New Age Italy - Terzo MillennioMovimento per l'autoformazione di una nuova Coscienza Incondizionata
Globale
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FORMARE UNA FAMIGLIA
1.1 - Tra vincoli ed opportunitàNegli ultimi trent’anni nei paesi occidentali si è assistito a
cambiamenti rilevanti nei tempi e modi del diventare adulti e di formare
una propria famiglia. I fenomeni più importanti sono stati la dilatazione
dei tempi di sperimentazione delle varie tappe di uscita dalla condizione
giovanile e la flessibilizzazione dei percorsi di entrata in unione. 1. Diventare adultiPer quanto riguarda l’Italia la letteratura scientifica ha finora in larga
parte sostenuto che più che attraverso la diffusione delle unioni informali,
l’aumento da un lato della minore propensione ad assumere impegni
troppo formalizzati8 e dall’altro della precarietà occupazionale, si sia
tradotta in una posticipazione del matrimonio ed una prolungata
permanenza nella famiglia di origine. Tutto ciò continua ad essere vero o vi sono invece segnali di
diffusione anche in Italia di forme di unione alternative al matrimonio?
Con quali implicazioni sui percorsi maschili e femminili?
I dati utilizzati sono quelli dell’indagine campionaria Multiscopo
“Famiglie, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia” condotta nel 1998.
Oltre a dati su caratteristiche individuali e su tempi e motivazioni di uscita
dalla famiglia di origine, l’indagine fornisce informazioni sul livello di
istruzione e sulla condizione professionale dei genitori quando il figlio
aveva 14 anni. Inoltre per chi è ancora in famiglia al momento
dell’indagine si hanno informazioni su come vive il giovane la sua
permanenza e i suoi rapporti con genitori e fratelli. L’ampia numerosità
campionaria e la caratteristica dell’indagine di coinvolgere tutte le età,
consente di analizzare in modo consistente l’evoluzione del fenomeno
lungo un ampio spettro di generazioni. Viene quindi adottata un’ottica
longitudinale che consente, rispetto alle classiche analisi cross-section, di
cogliere adeguatamente la dinamica dei processi in atto
anche in funzione di corrette misure per politiche sociali. 1.2 - Tempi e motivi di uscita dalla famiglia di origine1.2.1. TempiSfruttando l’ampio spettro di generazioni raggiunte dall’indagine
“Famiglie, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia” descriviamo il
processo di permanenza nella casa dei genitori per le coorti nate dal
1930 al 1974, distintamente per sesso. Sintetizziamo il processo
osservando la situazione in corrispondenza dei 30 e dei 35 anni.
I valori riportati in fig. 1.1 indicano un aumento della quota di usciti
prima dei 30 (ed in certa misura anche prima dei 35 anni) che tocca l’apice
per le coorti nate nei primi anni del secondo dopoguerra. Dopodiché il
processo si inverte e si assiste ad una continua posticipazione, a cui
corrisponde una riduzione soprattutto delle uscite maschili prima dei 30
anni. Per i nati nella prima metà degli anni ’60 la quota di giovani uomini
che arrivano a compiere i 30 anni ancora nella casa dei genitori si avvicina
al 40%. Tale processo di posticipazione ha portato l’Italia ad acquisire il
primato del ritardo nei tempi di formazione della famiglia. L’età maschile
di entrata nella prima unione per le coorti dei nati all’inizio degli anni ’60
si 1.2.2. MotiviPassiamo a considerare i motivi di uscita concentrando l’analisi
sulle generazioni che al momento dell’indagine avevano già
sostanzialmente concluso il processo di transizione allo stato adulto
(torneremo in un prossimo paragrafo a trattare le generazioni più
giovani). Arriviamo quindi a considerare le coorti dei nati fino al 1957
per gli uomini (oltre i 40 anni al momento dell’indagine) e fino alle nate
nel 1962 per le donne (oltre i 35 anni).
Quello che si ottiene è l’apparente immagine di una grande staticità.
Domina in assoluto - per entrambi i generi, sia al Sud che al Nord, e per
tutte le generazioni - il matrimonio come motivo di uscita dalla casa dei
genitori (Fig. 1.3). Il ruolo centrale che continua tradizionalmente a
rivestire il vincolo coniugale nel processo di transizione allo stato
adulto, è soprattutto caratteristico dei paesi cattolici e dei paesi
dell’Europa mediterranea, e tocca il suo apice nell’intersezione di tali
due insiemi, ovvero in Spagna ed in Italia. In molti altri paesi
occidentali l’uscita dalla casa dei genitori per matrimonio è un
comportamento largamente minoritario (Kiernan 2002). Rispetto al
dominio quasi incontrastato del matrimonio alcune sensibili differenze.
