New Age Italy - Terzo MillennioMovimento per l'autoformazione di una nuova Coscienza Incondizionata
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ESSERE PADRI ITALIANI
ESSERE PADRI IN ITALIA 6.1 - La paternità e la crisi dell’equilibrio di genereLa prevalenza in Europa delle famiglie “a doppio reddito”, che in pochi anni ha scalzato il modello tradizionale basato sull’uomo unico percettore di introiti (male breadwinner model), ha rimesso in discussione i ruoli di genere nella gestione dei compiti domestici e di cura. Seppure con velocità diversa tra paesi, è certamente in atto un processo di cambiamento che vede una maggiore partecipazione dei padri nell’allevamento dei figli. In molti casi, tale processo è stato incoraggiato anche da politiche attive, volte a favorire il coinvolgimento paterno. Emblematico in tal senso è il contenuto della Direttiva comunitaria sui congedi parentali che introduce il principio della sostituibilità dei genitori lavoratori nei compiti di cura, estendendo ai padri molti dei diritti che in passato erano riconosciuti alle sole lavoratrici madri. 6. Ruolo paterno e caratteristiche della coppiaDa studi, condotti in diversi paesi, si evince che il tempo dei
padri trascorso con i figli è effettivamente cresciuto in questi ultimi
anni. Nel nostro Paese, in particolare, stenta ad aver luogo
una significativa ridefinizione del ruolo dei padri, che è ancora molto legato
alla tradizionale e rigida specializzazione di genere. Ad esempio, una recente
ricerca comparativa ha messo in luce che in
Italia appena l’11% dei padri si occupa in modo “sostanziale” dei figli in
età prescolare, contro il 57% dei danesi, il 31% dei finlandesi, il 24% dei
britannici, il 20% dei tedeschi e il 16% dei francesi. La partecipazione dei
padri italiani è più alta per coloro che hanno un livello di istruzione
intermedio e un impiego da dipendente, nel pubblico o in una impresa di
grandi dimensioni, se è maggiore il numero complessivo di figli, se anche
la partner lavora. Alcuni dei fattori indicati, dunque,
sembrano legati alla “necessità”, quando implicano una sorta di
“sostituzione” delle cure materne, indispensabile nel caso in cui la donna
lavori e/o vi siano più bambini. Altri sembrano connessi maggiormente
alla “possibilità” di dedicare tempo ai figli, ad esempio nel caso in cui i
padri abbiano un tipo di impiego più tutelato o lavorino per meno ore. A livello macro, si nota con chiarezza che, tra i paesi
sviluppati sono proprio quelli con una bassissima fecondità ad avere un sistema
di genere meno equo rispetto ai paesi a fecondità relativamente più alta.
Tipica, in tal senso, è la contrapposizione tra i due casi estremi: i Paesi
scandinavi, da una parte, e quelli mediterranei, dall’altra. Sono poco numerosi
e solo molto recenti, invece, gli studi volti a verificare empiricamente tale
relazione a livello individuale. I risultati di questi studi,
comunque, mostrano con chiarezza come per le madri lavoratrici il tempo
a disposizione non sia sufficiente a coprire le necessità dei figli. In
assenza di aiuti esterni, il comportamento del partner può giocare,
pertanto, un ruolo fondamentale nella scelta di avere il secondo figlio e
risolvere, almeno in parte, le costrizioni di tempo sperimentate dalle
donne lavoratrici. 6.2 - Coinvolgimento dei padri e caratteristiche della coppia6.2.1. Il quadro di riferimentoPer esaminare il grado di coinvolgimento dei padri nella cura dei figli in età prescolare, ci concentreremo in particolare sulle attività di cura cosiddette di routine o “strumentali”, quali 1) vestire il bambino, Sono, in generale, le tipiche attività demandate alle madri, quelle “essenziali” per la cura del figlio. In letteratura si sottolinea come in genere tali compiti non siano comunemente svolti dai padri che prediligono, invece, le attività che potremmo definire “interattive” (ad esempio il gioco), certamente più remunerative dal punto di vista relazionale e gratificanti dal lato affettivo, ma allo stesso tempo soltanto occasionali e non legate alle esigenze primarie del bambino. D’altra parte, si rileva che una maggiore consapevolezza dei bisogni dei figli e una maggiore capacità di comprenderne le richieste da parte dei padri si sviluppa proprio attraverso la pratica delle attività di routine nei primi anni di vita. Questo crea una relazione più intima tra padri e figli che permane mano a mano che i figli crescono. Secondo la teoria delle “risorse relative” o “regola del potere”, maggiore è