodotta dalla variazione d'intensità che si riscontra quando entrambi i fori sono aperti non è uguale alla somma .delle figure che si formano quando ognuno dei due fori è aperto singolarmente. La ragione, come sappiamo dall'esperimento di Young, è che le onde provenienti dalle due sorgenti sono in fase in certi luoghi e fuori fase in altri. Qui abbiamo una condizione di « interferenza ».
Infine, il terzo esperimento immaginato da Feynman usò un cannone elettronico che sparava un fascio di elettroni contro una parete con due fori. Anche in questo caso, dall'altro lato della parete c'era una superfìcie d'arresto con un rivelatore elettronico. Noi qui ci stiamo occupando del comportamento quantistico, dice Feynman, e accade qualcosa di molto peculiare. Come nel primo esperimento, scopriamo un modello di distribuzione « discontinuo », poiché gli elettroni sembrano arrivare al rivelatore singolarmente e in modo completo: o il rivelatore emette un « clic » — un evento meccanico che registra l'arrivo di un elettrone - o rimane muto. Come nel secondo esperimento, però, il modello della distribuzione degli elettroni quando entrambi i fori sono aperti non è uguale alla somma dei due modelli di distribuzione che sì hanno quando ognuno dei due fori è aperto separatamente. Il risultato è una classica figura d'interferenza. Sorprendentemente, gli elettroni, mentre passano per entrambe le fenditure, agiscono come onde, mentre quando attivano i rivelatori agiscono come particelle.
Si potrebbe immaginare che, dato che molti elettroni passano contemporaneamente attraverso le due fenditure, la figura d'interferenza derivi in qualche modo dal fatto che molti elettroni entrano in collisione fra loro. Una variazione dell'esperimento, implicante l'emissione di un solo elettrone per volta, mostra però che non è così. E qui che ci troviamo di fronte al-l'« unico mistero ».
Passiamo dunque ora al cannone elettronico e facciamo in modo che spari un solo elettrone per volta, a un ritmo abbastanza basso perché in ogni tempo attraverso la fenditura non passi mai più di un elettrone. Ora è impossibile che si verifìchi-no collisioni fra elettroni. Quando mettiamo in azione il cannone elettronico, gli elettroni cominciano lentamente ad accumularsi dall'altro lato. Dapprima gli elettroni sembrano distribuirsi sulla superfìcie d'arresto in modo casuale. Al crescere dei dati, però, abbiamo la sorpresa di vedere formarsi una figura: in effetti è una figura d'interferenza! A quanto pare, ogni elettrone passa contemporaneamente attraverso le due fenditure, come un'onda, ma colpisce il rivelatore in un singolo punto, come una particella. Ogni elettrone interferisce solo con se stesso. Ma come può essere? E così, e questo è « l'unico mistero », disse Feynman. « Io non sto evitando nulla; sto scoprendo la natura nella sua forma più elegante e diffìcile. »
Poiché i singoli elettroni sono diffìcili da produrre e da osservare isolatamente in modo attendibile in un tale cannone, i fisici pensarono per molto tempo che fosse impossibile compiere davvero questo esperimento. Èrano tuttavia estremamente fiduciosi su ciò che sarebbe accaduto se si fosse riusciti a compierlo perché avevano osservato varie altre prove della natura ondulatoria degli elettroni. Come disse ai suoi studenti Feynman:
Dovremmo dire subito che non dovremmo cercare di allestire questo esperimento [...]. Questo esperimento non è mai stato eseguito in questo modo. Il guaio è che l'apparecchiatura, per mostrare gli effetti a cui siamo interessati, dovrebbe essere costruita a una scala impossibilmente piccola. Noi stiamo facendo un « esperimento mentale », che abbiamo scelto per poter riflettere facilmente su di esso. Conosciamo Ì risultati che si otterrebbero perché sono già stati fatti molti esperimenti, nei quali la scala e le proporzioni sono state scelte per mostrare gli effetti che descriveremo.
Quando Feynman scrisse queste parole, all'inizio degli anni '60 del XX secolo, non era al corrente, a quanto pare, che la tecnologia aveva ormai reso possibile un esperimento quantlstico con due fenditure. In realtà un tale esperimento era già stato eseguito nel 1961, in Germania, dal dottorando Claus Jònsson.