si possono comunque cogliere all’interno delle tre dimensioni
considerate (genere, generazione, geografica). Le differenze maggiori si
collocano sostanzialmente lungo un asse che vede come estremi i
maschi settentrionali da una parte e le donne meridionali dall’altra. Per
queste ultime l’unione coniugale sembra essere praticamente l’unico
modo per lasciare la casa dei genitori. Inoltre la diminuzione di uscite
per matrimonio nell’ultima generazione più che lasciare spazio ad altre
forme di uscita sembra soprattutto legata ad un aumento di donne che
rimangono nella famiglia di origine. Le donne settentrionali presentano
invece un’incidenza un po’ più elevata di uscita per lavoro ed
autonomia, e la diminuzione nelle generazioni più recenti del
matrimonio sembra soprattutto legata ad un aumento delle convivenze. 1.2.3. Il ritorno nella famiglia di origineOltre ad una posticipazione dell’uscita dalla famiglia di origine
(soprattutto in Italia) e un aumento di forme più flessibili di formazione
delle unioni e della famiglia (soprattutto nei paesi del Nord Europa) – si
fa strada anche una tendenza a considerare reversibili i percorsi attuati.
Avviene così sempre più spesso non solo che le persone decidano di
sciogliere un’unione considerata insoddisfacente ma anche che tornino, 1.3 - Le generazioni più giovaniIl processo di posticipazione degli eventi di transizione allo stato adulto di cui abbiano dato conto nei paragrafi precedenti sembra continuare anche nelle generazioni più giovani. I nati alla fine degli anni ’60 avevano meno di 30 anni al momento dell’indagine. Possiamo comunque valutare l’evoluzione generazionale della quota di usciti prima dei 20 e dei 25 anni (Fig. 1.5). Per i nati nella seconda metà degli anni ’60 meno del 50% delle giovani donne e meno del 25% dei giovani uomini è già uscito dalla casa dei genitori prima dei 25 anni. L’andamento sembra inoltre indicare un’ulteriore riduzione nelle generazioni successive. Nelle più giovani generazioni, il processo di continua posticipazione potrebbe essere arginato da una flessibilizzazione dei percorsi di transizione allo stato adulto che consenta di allentare la sincronizzazione tra uscita dalla famiglia di origine e matrimonio. In particolare la diffusione delle convivenze informali potrebbe, come avvenuto in molti altri paesi occidentali, favorire un’anticipazione del distacco dalla famiglia di origine prima ancora che tutte le condizioni ritenute necessarie per il matrimonio siano verificate (Rosina, Billari 2003). Dopo essere rimaste in Italia a lungo un comportamento marginale, a partire soprattutto dalle generazioni maschili di fine anni ’50 il processo di diffusione delle convivenze informali sembra uscire dal suo stato latente (Fig. 1.6). Il fenomeno comincia ad acquisire visibilità sociale durante gli anni
’90 del XX secolo anche fuori dai centri metropolitani settentrionali
(Rosina, Fraboni 2004). E’ altresì importante notare l’elevata importanza che continua ad
avere la famiglia, soprattutto quella fondata sul matrimonio. Solo una
ridotta minoranza dei giovani lo considera superato come istituzione11.
L’insieme di tali risultati, assieme ai dati empirici sulle convivenze
attuali, fa quindi pensare che, almeno nei prossimi anni, l’accelerata 1.4 - In sintesiNella letteratura scientifica che studia le trasformazioni recenti della
famiglia nei paesi occidentali da qualche anno si individua come una
delle conseguenze più importanti della crisi dell’istituzione del
matrimonio il fatto che la paternità stia diventando sempre meno una
condizione stabile nella vita degli uomini. Rispetto al privilegiato
rapporto madre-figlio, sarebbe soprattutto la natura e la forza della
paternità a risentire della minore solidità che caratterizza le forme di
unione non coniugale. Per quando riguarda l’Italia, vari studi hanno 2.1 - Il processo di selezione del partnerLa formazione di nuove unioni da sempre rappresenta un terreno di
studio molto fertile tra i ricercatori delle discipline socio-economiche e
demografiche che hanno messo in evidenza la tendenza a scegliere
partner socialmente prossimi, cioè omogami (Bozon 1991). Il livello di
omogamia rappresenta il risultato d’insieme di un processo secondo il
quale i simili si associano più frequentemente tra di loro. Infatti,
all’interno del processo di formazione delle coppie esistono delle correnti
di scambio privilegiato, tra gruppi diversi ma prossimi all’interno dello
spazio sociale, e delle correnti di repulsione che fanno sì che alcune
traiettorie dei percorsi di mobilità sociale non si incontrino mai.
