Gli esperimenti più belli

Eratostene misura la circonferenza della Terra

Galileo e la caduta dei gravi dalla Torre di Pisa

Galileo ed il piano inclinato

Newton scompone la luce con dei prismi

Cavendish misura il peso della Terra

La scoperta del carattere ondulatorio della luce di Young

Il pendolo di Foucault

La goccia d'olio di Millikan

La scoperta del nucleo atomico di Rutherford

L'interferenza quantistica di elettroni singoli

 

Cavendish misura il peso della Terra

Lo scienziato inglese Henry Cavendish, uno fra i massimi chimici e fisici del Settecento, fu anche uno fra i più strani. Per fortuna per lui e per la scienza, la sua origine aristocratica e la ricchezza che ereditò dai suoi genitori gli diedero la possibilità di dedicarsi ai suoi interessi a modo suo. Perciò riuscì a eseguire un esperimento straordinario, la cui precisione non potè essere significativamente migliorata per un secolo.

Cavendish (1731-1810) aveva una voce nervosa, stridula, indossava abiti eccentrici che erano letteralmente fuori moda di cinquant'anni, ed evitava il più possibile il contatto con altre persone. Il suo primo biografo, uno scienziato membro della Royal Society di nome George Wilson, ricordò che Cavendish, secondo i suoi colleghi, si vestiva come i loro nonni, portando fra l'altro un cappello a tricorno sghembo, ed era « schivo e timido a un livello quasi patologico ». Quando subiva il disagio di dover essere presentato a persone, spesso se ne stava in silenzio guardando sopra la loro testa, quando non fuggiva dalla stanza in preda a un grande nervosismo.

A volte restava, paralizzato, sulla soglia di una sala affollata, letteralmente incapace di entrare. Quando andava in carrozza, si rannicchiava in un angolo per evitare di essere visto attraverso i finestrini aperti. Nella sua passeggiata igienica quotidiana, usciva sempre alla stessa ora, camminando in mezzo alla strada per evitare incontri casuali. Quando Si rese conto che i suoi vicini avevano capito a che ora usciva e si radunavano per osservare l'eccentrico del luogo, cambiò programma, uscendo di sera con la protezione del buio. L'unico ritratto di Cavendish che sia mai stato fatto dovette essere dipinto di nascosto. I suoi conoscenti, sapendo che era troppo schivo per acconsentire, invitarono in segreto un pittore a un pranzo della Royal Society e fecero sedere Cavendish vicino a un estremo del tavolo, per permettere all'artista una buona visione del suo viso. Cavendo tutus (Sii sicuro esercitando la prudenza) era il motto della famiglia Cavendish, ma il comportamento di Henry portò questo consiglio a un estremo patologico.

Cavendish, la cui madre morì quando aveva due anni, aveva un particolare timore delle donne. Per evitare di avere contatti con la sua governante, le lasciava sempre su un tavolo, prima di andare a letto, le istruzioni per il lavoro e i pasti del giorno dopo. Dopo averla incontrata una volta per caso sulle scale, fece installare una scala posteriore per evitare che ciò potesse ripetersi.

Cavendish era estremamente metodico nella vita e nel lavoro. A pranzo mangiava sempre la stessa cosa: una gamba di montone. Svolgeva il suo lavoro quotidiano, notò Wilson, secondo una legge che era «altrettanto inflessibile e imperativa di quella che governa il moto degli astri »:

Indossava lo stesso abito da un anno all'altro, non tenendo in alcun conto i cambiamenti della moda. Calcolava il ritorno del suo sarto per confezionargli un nuovo abito come avrebbe calcolato quello di una cometa [...]. Quando andava ad assistere ai convegni del Royal Society Club appendeva il suo cappello invariabilmente allo stesso attaccapanni. Metteva sempre il suo bastone in uno dei suoi stivali, sempre lo stesso [...]. Il suo comportamento può essere considerato un mirabile esempio di meccanismo intellettuale; e com'egli visse nel rispetto delle regole, cosi mori, predicendo la sua morte come se fosse stata l'eclisse di un qualche grande luminare (quale in realtà egli fu) e calcolando il momento stesso in cui l'ombra del mondo invisibile lo avrebbe avvolto nella sua tenebra.