Nato nel 1930, Jònsson era troppo giovane per essere arruolato durante la seconda guerra mondiale. Quando gli Alleati incalzarono i soldati tedeschi nelle strade di Amburgo costringendoli ad abbandonare la città, Jònsson e un gruppo di suoi compagni di scuola con interessi scientifici raccolsero apparecchiature abbandonate dalle truppe tedesche. Tolsero a un'auto militare tedesca la batteria e altre parti elettriche e fecero esperimenti di galvanoplastica. Il loro divertimento finì quando, non disponendo di un caricabatterie, si ritrovarono con la batteria scarica.
Dopo la guerra Jònsson studiò all'Università di Tubingen sotto la guida di Gottfried Mòllenstedt, un pioniere nella microscopia elettronica che lavorava nell'Istituto di fìsica applicata dell'università.3 Mòllenstedt fu il coinventore (insieme a Heinrich Diiker) del biprisma elettronico, che è essenzialmente un biprisma di Fresnel per gli elettroni. Il dispositivo a due fenditure di Young e il biprisma di Fresnel erano due metodi diversi ma concettualmente simili di dividere un fascio di luce in due insiemi di onde che interferiscono fra loro. Il metodo di Young divideva la luce proveniente da una singola sorgente in emanazioni da due fenditure separate da una piccola distanza; Fresnel divideva la luce proveniente da una singola sorgente facendola passare simultaneamente per due facce di un prisma triangolare. Il biprisma elettronico di Mòllenstedt divideva efficacemente un fascio di elettroni in due componenti, situando ortogonalmente attraverso esso un filo metallico estremamente sottile. Il filo doveva essere così straordinariamente fine che dapprima Mòllenstedt dorò elettroliticamente i fili di una ragnatela (egli tenne in laboratorio a questo scopo una collezione di ragni). In seguito trovò un modo migliore e più economico di produrre filo ultrafìne usando fibre di quarzo stirate su una fiamma a gas e poi dorate. Quando la fibra del biprisma fii caricata con elettricità positiva, essa scompose il fascio in due componenti leggermente inclinati uno verso l'altro, permettendo loro di interferire.
Nell'estate 1955 Mòllenstedt e Diiker convocarono i collaboratori dell'istituto, fra cui c'era anche Jònsson, per mostrare loro le prime figure d'interferenza prodotte col biprisma. Subito dopo, Jònsson concepì l'idea di sostituire il biprisma con una piccola doppia fenditura, in esplicito parallelo con l'esperimento di Young, per cercare di creare figure di interferenza con gli elettroni uscenti da due fenditure. Gli ostacoli erano formidabili. Egli avrebbe dovuto praticare fenditure estremamente sottili in una lamina metallica. Mentre le fenditure ottiche possono essere montate su un qualche materiale trasparente, come una lastra di vetro, una cosa del genere sarebbe impossibile per l'esperimento con gli elettroni, poiché qualsiasi materiale di quel tipo difenderebbe gli elettroni. La lamina doveva essere perciò meccanicamente stabile, o abbastanza robusta per resistere senza arretrare quando fosse stata investita dagli elettroni. Qui Jònsson si imbattè nella necessità di accettare compromessi propria dello sperimentatore, poiché l'incisione di fenditure in un materiale di supporto abbastanza spesso da assorbire gli elettroni tende a lasciare bordi diseguali, mentre se si fosse usato un materiale più sottile le fenditure sarebbero state più esatte ma si sarebbe compromessa la capacità del materiale di resistere all'urto degli elettroni senza oscillare, cosa che avrebbe inciso sul comportamento degli elettroni che passavano attraverso le fenditure. Queste, intanto, dovevano essere molto più sottili di quelle di Young, poiché il fascio di elettroni era largo solo dieci milionesimi di metro circa (10 micrometri).
Dovevano essere inoltre perfettamente regolari, perché gli elettroni sarebbero rimbalzati su qualsiasi disuguaglianza e si sarebbero diffusi a caso, distruggendo la cosiddetta « coerenza » del fascio elettronico. Qui tornarono utili le esperienze di Jònsson con la batteria dell'auto militare tedesca, che gli avevano lasciato un profondo apprezzamento della regolarità del sostrato. Vari scienziati anziani avevano però forti dubbi sulla possibilità di successo e insistevano nel consigliare a Jònsson di rinunciare all'idea. Più efficace riuscì però l'incoraggiamento a proseguire datogli da Mollenstedt, il quale gli disse che «Per un fisico sperimentale non esìste l'espressione 'non funziona'». E Jònsson proseguì per la sua strada.