Da precedenti studi sembrerebbe che il modello di libera scelta del
partner sia una conquista relativamente recente. Per molto tempo infatti, e
in maniera diversificata per i vari ceti sociali, è stata forte l’intromissione
e il controllo sui nubendi da parte di altre persone su chi potesse accedere
a nozze, con chi si dovesse sposare, a che età e con quali modalità
(Barbagli 1984). In questo ambito, il ruolo femminile è risultato
costantemente minoritario e condizionato a quello dell’uomo e del resto
della famiglia. Solo con un lento processo di modificazioni, iniziato con
la rivoluzione industriale e le sue conseguenze sul mondo rurale e
contadino, e sostenuto dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione, dalla
generalizzazione e dal prolungamento della scolarizzazione cambiano
profondamente le modalità di riproduzione sociale nel XIX e nel XX
secolo (Van Poppel e Nelissen 1999). Anche la mobilità geografica o
spaziale facilita questo processo e diventa una componente fondamentale
della mobilità sociale. 2.2 - Le prime nozzeFondamentalmente lo scarto d’età tra uomini e donne può essere letto
come una discordanza tra il calendario maschile e quello femminile di
ingresso nella vita di coppia (Figura 2.1). Infatti a 23 anni circa 3 donne su 5
(59,8 per cento) hanno contratto una prima unione contro appena un uomo su
quattro (23,5 per cento). La distribuzione delle età di ingresso in unione per
sesso mostra molto bene le differenti esperienze di uomini e donne nelle
varie fasi della vita. Tuttavia, il confronto tra la distribuzione per età della
donna delle età medie del coniuge all’inizio dell’unione e viceversa mette in
luce ancora meglio le diverse scelte per età maschili e femminili. È interessante notare come le unioni precoci degli uomini si
caratterizzino per un età più egalitaria: coloro che contraggono
precocemente matrimonio sono più frequentemente omogami per età.
Infatti dalla Figura 2.3 è possibile osservare come gli uomini, al
crescere dell’età, attingano ad un bacino di spose via via più ampio e
diversificato sulla base dell’età. Mentre infatti un uomo ventenne sposa
donne che hanno un’età compresa in un intorno molto ristretto della
propria, a 30-34 anni gli uomini sposano donne in pressoché tutte le fasce
d’età. Se si considera il livello di istruzione dello sposo si osserva anche che nel corso degli anni chi possedeva titoli di istruzione medio alti è andato riducendo il gap culturale con la propria sposa, dal momento che aumenta la quota di matrimoni tra sposi parimenti istruiti. Infatti, su 100 sposi che hanno conseguito il diploma delle superiori o la laurea, si osserva una riduzione progressiva della quota di matrimoni in cui lui è più istruito, a vantaggio di una crescita delle prime nozze celebrate con spose con lo stesso livello di istruzione (Tabella 2.3). Si osserva inoltre che, tra gli sposi con basso titolo di studio, la quota di matrimoni contratti con donne più istruite cresce rispetto alla quota di coppie omogame. I luoghi che hanno favorito l’incontro delle coppie hanno giocato un ruolo diverso nelle varie coorti di matrimonio. Complessivamente si osserva un cambiamento nella frequentazione dei luoghi che hanno favorito la formazione di nuove coppie. La maggiore contrazione è quella subita dai luoghi di incontro ‘pubblici’, ad es. in occasione di ricorrenze pubbliche (come le feste di paese e i balli di piazza), e attraverso i legami di vicinato e per mezzo di incontri a casa di parenti e amici. Aumenta invece il ruolo rivestito da luoghi privati di incontro (come le feste tra amici, le discoteche e i locali notturni, le località di vacanza, la scuola o l’università). L’ambiente di lavoro mantiene invece un ruolo stabile e abbastanza modesto tra le coorti di sposi, nella formazione delle coppie che approdano alle nozze in anni diversi (Figura 2.4). 2.3 - Le seconde nozzeNonostante un costante aumento nel corso degli anni, le seconde nozze in Italia rappresentano ancora una quota limitata del totale dei matrimoni (circa il 5 per cento nel 1998 per quanto riguarda le seconde nozze contratte da uomini) (Tavola 2.4). La struttura dei secondi matrimoni è cambiata rapidamente a partire dagli anni Settanta, con l’introduzione del divorzio in Italia: a partire dal quel momento infatti le seconde nozze sono passate dall’essere unioni prevalentemente di vedove e vedovi (in particolare al Sud) a unioni prevalentemente di divorziati e divorziate (soprattutto nel Nord). Complessivamente, nel 1998 si osserva che le seconde nozze sono più frequentemente costituite da unioni di nubili e divorziati (37,9 per cento), seguiti in seconda battuta dalla tipologia di celibi e divorziate (26,8 per cento). Da studi condotti in altri paesi emerge che proprio nell’ambito di questo tipo di unioni si fa più marcato il vantaggio maschile sul mercato matrimoniale (Bozon 1990). Infatti, successivamente allo scioglimento della prima unione, gli uomini hanno una probabilità di contrarre nuove