Wilson, scrittore preciso e sensìbile, manifestò una forte ambivalenza verso il soggetto della sua biografìa. Quando fu costretto a valutare Cavendish come persona, si impegnò e lottò eroicamente per produrre la seguente notevole evocazione di quell'uomo strano e brillante:

Moralmente [il suo carattere] era un vuoto, e può essere descritto solo da una serie di negazioni. Non amava; non odiava; non sperava; non temeva; non venerava, come fanno altri. Si segregava dai suoi simili, e apparentemente anche da Dio. Nella sua natura non c'era niente di ardente, di entusiastico, di eroico o di cavalieresco, e altrettanto poco c'era di volgare, di vile o di ignobile. Era quasi privo di passioni. Tutto ciò che per essere appreso esigeva più del puro intelletto, o richiedeva l'esercizio dell'immaginazione, dei sentimenti o della fede, era per lui sgradevole. Una testa intellettuale pensante, due occhi mirabilmente acuti che osservano, due mani molto abili che sperimentano o registrano, sono tutto ciò di cui mi rendo conto leggendo [i suoi scritti]. Il suo cervello non sembra essere stato altro che una macchina per il calcolo; i suoi occhi ingressi della visione, non fontane di lacrime; le sue mani strumenti di manipolazione che non tremarono mai di emozione o non furono mai giunte insieme in adorazione, rendimento di grazie o disperazione; il suo cuore fu solo un organo anatomico, necessario per la circolazione del sangue. Eppure un tale essere, che rovesciò la famosa massima di Terenzio « humani nihil a me alienum puto» (non considero estraneo a me nulla di umano), non può essere amato, così come non può essere aborrito o disprezzato. Egli fu, nonostante l'atrofìa o il mancato sviluppo di molte delle facoltà che si trovano in coloro in cui gli « elementi sono mescolati in modo corretto », un vero genio come i meri poeti, pittori o musicisti, con piccolo intelletto e cuore e grande immaginazione, a cui il mondo è così pronto a inchinarsi.

Quella genialità risiedeva nella sua particolare visione del mondo e nel suo ruolo in esso come scienziato. Wilson contìnuo: «Pare che nella sua teoria del mondo l'universo si riducesse esclusivamente a una moltitudine di oggetti che potevano essere pesati, numerati e misurati; e la vocazione a cui si sentiva chiamato era quella dì pesare, numerare e misurare tutti quegli oggetti che il tempo a lui concesso di una settantina d'anni gli avrebbe permesso ».

Cavendish usò come camera da letto solo una piccola parte della sua principale residenza a Clapham, presso Londra, men- tre il resto era stipato di apparecchiature scientìfiche — termometri, calibri, strumenti di misura, dispositivi astronomici - e utensili per costruire altri strumenti. Egli trasformò i piani superiori in un osservatorio astronomico, e l'albero più grande del suo giardino divenne letteralmente una piattaforma per le sue osservazioni meteorologiche. Cavendish ebbe l'ossessione di ricostruire strumenti, e apportò miglioramenti importanti a strumenti già esistenti come bilance di chimica, apparecchiature elettriche, termometri a mercurio, strumenti geologici e strumenti astronomici. Non si curava invece minimamente dell'aspetto esterno spesso grossolano dei suoi strumenti, che sono stati descritti da storici della scienza con espressioni come «dall'aspetto rozzo ma di singolare perfezione». (In effetti la sua governante restò sbigottita nello scoprire che una volta egli aveva costruito un evaporatore appropriandosi di due vasi da notte della servitù.)

