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ESSERE PADRI ITALIANI

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Estratto da "Essere padri in Italia", studio ISTAT 2005

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6. Ruolo paterno e caratteristiche della coppia

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6.1 La paternità e la crisi dell’equilibrio di genere

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6.2 Coinvolgimento dei padri e caratteristiche della coppia

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6.3 In sintesi

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7.1 Segnali di cambiamento contraddittori

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7.2 Un role setting ancora prevalentemente asimmetrico

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7.3 Le sfumature dell’asimmetria

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7.5 Una visione di sintesi sul coinvolgimento del padre

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7.6 Il gioco e l’accompagnamento a scuola

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8. La paternità nelle famiglie numerose

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8.1 Numero di figli ed impegno dei padri

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8.2 Gioco e cure serali

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8.3 I discorsi delle madri

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8.4 In sintesi

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Appendice: risultati dettagliati

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9.2 I dati sull’uso del tempo

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9.3 L’articolazione delle 24 ore: i mutamenti conseguenti alla paternità

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9.4 L’articolazione del lavoro familiare: tra cura dei figli e lavori domestici

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9.6 L’importanza delle caratteristiche individuali e di contesto nella partecipazione dei padri al lavoro familiare

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9.8 Riflessioni conclusive

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ESSERE PADRI IN ITALIA

6.1 - La paternità e la crisi dell’equilibrio di genere

La prevalenza in Europa delle famiglie “a doppio reddito”, che in pochi anni ha scalzato il modello tradizionale basato sull’uomo unico percettore di introiti (male breadwinner model), ha rimesso in discussione i ruoli di genere nella gestione dei compiti domestici e di cura. Seppure con velocità diversa tra paesi, è certamente in atto un processo di cambiamento che vede una maggiore partecipazione dei padri nell’allevamento dei figli. In molti casi, tale processo è stato incoraggiato anche da politiche attive, volte a favorire il coinvolgimento paterno. Emblematico in tal senso è il contenuto della Direttiva comunitaria sui congedi parentali che introduce il principio della sostituibilità dei genitori lavoratori nei compiti di cura, estendendo ai padri molti dei diritti che in passato erano riconosciuti alle sole lavoratrici madri.

6. Ruolo paterno e caratteristiche della coppia

Da studi, condotti in diversi paesi, si evince che il tempo dei padri trascorso con i figli è effettivamente cresciuto in questi ultimi anni. Nel nostro Paese, in particolare, stenta ad aver luogo una significativa ridefinizione del ruolo dei padri, che è ancora molto legato alla tradizionale e rigida specializzazione di genere. Ad esempio, una recente ricerca comparativa ha messo in luce che in Italia appena l’11% dei padri si occupa in modo “sostanziale” dei figli in età prescolare, contro il 57% dei danesi, il 31% dei finlandesi, il 24% dei britannici, il 20% dei tedeschi e il 16% dei francesi. La partecipazione dei padri italiani è più alta per coloro che hanno un livello di istruzione intermedio e un impiego da dipendente, nel pubblico o in una impresa di grandi dimensioni, se è maggiore il numero complessivo di figli, se anche la partner lavora. Alcuni dei fattori indicati, dunque, sembrano legati alla “necessità”, quando implicano una sorta di “sostituzione” delle cure materne, indispensabile nel caso in cui la donna lavori e/o vi siano più bambini. Altri sembrano connessi maggiormente alla “possibilità” di dedicare tempo ai figli, ad esempio nel caso in cui i padri abbiano un tipo di impiego più tutelato o lavorino per meno ore.
La maggior parte della letteratura concorda nel ritenere che l’arrivo di un figlio porta ad una “cristallizzazione dei ruoli di genere” nell’ambito della coppia, con un aggravio di lavoro per la donna. Si parla, pertanto, di “doppio carico” (dual burden) per coloro che scelgono la “doppia presenza” nella famiglia e nel mercato del lavoro. La presenza di un figlio può rendere ancora più difficile la conciliazione dei ruoli dato che, di solito, porta ad un aumento del tempo dedicato alle attività domestiche e di cura e ad una conseguente compressione del tempo libero femminile. Analisi empiriche, rivelano che la nascita di un figlio aumenta la tensione e il livello di stress percepito dalle donne lavoratrici e riduce il grado di soddisfazione nella relazione di coppia. Spesso è proprio la “violazione delle aspettative” da parte dei padri ad esacerbare le difficoltà delle donne che potrebbero, per questo, rinunciare ad avere altri figli. Nella letteratura americana si parlava di stalled revolution, definizione che si attaglia bene anche al caso italiano attuale, dove alla crescente partecipazione lavorativa femminile, non si è accompagnata una decisa assunzione di responsabilità degli uomini nella condivisione di attività domestiche e di cura. Solo recentemente la teoria della fecondità ha preso in considerazione in modo esplicito il ruolo dell’ineguaglianza di genere come fattore esplicativo della bassissima fecondità, osservata in molti paesi mediterranei tra cui l’Italia, in particolare, suggerisce come possibile spiegazione la frattura che si è creata tra gli alti livelli di equità di genere nelle istituzioni che hanno a che fare con gli “individui” in quanto tali e la permanenza di bassi livelli di equità nella famiglia. Le opportunità lavorative che si presentano alle donne, oggi sempre più istruite, sono per molti versi assai simili a quelle maschili, ma possono ancora essere seriamente compromesse proprio dalla maternità, tanto che molte donne finiscono col ridurre il numero di figli o persino col rinunciare definitivamente ad averne.

A livello macro, si nota con chiarezza che, tra i paesi sviluppati sono proprio quelli con una bassissima fecondità ad avere un sistema di genere meno equo rispetto ai paesi a fecondità relativamente più alta. Tipica, in tal senso, è la contrapposizione tra i due casi estremi: i Paesi scandinavi, da una parte, e quelli mediterranei, dall’altra. Sono poco numerosi e solo molto recenti, invece, gli studi volti a verificare empiricamente tale relazione a livello individuale. I risultati di questi studi, comunque, mostrano con chiarezza come per le madri lavoratrici il tempo a disposizione non sia sufficiente a coprire le necessità dei figli. In assenza di aiuti esterni, il comportamento del partner può giocare, pertanto, un ruolo fondamentale nella scelta di avere il secondo figlio e risolvere, almeno in parte, le costrizioni di tempo sperimentate dalle donne lavoratrici.
Il problema della conciliazione tra lavoro e famiglia può essere percepito in modo molto diverso dagli uomini e dalle donne, secondo “l’ipotesi dell’incompatibilità dei ruoli”. Se le norme sociali prevedono che gli uomini abbiano come principale ruolo quello di provvedere alle esigenze economiche (provider) dei componenti della famiglia, l’attività lavorativa, diventa uno strumento proprio per meglio esercitare tale ruolo. Ben diverso è il caso delle donne, che secondo le norme prevalenti hanno essenzialmente il ruolo di prendersi cura dei componenti della famiglia (carer): in tal senso il loro impegno sul mercato del lavoro viene ad essere decisamente in conflitto con il ruolo familiare. In questo lavoro analizzeremo proprio come le diverse combinazioni di condizione occupazionale e di istruzione di entrambi i partner abbiano un effetto sull’impegno dei padri nella cura dei figli piccoli.

6.2 - Coinvolgimento dei padri e caratteristiche della coppia

6.2.1. Il quadro di riferimento

Per esaminare il grado di coinvolgimento dei padri nella cura dei figli in età prescolare, ci concentreremo in particolare sulle attività di cura cosiddette di routine o “strumentali”, quali

1) vestire il bambino,
2) preparargli i pasti,
3) cambiargli il pannolino,
 4) fagli il bagno,
 5) metterlo a letto.

Sono, in generale, le tipiche attività demandate alle madri, quelle “essenziali” per la cura del figlio. In letteratura si sottolinea come in genere tali compiti non siano comunemente svolti dai padri che prediligono, invece, le attività che potremmo definire “interattive” (ad esempio il gioco), certamente più remunerative dal punto di vista relazionale e gratificanti dal lato affettivo, ma allo stesso tempo soltanto occasionali e non legate alle esigenze primarie del bambino. D’altra parte, si rileva che una maggiore consapevolezza dei bisogni dei figli e una maggiore capacità di comprenderne le richieste da parte dei padri si sviluppa proprio attraverso la pratica delle attività di routine nei primi anni di vita. Questo crea una relazione più intima tra padri e figli che permane mano a mano che i figli crescono. Secondo la teoria delle “risorse relative” o “regola del potere”, maggiore è il successo professionale della donna e maggiore è il suo potere di negoziare con il partner la cura dei figli. E’ anche vero, d’altra parte, che se la madre è impegnata in un’attività lavorativa, la partecipazione paterna potrebbe essere assolutamente necessaria nella gestione quotidiana delle attività di cura, proprio per sopperire alle assenze materne. In questi casi, il grado di coinvolgimento dei padri dipenderebbe essenzialmente dalle caratteristiche delle madri, piuttosto che dei padri stessi. E’, tuttavia, possibile che, invece, siano le caratteristiche paterne a determinare una minore o maggiore propensione alle attività di cura. Ad esempio, si può ipotizzare che i padri più giovani siano più disposti ad occuparsi dei figli, perché socializzati in un periodo in cui i ruoli di genere tradizionali già iniziavano ad essere messi in discussione. Ci possiamo attendere, inoltre, che padri più istruiti siano più consapevoli dell’importanza del loro ruolo per il sereno sviluppo dei figli, ma anche più aperti a gestire il ménage in modo alternativo rispetto ai tradizionali ruoli di genere.