nozze molto superiore rispetto a quella delle donne, soprattutto quando queste ultime hanno dei figli. Nel 1998 risulta che tra le persone con esperienza di divorzio alle spalle, il 49,1 per cento degli uomini ha contratto anche le seconde nozze, contro il 39,5 per cento delle donne (Tavola 2.5). Le condizioni del mercato matrimoniale più favorevoli agli uomini, permettono di contrarre nuove nozze in misura maggiore al Sud e nelle Isole rispetto al resto del Paese. Nel Mezzogiorno infatti, a causa di una più elevata migratorietà maschile, il nubilato femminile rappresenta un ampio bacino di disponibilità per le seconde nozze degli uomini. Inoltre, poiché gli uomini alle seconde nozze accedono molto spesso a donne senza una precedente storia matrimoniale e senza figli, lo scarto d’età con la nuova compagna diventa molto accentuato (5,5 anni in media). Ne risulta che il mercato matrimoniale delle seconde unioni è nettamente vantaggioso per gli uomini. Infatti, quando un uomo si risposa a seguito di un divorzio, la nuova compagna sarà mediamente piuttosto giovane se nubile (27,6 anni nel 1969, 37,7 nel 1979 e 34,2 nel 1998), mentre l’età media della sposa cresce nel caso sia anche lei in seconde nozze: le divorziate hanno in media un po’ più di 40 anni nel 1979 e 1998, mentre le vedove passano da 69 anni in media nel 1969 a 51,8 anni nel 1979 e 46,2 anni nel 1998. (Tavola 2.6). Di conseguenza lo scarto d’età alle seconde nozze di un uomo divorziato con la propria partner risente anche della precedente esperienza di lei: esso risulterà più accentuato nel caso di spose nubili (soprattutto nel Sud e nelle Isole) e più contenuto se anche la sposa è in seconde nozze a seguito di divorzio o vedovanza. Dal punto di vista territoriale, nel Mezzogiorno l’età media delle nubili che vanno in spose a dei divorziati è variata molto nel periodo preso in esame. Sono più giovani rispetto alla media nazionale di oltre 5 anni nel 1969, ma già dal 1979 l’età media delle nubili si riallinea sui valori medi dell’Italia. Infatti, con il passare degli anni, la differenza nell’età media in cui donne divorziate o nubili sposano uomini in seconde nozze si attenua un po’ per effetto di un aumento dell’età media delle nubili al Mezzogiorno (da 23,3 anni nel 1969 a 34,3 anni nel 1998), e si uniforma a quella registrata nel resto del paese, pur mantenendosi di circa 10 anni più giovani delle divorziate che sposano un divorziato.
2.4 - Le unioni libereQuesto tipo di unione si caratterizza per una notevole simmetria nelle età dei due partner. Ciò probabilmente è anche dovuto al fatto che tali unioni iniziano precocemente rispetto ai matrimoni. Nel 1998 ammontano a 340 mila le unioni libere in Italia, erano 227 mila nel 1993-94: più della metà di esse (56,6 per cento) sono famiglie Si fa presente che non è possibile, con i dati attualmente a disposizione, valutare se lo scarto d’età con la partner per un uomo che ha avuto più di una unione, sia cambiato tra unioni successive. Per tale scopo occorrerebbero infatti informazioni sulle età di tutti i partner avuti, anche quelli di cui si è sciolta l’unione. Naturalmente nel primo caso si tratta di coppie più mature (lui ha in media 48,2 anni), con una differenza d’età tra i partner che, in media, sfiora i 4 anni, mentre nel secondo caso si tratta di persone giovani che sperimentano questo nuovo approccio alla formazione della famiglia che, in molti casi, in seguito approderà ad un’unione sancita dal vincolo matrimoniale (Tavola 2.8). Si tratta di coppie mediamente giovani in cui l’età di lui è di circa 34 anni e in cui lo scarto d’età tra partner è di più di 2 anni e mezzo, notevolmente al di sotto di quanto registrato per le ricostituite (non coniugate – 3,7 anni - e soprattutto coniugate – ben 5,6 anni) e per le altre coppie coniugate (3,5 anni). Anche dall’esame delle tipologie di coppie per istruzione dei due partner emerge che, libere unioni di celibi e nubili e famiglie ricostituite non coniugate presentano dei modelli di assortimento culturale differente rispetto a quanto osservato nelle coppie coniugate (Tavola 2.9). Famiglie ricostituite non coniugate e libere unioni di celibi e nubili si caratterizzano per la presenza di una maggior quota di coppie in cui la donna è più istruita del proprio partner (rispettivamente nel 30,1 per cento e nel 28,8 per cento dei casi), a fronte del 18,9 per cento di donne più istruite nelle coppie coniugate intatte. Infine la condizione lavorativa risente, oltre che di un modello culturale proprio, anche della diversa composizione per età che caratterizza le famiglie esaminate. Entrambi i coniugi si configurano come percettori di reddito nel 29,3 per cento delle coppie non ricostituite, mentre tale quota diventa più che doppia nelle coppie di libere unioni (64 per cento) e nelle ricostituite non coniugate (45,7 per cento). Per le coppie ricostituite non coniugate il luogo di incontro del nuovo partner si colloca soprattutto nell’ambiente lavorativo (30 per cento dei casi) e successivamente sono efficaci gli altri luoghi di aggregazione rappresentati da case di amici e parenti e da discoteche e locali notturni. Per le coppie in libera unione invece sono importanti le occasioni di incontro presso amici e parenti, i locali privati (discoteche e locali notturni) ma anche la strada, il vicinato (Figura 2.5). 2.5 - I “matrimoni misti”Per quanto possano sembrare frequenti, i matrimoni misti rappresentano comunque delle eccezioni rispetto a matrimoni omogami che tendono a perpetuare i gruppi sociali, religiosi o etnici e che tendono a mantenere la loro coesione nel corso del tempo. Per quanto riguarda i matrimoni di partner di nazionalità diversa in