Alcuni storici della scienza hanno scritto sull'influenza che il carattere di uno scienziato ha sul tipo di ricerche che fa. Nel caso di Cavendish questo è sicuramente vero, ma è vero anche l'opposto: anche la scienza esercitò un'influenza sul suo carattere. Le richieste impostegli dal tipo di misurazioni esatte che dovette eseguire contribuirono senza dubbio a mantenere funzionale la sua personalità notoriamente nevrotica. Queste misurazioni non soltanto focalizzarono in modo costruttivo le sue energie, ma il rispetto che gli procurarono fra gli altri membri della Royal Society gli permise di conservare i pochi legami sociali che aveva. Tale rispetto fu ben meritato, poiché i risultati ottenuti da Cavendish furono importanti e di grande portata. In realtà i suoi risultati scientifici furono ancora più importanti di quanto non si sapesse poiché Cavendish, che tendeva a considerare le sue scoperte come una proprietà personale, non ne pubblicò molti, in parte perché era ossessionato dal segreto e in parte perché li considerava un lavoro sperimentale in corso, che attendeva di essere portato avanti con una precisione ancora maggiore. In una carriera di 50 anni di lavoro ossessivo, egli scrisse meno di venti articoli e nessun libro. Di conseguenza la legge di Ohm (che descrive la relazione fra la tensione elettrica, la resistenza e la quantità di elettricità) e la legge di Coulomb (che descrive la forza che si esercita fra due corpi elettricamente carichi) non presero il nome dall'uomo che per primo si imbattè in tali nozioni. Come capolavori abbandonati in soffitta da un artista perpetuamente insoddisfatto, queste scoperte rimasero ignote nei taccuini di Cavendish per decenni, per essere scoperte solo molto tempo dopo da curatori e storici sbalorditi. Lasciamo di nuovo la parola a Wilson:

Pare che il bello, il sublime e lo spirituale siano rimasti del tutto al di là del suo orizzonte [...]. Molti dei nostri filosofi naturali hanno avuto un senso estetico forte e ben coltivato; e hanno tratto un grande piacere dall'una o dall'altra o da tutte le belle arti. Pare invece che Cavendish non si sia curato di nessuna di queste cose.

Henry Cavendish fu attratto, invece, da un'estetica più profonda, più austera. Egli aveva un senso quasi istintivo per i tipi giusti di misurazioni da compiere e per i modi più semplici per eseguirle, e poi spingeva instancabilmente la precisione delle sue apparecchiature al limite. Il suo primo lavoro pubblicato uscì nel 1766, quando aveva trentacinque anni; esso concerneva misurazioni chlmiche. Il suo ultimo articolo, edito nel 1809, un anno prima della sua morte, riguardava misurazioni astronomiche. Nell'intervallo fra i due articoli pesò e misurò con grande precisione una quantità di cose.

Una di esse fu la Terra. Gli esperimenti eseguiti da Cavendish nel 1797-1798 per determinarne la densità furono il suo capolavoro. Essi misero a dura prova la sua fanatica ricerca della precisione. Cavendish fece molte altre importanti scoperte, ma questa è diventata nota come «l'esperimento di Cavendish». L'experimentum crucis di Newton fu del tipo di quelli che gli storici della scienza chiamano esperimenti di scoperta, in quanto rivelò un carattere nuovo e inatteso del mondo in un'area in cui la teoria era debole. Newton lo aveva inoltre scelto fra una lunga serie di esperimenti e lo aveva presentato come una dimostrazione in grado di rappresentare tutto il resto del suo lavoro. L'esperimento di Cavendish, di contro, fu un esperimento di misurazione che stava a sé per l'estremo grado di precisione che lo rese in generale possibile non faceva parte di una serie di esperimenti e dipese da una quantità di teoria relativamente ben sviluppata. Nel corso del tempo il suo esperimento guadagnò costantemente importanza. Mentre infatti Cavendish lo usò per misurare la densità - in effetti il « peso » - del mondo, gli scienziati che stavano dando alla legge di gravitazione di Newton la sua forma concisa moderna avrebbero trovato che l'esperimento di Cavendish era perfetto per misurare il valore dell'importantissimo termine «G», la costante della gravitazione universale.

Il cammino che condusse Cavendish a questo esperimento cominciò, com'era tipico per luì, con una domanda sulla precisione: in questo caso la precisione degli strumenti geografici. Nel 1763 l'astronomo britannico Charles Mason e il topografo britannico Jeremiah Dixon furono inviati nelle colonie inglesi in Nordamerica per dirimere una controversia di vecchia data sui confini fra Pennsylvania e Maryland. Ne sarebbe risultata la famosa Mason-Dixon line, un confine importante nella storia americana negli anni che precedettero la guerra di Secessione. Cavendish si chiese quanto potesse essere esatto il loro lavoro, in quanto la grande massa degli Allegheny, a nord-ovest, avrebbe esercitato un'attrazione gravitazionale per quanto lieve sugli strumenti di misura dei due scienziati britannici: un'attrazione che non era compensata da una massa equivalente a sud-est, in quanto l'acqua dell'oceano Atlantico era molto meno densa della roccia.