Dopo avere terminato nel 1956 la prima parte dei suoi esami di dottorato, Jònsson cominciò a esplorare metodi per tagliare fenditure in fogli di spessore sufficiente, e l'anno seguente trovò un modo.4 Nella primavera del 1957 Jònsson superò la parte finale, teorica, del suo esame, e si rivolse a Mollenstedt per parlare con lui di un argomento per la sua tesi di dottorato. In origine Mollenstedt avrebbe preferito che Jònsson lavorasse sull'interferenza nel biprisma, ma accettò che cambiasse argomento. La prima parte del nuovo progetto implicava la costruzione di una macchina in grado di creare fenditure lunghe meno di 800 nanometri (800 miliardesimi di metro), una macchina così in anticipo sul suo tempo che Jònsson divenne uno dei pionieri di quella che oggi è nota come «nanotecnologia».
La seconda parte richiedeva lo sviluppo di una speciale pellicola che funzionasse anche con la bassa intensità degli elettroni. Un problema costante fu quello di eliminare disturbi meccanici e magnetici che potessero distorcere le figure d'interferenza. Jònsson ottenne la sua prima fotografìa di una figura d'interferenza nel 1959 e ricevette il dottorato per la sua ricerca nel 1961.
Tutti coloro che avevano una preparazione in meccanica quantistìca sapevano che l'esperimento di Jònsson non dissodava alcun nuovo terreno teorico, e nessuno rimase sorpreso dal risultato. Egli trasse tuttavia una considerevole soddisfazione dall'avere realizzato quello che in seguito chiamò « un vecchio esperimento mentale della meccanica quantlstica che in precedenza era parso impossibile, e un esperimento di grande importanza pedagogica e fìlosofìca ». E quando il suo articolo fu tradotto e pubblicato in inglese, l'American Journal of Physicsy una rivista per docenti di fìsica, i redattori andarono contro le loro abitudini elogiando il suo esperimento. Pur non essendo all'avanguardia della fìsica teorica, scrisse la redazione nell'articolo di fondo, era tuttavia un « grande esperimento » e un « tour de force tecnico » che forniva la « semplicità concettuale di un vero esperimento fondamentale, pedagogicamente ben definito, la cui descrizione e il cui studio possono ora arricchire e semplificare l'apprendimento della fisica quantlstica». In tal modo, esso aiutava a fornire « I succhi della realtà sperimentale che [...] trasformano una disciplina formale in una professione viva ».
A quel tempo era ancora impossibile eseguire l'esperimento con singoli elettroni, ma in capo a un decennio anche questa situazione mutò. Questa versione finale dell'esperimento delle due fenditure ebbe origine in circostanze interessanti. Nel 1970 Pier Giorgio Merli e Giulio Pozzi, due giovani ricercatori del Laboratorio di microscopia elettronica dell'Università di Bologna, parteciparono a un seminario di microscopia elettronica a Erice, in Sicilia. Merli e Pozzi furono particolarmente impressionati da una comunicazione su nuovi intensificatori d'immagine (essenzialmente intensificatori della luce), abbastanza sensibili da rivelare singoli elettroni, e al loro ritorno a Bologna erano ansiosi di cominciare progetti di ricerca usandoli. Al loro laboratorio era stato promesso un finanziamento dal principale ente nazionale di sostegno a progetti scientifici, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ma i fondi erano rimasti bloccati dalla lentezza della burocrazia governativa. L'anno seguente, 1971, l'amministrazione del laboratorio inviò Pozzi e un ricercatore anziano, Gian Franco Missiroli, alla sede del CNR a Roma per scoprire quale fosse la causa del ritardo.