Alcuni autori sottolineano che i padri che esercitano il ruolo di provider con maggiore successo, svilupperebbero migliori relazioni con i figli, anche se non è detto che a posizioni lavorative di più alto livello corrisponda necessariamente un maggior coinvolgimento paterno nelle attività di cura. Studi precedenti, infatti, mostrano che, in Italia, i padri che svolgono lavori impiegatizi condividono maggiormente la cura dei figli. Si deve, infatti, riflettere sul fatto che le possibilità di svolgere quotidianamente determinati compiti dipende fortemente anche dal tempo che i padri dedicano al lavoro retribuito: un elevato numero di ore lavorate, così come un orario di lavoro “scomodo”, potrebbero precludere ai padri la possibilità di svolgere determinati compiti quotidianamente. D’altra parte, le coppie a doppio reddito occupate in lavori remunerativi hanno più risorse da destinare alla retribuzione di aiuti esterni: una baby-sitter potrebbe, pertanto, in parte supplire alle cure paterne per la gestione delle comuni pratiche quotidiane. Nel contesto italiano, va anche ricordato l’importante ruolo di “supplenti” delle cure parentali esercitato dai nonni (conviventi e non), vista, anche, la particolare solidità dei legami familiari e la diffusa prossimità abitativa intergenerazionale.
Infine, anche il contesto territoriale in cui i padri sono inseriti può influenzare il loro grado di coinvolgimento: ci aspettiamo, infatti, una minore attività paterna al sud e nelle isole, dove la divisione dei ruoli di genere è legata a modelli più tradizionali e, per ragioni simili, nei comuni più piccoli, rispetto a quelli più grandi e alle città.

6.2.2 Il livello di coinvolgimento paterno: una descrizione

L’Indagine Multiscopo “Famiglie e soggetti sociali” del 1998 fornisce informazioni sulla frequenza con cui i padri svolgono le attività di cura, sopra menzionate5. Si nota, prima di tutto, che i compiti che una quota più cospicua dei padri svolge quotidianamente sono quelli di mettere a letto il bambino e di dargli da mangiare, svolti rispettivamente dal 25% e dal 21% di coloro che hanno figli con meno di tre anni e dal 23% e dal 21% di padri dei bambini dai 3 ai 5 anni. Un padre su cinque, con figli di età tra zero e due anni, cambia il pannolino tutti i giorni. A fronte dell’esistenza di una quota di padri che si occupa quotidianamente dei figli, tuttavia, si riscontra un’elevata quota di individui che non se ne occupa mai, quando si tratta ad esempio di cambiar loro il pannolino (30% con figli più piccoli, il 50% di chi ha figli tra tre e cinque anni) o di far loro il bagno (il 38% di chi ha figli più piccoli e il 39% di chi ha figli più grandi). La proporzione di chi non si occupa mai dei figli, è maggiore al Sud e nelle Isole, rispetto al Centro Nord, e tra i padri con livello di istruzione più basso. Non si riscontrano, invece, differenze significative per età. L’esame della frequenza con cui i padri svolgono ciascuna attività, presa distintamente, però, non consente di dare una valutazione globale al sostanziale impegno dei padri per la cura dei figli.

Se tra i figli piccoli, si può pensare che il ruolo preminente delle cure materne sia dovuto anche a ovvie ragioni biologiche, sorprende notare che la situazione non cambia in modo sostanziale per i padri dei figli fra tre e cinque anni. i padri più attivi ammontano al 4%, mentre quelli che non si occupano mai del bambino sono quasi il 6%. Il coinvolgimento dei padri nelle attività di base, dunque, non sembra aumentare con l’età dei bambini, ma anzi per i figli più grandi si evidenzia una diminuzione.

Il coinvolgimento paterno nelle attività di cura è marcatamente maggiore per i padri residenti al Centro Nord. Per i bambini più piccoli aumenta proporzionalmente al grado di urbanizzazione del comune di residenza: questo sembrerebbe confermare che nelle città i ruoli di genere sono modellati in modo meno tradizionale. Non sembra, invece, confermata l’ipotesi che i padri più giovani siano più attivi, mentre quelli più istruiti presentano effettivamente un indice più alto, con differenze particolarmente evidenti tra chi ha un figlio tra zero e due anni. Le professioni di tipo impiegatizio, gli insegnanti e i quadri sono le categorie professionali associate ad un maggiore coinvolgimento paterno, forse perché caratterizzate da orari di lavoro più facilmente conciliabili con le attività di cura, per gli uomini, così come per le donne. Sono, invece, i lavoratori in proprio, insieme con alcune categorie residuali (ad es. i soci di cooperativa), che mostrano i più bassi indici di coinvolgimento, indipendentemente dall’età del figlio: è possibile che questa sia una tipologia occupazionale i cui orari di lavoro rendano particolarmente difficoltoso prendersi cura dei figli. Se ci soffermiamo, sulle caratteristiche della coppia, si nota che dove i partner sono entrambi istruiti, i padri sono molto più attivi. E’ interessante notare che, anche se la numerosità dei casi è assai ridotta, il livello più alto in assoluto dell’indice di attività paterna si incontra nelle coppie in cui la donna è laureata, mentre l’uomo è diplomato, tanto per chi ha figli piccoli quanto per chi li ha più grandi. Come ci si poteva attendere, molto differenziato è il grado di coinvolgimento paterno nelle coppie mono e bi-reddito: è molto probabile che per quest’ultima categoria sia la necessità che spinge i padri a collaborare più fattivamente alla cura dei bambini.

6.2.3 Quali padri sono più attivi? Un’analisi esplorativa

Vediamo adesso quali sono le caratteristiche maschili e di coppia associate ad maggior o minore livello di partecipazione paterna, a parità di altre condizioni. Le differenze di ripartizione territoriale emergono sia per i padri di figli grandi e piccoli, ma con qualche lieve discrepanza: è al Sud, che i padri si occupano meno dei figli sotto i tre anni, mentre i padri di figli più grandi sono meno attivi nelle isole. La significatività della dimensione del comune, si annulla quando inseriamo l’orario di lavoro dei padri. Prima facie, sembrerebbe non confermata l’ipotesi che, all’aumentare del numero di figli, il padre accresca la sua collaborazione: dal modello, infatti, risulta che il padre che ha un solo figlio sia più attivo di chi ne ha due o più. Tale relazione, tuttavia, va interpretata con cautela dal momento che non stiamo dando una valutazione dell’attività dei padri per i figli nell’insieme, ma di quella relativa ad un figlio in una certa classe di età. Un padre che ha più figli potrebbe “dividere” il suo tempo di cura tra questi e, dunque, occuparsi meno di ciascuno, anche se nel complesso dedica loro più tempo. Sorprende notare che la presenza di aiuti esterni, retribuiti (come la baby sitter) e non (i nonni), non sostituisce le cure paterne, ma anzi laddove ci sono aiuti esterni, anche i padri sembrano più propensi a
collaborare. E’ possibile, dunque, che gli aiuti esterni siano essenzialmente sostitutivi del tempo materno: se ad esempio la madre lavora è come se lasciasse libera una certa “quota” di attività di cura che viene fornita da più soggetti, tra cui anche il padre. E’ anche ipotizzabile che il fatto che persone esterne si occupino del bambino, sia anche un segno di una maggiore attitudine materna alla delega, che pertanto coinvolgerebbe anche i padri. L’ipotesi che padri più giovani siano più attivi nella cura dei figli, non emerge dai nostri risultati, per i figli più piccoli, mentre sembra confermata per i figli più grandi.
Padri con istruzione più bassa si occupano meno dei bambini, anche se l’effetto è più marcato per chi ha figli sotto i tre anni.
 

Per i figli più grandi, le categorie impiegatizie, gli insegnanti e i quadri mostrano un maggiore livello di coinvolgimento. I dirigenti, imprenditori e liberi professionisti sembrano occuparsi meno dei figli e questo in contraddizione con la teoria di Halle e Le Menestrel (2000), secondo cui il successo professionale degli uomini li renderebbe più disponibili nei confronti dei figli.
D’altra parte il tempo dedicato al lavoro retribuito limita notevolmente il ruolo dei padri, in special modo per chi ha figli piccoli, che richiedono cure continue. Rispetto a chi ha un orario di lavoro di 36- 44 ore settimanali, chi lavora più ore si occupa decisamente meno dei figli, a parità di altre condizioni. Se spesso la letteratura ha affrontato la questione della conciliazione tra partecipazione lavorativa femminile e maternità, si nota qui come questo tema sia rilevante anche per lo studio della paternità. Orari di lavoro meno intensi potrebbero facilitare il coinvolgimento dei padri e, perciò, avere anche un impatto sulla conciliazione dei ruoli femminili e, plausibilmente, anche sulla fecondità.
In ultimo, abbiamo inserito come variabile di controllo se la moglie lavora o meno, per differenziare, così le famiglie monoreddito, più tradizionali, da quelle a due redditi, in ipotesi più paritarie. Si nota come la specializzazione dei ruoli nelle famiglie monoreddito sia effettivamente più marcata, in special modo se si hanno figli molto piccoli: le attività “strumentali” di cura, dunque, se la moglie è casalinga, sono assai meno condivise dai padri, come ovvio.

L’ipotesi che le coppie formate da coetanei, o in cui la donna è più grande, siano caratterizzate da una maggiore simmetria di genere pare confermata solo per quanto riguarda le attività paterne di cura dei figli con meno di tre anni.
Per quanto riguarda la combinazione dei titoli di studio, si nota che la variabile è significativa solo per i padri con figli sotto i tre anni; per gli altri l’effetto sembra assorbito dalla combinazione dell’orario di lavoro. E’ subito evidente il marcato minor coinvolgimento dei padri nelle coppie in cui entrambi i partner hanno un basso livello di istruzione, rispetto alla coppia presa come riferimento, formata da due diplomati. I padri partecipano di più nel caso in cui l’uomo sia diplomato e la donna abbia un titolo di studio maggiore o minore, rispetto al diploma, sia se la coppia è formata da due laureati. Sembra pertanto confermato che coppie composte da partner più istruiti siano più paritarie nella suddivisione dei compiti di cura e, forse, più consapevoli dell’importanza del ruolo paterno. Se confrontiamo gli effetti sull’attività dei padri in relazione alle combinazioni di orario di lavoro, sembra che questi siano simili per i due gruppi di padri, con figli con meno o più di tre anni. In particolare, il coinvolgimento paterno è minore per le coppie che lavorano di più, rispetto ai partner che hanno orari di lavoro medi, prese come riferimento. Inoltre, i padri collaborano meno ogni qual volta hanno un orario più lungo o uguale a quello intermedio (36-44 ore) e la moglie con orario più corto. Sembrano, però collaborare meno anche i padri in cui sono entrambi i coniugi a lavorare meno.