La differenza fra la densità delle montagne e quella degli oceani sollevò, nella mente di Cavendish, il problema della densità media della Terra stessa. Questo argomento interessava non solo ai topografi ma anche a molti altri tipi di scienziati, fra cui fisici, astronomi e geologi.

Secondo Newton, l'attrazione gravitazionale fra due corpi era proporzionale alle loro densità. L'attrazione gravitazionale relativa che i corpi astronomici esercitavano l'uno sull'altro permetteva di determinare le relative densità; Newton, per : esempio, aveva stimato che « la Terra è quasi quattro volte più densa di Giove ». E, fondandosi sulla densità relativa della materia sulla superfìcie della Terra, Newton fece una congettura sorprendentemente esatta sulla sua densità, scrivendo che « è verosimile che la quantità di tutta la materia della Terra sia di cinque o sei volte maggiore che se fosse costituita interamente da acqua». Nessuno aveva però mai trovato un modo per compiere questa misurazione. A tal fine occorrerebbe misurare l'attrazione fra due oggetti di densità nota. La relazione dell'attrazione fra questi oggetti e le loro densità potrebbe essere paragonata a quella dell'attrazione fra tali oggetti e la Terra per determinare la densità complessiva della Terra. Ma i corpi che si possono misurare in un laboratorio eserciterebbero un'attrazione gravitazionale così piccola che Newton e altri pensavano fosse impossibile misurarla. Un'alternativa sarebbe quella di misurare in che modo una grande massa superficiale di densità nota (come una montagna dalla forma geometricamente abbastanza regolare e dalla composizione geologica uniforme) attrarrebbe un piccolo oggetto, come un piombo sospeso a un filo, così che le sue deviazioni potessero essere misurate con precisione. I calcoli eseguiti da Newton lo ridussero però alla disperazione: « Neppure intere montagne sarebbero però sufficienti a provocare effetti sensibili », scrisse.

Tuttavia il problema della densità terrestre era così urgente per astronomi, fisici, geologi e topografi che nel 1772 la Royal Society nominò un « Comitato dell'Attrazione » per tentare una misurazione della densità della Terra, in quello che l'astronomo Neville Maskelyne descrisse come uno sforzo per rendere « palpabile la gravitazione universale della materia ». Il comitato, fra i cui membri c'era anche Cavendish, decise di tentare il metodo del filo a piombo. Nel 1775 la Royal Society patrocinò una spedizione per intraprendere un esperimento — progettato in gran parte da Cavendish ma eseguito da Maskelyne — su una grande montagna scozzese di forma alquanto regolare chiamata Schiehallion («costante tempesta»). L'esperimento, com'era prevedibile, fu ritardato per il cattivo tempo, ma dopo la sua conclusione Maskelyne organizzò una festa per gli agricoltori scozzesi locali cosi sfrenata che nel suo corso fu consumato un barilotto di whisky, e un incendio, acceso accidentalmente durante la baldoria, distrusse la capanna in cui si teneva la festa: tutti fatti passati nel folklore, ai quali si allude in una ballata gaelica.

Tornata la spedizione a Londra, un matematico calcolò dalle osservazioni raccolte che la densità della Terra era 4,5 volte maggiore di quella dell'acqua, supponendo che il rapporto della densità della Terra a quella della montagna fosse di 9/5 e che la densità della montagna fosse 2,5 volte maggiore di quella dell'acqua. Maskelyne ricevette una medaglia per la sua misurazione, e alla presentazione di questa il capo della Royal Society proclamò con esultanza che il sistema newtoniano era « completato ».

