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La mala Italia
La mala Italia è un'enorme bestia in un bestiario di francesi, inglesi, russi, arabi, americani, cinesi. Nella piramide del potere di ogni bestia nazionale c'è l'ambiguità della politica: si è pacifici ma si fabbricano armi, c'è una maggioranza e un'opposizione, Diventare padri in Italia (1.1 Mb file pdf) File pdf con studio dell'ISTAT sulla dinamica della popolazione italiana nel 2005. Lo studio fa parte dei dati che danno struttura a questo sito che propone alternative valide per ottenere e sostenere uno sviluppo sostenibile che dia vantaggio a tutta l'Umanità
Annuario statistico italiano 2005 (180 Kb file pdf) File pdf con i dati ufficiali dell'ISTAT per il 2005. I dati sono pubblicati anche su questa pagina.
DIVENTARE PADRI IN ITALIAFecondità e figli secondo un approccio di genere Sommario
1. Diventare adulti
3. Il primo figlio
6. Ruolo paterno e caratteristiche della coppia
A3.1 Figli, strategie educative e differenze di
genere Diventare padri in ItaliaIntroduzionePer mettere su famiglia e fare figli bisogna essere in due. Eppure l’ampia letteratura scientifica su fecondità e figli è quasi esclusivamente basata su dati riferiti alla sola popolazione femminile. Il ruolo maschile è stato, fino agli anni più recenti, generalmente ignorato, o nel migliore dei casi, relegato ad un ruolo di contorno. Le giustificazioni di ciò sono varie. La fecondità femminile è più facile da ricostruire e misurare, sia per il fatto che la maternità è certa, mentre la paternità non lo è, sia per il motivo che le donne hanno una delimitata e ben definita fase di vita feconda, mentre gli uomini possono teoricamente avere figli anche in età molto avanzata. Inoltre un uomo può potenzialmente avere un numero elevato di figli, mentre per la donna tale numero è molto più limitato. In società generalmente monogame, con unioni stabili, fecondità relativamente elevata e poco regolata, ai figli di una data donna corrispondono sostanzialmente quelli di uno specifico marito. Inoltre le determinanti del processo riproduttivo sono costituite soprattutto da aspetti biologici, legati in particolare all’età femminile. In particolare il ruolo della donna nella società è cambiato, con conseguente rinegoziazione complessiva del sistema di genere e quindi messa in discussione della tradizionale asimmetria dei rapporti sociali e familiari. Nel pieno della società industriale diventare adulta per una giovane donna corrispondeva all’acquisizione del ruolo di moglie e madre. Il matrimonio costituiva il marcatore cruciale di tale percorso. Il forte aumento dell’istruzione e le maggiori opportunità di realizzazione lavorativa e professionale, hanno consentito alle donne di ottenere sempre maggiore importanza nella società. Lo sviluppo di metodi efficaci di contraccezione ha inoltre reso possibile una sempre maggiore autonomia in materia riproduttiva. La formazione della famiglia risulta sempre meno governata da norme tradizionali, ed è sempre più il risultato di un processo decisionale che implica una negoziazione tra i coniugi. La teoria della new home economics (Becker 1981) mette direttamente in relazione le recenti trasformazione di tempi e modi di fare famiglia nei paesi occidentali con la crescita dello status socioeconomico femminile. La maggior indipendenza ed autonomia economica delle donne sarebbe, secondo la lettura fornita da Becker, tra i fattori principali della diminuzione della propensione a sposarsi e ad avere figli. Tale interpretazione appare in realtà parziale. Alcuni studi hanno evidenziato ad esempio, come più che i livelli raggiunti di investimento femminile in capitale umano, sia invece in molti contesti maggiore l’impatto, sul processo di costruzione della famiglia, della posticipazione dell’età del completamento del periodo di formazione (Blossfled 1995), e ciò riguarda in varia misura entrambi i generi. Ancor più importante è riconoscere che le trasformazioni del ruolo e delle opportunità femminili producono impatti differenziati sul sistema familiare in funzione dell’evoluzione delle opportunità maschili e del riadattamento del ruolo dell’uomo nella società e dei rapporti di genere nella coppia (Rosina et al. 2003). Alcuni studi hanno ad esempio evidenziato che “la recente posticipazione della maternità non è dovuta solamente alle donne stesse, ma anche ai loro mariti” (Latten, Hooghiemstra 2002). In particolare una quota rilevante di donne che non hanno ancora avuto il loro primo figlio oltre i 30 anni indica tra le principali ragioni il fatto che i loro mariti non si sentono pronti. Ciò a conferma dell’importanza di considerare entrambe le parti in causa del processo decisionale.