6.2.4. I padri con esperienze di separazione e divorzio

Seppur mantenendosi su valori molto inferiori rispetto ad altri paesi europei, negli ultimi anni il fenomeno dell’instabilità coniugale sta comunque conoscendo in Italia una fase di rilevante aumento. Considerando i dati sui valori assoluti nella seconda metà degli anni ’90 separazioni e divorzi sono aumentati di oltre un terzo. Si tratta di eventi spesso traumatici, tali da modificare il corso di vita dei soggetti direttamente e indirettamente coinvolti (coniugi, figli, rete di parentela). Oltre che sulla situazione familiare tendono ad incidere anche sulla situazione finanziaria e residenziale, in modo spesso tanto problematico da portare in vari casi a forme di impoverimento e a vulnerabilità economica. Secondo i dati dell’indagine del 1998 sono poco meno di due milioni le persone che hanno sperimentato la rottura di un’unione coniugale. In circa tre casi su quattro la rottura riguardava coppie con figli. Nel complesso tra le donne separate con figli solo una su quattro non vive più con loro, mentre ciò avviene per oltre la metà degli uomini.
Su tale quota rientrano comunque anche i figli giovani-adulti usciti dalla famiglia di origine.
La situazione più problematica è in ogni caso quella dei padri che vedono i figli non più di qualche volta l’anno. Tale condizione è abbastanza comune, poiché riguarda quasi un padre su quattro tra i separati con figli. L’intensità della relazione tra padri separati e figli è
legata allo status socio-culturale: infatti, mentre tra i padri laureati o diplomati il 55.8% vede i figli almeno una volta a settimana e il 38.3% li sente telefonicamente tutti i giorni, tali percentuali si abbassano rispettivamente al 41.4% e al 17.3% per chi ha titolo di studio più basso. Esiste inoltre anche un legame con la ripartizione geografica: al Sud i separati vedono meno frequentemente i figli.

6.3 - In sintesi

Il nostro lavoro si proponeva di valutare il livello di coinvolgimento dei padri nelle attività di cura e di indagare se ci sono rilevanti differenze nel grado di partecipazione paterna secondo specifiche caratteristiche maschili e di coppia.
L’analisi ha mostrato sostanzialmente che la responsabilità della cura quotidiana dei figli ricade ancora in massima parte sulle spalle della madre. L’impegno dei padri è discontinuo, spesso limitato alle attività meno gravose (ad esempio mettere a letto il figlio), e frequentemente esercitato solo in caso di “necessità”. E’ solo un’esigua minoranza di padri, infatti, che svolge quotidianamente tutte le mansioni necessarie alla cura primaria dei figli. Va sottolineato, tuttavia, che il coinvolgimento paterno aumenta sensibilmente se la madre lavora. E’ questo, forse, un primo segnale di un lento, ma con ogni probabilità progressivo, adattamento dei padri al modello familiare a due redditi, che richiede loro una più marcata assunzione di responsabilità nella cura dei figli. E’ anche possibile che ciò sia dovuto ad un maggiore potere della donna lavoratrice di negoziare con il partner la gestione del ménage domestico. E’ interessante ricordare, inoltre, che se l’attività di cura della madre viene già sostituita da aiuti esterni (nonni o baby sitter)
anche i padri si rivelano più attivi.
Il livello di istruzione, il numero di ore lavorate, e la loro combinazione tra i coniugi, hanno un impatto di rilievo nel modellare i ruoli di genere nella cura dei figli piccoli. Da un lato, dunque, contano aspetti di tipo culturale e valoriale, come il livello di istruzione, che probabilmente rende i padri più consapevoli del loro ruolo e più pronti a mettere in discussione i ruoli tradizionali di genere. Dall’altro, sembrano importanti anche le costrizioni che il padre sperimenta, in modo del tutto simile a quanto accade alle madri lavoratrici. I risultati mostrano chiaramente che la conciliazione tra figli e lavoro è più facile quando – ceteris paribus - il padre appartiene a determinate categorie professionali (ad es. impiegati ed insegnanti) e/o ha un orario di lavoro più contenuto. Se politiche volte a incoraggiare i congedi parentali hanno contribuito a valorizzare il ruolo dei padri, è possibile che strumenti finalizzati alla riduzione dell’orario di lavoro o la possibilità di ottenere il part-time nei primi di anni di vita dei figli per entrambi i genitori siano un altrettanto efficace stimolo alla piena condivisione dei compiti di cura tra uomini e donne che, forse, renderebbe anche meno difficoltosa la scelta di avere figli.

7.1 - Segnali di cambiamento contraddittori

Il dibattito sui cambiamenti dell’immagine e dell’identità paterna è divenuto recentemente molto vivace. Termini come simmetria e asimmetria dei ruoli familiari, persistenza e tramonto del patriarcato, padre coinvolto, “padre assente inaccettabile”, padre definito con il termine di Pà-Mà (Papà-Mamma) e “nuovi padri”, compaiono frequentemente sia nei resoconti di ricerche empiriche, sia nei libri di più ampia divulgazione o anche nelle pagine di inchieste giornalistiche.

Dagli anni Ottanta l’interesse crescente per i cambiamenti della figura paterna si è trasferito dagli studi di natura psicologica e pedagogica, dove era stato in precedenza relegato, anche nell’ambito sociologico con gli studi sulla paternità. Dalla raccolta di una serie di contributi e riflessioni interdisciplinari (storiche, giuridiche, psicologiche, sociologiche, demografiche) elaborati in un seminario interno condotto presso il Centro Studi sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, Scabini rilevava come “…il padre resta il ‘nodo della normatività’ coniugale, genitoriale e familiare, ma in modo latente e, per così dire nascosto. Da un lato c’è il bisogno ineliminabile del padre, dall’altro il suo ruolo esplicito tende ad essere pallido, evanescente, ed incerto”

Le tipologie su cui le madri si esprimono variano dal padre partecipe (coppie in cui entrambi i coniugi svolgono un’attività lavorativa extradomestica condividendo pienamente il menage familiare) al padre delegante (padre che delega alla compagna i compiti che riguardano sia la gestione della casa sia la crescita dei figli) passando per il padre teoricamente partecipe (coppia in cui si riconosce l’intercambiabilità dei ruoli rispetto ai figli e alla gestione della casa, ma che al tempo stesso deve far fronte all’assoluta poca disponibilità del marito in termini di tempo) e per il padre ospite (padre che affianca una donna-madre lavoratrice per un numero di ore non superiore alle sei ore giornaliere, che dichiara una generale disponibilità a giocare e ad accudire i bambini, ma che contemporaneamente delega alla compagna tutte le attività che riguardano i lavori di casa). Considerando che nella terza  tipologia del padre ospite meglio definito come delegante, rientra la maggior parte delle coppie intervistate, è facile concordare chi vede la condivisione come un traguardo non ancora pienamente raggiunto. In effetti, anche dalle ricostruzioni dei padri di oggi rispetto ai padri di ieri, I resoconti sono decisamente a favore del cambiamento: i padri di oggi rispetto ai padri di ieri manifestano una maggiore disponibilità soggettiva; sembrano più coinvolti e dimostrano un interesse e un’attenzione maggiori per i problemi educativi; sono meno autoritari, meno rigidi, meno severi, ma anche emotivamente più fragili. Tuttavia quando si tratta di rispondere a domande più concrete come “chi accompagna il figlio”, “chi è maggiormente presente ai colloqui”, “chi partecipa di più alla vita del servizio”, le stesse operatrici descrivono una figura paterna più tradizionale e quindi meno presente su questioni di ménage quotidiano. Altri segnali di cambiamento si intravedono considerando il problema dei congedi di paternità in funzione di una più significativa presenza maschile nei primi anni di vita di figli e figlie. Si rileva una disponibilità dichiarata dalla maggior parte dei padri (52 per cento) ad usufruire del congedo parentale. Gli stessi padri si sono tuttavia mostrati meno disponibili (55,9 per cento contrari) rispetto ad un’altra forma di conciliazione (part-time reversibile), elencando tra le motivazioni contrarie all’utilizzo, lo svantaggio economico, le conseguenze sul percorso di carriera e la consueta motivazione legata alla naturale predisposizione femminile al lavoro di cura della prole (il 27,1 per cento dei padri ritiene che la madre sia più adatta a prendersi cura dei figli).