Cavendish, naturalmente, non aveva partecipato alla baldoria, e non era nemmeno stato sulla montagna quando si erano eseguite le misurazioni. Diversamente da Maskelyne e dai suoi colleghi della Royal Society, era preoccupato per tutti quegli assunti. Che cosa giustificava la certezza che il rapporto della densità totale della Terra a quella della montagna fosse di 9/5 e che la densità della montagna fosse di 2,5 volte quella dell'acqua? Se non si fossero accertate la composizione della montagna e le sue dimensioni precise, la misurazione della densità della Terra sarebbe rimasta solo approssimata. Una vera misurazione di precisione della densità della Terra, concluse Cavendish, si sarebbe dovuta fare in laboratorio, usando corpi di figura e composizione note. L'inconveniente, com'egli ben sapeva, era che la forza da misurare era estremamente piccola. Se il grande Newton pensava che nemmeno una montagna avrebbe causato un effetto misurabile, come si sarebbe potuto ottenere un effetto del genere in laboratorio?

Nel suo stile caraneristico, Cavendish meditò in silenzio per anni sul problema mentre lavorava su altre cose. Infine discusse il problema con un amico, il reverendo John Micheli. Oltre a essere un sacerdote, Micheli era anche un geologo che studiava la struttura interna della Terra. Era stato accolto nella Royal Society nel 1760, lo stesso anno in cui vi era entrato Cavendish. Nel 1783, essendo al corrente che l'amico aveva problemi di salute mentre stava tentando di costruire un telescopio ambiziosamente grande, Cavendish scrisse a Micheli che «se la sua salute non le permette di continuare tale lavoro, spero che possa permetterle almeno l'impegno più facile e meno faticoso di pesare il mondo».

Micheli, che come Cavendish era impegnato anche in altri esperimenti, spese un decennio a costruire le apparecchiature per pesare la Terra, ma morì prima di poterle sperimentare. I dispositivi di Micheli furono poi acquisiti da Cavendish, che dedicò qualche anno a tentare di dar loro una precisione ancora maggiore. L'esperimento cominciò finalmente nell'autunno del 1797. Benché Cavendish avesse allora quasi sessantasette anni, si applicò con incredibile energia, facendo osservazioni per varie ore ogni volta, andando ossessivamente alla ricerca dì ogni fonte di errore, e apportando costantemente miglioramenti. Il suo saggio di cinquantasette pagine sui risultati fu pubblicato nelle Transactions della Royal Society nel giugno 1798. Cavendish dedicò una parte tanto grande del saggio alla meticolosa descrizione dei suoi sforzi per individuare le fonti di errori che un commentatore si dolse che esso sembrasse « una dissertazione sugli errori ». Il saggio si apre con molta semplicità:

Molti anni fa il compianto reverendo John Micheli, membro di questa Società, escogitò un metodo per determinare la densità della Terra, rendendo sensibile l'attrazione dì piccole quantità dì materia; ma, essendo impegnato in altre imprese, non completò l'apparecchiatura fino a poco tempo prima della sua morte, e non visse abbastanza per compiere alcun esperimento con essa...

L'apparecchiatura è molto semplice: essa è formata da un braccio di legno lungo 6 piedi (circa 183 cm), fatto in modo tale da unire una grande resistenza a un piccolo peso. Questo braccio è sospeso in una posizione orizzontale per mezzo di un sottile filo metallico lungo 40 pollici (circa 102 cm), e a ogni sua estremità è appesa una palla di piombo del diametro di circa 2 pollici (5 cm); e il tutto è racchiuso in una stretta cassetta di legno per difenderlo dal vento.

Micheli intendeva misurare l'attrazione fra queste due sfere metalliche, collocate a bilanciere ai due estremi del braccio sospeso dal soffitto, e due sfere di venti centimetri di diametro che sarebbero state avvicinate alle due palle di cinque centimetri. Micheli avrebbe avvicinato lentamente le sfere maggiori a quelle minori fissate al braccio o giogo. Per spiegare meglio, se immaginate dì guardare la scena dall'alto (dal soffitto), e se le palle minori, fissate all'asta, sono nelle posizioni dette a ore dodici e a ore sei, le palle maggiori verrebbero poste nelle posizioni a ore una e a ore sette. L'attrazione che si crea fra ogni coppia di palle (una più grande, una più piccola) dovrebbe esercitare una trazione sul giogo, mettendolo in movimento. Poiché il filo a cui era appeso il giogo era flessibile, il moto avrebbe assunto la forma di una minuscola oscillazione avanti e indietro del giogo stesso. La misurazione di questa oscillazione avrebbe permesso a Micheli di calcolare la forza di attrazione che si esercitava fra le palle. Questo dato, unito alla forza dì attrazione nota fra le palle e la Terra, conteneva l'informazione necessaria per determinare la densità media della Terra.