Italia occorre innanzitutto fare una premessa. La rilevazione della
cittadinanza degli sposi è presente nel modello D3 preposto alla
rilevazione dei matrimoni e delle caratteristiche degli sposi, solo a partire
dal 1995. Per stimare la quota di matrimoni misti celebrati nel nostro
paese da cittadini stranieri, sono stati presi in esame i matrimoni che
hanno coinvolto partner residenti all’estero. In particolare si è scelto di
limitare tale ambito di osservazione ai matrimoni di sposi italiani con
donne residenti all’estero. Rispetto al totale dei matrimoni, quelli misti,
riguardanti dunque le nozze di italiani con donne straniere, hanno
rappresentato una quota abbastanza esigua, circa un migliaio (pari a circa
lo 0,5 per cento), per gli anni 1969 e 1979, mentre nell’ultimo anno preso
in esame, il 1998, si arriva al 2,3 per cento (cioè circa 6mila matrimoni).
Nei matrimoni misti le differenze d’età all’interno della coppia sono
più contenute nel caso in cui lo sposo sia in prime nozze, piuttosto che
divorziato o vedovo (Tavola 2.10). Complessivamente, in un quarto dei
matrimoni misti di celibi la sposa straniera ha la stessa età o è più grande:
si tratta del 23,8 per cento dei matrimoni di celibi nel 1969, del 27,4 per
cento nel 1979 e del 20,3 per cento nel 1998. Ciò è indubbiamente legato
anche all’età media al matrimonio: quando lo sposo è molto giovane le
differenze d’età con la sposa sono contenute e addirittura la sposa è più
matura del marito, mentre al crescere dell’età alle nozze (che è
strettamente legata anche alle vicende di scioglimento di precedenti
unioni per divorzio o vedovanza) aumenta la quota di matrimoni misti in
cui lo sposo è più grande d’età. In questo caso dunque si conferma il
modello di assortimento matrimoniale già visto per i primi matrimoni 2.6 - In sintesi
A1.1 - L’importanza della famiglia di origineDa vari decenni è in atto un processo di frammentazione della
transizione all'età adulta in una serie di transizioni parziali attraverso un
sempre più ampio lasso di tempo. Il risultato è un allungamento della fase
giovanile, di quella fase cioè che collega l’adolescenza alla vita adulta e
che Cordon (1997: 576) definisce una costruzione sociale e culturale:
“what distinguishes it most from other ages is that it bridges two stages in
life: childhood dependence and adult independence, which are well
defined but have fluid boundaries”. Questo ponte si caratterizza per una
serie di tappe-eventi che scandiscono l'entrata nella vita adulta, il cui
calendario, dalla seconda metà del XX secolo, è radicalmente cambiato. Approfondimento 1 - La lunga permanenza nella famiglia di origine: differenze di genere e di status socialeIl dibattito sulle cause dei profondi cambiamenti che stanno
caratterizzando il mondo giovanile si è sviluppato tenendo conto di due
grandi sfere in cui avviene la transizione: quella pubblica-istituzionale
(scuola, formazione, lavoro, politica) e quella privata (menage, famiglia,
sessualità, stili di vita) (Chisholm, 1996). A questo proposito Wills scriveva che il salario è la chiave fondamentale per il futuro e che la disoccupazione impedisce ai giovani inglesi di assumere ruoli adulti, lasciandoli in parte amorfi. “Per comprendere la disoccupazione, occorre capire ciò che manca - il salario… il salario rappresenta la chiave d’oro per l’accesso ad una sistemazione abitativa indipendente lontana dai genitori e lontana dal capo… (poiché permette di ottenere prestiti, pagare affitti e fatture). Mancanza di salario significa mancanza delle chiave per il futuro”. (Wills P. “Youth Unemployment: a new social state”. New Society, 29: 475-477; citato in Coffield, 1996). Altri studi, di taglio più psico-sociale,
hanno messo in evidenza l’ampia diffusione di situazioni di vita familiare
soddisfacenti e poco conflittuali, di relazioni più aperte che in passato,
flessibili, scarsamente autoritarie, centrate sulla tolleranza e sulla
partecipazione dei figli (Donati, 1995; Farina, 1997; Scabini e Rossi,
1997). Emerge così il quadro di una famiglia “elastica” che si è evoluta
nel tempo, negoziando nuove e più flessibili forme di convivenza. Una
famiglia al cui interno si discute, si negozia, ognuno contratta la propria
autonomia e dove i genitori diventano “complici” nel ritardare l’uscita.