Muovendosi su un fronte ancora diverso, curiosando tra i testi delle canzoni di successo proposte alle giovani generazioni, si ritrovano altre indicazioni circa l’idea di paternità espressa da uomini in età adulta. Dal momento che i messaggi contenuti in questi testi di musica leggera possono raggiungere quote molto alte di popolazione giovanile attraverso radio, concerti, vendite di cd o suonerie di cellulari, può essere saggio non trascurarli. Da una delle ultime canzoni prodotte dagli Eiffel (“Viaggia insieme a me/ Io ti guiderò/ E tutto ciò che so te lo insegnerò/ Finché arriverà il giorno in cui/ Tu riuscirai a fare a meno di
me/…/ Io ti porterò dove non sei stato mai/ E ti mostrerò le meraviglie del mondo/ E quando arriverà il momento in cui andrai/ Tu…tu guiderai/ Tu lo insegnerai ad un altro/ Un altro come te”) si colgono per esempio segnali di un padre attento alla trasmissione generazionale dei valori e degli entusiasmi e allo stesso tempo preoccupato di stare accanto al figlio fino al raggiungimento della sua piena autonomia. Nella canzone In te di Nek, il protagonista è invece un uomo in procinto di diventare padre pieno di buone e concrete intenzioni (“…per lui non fumerò/ A quattro zampe andrò e lo aiuterò a crescere/…/Per lui lavorerò la moto venderò e lo proteggerò…”). Dalle parole del testo di Grand’Uomo di Claudio Baglioni che, come è noto, appartiene ad una generazione diversa da quella dei più giovani cantanti prima citati (“Figlio mio la vita è questa qua/ É più una lotta che una danza in cui girare/ Ma non fermarti mai perché la musica/ Non è mai un'isola la musica è il mare/ Che fa andar via e che fa stare via”) si coglie, invece, un velo di pessimismo nei confronti della vita che, secondo i consigli del padre, va vissuta nella consapevolezza di affrontare una lotta quotidiana dalla quale, però, è anche possibile fuggire. I segnali di cambiamento, che pure si avvertono nelle ricerche sopra riportate, nei titoli di inchieste giornalistiche o curiosamente anche in canzoni di successo, sono tuttavia ancora contraddittori, circoscritti (a particolari contesti regionali o a sottogruppi fortemente e non deliberatamente selezionati di padri) e forse anche troppo deboli (corroborati da risultati di ricerche condotte su collettivi ancora troppo esigui) per esprimere con rigorosi riscontri empirici le connotazioni che assume in Italia il rapporto tra padri e figli. Per fare questo riteniamo sia necessario ancorarsi alle indagini ufficiali effettuate su collettivi di numerosità tali da consentire classificazioni e tipologie più variegate e per questo meno soggette al vincolo della selezione. Non nascondiamo che le analisi proposte in questo lavoro appartengano ancora all’ambito descrittivo, del quale però non si può fare a meno per impostare eventuali ragionamenti di natura esplicativa. Rispetto al quadro generale già tratteggiato nel capitolo precedente, focalizzeremo qui in particolare l’attenzione sulla relazione tra impegno lavorativo e coinvolgimento dei padri nelle attività dei figli.

7.2 - Un role setting ancora prevalentemente asimmetrico

Dai brani di conversazioni fedelmente riportate, oltre che da colloqui e interviste con i bambini di tre anni compiuti frequentanti le scuole dell’infanzia coinvolte in un’indagine svolta a Modena, si legge: “il papà sa lavorare, la mamma non lavora…prepara la pasta” oppure “il papà fa i giochi con le ruote, la mamma no”; “il papà fa i lavori, la mamma fa il latte e poi anche la cucina e dopo mangia papà” o ancora: “la mia mamma fa i lavori, tanti tanti, poi pulisce la casa, va a lavorare e poi pulisce ancora”. Per aggiungere elementi alla comprensione del reale role setting non sarebbe poi così infelice l’idea di intervistare i bambini (necessariamente di età superiore ai tre anni) chiedendo loro, con il supporto delle insegnanti, di descrivere la giornata, quasi come se dovessero compilare un diario delle attività cui possono partecipare figure familiari diverse (ad esempio: chi ti prepara la colazione, chi ti accompagna a scuola, cosa fai quando esci da scuola, chi ti accompagna a casa, dagli amici, a basket, agli scout, etc.)

I fattori che possono influenzare la partecipazione paterna in alcune attività strumentali di cura dei figli (preparare i loro pasti, accudirli se malati e giocare con loro) sono diversi fra i paesi considerati, sottolineando che il ruolo della paternità risente in qualche modo degli spazi che le società cui appartengono riservano ai padri. Ad esempio, in Italia l’attribuzione dei ruoli risulta culturalmente piuttosto rigida, e la responsabilità fisica e psicologica delle attività domestiche e di cura dei figli ricade prevalentemente sulla madre, sia essa lavoratrice o meno. Da più parti inoltre è segnalata la cronica assenza di strutture per una più facile combinazione di maternità e lavoro per le donne. In Austria il recente dibattito politico ha sottolineato la necessità di una più equa suddivisione delle responsabilità fra uomini e donne, sia in ambito privato sia in ambito pubblico. In Ungheria lo Stato fornisce un notevole supporto finanziario per le famiglie con figli, ma le relazioni di genere sono di tipo piuttosto tradizionale. In Ungheria la domanda di lavoro sia maschile sia femminile risultò fortissima nel secondo dopoguerra, ma ciò non ha comportato un cambiamento nella suddivisione delle attività domestiche verso una maggiore equità; sono state introdotte politiche per facilitare la combinazione di lavoro e maternità per le donne (soprattutto con l’introduzione di strutture pubbliche per la cura dei figli) che difficilmente coinvolgevano in modo esplicito il partner. Perciò, a dispetto di una sempre maggiore uguaglianza nel mondo del lavoro, le relazioni di genere all’interno della coppia sono rimaste immutate. Sebbene nei tre paesi l’atteggiamento più comune nella divisione di alcuni compiti di cura dei figli sia il più tradizionale (cioè che il padre non partecipi affatto o lo faccia solo nel gioco), ben dieci punti percentuali separano Italia, Austria e Ungheria: il 71 per cento delle coppie italiane, il 63 per cento di quelle austriache e il 53 per cento delle ungheresi ricadono in tale categoria.
Dalle analisi svolte sui dati delle risulta inoltre che l’Italia presenta la divisione dei compiti più tradizionale e l’Austria la più razionale, almeno per quanto riguarda la disponibilità di tempo del padre, mentre in Ungheria i fattori presi in considerazione non sembrano essere particolarmente determinanti. Soprattutto i vincoli oggettivi alla condivisione dei ruoli, e cioè il tipo di lavoro del padre e l’orario lavorativo settimanale, hanno effetti molto differenti fra i paesi. In Italia il padre collabora di più nella cura dei figli se svolge un lavoro impiegatizio rispetto al non lavorare affatto, collabora di meno nel gioco se svolge un lavoro di livello elevato, mentre gli altri effetti non sono significativi. In Austria il padre più collaborativo nella preparazione dei pasti e nella cura dei figli è proprio quello disoccupato. In Ungheria il lavoro del padre non è significativo. Per quanto riguarda l’orario lavorativo del padre, questa variabile è significativa solo in Italia, e risulta che i padri con una maggiore disponibilità di tempo sono i più collaborativi nelle attività strumentali.

7.3 - Le sfumature dell’asimmetria

La prima analisi esplorativa del rapporto tra padri e figli proposta rielaborando i dati dell’Indagine Multiscopo Famiglie e Soggetti Sociali 1998 (Fss98, Istat, 2000) sulla vita quotidiana di bambini e ragazzi6 si sviluppa quindi sul presupposto che i modelli di organizzazione della famiglia italiana vedono ancora come protagonista indiscusso della scena la madre. Ci incuriosisce, tuttavia, approfondire le differenze di tonalità nell’asimmetria familiare, e soprattutto in quali situazioni questa asimmetria appaia più sfumata, come conseguenza di una più concreta presenza del padre nelle attività strumentali e di svago legate alla vita dei figli.  L’asimmetria a sfavore delle donne del lavoro familiare di cura dei figli è particolarmente evidente tra coppie in cui al padre è riconosciuto il ruolo di unico percettore di reddito, permettendogli, in virtù di questo, di allontanarsi da una serie di attività che riguardano i figli, poiché la madre, specularmente, si assume quasi tutte le responsabilità

Nei rapporti con gli insegnanti le differenze fra le due tipologie di coppie sono ancora più evidenti. Il coinvolgimento del padre – sia come unico delegato (16,5 per cento) ad interagire con gli insegnanti, sia a fianco della madre (18,3 per cento) – è maggiore laddove i genitori dei bambini sono entrambi occupati.

Non bisogna comunque dimenticare che il livello di istruzione è tendenzialmente più alto tra le coppie bilavoro. In conseguenza di ciò la maggiore attenzione alla vita scolastica dei figli è spiegabile anche dalla diversa configurazione delle coppie in termini di titolo di studio sia del padre che della madre.

L’unica attività in cui il padre appare coinvolto in eguale misura, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre è il gioco. Sebbene al crescere dell’età il processo di socializzazione tenda a svincolarsi dall’ambito strettamente familiare per proiettarsi verso l’esterno (nei giorni feriali gioca con amici e compagni più di un quarto dei bambini da 3 a 5 anni, il 57,2 per cento di quelli da 6 a 10 e ben il 70,1 per cento dei bambini di 11-13 anni), quando i genitori e i bambini giocano insieme, la grande maggioranza dei bambini condivide quotidianamente con la madre parte delle attività ludiche. Ben il 74,3 per cento dei bambini e delle bambine da 3 a 5 anni gioca con lei tutti i giorni. Il padre è invece presente nei giochi infantili con una frequenza ben più bassa (41,5 Per cento). Se si considerano invece i bambini che giocano almeno una volta a settimana, la distanza si riduce drasticamente (96,1 per cento con la madre e 84,6 per cento con il padre). Al crescere dell’età giocare con i genitori diventa un’attività meno frequente e la differenza tra padri e madri tende a ridursi, almeno per quanto riguarda il gioco condiviso tutti i giorni. Per quanto riguarda alcune delle attività svolte nel tempo libero come vedere la tv o le videocassette insieme al bambino, andare al parco, andare al cinema o a vedere spettacoli sportivi, non si osservano invece particolari asimmetrie dal momento che solitamente si tratta di attività organizzate e condivise dalla madre e dal padre per trascorrere un pomeriggio o una serata insieme con i bambini. Le attività che hanno a che fare con la musica, la lettura di fiabe e di racconti coinvolgono sempre più spesso le mamme, siano esse lavoratrici o meno.