Ma la seconda pagina del saggio di Cavendish affronta la difficoltà chiave con l'approccio seguente: la forza di attrazione fra le palle sarebbe estremamente piccola, di un cinquantamilionesimo circa del loro peso. «E chiaro», scrisse Cavendish, «che una forza di disturbo anche minima sarebbe sufficiente a distruggere il successo dell'esperimento». Una minima corrente d'aria o forza magnetica o qualsiasi altra influenza estranea renderebbe resperimento impossibile. Così, quando Cavendish entrò in possesso delle apparecchiature di Micheli, « decisi di ricostruirne la maggior parte da capo », scrisse, « non trovandole così soddisfacenti come si sarebbe potuto desiderare ».

«Soddisfacenti» era un eufemismo. Cavendish lavorò con grande impegno e costanza per migliorare la precisione delle apparecchiature. La prima cosa che fece fu di sostituire le palle di piombo con altre maggiori, di 30 cm di diametro e del peso di circa 160 kg. Ciò nonostante restava essenziale proteggere l'apparecchiatura contro l'azione dì forze di disturbo, ma questa, per fortuna, era una precauzione che Cavendish era pronto ad assicurarsi a prezzo di grandi sforzi. Il bisogno di ridurre e controllare tali forze divenne la sfida perfetta per la sua personalità ossessiva.

Il problema più immediato e diffìcile era connesso alla presenza dì temperature diverse nella stanza. Se una parte dell'apparecchiatura fosse anche solo leggermente più calda dell'altra, l'aria intorno a essa salirebbe, creando nella stanza correnti in grado di disturbare la posizione del giogo. Il calore del corpo dì una persona nella stanza sarebbe del tutto inaccettabile, come il calore di una lampada.

Essendo convinto della necessità di controllare questa fonte di errore, decisi di situare l'apparecchiatura in una stanza che doveva restare costantemente chiusa, e di osservare il moto del braccio dall'esterno, per mezzo dì un telescopio; e di appendere le palle di piombo in modo tale che potessi muoverle senza entrare nella stanza. Cavendish installò perciò l'apparecchiatura di Micheli rifatta, consistente in una cassetta e delle palle, in una stanza ermeticamente chiusa, in un piccolo edifìcio nel suo giardino a Clapham. Ma per poter eseguire l'esperimento senza entrare nella stanza, si doveva ridisegnare ulteriormente l'equipaggiamento. Cavendish sistemò i due pesi maggiori su un sistema di carrucole in modo che potessero essere spostati, in modo lento e graduale, dall'esterno. Attaccò indici di avorio, provvisti di un cosiddetto nonio di Vernier, a ogni estremo del bilanciere, in modo da poterne determinare la posizione a meno di 25 millesimi di millimetro, e installò telescopi sui muri, così che questi indicatori potessero essere letti dall'esterno della stanza. Intendendo compiere l'esperimento principalmente al buio, installò sopra ogni telescopio una lampada, dotata di lenti che, attraverso una finestrella di vetro, concentrassero la luce sugli indicatori.

Per compiere l'esperimento, egli avvicinava lentamente le sfere maggiori alla cassa contenente le sfere minori montate sul giogo. L'attrazione fra i pesi metteva in movimento il giogo. La misurazione della piccola oscillazione che ne risultava poteva richiedere due ore e mezza di osservazione accurata e costante.