Dall’indagine dell’Irp (1999) è emerso, infatti, come molti genitori italiani
non avvertano vantaggi nell’uscita da casa dei figli e questi vantaggi,
quando segnalati, sono prevalentemente di tipo materiale; tra gli svantaggi
il 50 per cento dei genitori indica la perdita affettiva e il 34 per cento la
solitudine e la malinconia. Al contrario non vengono rilevati, per i
genitori, benefici in termini di maggiore tempo libero e di maggiore
privacy. È un quadro molto differente da quello dipinto in altri paesi
occidentali. Ad esempio in Olanda né i giovani né i genitori vivono
l’uscita dei figli come “un’esperienza stressante…e vi è un numero
crescente di madri che sono contente della prospettiva di disporre di più
tempo per le proprie attività e per coltivare interessi personali” (Bois-
Reymond, 1996: 112). In Germania, dal punto di vista delle madri, la
permanenza dei figli in famiglia costituisce un onere lavorativo e
finanziario, che limita la loro libertà. Tempi di uscita. Ipotizziamo che coloro che rimangono molto a lungo nella casa dei genitori appartengano a famiglie caratterizzate a) da elevate risorse socio-culturali e b) da elevato investimento sui figli. Nel primo caso prevarrebbe la preoccupazione di non perdere troppo precocemente i vantaggi quotidiani materiali ed immateriali della famiglia di origine. Nel secondo verrebbe evitata una assunzione troppo precoce di oneri e vincoli di autonomia e responsabilità che potrebbero compromettere gli elevati obiettivi di formazione personale e di carriera lavorativa. Ciò potrebbe essere tanto più vero quanto più sono scarse le risorse di partenza a parità di obiettivi da raggiungere. Motivi di uscita. Dato che i genitori con status sociale basso sono tendenzialmente meno aperti culturalmente a forme non tradizionali di living arrangements (Rosina e Fraboni, 2004), ci aspettiamo una minore sperimentazione di motivi di uscita diversi dal matrimonio da parte dei giovani provenienti da tali famiglie rispetto a chi proviene da famiglie con status socio-culturale elevato. I dati utilizzati sono quelli dell’indagine campionaria Multiscopo “Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia”, condotta dall’Istat nel 1998. Oltre a dati su caratteristiche individuali e su tempi e motivazioni di uscita dalla famiglia di origine, l’indagine fornisce informazioni sul livello di istruzione, sulla condizione professionale e sulla posizione nella professione dei genitori quando il figlio aveva 14 anni. A1. 2 - Un percorso a tappeIl nostro obiettivo è quello di valutare la relazione tra lo status
socio-culturale della famiglia di origine e la lunga permanenza nella
casa dei genitori. Come già premesso, la popolazione analizzata è
costituita dai giovani che al momento dell’indagine avevano tra i 30 ed i
34 anni. Costruiamo quindi prima di tutto una variabile che ci dice se
essi si trovano o meno ancora nella casa dei genitori. Oltre al fatto di
essere o meno usciti teniamo poi conto sia dell’indipendenza
economica, ed in particolare della disponibilità di un lavoro stabile, sia
della formazione di una unione. Questo ci consente di costruire una
variabile che rappresenta la situazione del giovane rispetto al percorso di
transizione allo stato adulto.