7.5 -. Una visione di sintesi sul coinvolgimento del padre

L’ipotesi che formuliamo in questo caso è che l’impegno profuso dal padre nell’attività lavorativa - misurato attraverso il numero delle ore lavorate fuori casa settimanalmente - giochi un ruolo significativo nel plasmare l’immagine della paternità. Più specificatamente riteniamo che la figura del “nuovo padre” coinvolto attivamente nella cura dei figli e nell’organizzazione della vita familiare sia più frequentemente diffusa tra padri che, non essendo career oriented, investono meno nella vita professionale, dedicando ad essa meno tempo. Dai grafici seguenti l’ipotesi sembra in effetti essere sufficientemente convincente. I bambini i cui padri lavorano con orario relativamente breve (inferiore alle 40 ore settimanali) sono accuditi dai propri padri più frequentemente rispetto alla media. Al crescere dell’orario lavorativo il coinvolgimento paterno diminuisce. Esistono però alcune eccezioni, dovute probabilmente alle particolari caratteristiche lavorative (posizione nella professione e tipo di lavoro svolto) dei padri che hanno un orario lavorativo più lungo. I padri con figli unici con orario lavorativo superiore alle 60 ore sono infatti più frequentemente dirigenti, quadri o imprenditori, mentre quelli che lavorano fra le 51 e le 60 ore sono più spesso liberi professionisti rispetto alla media. I padri di due bambini sono più frequentemente imprenditori e lavoratori in proprio rispetto alla media quando hanno un orario lavorativo superiore alle 50 ore settimanali. Mentre per i dirigenti e i quadri l’impegno lavorativo per quanto oneroso si esaurisce fuori casa, i liberi professionisti possono essere più frequentemente impegnati con del lavoro da svolgere in orari che non coincidono con la classica giornata lavorativa e che quindi rischiano di sovrapporsi ai tempi di vita dei bambini molto piccoli.
Il coinvolgimento dei padri nell’attività di svago con i bambini di 3- 5 anni, diminuisce gradualmente al crescere dell’orario lavorativo del padre, come atteso (Figura 7.5). La partecipazione alle attività strumentali o routinarie è invece più alta della media per l’orario
lavorativo intermedio (36-40 ore settimanali), e minore della media in tutti gli altri casi. I padri che lavorano con un orario lavorativo estremamente breve (il 6 per cento del totale dei padri che lavorano) sono inaspettatamente meno coinvolti della media, dimostrando quasi che quando il padre può usufruire di tempo libero preferisce dedicarsi con i figli alle attività più gradevoli (di svago) che a quelle di tipo strumentale o routinario, sebbene il tempo dedicato ai due tipi di attività (misurato utilizzando la frequenza di partecipazione) non siano esplicitamente in competizione fra di loro

Inoltre bisogna considerare che solo il 35 per cento delle partner di questi uomini lavora, contro una media generale del 43 per cento. Essi dunque usufruiscono di mogli e/o compagne molto presenti nella scena quotidiana, pronte ad una suddivisione dei ruoli particolarmente tradizionale. È quindi possibile che dietro la decisione di scegliere più o meno esplicitamente un modello lavorativo tipo part-time ci possano essere delle motivazioni non necessariamente legate al soddisfacimento dei bisogni di cura dei figli (come ad esempio situazioni disagiate di sottoccupazione). Si evidenzia come i bambini appartenenti a famiglie medie, in cui il padre è impiegato ed ha un orario lavorativo intermedio sono accuditi dal padre più frequentemente della media, risultato a cui si arriva anche con i dati Ffs.

7.6. Il gioco e l’accompagnamento a scuola

Le attività che rimangono fuori dalle precedenti misure sintetiche sono comunque importanti. Alcune di queste sono ausiliarie alla gestione della vita quotidiana (accompagnare e riprendere da scuola i bambini), mentre altre sono connesse esplicitamente al gioco. Abbiamo analizzato il comportamento paterno riguardo alle attività associate alla vita scolastica del figlio per la fascia di età più opportuna, quella dei bambini di 6-13 anni. Per i figli unici l’andamento della percentuale di padri impegnati nell’andare a portare i figli a scuola e a riprenderli, e nell’aiutarli a fare i compiti è molto sensibile all’orario lavorativo del padre. I bambini i cui padri hanno orario intermedio (41-45 ore settimanali) riportano una percentuale più elevata di coinvolgimento del genitore nell’andare a scuola, mentre i bambini i cui padri lavorano più a lungo non beneficiano della presenza del papà nelle attività connesse alla vita scolastica. Nel caso di due figli la percentuale di bambini accuditi decresce in corrispondenza di orari lavorativi sempre più intensi (con eccezioni per l’orario lavorativo 51- 60), ma meno sensibile rispetto al caso precedente. Come già notato nel paragrafo 7.5 è possibile che tali eccezioni negli andamenti degli indicatori siano dovute a particolari caratteristiche della posizione professionale del padre quando vengono considerati orari lavorativi non usuali. Si può anche ipotizzare che il differente impegno del padre nella vita di famiglia sia dovuto non solo alla posizione lavorativa e al tipo di lavoro svolto, ma anche a fattori di matrice più culturale come l’attaccamento alla famiglia, i valori di riferimento e gli ordini di priorità personali.
Una distinzione importante deve essere fatta nel considerare l’organizzazione familiare nei giorni feriali e festivi. Infatti se il padre è impegnato fuori casa nei giorni feriali, ha però l’opportunità di recuperare il tempo perso durante il fine settimana. Nel caso dei figli unici di età 3-5 anni la percentuale di bambini che dichiarano di giocare con il padre nei giorni feriali diminuisce al crescere dell’orario lavorativo settimanale. Il tempo perso durante la settimana viene però recuperato fino ad ottenere una percentuale di gioco nel fine settimana più alta per i bambini con padri molto coinvolti nel lavoro rispetto agli altri. Ancora una volta l’orario lavorativo più lungo costituisce un’eccezione, anche se non molto marcata, alla regola generale. L’andamento per orario lavorativo del padre è meno chiaro nel caso in cui ci siano due figli. Anche se in tutti i casi la frequenza di gioco con il padre è sempre maggiore nei giorni festivi, il padre appare meno coinvolto nelle attività di gioco al crescere dell’ampiezza della famiglia, probabilmente anche perché i fratelli tendono a trascorrere parte della giornata giocando insieme autonomamente, rendendo meno necessario l’intervento dei genitori. Tale andamento è perfino più evidente nel caso di figli di età 6-13.

8.1 - Numero di figli ed impegno dei padri

Nelle ricerche sulla paternità sempre più spesso alle riflessioni sul ruolo paterno si accompagna l’aggettivo “responsabile”, riferito non solo alla scelta consapevole di avere un figlio e al suo mantenimento, ma anche alla condivisione continua con la madre delle cure fisiche ed emozionali al figlio. La traduzione operativa del concetto di “paternità responsabile” si è compiuta in letteratura attraverso la misura dell’impegno paterno (engagement) e dell’accessibilità paterna (accessibility), dove l’impegno paterno si esplica nelle attività di cura e gioco, mentre l’accessibilità è la presenza disponibile del padre anche senza l’impegno in alcuna attività specifica con il bambino.In uno studio sui padri americani, trovano un coinvolgimento medio paterno nell’attività di cura e gioco con bambini piccoli di 1,9 ore giornaliere durante la settimana e di 6,5 ore nel fine settimana.

8. La paternità nelle famiglie numerose

I padri, come le madri, sono maggiormente coinvolti quando i figli sono più piccoli, quando sono primogeniti o quando sono prematuri o hanno temperamenti difficili. A differenza delle madri, i padri sono più coinvolti nella cura dei figli maschi rispetto alle figlie femmine. Infine, rispetto al numero di figli, in alcuni studi non vi sarebbe alcuna associazione tra dimensione familiare e impegno paterno espresso in termini assoluti; in altri all’aumentare del numero di figli si rileva per i padri una maggiore accessibilità relativa. Altri, ancora, mostrano che l’impegno con il figlio minore è maggiore nelle famiglie a uno o due figli, nelle quali è anche più probabile è il mantenimento del coinvolgimento iniziale. Mentre, vi sarebbe una relazione negativa tra coinvolgimento paterno con il figlio maggiore e numerosità della famiglia. In questo lavoro fermeremo la nostra attenzione sull’esercizio della paternità, in termini di impegno, proprio all’interno delle famiglie “numerose”.


Nell’Indagine Multiscopo dell’Istat non si quantifica in ore l’impegno e l’accessibilità paterna, ma si misura la frequenza con cui il padre si dedica alle diverse attività di cura e di gioco con i figli – dove le attività di cura considerate sono il dare da mangiare, il metterlo a letto, il vestirlo, il fargli il bagno e il cambiargli il pannolino. La misura della frequenza di tali attività – che può aver luogo tutti i giorni o qualche volta la settimana, una volta a settimana, qualche volta al mese, qualche volta l’anno oppure mai – permette di identificare il tratto saliente della responsabilità paterna: quello della continuità, che in questo studio riteniamo sussista solo se il padre compie l’attività di cura o di gioco ogni giorno.

8.2 - Gioco e cure serali

Dai dati dell’Indagine Multiscopo risulta che il 24 per cento dei padri tutti i giorni mette a letto il proprio bambino, il 19 per cento gli dà da mangiare, il 18 per cento gli cambia il pannolino, il 16 per cento lo veste, l’8 per cento gli fa il bagno. Disaggregando il dato per dimensione familiare e concentrandoci sulla cura al figlio piccolo, di età non superiore ai 5 anni, risulta che i padri di famiglia numerosa in misura minore si occupano con continuità del figlio più piccolo nelle ore serali, e lo stesso accade per l’attività di gioco. Si noti poi come i padri con tre figli o più si differenzino nell’impegno di cura e di gioco soprattutto dai padri con un solo figlio, mentre minore è lo scarto rispetto ai padri con due figli. Vale a dire, le maggiori difficoltà di impegno di cura sarebbero evidenti già a partire dal secondo figlio. Inoltre, qualunque sia il numero di figli, l’attività di gioco è decisamente preferita a quella di cura.