Nel ricostruire quest'apparecchiatura, portandola a un grado estremo di precisione, Cavendish dovette affrontare il cosiddetto «compromesso dello sperimentatore». Ogni pezzo doveva avere il massimo di robustezza e di precisione che si potevano conseguire senza provocare effetti indesiderati altrove nell'apparecchiatura. Sostituendo le sfere applicate al giogo con sfere maggiori, per esempio, si sarebbe accresciuto l'effetto, ma si sarebbe anche diminuita la precisione, sottoponendo a sforzo il giogo e il filo metallico che lo reggeva. Se si fosse irrobustito il giogo per compensare, si sarebbe sottoposto a uno sforzo maggiore il filo metallico, e se si fosse irrobustito anche questo sarebbe occorsa una forza maggiore per muovere il giogo, cosa che avrebbe ridotto la sensibilità dell'esperimento, annullando l'effetto dell'uso di sfere maggiori. La genialità di Cavendish consistette nel sapere esattamente quale compromesso istituire su ogni punto per massimizzare sia l'effetto sia la precisione dell'esperimento complessivo.

Benché Cavendish fosse preoccupato primariamente per l'effetto delle correnti d'aria, era angustiato anche per il contributo dell'attrazione gravitazionale delle sbarre di ferro usate per sospendervi le sfere più pesanti e per muoverle in prossimità di quelle più piccole. Ciò lo indusse a rimuovere i pesi e misurare l'attrazione delle sbarre da sole, e poi a sostituirle con aste di rame per vedere se potessero esercitare un'attrazione magnetica. Cavendish si domandò se il filo metallico che aveva usato per appendere il giogo fosse abbastanza elastico; sperimentò col filo metallico, e anche se i risultati gli dissero che il filo era abbastanza elastico, Io sostituì con un altro filo metallico ancora più adatto. Preoccupato che le due sfere di 5 cm di diametro potessero avere raccolto una piccola quantità di magnetismo in conseguenza del fatto di essere rimaste orientate troppo a lungo nello stesso modo nel campo magnetico terrestre, le ruotò per contrastare questo effetto, e poi le sostituì con magneti per misurare quale sarebbe stata l'attrazione se fosse stato effettivamente in gioco il magnetismo.

Questo è un esempio della cosiddetta «vigilanza dello sperimentatore»: se si sospetta che nel proprio esperimento ci sia un effetto disturbante, lo si dovrebbe ingrandire fino a una misura sufficiente per misurarlo, in modo da poterlo compensare con precisione. Cavendish si interrogò anche sull'attrazione gravitazionale fra la cassa di mogano che conteneva il giogo, le sfere minori e le sfere maggiori, e benché le sue misurazioni mostrassero che l'attrazione era trascurabile, dedicò ad essa un'intera appendice del suo saggio. Tutto questo richiese assai più che meticolosità. Per valutare che cosa stesse accadendo in ogni caso, e per poter determinare, misurare e compensare ogni forza disturbante in gioco, Cavendish dovette attingere alla sua vasta padronanza del sapere scientifico del tempo, dall'elettricità e dal magnetismo alla conduzione del calore, alla matematica e alla gravitazione.

Cavendish conosceva la densità delle due coppie di sfere e la forza di attrazione che si esercitava fra di esse e la Terra. Una volta stabilita la forza di attrazione fra le due coppie di sfere, potè usare il rapporto dell'attrazione fra questi oggetti e le loro densità per determinare la densità complessiva della Terra. « Per mezzo degli esperimenti », concluse Cavendish, « ho determinato che la densità della Terra risulta 5,48 volte maggiore di quella dell'acqua»: un risultato che, aggiunse con evidente compiacimento, è determinato « con grande precisione ». Con una certa gaiezza sottolineò una discrepanza fra il suo risultato e quello ottenuto venticinque anni prima con tanta fanfara sul monte Schiehallion, risultato « che differisce dalla precedente determinazione più di quanto mi sarei atteso ». Cavendish aggiunse tuttavia, con caratteristica cautela e modestia, che si sarebbe astenuto da ogni giudizio « fino a quando non avrò esaminato con maggiore attenzione in quale misura la precedente determinazione sia affetta da irregolarità di cui non sono in grado di misurare l'entità ».