La transizione allo stato adulto può infatti essere vista come un
processo, caratterizzato da eventi (di natura demografica, economica e
sociale) che possono essere situati lungo un continuum che va dalla
dipendenza alla piena autonomia e responsabilità (Righi e Sabbadini
1994; Billari, Crippa e Ongaro, 1997; Cordon, 1997; Ongaro, 2001). La variabile costruita per rappresentare la situazione del giovane (rispetto all’autonomia abitativa, alla disponibilità di un lavoro stabile, alla formazione di una unione, alla maternità/paternità) può quindi essere vista come una sintesi (trasversale) delle tappe principali della transizione del giovane alla vita adulta. Nel dettaglio le modalità considerate sono le seguenti. Per i giovani coabitanti con i genitori distinguiamo tra: studenti; in cerca di occupazione; casalinghe; in occupazione stabile; in occupazione precaria; altro. Per i giovani usciti dalla casa dei genitori distinguiamo tra: occupati single; occupati in coppia senza figli; occupati in coppia con figli; casalinghe in coppia senza figli; casalinghe in coppia con figli; altro in coppia senza figli; altro in coppia con figli. In realtà esistono anche altre transizioni che costituiscono importanti indicatori del passaggio dall’adolescenza all’età adulta e che influenzano il comportamento demografico. Ad esempio il matrimonio potrebbe essere considerato separatamente dalla prima unione non matrimoniale e il primo rapporto sessuale potrebbe essere visto come l’evento che per primo pone i giovani “a rischio” di diventare genitori. A1.3 - Differenze di genere e di status socio-culturaleAnalizziamo in maniera distinta la collocazione familiare/professionale
degli uomini e delle donne. Tra i maschi, quelli ancora nella famiglia
d’origine sono il 31,2 per cento. La percentuale è più elevata nel caso
dei giovani di status alto (38,8 per cento), a fronte, rispettivamente, del
29,3 per cento di quelli di status basso e del 29,8 per cento dei giovani
di status medio. Se però si tiene conto del livello di istruzione del
giovane – distinguendo semplicemente tra titolo basso (fino alla scuola
dell’obbligo) e titolo medio-alto (dal diploma superiore in poi) – la
lettura dei risultati diviene più articolata. È soprattutto interessante notare come i giovani uomini con status basso e titolo medio-alto tendano a rimanere nella famiglia di origine in misura comparabile a quella dei giovani con genitori di status elevato e in misura maggiore rispetto ai figli di genitori con status medio. Vale a dire che l’interpretazione che si trova usualmente in letteratura, che attribuisce soprattutto ai giovani italiani appartenenti a famiglie benestanti la scelta di rimanere a lungo nella famiglia di origine, è molto parziale. Una lunga permanenza sembra quindi non solo essere un
comportamento adottato come resistenza a perdere troppo precocemente
le risorse materiali ed immateriali quotidiane fornite da genitori molto
benestanti, ma derivare altresì da una strategia messa in atto da chi
proviene da uno status modesto ed ha obiettivi ed aspettative molto
elevate sul proprio percorso formativo e professionale. La
preoccupazione di entrambe tali categorie di giovani sarebbe comunque
quella che un’uscita precoce determinerebbe troppe perdite nel contesto
italiano (caratterizzato da un welfare poco generoso con i giovani). I
giovani di status di provenienza elevato potrebbero infatti rischiare di
peggiorare in modo rilevante il proprio stile di vita, mentre i giovani di
status di provenienza basso ma con elevate aspirazioni potrebbero
rischiare di sacrificare troppo delle proprie aspettative di mobilità
sociale. Per questa seconda categoria di giovani il protratto stanziamento
nella casa dei genitori consente infatti ad essi di concentrarsi totalmente
nell’investimento nella formazione e nel consolidamento della propria
carriera professionale senza costi di vita autonoma e senza vincoli di
responsabilità familiare. Matrimonio e paternità verrebbero infatti
rinviati in una fase successiva, condizionatamente all’aver raggiunto gli
obiettivi professionali minimi attesi3. Sul versante femminile non
sembra invece emergere una strategia analoga. La permanenza nella
casa dei genitori risulta infatti molto più strettamente legata allo status
di partenza e meno al proprio titolo di studio. A1.4 - In sintesiL’analisi condotta aveva come obiettivo lo studio della lunga permanenza dei giovani italiani nella famiglia di origine e delle loro condizioni all’uscita in funzione del genere, dello status socio-culturale di origine, del livello di istruzione raggiunto e dell’interazione tra tali variabili. I risultati gettano nuova luce, articolando ulteriormente il quadro fornito in letteratura, sulla transizione allo stato adulto. Generalmente infatti si sostiene che, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, in Italia a rimanere più a lungo in famiglia siano i giovani degli strati sociali medi ed alti ed eventualmente tra quelli degli strati inferiori coloro che hanno difficoltà a trovare lavoro. Il risultato principale dello studio qui condotto evidenzia come tra i giovani maschi si distingua un’altra rilevante categoria caratterizzata da una prolungata stanzialità nella famiglia dei genitori. Si