Naturalmente, è possibile che il tempo dedicato ai figli dai padri di famiglia numerosa sia nel complesso maggiore. In tutti i modelli stimati, l’attività di cura paterna, intesa come il mettere a letto il figlio minore, risulta più probabile nel caso di un solo figlio rispetto a tre figli. Tuttavia la dimensione familiare perde di significatività statistica quando si considera nel modello l’età paterna - inferiore o superiore ai 40 anni. In altre parole, dietro le minori o maggiori attenzioni parentali per numero di figli sembra esserci un possibile effetto generazionale, che vede i padri più anziani (quelli che con maggiore probabilità hanno tre figli) meno dediti alle attività di cura di quanto lo siano i giovani, maggiormente esposti e permeabili ai cambiamenti culturali in atto che procedono verso un modello genitoriale egalitario.
Dalle cure serali passiamo al gioco dei padri. La probabilità di giocare con il figlio piccolo è nettamente superiore per padri di un solo figlio rispetto ai padri di famiglia numerosa, e non si tratterebbe in questo caso di una differenza tra generazioni di padri. La spiegazione più immediata al risultato ottenuto sul gioco paterno con il figlio minore è quella che ipotizza un maggior impegno lavorativo fuori casa cui verosimilmente si sottopongono i padri di famiglia numerosa e che impedirebbe loro di instaurare un rapporto di continuità nel gioco con i figli più piccoli. A parziale conferma di ciò vi sarebbe il dato sul numero medio di ore lavorate fuori casa nella settimana e quello sulle ore di lavoro domestico.
I padri di famiglia numerosa lavorerebbero fuori casa in media mezz’ora in più, cioè 44, 2 ore settimanali contro le 43,7 ore dei padri con un solo figlio, e mezz’ora in meno in casa, 10,7 ore settimanali contro le 10,2 dei padri con un solo figlio.

8.3 - I discorsi delle madri

E’ possibile considerare i colloqui avuti con le madri di famiglie numerose un accesso diretto alla loro esperienza della paternità. Ne emergerebbe che il modello prevalente e accettato di organizzazione. Si noti inoltre come nel gioco emerga un modello settentrionale di paternità e di come le professionalità medie, già maggiormente coinvolte nelle cure serali, si confermino nell’impegno paterno.
Qui presteremo particolare attenzione ai discorsi delle madri che intendono giustificare i comportamenti paterni. Perciò le madri di famiglia numerose al cui interno viene adottato un modello di organizzazione familiare tradizionale, ma che sono inserite in un contesto culturalmente favorevole alla partecipazione paterna, tenderebbero a giustificare nei loro discorsi il ruolo male breadwinner del partner. Come nell’analisi del contenuto, anche nell’analisi narrativa possiamo codificare il testo secondo categorie che riteniamo significative. Le categorie principali a cui abbiamo fatto riferimento per leggere i discorsi della madri sui padri sono quelle legate alla condivisione dei ruoli di cura e di gestione della casa e che abbia riassunto in:

1. simmetria nei ruoli di cura
2. simmetria contrattata nei ruoli di cura
3. asimmetria contrattata nei ruoli di cura
4. asimmetria con problematicità manifesta
5. asimmetria con problematicità latente

In questo studio si ha simmetria nei ruoli quando il padre condivide pienamente e con continuità l’impegno di cura dei figli piccoli con la madre, naturalmente per il tempo in cui è a casa. Qualora questo non si verifichi, si ha asimmetria nei ruoli.
Partiamo da una prima intervistata, Amelia, qui indicata con un nome di fantasia e l’età effettiva, che risiede in un comune medio-piccolo della Lombardia. La donna, nonostante la presenza di nonni, preziosi nel lavoro di cura, alla nascita della terza bambina chiede il tempo parziale nella scuola in cui insegna. Alla domanda su quale siano stati i cambiamenti lavorativi del marito seguiti alla nascita delle terza bambina, l’intervistata così risponde:

Diciamo che... effettivamente se ho ridotto io i tempi di lavoro lui li ha aumentati, perché le esigenze poi economiche ci sono in una famiglia numerosa. Noi... è vero che abitiamo fuori, però... voglio dire... la scuola c'è per tutti, l'esig... noi spendiamo tantissimo per l'alimentazione, io non riesco a capire come mai, comunque proprio tanto (ride).

In questo stralcio di intervista la donna sente il bisogno di giustificare la strategia familiare di impegno lavorativo importante del marito. Poi però nel corso del colloquio il tema della casa nuova che il marito sistemava nel tempo libero viene continuamente ripreso. Si dipanano allora le motivazioni di una crisi di coppia e la vera lettura della paternità, nella sua unica dimensione di impegno fuori casa “per il bene della famiglia”, emerge con chiarezza. Si è reso necessario per il marito di Amelia recuperare tempo per la famiglia affinché il disagio familiare si risolvesse.

(...) effettivamente la seconda gravidanza è stata un po' difficile per me e in più, appunto, con due bambine piccole, il lavoro, la casa da sistemare... questa casa l'ha sistemata mio marito nel tempo libero, quindi... anni veramente un po' difficili... per la famiglia, poco tempo da dedicarci e quindi... il tempo era dedicato a questa casa e... io ero a casa con le bambine piccole... (...) quello è stato il periodo peggiore, nel senso che... quando c'era la M., la seconda figlia piccola e avevamo da sistemare questa casa. Sono stati tre anni veramente duri, perché non c'era il tempo, o meglio, il tempo lo si dedicava a questa casa pensando che questo fosse il bene della nostra famiglia ...naturalmente, perché venivamo ad abitare qui, ci ingrandivamo, era il nostro sogno.. Però poi effettivamente non c'era il tempo materiale per coltivarci, ecco. Però poi le cose sono cambiate radicalmente... (...) Siamo andati a fare questa esperienza e poi abbiamo fatto un cammino insieme a queste
coppie ed è stato davvero molto, molto bello... riscoprire il valore del matrimonio e il suo significato, e lì abbiamo poi scoperto quello che ci mancava, insomma, no? A parte la fatica che tutti possono capire... se fai tre anni senza vacanze, senza... cioè, tirare proprio sempre la corda così, è logico che anche le persone più equilibrate, più... soffrono. Era una sofferenza più che un malessere, diciamo così. E... però poi effettivamente il nostro... la nostra relazione ha richiesto del tempo e poi si è ricostruita molto bene.

Irrisolte invece le difficoltà per Liliana32 che risiede alla periferia di una grande città lombarda. All’inizio l’intervistata rileva la scarsa partecipazione all’accudimento dei figli della madre – la nonna – seppure cerchi di minimizzare.

Mia mamma invece lavorava al tempo e quindi non avrei potuto chiederle niente. Adesso se ho bisogno qualche volta mia mamma viene, però io so che lei siccome è andata in pensione da poco ha piacere a fare altre cose. Quindi le chiedo se proprio ho strettamente bisogno. (...) Sì, a me piacerebbe che lei fosse più disponibile però so che non è la classica nonna che non vede l'ora di accudire un nipotino. Quindi rispetto questa cosa e mi organizzo in altro modo se posso.

Emergono poi una ripartizione dei ruoli tra partners e una visione del ruolo materno di tipo tradizionale, assunte a norma, e quindi affiora una situazione di disequilibrio, senza contrattazione dei coniugi:

Risp: Mio marito, sì, ha potuto continuare come prima, anche più di prima, chiaramente. (...) E... chiaramente lui ha potuto farlo sempre anche perché io ero a casa. Ma per un uomo è diverso... il lavoro per un uomo è al primo posto, non prima della famiglia, viene al primo posto...cioè sostenta la famiglia e in più deve piacere.

Dom: Cioè sostenta la famiglia ed è un mezzo di realizzazione, più che per la donna?
Risp: Sì, sì, loro possono, possono veramente realizzarsi nel lavoro secondo me. Perché non ha il problema di pensare agli orari, di pensare se il bambino è malato "Adesso come faccio ad andare al lavoro". Loro crollasse il mondo alla mattina prendono e vanno al lavoro. Non è lo stesso... per una mamma non è così.

Quando verso la fine del colloquio l’intervistatrice fa sintesi del quadro organizzativo familiare e chiede conferma alla donna, emergono “elementi valutativi” giustificativi del marito:

Dom: Però sempre nel rapporto con il marito... si diceva anche prima... non c'è stata una ridefinizione dei ruoli con l'arrivo dei figli o di un figlio in particolare... Cioè non c'è stata una partecipazione maggiore, proprio perché vi siete divisi il lavoro in modo così netto...
Risp: No, direi di no. Poi mio marito è un papà molto presente. Durate la settimana lui c'è poco perché arriva a casa la sera, le bambine sono già in pigiama... però lui quando arriva... finché le bambine vanno a letto, sta con le bambine. Le mette a letto lui quasi sempre. Lui si alza di notte se le bambine piangono. E il sabato e domenica capita che le tenga lui se io devo fare qualcosa. Quindi è un papà molto presente.

La criticità della situazione è rilevata dalla donna unicamente nel rapporto con la madre che si vorrebbe più vicina, escludendo così a priori ogni tipo di aggiustamento con il marito, e mantenendo la questione del debito di aiuto su di un asse matriarcale.

Dopo che è nata la mia seconda figlia io ho iniziato ad andare da una psicologa. (...) era stata più una crisi con mio marito. Ma proprio dovuta anche al fatto che c'erano anche i figli. La mancanza di stare insieme... in pratica ci siamo molto trascurati l'un l'altro e... siamo andati in crisi io e lui, siamo andati da uno psicologo di coppia, che però ha consigliato a me di farmi aiutare.