In precedenza, nel corso del saggio, Cavendish aveva accennato che una potenziale sorgente di correnti d'aria aveva creato « un difetto che intendo correggere in qualche futuro esperimento ». Evidentemente considerava l'intero esperimento come una ricerca ìn corso, una pausa momentanea in una ricerca di una precisione ancora maggiore. Era ricco di idee di miglioramenti da apportare.

Cavendish non avrebbe però mal più ripetuto l'esperimento, anche se numerosi altri lo fecero. Nel secolo seguente gli scienziati lo avrebbero replicato molte volte, con nuove tecniche, alla ricerca di una precisione sempre maggiore, ma con scarsi miglioramenti. Cosa notevole, l'errore più grande nell'esperimento di Cavendish risultò essere un errore matematico molto insolito, che fu identificato da uno scienziato posteriore.

Ma una strana cosa accadde all'esperimento nel corso di quei cento anni: la sua finalità si evolse. Il valore della densità complessiva della Terra perse importanza rispetto al valore di un termine in un'equazione che è il modo moderno di formulare la legge di Newton della gravitazione universale. In termini moderni, Newton aveva detto che la forza gravitazionale di attrazione F fra due corpi sferici di massa M1 e M2 separati da una distanza r dipende dal prodotto di quelle masse diviso per il quadrato della foro distanza, il tutto moltiplicato per una costante, nota come G, che rappresenta l'intensità della forza gravitazionale. La formula è F = G*(M1*M2)/r.

Benché Cavendish non conoscesse la formula di Newton in tale forma, e l'inportantissima costante G non appaia nel suo saggio, gli scienziati posteriori si resero conto che essa è misurabile con facilità i. dal suo esperimento mirabilmente preciso, il quale venne ben |. presto eseguito a tal fine, anziché per misurare la densità della Terra. Come scrisse nel 1882 uno scienziato che eseguì l'esperimento: «A causa del carattere universale della costante G, mi pare che descrivere come obiettivo di questo esperimento la determinazione della massa della Terra o della sua densità media, o con minore precisione, del peso della Terra sia un discendere dal sublime al ridicolo ».

Quasi cinquant'anni dopo la morte di Cavendish, negli anni '70 dell'Ottocento, fu costruito alla Cambridge University un laboratorio oggi famoso che porta il suo nome, finanziato dal cancelliere dell'università, che era un lontano parente di Cavendish.

Oggi gli studenti eseguono ancora l'esperimento di Cavendish con gli stessi elementi base, anche se con tecnologie di misurazione più avanzate, come raggi laser riflessi da specchi fissati alle sfere sul giogo per indicarne la deflessione. Impostato nel modo giusto, questo esperimento svela l'intensità della forza che tiene insieme tutta la materia: l'intero universo. A partire da questo numero, si può calcolare il comportamento degli oggetti che orbitano intorno alla Terra, il moto dei pianeti nel sistema solare e il movimento delle galassie dall'epoca del Big Bang in poi. Il sempre ambivalente Wilson scrisse sul soggetto della sua biografia:

Fu uno dei benefattori non ringraziati che hanno pazientemente istruito e servito l'umanità, mentre le persone ignare si ritraevano dinanzi alla sua freddezza o si facevano beffe delle sue stranezze. Egli non sapeva cantare per loro una dolce canzone, o creare una «cosa bella» che dovesse essere « una gioia per sempre », o toccare il loro cuore, o dar loro morale, o rendere più profondi la loro reverenza o il loro fervore. Non era un Poeta, un Prete o un Profeta, ma solo un'intelligenza fredda e chiara che irraggiava luce bianca, che faceva risplendere ogni cosa che toccava, ma che non riscaldava nulla: una stella almeno di seconda se non di prima grandezza nel firmamento intellettuale.

La bellezza che creò Henry Cavendish era di un ordine diverso. Lo strumento da lui usato era rozzo, il procedimento noioso e la parte matematica complessa. Tuttavia, in virtù della sua instancabile severità metodologica, del modo in cui continuò a ricercare le fonti di errore e a sostituire parti non essenziali fino a quando i suoi tesori non vennero finalmente in luce, l'esperimento di Cavendish ha un posto a sé per la sua metodica, nuda, austera bellezza.

(Tratto da "Il prisma e il pendolo" - Robert P. Crease - 2007 Longanesi)