In treno i due cercarono dì distrarsi dallo stress dell'imminente confronto burocratico che quasi tutti gli scienziati detestano e a cui si sentono mal preparati, parlando di fìsica. Pozzi menzionò a Missiroli il suo interesse a compiere ricerche con un biprisma elettronico, e i due cominciarono a parlare di progetti a cui avrebbero potuto lavorare insieme. Fu l'inizio di una fruttuosa collaborazione trentennale. Missiroli non era solo un ricercatore inventivo, ma era anche profondamente interessato a trasformare le sue scoperte in semplici lezioni per gli studenti, che intendeva scrivere e pubblicare. I due cominciarono a collaborare in esperimenti alla fine del 1971.
A quell'epoca Merli aveva lasciato il laboratorio per un posto di ricercatore nel Laboratorio di chimica e tecnologia per materiali e dispositivi elettronici (LAMEL) del CERN a Bologna, di recente fondazione, ma poteva ancora collaborare con Pozzi, Missiroli e altri ricercatori del Laboratorio dì microscopia elettronica. I tre costruirono un biprisma e lo montarono in un microscopio elettronico Siemens. Quando Merli scoprì che un intensifìcatore di immagini capace di rivelare elettroni singoli era stato installato a Milano, i tre cominciarono a pianificare un esperimento di interferenza di elettroni in cui facevano passare un solo elettrone per volta attraverso un biprisma elettronico. I tre si recarono a Milano per riprendere le immagini, collegare l'intensifìcatore di immagini al loro microscopio elettronico e riuscire a scoprire immediatamente una figura d'interferenza.
Essi fecero una relazione scritta sull'esperimento e la pubblicarono, come già aveva fatto Jònsson, nell'American Journal of Physics, nella speranza che, come scrissero, «gli esperimenti d'interferenza elettronica diventino più familiari agli studenti ». Le loro ambizioni però crebbero e — con l'incoraggiamento e il sostegno di altri due scienziati del LAMEL - essi decisero di tentare la produzione di un breve documentario sul loro esperimento, per distribuirlo alle scuole e biblioteche locali. Questa impresa si rivelò però più diffìcile e molto più costosa del previsto, e i tre finirono per spendere la maggior parte del loro tempo sul testo. Essendo sperimentatori, non teorici, ritennero di dover lavorare con molta cura per esprimere con precisione i concetti.
Il risultato fu ingegnoso. Come già Feynman e molti altri, anch'essi usarono un'analogia in tre passi per spiegare l'esperimento, cominciando con l'interferenza delle onde d'acqua (prima in natura, poi in un ondoscopìo: un recipiente poco profondo attrezzato per la produzione di onde nell'acqua), poi passando all'interferenza nella luce con un biprisma di Fresnel, e infine descrivendo il loro biprisma elettronico. I tre apparvero come attori nel film, curato da Merli. Egli scelse abilmente anche la musica di fondo, usando musica per flauto di Vivaldi come accompagnamento della spiegazione delle sezioni classiche (l'interferenza dell'acqua e della luce) e musica contemporanea atonale per accompagnare i segmenti quantici. Il film culminò nella lenta formazione della figura d'interferenza quantistica per accumulazione di singoli elettroni.
L'effetto fu splendido e il film ( visibile su Internet) vinse un premio al Festival internazionale di cinematografìa scientifica a Bruxelles nel 1976. «Ancora oggi, ogni volta che vedo il film, lo trovo impressionante», mi disse Pozzi, esprimendo un sentimento condiviso dagli altri due autori.
Nel 1989 Akira Tonomura, capo ricercatore anziano al Laboratorio di ricerche avanzate alla Hitachi Limited Japan, insieme a un gruppo di collaboratori, esegui un esperimento con un microscopio elettronico usando un sistema di rivelazione di elettroni ancora più complesso ed efficiente. Anch'essi pubblicarono il loro lavoro sull'American Journal of Physics? E anch'essi realizzarono un film che mostra la formazione di una figura d'interferenza per graduale accumulo di singoli elettroni in tempo reale. Tonomura presentò il suo film a una conferenza alla Royal Institution, che è disponibile anche su Internet.10 A un certo punto, durante la sua conferenza, egli accelerò il video per far vedere la figura d'interferenza materializzarsi — in modo molto suggestivo — da singole macchie, apparentemente casuali, nello stesso modo in cui una galassia potrebbe prendere progressivamente forma davanti ai nostri occhi, al crepuscolo, da una quantità di piccole stelle che si accendono in cìelo: una regolarità che è innegabile e che rimanda all'esistenza di strutture universali più profonde. Mentre ciò stava accadendo, Tonomura disse:
Non abbiamo altra scelta che accettare una conclusione molto strana: che gli elettroni vengono rivelati uno per uno come particelle, ma che l'intero insieme manifesta proprietà ondulatorie per formare una figura d'interferenza. La meccanica quantistica ci dice che dobbiamo rinunciare alla realtà [convenzionale] dell'immagine corpuscolare degli elettroni tranne che nell'istante in cui li riveliamo. In anni più recenti l'interferenza quantistica è stata dimostrata anche con particelle diverse dagli elettroni, compresi atomi e molecole.