Dom: Solo a lei?
Risp: Sì, solo a me.

Dom: E il suo problema ha scoperto essere il desiderio di stare con suo marito oppure è venuto fuori...
Risp: No, no no. Il problema è sempre stato legato ai figli per me. Cioè, alla fine io ho capito che se io avessi avuto mia mamma... cioè il mio problema era: non avere mia mamma vicino. Che se io avessi avuto mia mamma più vicino forse avrei affrontato diversamente anche il mio essere mamma. E... però è tutto dovuto sostanzialmente ad una stanchezza con i bambini. Io lo lego al fatto di essere diventata mamma. Prima di questi problemi non ne avevo.

Anche per altre donne, qui non menzionate, a caratterizzare una situazione di “asimmetria dei ruoli problematica e non contrattata” è quasi sempre una maternità precoce che diventa l’unico ruolo assunto dalla donna. Quanto dipenda dal modello culturale tradizionale di identità femminile – forse più forte per chi sceglie una famiglia numerosa - o il non avviamento ad una carriera lavorativa è difficile stabilirlo. Il rischio comunque per queste situazioni, che più frequentemente ricorrono nel caso di famiglia numerosa, è quello di un mancato o scarso coinvolgimento dei padri nell’impegno parentale. E’ utile a questo punto il confronto con situazioni pure asimmetriche e problematiche, ma in cui interviene una maggiore contrattazione e una consapevolezza dei disequilibri, è il caso di Gemma:

Dom: Quindi avete ridefinito alcune cose con l'arrivo del terzo figlio. Più complessivamente, come ménage familiare, ha richiesto una diversa ripartizione dei compiti tra di voi, tra lei e suo marito?
Risp: Lei tocca un tasto dolente... (riparte di slancio) Dunque, dal punto di vista familiare l'arrivo di ogni figlio tranne il primo hanno comportato tutto un rigirio interno.

Dom: Tranne il primo?
Risp: Sì, non so perché (ride). Il primo, boh, forse perché... non lo so

Dom: Era ancora possibile forse per lei gestirsi anche professionalmente?
Risp: Aprirsi su un figlio ... no ma proprio come rapporti proprio interni alla famiglia tra me e mio marito ecc. l'arrivo del primo figlio, sì ti scombussola, tutto quanto ecc., ti limita su molte cose, però non ci ha dato... invece sulla seconda e ancora di più sul terzo abbiamo come dovuto ridisegnare la ricomposizione familiare quindi tra me e mio marito abbiamo proprio avuto delle fatiche, di ricalibrarci...

Alla domanda sugli aggiustamenti lavorativi del marito così risponde:
Risp: (...) da come io leggo un po' la sua vita, i suoi cambiamenti direi che lui (sospira)... direi che lui in qualche modo ha attuato dei cambiamenti per esempio si è laureato che per me ha voluto dire non averlo quasi mai a casa perché lavorava e studiava insieme e... proprio per dare una maggiore sicurezza economica tutto sommato alla famiglia. Cioè, il suo aiuto in qualche modo è stato in quello nel dirmi "se hai bisogno di una persona che ti aiuti in casa io adesso guadagno un po' di più possiamo permettercela" , ecco. Da un punto di vista di presenza coi bambini è stata un po' scarsuccia.

8.4 - In sintesi

Diversi lavori in letteratura mostrano che il cambiamento degli atteggiamenti maschili sarebbe già in corso, anche se poi i comportamenti rimarrebbero ancorati ad un modello tradizionale di organizzazione familiare. Nei discorsi delle madri di famiglie numerose da noi riportati la giustificazione alle strategie male breadwinner dei padri è, allora, comprensibile, dal momento che avviene in un contesto che si sta muovendo verso una ripartizione più egalitaria dei compiti familiari. In questo studio si è rilevato che il cambiamento generazionale in atto riguarda, non solo gli atteggiamenti, ma anche i comportamenti dei padri. In particolare, l’attività di mettere a letto il figlio piccolo risulterebbe più frequente per le giovani generazioni a parità di altre condizioni (dimensione familiare, istruzione, condizione professionale dei coniugi e area geografica).

Non la generazione, ma la dimensione familiare conterebbe invece nell’attività di gioco con il figlio più piccolo. I momenti ludici tra il padre e il figlio minore sono più frequenti quando il figlio è unico, mentre le difficoltà di partecipazione paterna sembrano accomunare le famiglie con due e tre figli. Tuttavia, nelle famiglie di diversa parità si riducono le differenze nella frequenza dell’attività di gioco dei padri, se si controlla nel modello statistico la condizione occupazionale della madre. In altri termini, la più forte partecipazione al gioco dei padri con un solo figlio sarebbe parzialmente spiegata dalla maggiore occupazione femminile in tale tipologia familiare, che solleciterebbe il coniuge all’impegno in casa.
La situazione opposta, di rigida assunzione del modello male breadwinner, sarebbe ricorrente per le famiglie con tre figli o più, e dalle interviste in profondità risulta che a questa si accompagnano spesso un disagio dovuto al forte carico di cura femminile.

Appendice: Risultati dettagliati

9.1 - Introduzione

Il maggior numero di separazioni e divorzi con il conseguente aumento di famiglie monogenitoriali accresce l’interesse per le conseguenze di una relazione padre-figlio vissuta a distanza. D’altro canto, nelle famiglie bigenitoriali, l’aumento nella partecipazione femminile al mercato del lavoro richiede un maggiore coinvolgimento dei padri nel lavoro di cura e crea spazio per una ridefinizione dei tradizionali ruoli di genere all’interno della coppia e della famiglia nel suo complesso. A tali mutamenti di struttura si aggiungono mutamenti sociali e culturali nell’immagine stessa della paternità, oltre ai mutamenti comportamentali degli uomini nello svolgimento del loro ruolo di padri e nel nuovo modo in cui essi stessi intendono la paternità. È inoltre cresciuta la consapevolezza del ruolo che la figura paterna svolge nel processo di sviluppo del bambino. In altri termini, quello che una volta sembrava un modello “naturale” di ruoli genitoriali, secondo il quale i padri erano visti tutt’al più come helpers delle madri, sta ora cedendo il posto ad un modello di co-genitorialità, ovvero di progressiva uguaglianza nello svolgimento delle funzioni genitoriali.

9. 2 - I dati sull’uso del tempo

L’unità di analisi scelta per studiare la partecipazione dei padri al lavoro familiare è rappresentata dai padri in coppia: sono dunque esclusi quanti vivono in nuclei monogenitoriali, in quanto affidatari dei figli, o quanti vivono distanti dai figli a seguito di una separazione o un divorzio, per le peculiarità che tali situazioni presentano. In particolare, si è scelto di concentrare l’attenzione sui padri tra i 25 e i 44 anni, ovvero nella fase del ciclo di vita in cui il rapporto genitoriale generalmente si forma e richiede il massimo impegno.

Innanzitutto sono aumentate le famiglie in cui entrambi i partner lavorano ed avere una partner occupata è dimostrato che incide, accrescendolo, il coinvolgimento dei padri nel lavoro familiare. Al contempo, tra le coppie con figli è ulteriormente cresciuta la percentuale di coppie con un solo figlio: tuttavia, l’effetto di tale mutamento sulla partecipazione al lavoro familiare non è chiaro: una famiglia meno numerosa, in linea generale, potrebbe significare un minore investimento di tempo nel complesso, ma anche un investimento pro capite per ciascun figlio maggiore. Le forme della partecipazione dei genitori al lavoro familiare risentono anche dei mutamenti culturali che accompagnano quelli di struttura. La genitorialità è divenuta sempre più conseguenza di una scelta ponderata, e come tale trova i genitori più disponibili, spesso desiderosi, di investire il proprio tempo nel lavoro di cura. Anzi, probabilmente si decide di avere figli proprio perché si desidera sperimentare la genitorialità con tutte le sue conseguenze, compreso il dedicare tempo ai figli.

9.3 - L’articolazione delle 24 ore: i mutamenti conseguenti alla paternità

Essere padri comporta un calo del tempo dedicato alle attività di svago e alle attività fisiologiche (11h12’ contro 11h20’). Mediamente, infatti, rinunciano a 35 minuti di tempo libero (3h09’ contro 3h44’ dei non padri), e a 8 minuti di tempo per sé (tra dormire, mangiare, cura della persona, eccetera). Anche il tempo impiegato per gli spostamenti sul territorio subisce una contrazione quando i maschi sono padri: si passa da 1h48’ a 1h37’.
A fronte di queste contrazioni, le attività che si dilatano occupando, quando si diventa padri, spazi più ampi della vita quotidiana sono quelle lavorative, che si tratti di lavoro retribuito o non retribuito. I padri dedicano al lavoro extra-domestico mediamente circa mezz’ora in più dei loro coetanei che pur vivendo in coppia non hanno figli (6h16’ contro 5h44’). Pure il lavoro familiare richiede un maggiore investimento quotidiano: si passa da 1h18’ dei non padri a 1h42’ dei padri. Anche il numero di quanti riportano attività di lavoro sono più numerosi tra i padri: ha svolto almeno un’attività di lavoro retribuito il 75,7 per cento dei padri contro il 69,4 per cento dei non padri. Parallelamente ha svolto almeno un’attività di lavoro familiare il 78,9 per cento dei padri a fronte del 74,1 per cento dei non padri. Anche considerando le durate effettive, relative cioè solo a quanti svolgono effettivamente almeno un’attività di lavoro familiare, viene confermato lo scarto tra i due sottogruppi di uomini in coppia: il lavoro familiare sale per i padri realmente impegnati a 2h10’ al giorno, se non ci sono figli si ferma a 1h46’. Si tratta di valori ancora molto lontani da quelli delle donne della stessa età e condizione familiare: tuttavia, il loro peso all’interno della giornata media va interpretato anche alla luce della durata effettiva delle ore di lavoro retribuito, che superano generalmente le 8 ore.
Le differenze tra padri e non padri persistono al variare del tipo di giorno. Si acuiscono in particolare di sabato e di domenica, quando cioè l’organizzazione dei tempi è meno vincolata all’orario lavorativo e come tale più flessibile alle esigenze individuali e familiari. In tali casi, il confronto tra padri e non padri mette maggiormente in evidenza (perché aumentano le differenze) il costo dei figli, in termini di disponibilità di tempo libero e da dedicare alle attività fisiologiche e, nella direzione opposta, di tempo mediamente dedicato al lavoro familiare. Le differenze nei profili delle giornate tipo di uomini e donne diventano più marcate quando nella coppia ci sono anche i figli. Essere madri, infatti, comporta un consistente incremento delle ore dedicate al lavoro familiare (6h47’), che cresce sensibilmente all’aumentare del numero di bambini. I tempi degli uomini, al contrario, non risultano variare in funzione della fase del ciclo di vita in cui si trova la famiglia, e la nascita dei figli coincide, piuttosto, con un maggiore coinvolgimento maschile sul piano lavorativo. Il contributo degli uomini al lavoro domestico e alla cura dei figli è così poco rilevante che, addirittura, l’assenza dei padri (nelle famiglie di madri sole) si traduce in una riduzione del lavoro familiare a carico della donna.
 