La teoria della “seconda transizione demografica”
(van de Kaa 1987; Lesthaeghe 1995) arricchisce il quadro interpretativo mettendo
in luce fattori più generali alla base dei recenti cambiamenti nei percorsi
individuali (maschili e femminili) di transizione allo stato adulto e formazione
della famiglia. Viene messa in particolare in evidenza l’importanza dell’aumento
dell’autonomia individuale in campo etico, religioso e politico. Il secolarismo,
i movimenti di emancipazione, il diffondersi dei valori post-materialisti (quali
lo sviluppo personale e l’autoappagamento), lo scetticismo verso le istituzioni,
l’aumento dell’insofferenza verso la regolazione della vita privata dettata
dall’esterno (in particolare da qualsiasi forma di autorità), sono tutti aspetti
di un mutamento di valori che spingerebbe gli individui a scegliere secondo il
loro libero arbitrio il modo più consono di condurre la propria esistenza. La
diminuzione dei matrimoni e l’aumento delle libere unioni, almeno in una prima
fase, sarebbero l’espressione di anticonformismo di manifestazione della propria
libertà contro le convenzioni. I precursori dei nuovi comportamenti sarebbero
giovani uomini e donne con elevato livello di istruzione, portatori di valori
postmaterialisti, che attribuiscono grande importanza alla realizzazione
personale e alla propria autonomia. Giovani quindi anche più esigenti nel
richiedere al proprio rapporto di coppia condizioni minime di qualità e sempre
più propensi a rivalutare e a mettere in discussione progetti ed aspettative,
anche relative a scelte coniugali e familiari con le proprie esigenze ed
obiettivi di autorealizzazione.
Ma anche la teoria della seconda transizione demografica, privilegiando
interpretazioni di tipo valoriale che mettono in primo piano l’emergere nelle
giovani generazioni di una sempre maggiore insofferenza verso percorsi rigidi e
scelte vincolanti, sembra fornire solo Non da ultimo va anche considerata, soprattutto per il caso italiano, da una parte la carenza di politiche sociali di aiuto ai giovani, alle giovani coppie, ed alle giovani famiglie (Saraceno 1994), e dall’altra la mancanza di un adeguato coinvolgimento domestico maschile ed in attività di cura, con ricadute negative sulle scelte di formazione ed allargamento della famiglia (Dalla Zuanna, Righi 1999). La situazione italiana si rivela del resto come particolarmente interessante e degna di approfondimento per il fatto che i principali processi che caratterizzano le trasformazioni più recenti del fare famiglia sono estremizzati, in alcuni casi perché l’Italia risulta la punta più avanzata, in altri perché ci troviamo nelle posizioni più tradizionali rispetto al resto del mondo occidentale. Esempi che rientrano nel primo caso sono l’accentuata posticipazione in generale di tutti gli eventi che caratterizzano la transizione allo stato adulto - ed in particolare l’entrata in prima unione - e la bassissima fecondità. Esempi che rientrano nel secondo caso sono il grande valore assegnato alla famiglia e la grande importanza che continua a rivestire il matrimonio, e come conseguenza i bassi livelli di diffusione delle unioni informali (convivenze), delle nascite extra-nuziali, e degli scioglimenti matrimoniali.
Obiettivo di questo volume è quindi quello di analizzare le
recenti trasformazioni dei modi di fare ed essere famiglia in Italia, allargando
l’ottica di studio oltre la prospettiva femminile, facendo entrare
esplicitamente in campo (anche) il fattore maschile. Il valore di questa operazione supera il mero ambito degli interessi scientifici. Politiche sociali che vogliano intervenire in modo efficace e convincente in aiuto alla famiglia, in sostegno alle scelte di fecondità e di conciliazione tra lavoro e figli, non possono non tener esplicitamente conto di opinioni, aspettative e comportamenti degli uomini. Tale ambizione, allo stato attuale, è costretta però a fare i conti con strumenti teorico-concettuali ed informazioni statistica sul ruolo maschile in varia misura ancora carenti. Ad esempio, nel 1996, all’interno del progetto internazionale Fertility and Family Surveys, è stata condotta una dettagliata indagine ad hoc sulla fecondità in Italia (De Sandre et al 1999). Il disegno di base prevedeva l’intervista di un campione di 4.800 donne nella fascia d’età 20-49 anni. “Inoltre, la pertinenza dello studio dei comportamenti coniugali e riproduttivi rispetto alle donne non deve oscurare il versante Uno sforzo in questa direzione è ad esempio quello contenuto in Donati (1997), in Maggioni (2000), ed in alcuni capitoli in Pinnelli et al. (2003). maschile, troppo spesso assunto come complementare e residuo” (De Sandre et al. 1999). Al campione femminile è stato affiancato sia un campione indipendente di uomini (1.200), sia un campione di coppie (600). La ridotta numerosità campionaria ha però nella sostanza limitato le possibilità di approfondimento della fecondità secondo la prospettiva maschile e congiuntamente di coppia. L’indagine “Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia”, condotta dall’Istat alla fine del 1998, è quella a cui si farà riferimento nelle analisi successive. Sulla divisione dei ruoli verrà utilizzata l’indagine sull’uso del tempo. Per obiettivi di comparazione internazionale verranno utilizzati anche dati derivanti dal progetto Fertility and Family Surveys
Il fatto che l’unità
di rilevazione sia la famiglia consente di mettere in relazione le informazioni
raccolte da tutti i membri ed in particolare quelle dei due coniugi per gli
obiettivi qui di interesse. La numerosità campionaria è inoltre molto ampia
(oltre 20 mila famiglie, per un totale di quasi 60 mila persone), consentendo
particolari approfondimenti anche su comportamenti non (ancora) diffusi e su
settori minoritari della popolazione. |
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