L'esperimento delle due fenditure, applicato agli elettroni, possiede i tre aspetti chiave degli esperimenti belli. È fondamentale, manifestando il comportamento strano e controintuitivo della materia al livello minimo. Un elettrone lascia la sua sorgente, e si manifesta poi a un rivelatore posto a una certa distanza. Fra la produzione e l'osservazione, dove è stato? L'esperimento di interferenza quantlstica — indipendentemente dal fatto che si usino due fenditure o un biprisma - mostra l'impossibilità di concepire un oggetto quantistico come avente lo stesso tipo di presenza nello spazio e nel tempo degli oggetti del macromondo. «Dove è stato? » è una domanda a cui non possiamo rispondere; era dappertutto e da nessuna parte. Se l'esperimento delle due fenditure di Young forni una vistosa dimostrazione della necessità di compiere un cambiamento di paradigma dalla luce come particella alla luce come onda, l'esperimento delle due fenditure con elettroni singoli è una vistosa illustrazione di un altro cambiamento di paradigma, dalla fìsica classica alla fìsica quantistica.
È un esperimento economico perché, nonostante le sue implicazioni rivoluzionarie, l'apparecchiatura è oggi alla portata della nostra tecnologia e i concetti base sono facilmente comprensibili. Questo esperimento manifesta inoltre in un modo conciso che cosa c'è di così misterioso nella meccanica quantistica. Tutti gli altri misteri della meccanica quantistica come quelli illustrati dal famoso gatto di Schròdinger, dalle diseguaglianze di Bell e dagli esperimenti implicanti la non località, derivano dal mistero dell'interferenza quantistica.
Ed è un esperimento convincente e profondamente soddisfacente, in grado di persuadere anche gli scettici più ostinati della verità della meccanica quantlstica. Ma anche per coloro che hanno una conoscenza approfondita di questa scienza, la teoria può essere astratta e le sue implicazioni remote dalla percezione del fenomeno. L'esperimento delle due fenditure trasforma però la teoria in un'immagine evidente, immediatamente afferrabile. « Prima di vederla [durante i miei studi universitari] , non credevo a una sola parola della fìsica 'moderna' [del Novecento] », mi scrisse uno scienziato rispondendo al mio sondaggio.
Questo esperimento ha qualcosa della luminosa bellezza dell'esperimento di Young, grazie all'immediatezza della figura d'interferenza. Ha qualcosa della bellezza della sorpresa prevista dell' esperimento della Torre di Pisa, che ci delizia con lo spettacolo percettuale dell'attesa che la nostra cornice di riferimento quotidiana venga violata; quel che l'esperimento di interferenza degli elettroni singoli ci mostra, ovviamente, non è misterioso se non si è abituati all'idea che la materia si presenti in particelle discrete.
È probabile che il mondo della meccanica quantistica sia destinato a rimanere contro intuitivo agli esseri umani, per quanto si possa essere convinti della teoria. L'esperimento di interferenza quantistica di elettroni singoli porta la realtà del mondo quantistico dinanzi ai nostri occhi in un modo efficace, economico ed evidente. L'esperienza di ascoltare i clic di un rivelatore che segue singoli elettroni attraverso un biprisma o due fenditure e produce una figura d'interferenza è una delle esperienze umane più emozionanti e sorprendenti. E perciò probabile che l'esperimento di interferenza quantistica con elettroni singoli sia destinato a restare per molto tempo nel pantheon degli esperimenti più belli.
(Tratto da "Il prisma e il pendolo" - Robert P. Crease - 2007 Longanesi)