tratta dei giovani provenienti da famiglie di basso status sociale, sui quali però tali famiglie hanno investito molto, portandoli ad elevati livelli di istruzione. Per questi giovani la dilazione dell’uscita, tipicamente per matrimonio, consente di evitare un’assunzione troppo precoce di oneri e vincoli di autonomia e responsabilità che potrebbero compromettere gli elevati obiettivi prefissati di formazione personale e di carriera lavorativa. Relativamente alla destinazione all’uscita, i risultati ottenuti sono coerenti con l’ipotesi che lo status socio-culturale dei genitori abbia un ruolo cruciale nella possibilità che i figli sperimentino percorsi innovativi di transizione allo stato adulto, diversi dal tradizionale rigido passaggio dei giovani italiani direttamente dalla casa dei genitori al matrimonio. Appendice: l'indice di status socio-culturale della famiglia di origineNella prima fase del lavoro dunque l’attenzione si è concentrata sul
contesto socio-economico della famiglia del giovane. Le variabili
utilizzate per la costruzione dell’indice di classe sociale sono quelle
relative ai genitori degli intervistati. La scelta di trascurare le Sulla base della classificazione di Cobalti e Schizzerotto4 (1994) è
stato costruito un indice di classe sociale per ciascun genitore. Le
variabili utilizzate sono state la condizione professionale, la posizione
nella professione e il settore di attività economica. Nel caso di genitori
liberi professionisti, imprenditori o lavoratori in proprio si è tenuto Gli autori definiscono la classe sociale come l’insieme degli individui e delle loro famiglie che, in virtù del controllo esercitato su una o più risorse di potere, occupano simili posizioni sul mercato e nella divisione sociale del lavoro e che, perciò, godono di simili chance di vita. Le classi si articolano in una pluralità di strati, definiti secondo l’intensità del controllo che gli individui posseggono sulla risorsa stessa, l’abilità con cui la utilizzano, lo specifico ramo di attività economica in cui la impiegano, il segmento del mercato del lavoro in cui si trovano inseriti. Come già detto, la fonte dei dati è l’indagine campionaria Multiscopo “Famiglia, soggetti sociali e condizione dell’infanzia”, nell’ambito della quale a tutti gli individui di 18 anni e più (sia che vivessero ancora con i genitori, sia che fossero già usciti dalla famiglia di origine) è stato chiesto di indicare la condizione lavorativa di entrambi i genitori quando l’intervistato aveva 14 anni. Se i genitori risultavano ritirati dal lavoro o disoccupati si chiedeva di far riferimento all’ultima occupazione svolta. In tal modo solo i genitori che (fino all’età di 14 anni del figlio) non avevano mai avuto contatti col mondo del lavoro sono rimasti esclusi dalla possibilità di avere una propria diretta collocazione nella stratificazione sociale. Partendo dall’informazione relativa alla classe di ciascun genitore è stato costruito un indice familiare di classe sociale utilizzando il criterio dell’ordinamento gerarchico (dominance), secondo il quale la classe sociale familiare viene determinata sulla base dell’occupazione più elevata esercitata dai due partner. Tale scelta si basa sull’ipotesi che le chance sociali di una famiglia mutano al crescere della posizione di uno dei membri, indipendentemente dal sesso (Cobalti e Schizzerotto, 1994). Le sei classi sono le seguenti: borghesia; classe media impiegatizia; piccola borghesia urbana; piccola borghesia agricola; classe operaia urbana; classe operaia agricola. La borghesia è composta da imprenditori medio-grandi, liberi professionisti, dirigenti. Della classe media impiegatizia fanno parte i lavoratori dipendenti non manuali a medio o medio-alto livello di qualificazione. La piccola borghesia urbana è costituita da proprietari e coadiuvanti di piccole imprese industriali, commerciali e di servizio, in particolare artigiani e commercianti. Della piccola borghesia agricola fanno parte i proprietari e i coadiuvanti di piccole imprese operanti nei settori dell’agricoltura, caccia, foreste e pesca. La classe operaia urbana comprende lavoratori dipendenti manuali e impiegati esecutivi a basso livello di qualificazione, occupati nelle imprese operanti nei settori delle costruzioni, dell’industria, del commercio e dei servizi. La classe operaia agricola è composta da lavoratori dipendenti manuali occupati nelle imprese operanti nei settori dell’agricoltura, caccia, foreste e pesca. Consideriamo il caso di una coppia nella quale un solo componente stia svolgendo un’occupazione. La posizione di classe di questa famiglia coincide con la classe occupazionale del partner con esperienza lavorativa. In una coppia nella quale entrambi i partner lavorano e dove le due occupazioni appartengano alla stessa classe, la classe si identifica con la loro comune classe occupazionale. Che le loro entrate si cumulino significa che essi apparterranno a uno strato superiore di tale classe, ma non che essa muti (Cobalti e Schizzerotto, 1994). Quando, invece, in una coppia ciascun partner appartiene ad una distinta classe occupazionale, la classe familiare considerata è la più alta fra i due, indipendentemente dal sesso.
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