PLASTICO vs FIGURATIVO 2/2
Il linguaggio figurativo non è l’unico aspetto del visivo studiato dalla semiotica. A differenza della semiotica figurativa, infatti, la semiotica plastica si disinteressa al riconoscimento degli oggetti del mondo reale e cerca di spiegare come linee, colori, ecc. possano significare qualcosa, creare degli effetti di senso. Di semiotica plastica si sono interessanti soprattutto i semiologi della cosiddetta scuola di Parigi, in particolar modo Algirdas Julien Greimas, Jean-Marie Floch e Félix Thürlemann. Per far comprendere esattamente che cosa sia il linguaggio plastico Greimas fa l’esempio di Diderot, che si reca ai Salons parigini e descrive con due approcci differenti i quadri che osserva. Prima si concentra su quello che i quadri rappresentano, sulle storie che raccontano, su quello che il pittore ha voluto “dire”. Poi passa ad analizzare l’aspetto tecnico, guardando da vicino le tele e cercando di studiare solamente quello che il pittore ha “fatto”: i rapporti fra colori, il tipo di pennellata, ecc. Indipendentemente da quello che viene rappresentato. In effetti la semiotica plastica si interessa (con strumenti e fini spesso differenti) ad un campo simile a quello della psicologia dell’arte, inaugurato nel secondo dopoguerra da Rudolf Arnheim. Utilizzando soprattutto le conoscenze della psicologia della percezione, Arnheim cerca di spiegare in che modo i dipinti riescano a darci sensazioni di equilibrio, di tensione, di armonia, ecc., utilizzando le forme, i colori, la struttura della composizione.
L’importanza della semiotica plastica è quindi notevole, per almeno due motivi:
1|2 |
|