9.4 - L’articolazione del lavoro familiare: tra cura dei figli e lavori domestici

Il tempo impiegato dai padri nella cura cresce in valori assoluti di sabato e domenica: si passa infatti dai 42’ dei giorni feriali ai 48’ del sabato e a 1h02’ della domenica. La percentuale varia dal 55,8 per cento del sabato al 61,8 per cento della domenica. Se si calcola invece la percentuale di tempo dedicata al lavoro di cura dei figli sul totale del tempo dedicato dai padri al lavoro familiare in ciascun tipo di giorno, il quadro cambia: nei giorni feriali alla cura viene destinato il 46,6 per cento del tempo dedicato alla famiglia, questo valore scende al 30,8 per cento di sabato e risale al 44,3 per cento di domenica. Ciò accade perché l’abitudine di fare la spesa di sabato assorbe in questo giorno un quarto del tempo mediamente dedicato al lavoro familiare, mentre nei giorni feriali e festivi il peso di tale attività è più contenuto (14,4 per cento dal lunedì al venerdì, 7 per cento di domenica). Di domenica invece è più elevato il contributo dei padri alle attività domestiche che coprono il 43 per cento del tempo per il lavoro familiare (contro il 34 per cento dei giorni feriali e il 39,6 per cento del sabato).
I padri, dunque, potendo scegliere preferiscono contribuire al lavoro familiare dedicandosi ai figli, piuttosto che al lavoro di pulizia della casa, preparazione pasti, eccetera.

La preferenza dei padri verso attività non routinarie o che comunque privilegiano la dimensione relazionale piuttosto che quella dell’accudimento, sembra confermata anche dall’analisi delle specifiche attività di cura dei figli. Mentre le mamme rispondono alle più diverse esigenze dei figli, e la gran parte del loro lavoro è rappresentato da cure fisiche o sorveglianza (dar da mangiare, vestire, fare addormentare il bambino o semplicemente tenerlo d’occhio), il lavoro di cura dei padri si esplicita per lo più in attività di interazione sociale con i figli. Oltre i due quinti del tempo di cura è impiegato per giocare con loro (20’), mentre le attività più onerose e routinarie di cura fisica e sorveglianza si collocano al secondo posto per tempo ad esse dedicate (13’). Seguono poi attività come il parlare con i figli, aiutarli nei compiti (2’), eccetera. Le frequenze di partecipazione confermano questa graduatoria nelle attività di cura preferite dai padri visto che il 34,1 per cento dichiara di giocare con i figli, il 29 per cento provvede a nutrirli, vestirli, sorvegliarli eccetera, il 15,3 per cento riporta attività di socializzazione, il 4 per cento li aiuta nei compiti.

A fronte di un sovraccarico lavorativo di difficile gestione, ma non eludibile, negli ultimi anni le donne hanno da un lato ridotto il tempo complessivamente dedicato al lavoro familiare, dall’altro hanno adottato strategie di redistribuzione delle varie attività che ricadono all’interno di questa macro-categoria. Pur essendo molto vincolate dagli obblighi familiari nell’organizzazione dei tempi quotidiani, anche le donne lasciano intravedere un sistema di preferenze che riconosce al lavoro di cura la capacità di essere più gratificante: infatti è aumentato il tempo che dedicano alla cura dei figli ed è diminuito quello dedicato ai lavori domestici.

9.6 - L’importanza delle caratteristiche individuali e di contesto nella partecipazione dei padri al lavoro familiare

La partecipazione dei padri al lavoro familiare varia al variare di una serie di caratteristiche, sia dei padri sia del contesto familiare. Avere conseguito almeno la licenza media determina un incremento nel tempo medio condizionato dedicato al lavoro familiare (rispettivamente di 27 minuti per i laureati, 24 per i diplomati e 19 per chi ha terminato la scuola dell’obbligo) rispetto a quello di chi possiede la licenza elementare. Agli stessi titoli di studio si associa una maggiore probabilità (rispettivamente dell’8 per cento per i primi due e del 7 per cento per il terzo) di spendere parte del loro tempo nelle attività di lavoro familiare. Al crescere del livello di istruzione dunque aumenta la maggiore propensione al coinvolgimento dei padri. Ciò accade nonostante il tempo lavorativo dei più istruiti sia mediamente più invasivo del tempo dedicato al lavoro retribuito dai meno istruiti (si passa dalle 6h28’ dei laureati alle 5h48’ dei padri con licenza elementare). Se le ore di lavoro extra-domestico sono più elevate, quali tempi i padri istruiti comprimono per dedicarsi alla famiglia? In effetti, hanno meno tempo per dormire, mangiare, prendersi cura di sé (rispettivamente 11h02’ contro le 11h42’) e meno tempo da dedicare a hobby e svaghi (il tempo libero ammonta a 2h58’ contro le 3h39’).


Il modello mostra che vivere in una regione del Sud presenta effetti marginali significativi sul valore medio condizionato del tempo dedicato al lavoro familiare (22 minuti in meno rispetto ai padri residenti nel Nord Italia). Al contempo, vivere nel Mezzogiorno produce un decremento dell’8 per cento nella probabilità di dedicare parte del proprio tempo quotidiano al lavoro familiare. Nelle famiglie del Sud, dunque la divisione tradizionale dei ruoli di genere nella famiglia viene confermata da un minore coinvolgimento dei padri, non solo in termini di tempo mediamente dedicato alle attività di lavoro familiare, ma anche in termini di persone che riportano nei diari lo svolgimento di tali attività. Le differenze territoriali persistono anche a parità di status lavorativo della partner, ovvero sia che la donna lavori sia che resti casalinga, i padri del Nord restano più collaborativi dei padri delle altre regioni d’Italia.
In sintesi, un figlio piccolo induce i padri ad essere più presenti nella vita familiare. Man mano che i figli si fanno più grandi, la partecipazione e la durata del lavoro familiare dei padri cala e muta la sua composizione interna: il lavoro di cura fa spazio alla collaborazione nel lavoro domestico. Tuttavia, non è solo il contributo alla vita familiare a subire modifiche con la crescita dei figli. I padri con almeno un figlio minore di 6 anni hanno 28 minuti di tempo libero in meno (2h58’ contro 3h26’) rispetto ai padri dei più grandicelli (11-13 anni), così come devono rinunciare a 22 minuti di tempo fisiologico (11h05’ contro 11h27’). Quando i figli raggiungono l’età scolare, la vita quotidiana dei padri inizia a farsi più simile a quella degli uomini in coppia senza figli: recuperano, infatti, tempo libero e tempo per le attività fisiologiche.

In sintesi, essere istruiti, avere una partner occupata, avere sperimentato da poco una paternità, risiedere al Nord, lavorare alle dipendenze, avere solo figli maschi, fa sì che, per scelta o per necessità, i padri destinino al lavoro familiare e alla cura una quantità di tempo giornaliero più elevata e che siano anche più numerosi quanti dichiarano di farlo. Se questo maggiore coinvolgimento nella vita della famiglia renda migliore o meno la vita dei padri è difficile a dirsi. Tuttavia la soddisfazione da loro stessi espressa può considerarsi un indicatore della qualità della vita percepita.

9.8 - Riflessioni conclusive

Probabilmente in Italia è ancora presto per parlare di una “nuova paternità” o comunque non ci sono segnali in grado di giustificare ciò, stando almeno ai dati quantitativi esaminati. Tuttavia, emergono dei segnali importanti di mutamento nella partecipazione dei padri alla vita familiare e alla cura dei figli e del passaggio dalla figura di un padre solo breadwinner, lontano dai problemi familiari, ad un padre moderno coinvolto nel suo ruolo di co-genitore. Tali segnali infatti vanno essenzialmente nella direzione di un incremento del tempo speso dai padri nelle attività di lavoro familiare, indipendentemente e in aggiunta agli effetti dei mutamenti strutturali che pure hanno toccato la vita familiare negli ultimi anni. Ad ogni modo, i padri continuano a mostrare una forte capacità selettiva: cresce la propensione a partecipare alla cura dei figli, ma continuano a delegare volentieri alla partner la gestione del lavoro domestico, che li vede anche meno impegnati, in termini di tempo dedicato, che in passato. Ciò, a fronte di una progressione riduzione nel tempo per i lavori domestici operata anche dalle donne e che, solo in parte, possono essere spiegati da un più frequente ricorso a personale a pagamento (colf, eccetera).

 

 

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Ultimo aggiornamento: 25-11-05