il successo professionale della donna e maggiore è il suo potere di negoziare con il partner la cura dei figli. E’ anche vero, d’altra parte, che se la madre è impegnata in un’attività lavorativa, la partecipazione paterna potrebbe essere assolutamente necessaria nella gestione quotidiana delle attività di cura, proprio per sopperire alle assenze materne. In questi casi, il grado di coinvolgimento dei padri dipenderebbe essenzialmente dalle caratteristiche delle madri, piuttosto che dei padri stessi. E’, tuttavia, possibile che, invece, siano le caratteristiche paterne a determinare una minore o maggiore propensione alle attività di cura. Ad esempio, si può ipotizzare che i padri più giovani siano più disposti ad occuparsi dei figli, perché socializzati in un periodo in cui i ruoli di genere tradizionali già iniziavano ad essere messi in discussione. Ci possiamo attendere, inoltre, che padri più istruiti siano più consapevoli dell’importanza del loro ruolo per il sereno sviluppo dei figli, ma anche più aperti a gestire il ménage in modo alternativo rispetto ai tradizionali ruoli di genere. Alcuni autori sottolineano che i padri che esercitano il ruolo di
provider con maggiore successo, svilupperebbero migliori relazioni con i
figli, anche se non è detto che a posizioni
lavorative di più alto livello corrisponda necessariamente un maggior
coinvolgimento paterno nelle attività di cura. Studi precedenti, infatti,
mostrano che, in Italia, i padri che svolgono lavori impiegatizi condividono
maggiormente la cura dei figli. Si
deve, infatti, riflettere sul fatto che le possibilità di svolgere
quotidianamente determinati compiti dipende fortemente anche dal tempo
che i padri dedicano al lavoro retribuito: un elevato numero di ore lavorate,
così come un orario di lavoro “scomodo”, potrebbero precludere ai padri la
possibilità di svolgere determinati compiti quotidianamente.
D’altra parte, le coppie a doppio reddito occupate in lavori
remunerativi hanno più risorse da destinare alla retribuzione di aiuti
esterni: una baby-sitter potrebbe, pertanto, in parte supplire alle cure
paterne per la gestione delle comuni pratiche quotidiane. Nel contesto
italiano, va anche ricordato l’importante ruolo di “supplenti” delle cure
parentali esercitato dai nonni (conviventi e non), vista, anche, la
particolare solidità dei legami familiari e la diffusa prossimità abitativa
intergenerazionale. 6.2.2 Il livello di coinvolgimento paterno: una descrizioneL’Indagine Multiscopo “Famiglie e soggetti sociali” del 1998 fornisce informazioni sulla frequenza con cui i padri svolgono le attività di cura, sopra menzionate5. Si nota, prima di tutto, che i compiti che una quota più cospicua dei padri svolge quotidianamente sono quelli di mettere a letto il bambino e di dargli da mangiare, svolti rispettivamente dal 25% e dal 21% di coloro che hanno figli con meno di tre anni e dal 23% e dal 21% di padri dei bambini dai 3 ai 5 anni. Un padre su cinque, con figli di età tra zero e due anni, cambia il pannolino tutti i giorni. A fronte dell’esistenza di una quota di padri che si occupa quotidianamente dei figli, tuttavia, si riscontra un’elevata quota di individui che non se ne occupa mai, quando si tratta ad esempio di cambiar loro il pannolino (30% con figli più piccoli, il 50% di chi ha figli tra tre e cinque anni) o di far loro il bagno (il 38% di chi ha figli più piccoli e il 39% di chi ha figli più grandi). La proporzione di chi non si occupa mai dei figli, è maggiore al Sud e nelle Isole, rispetto al Centro Nord, e tra i padri con livello di istruzione più basso. Non si riscontrano, invece, differenze significative per età. L’esame della frequenza con cui i padri svolgono ciascuna attività, presa distintamente, però, non consente di dare una valutazione globale al sostanziale impegno dei padri per la cura dei figli. Se tra i figli piccoli, si può pensare che il ruolo preminente delle cure materne sia dovuto anche a ovvie ragioni biologiche, sorprende notare che la situazione non cambia in modo sostanziale per i padri dei figli fra tre e cinque anni. i padri più attivi ammontano al 4%, mentre quelli che non si occupano mai del bambino sono quasi il 6%. Il coinvolgimento dei padri nelle attività di base, dunque, non sembra aumentare con l’età dei bambini, ma anzi per i figli più grandi si evidenzia una diminuzione. Il coinvolgimento paterno nelle attività di cura è marcatamente maggiore per i padri residenti al Centro Nord. Per i bambini più piccoli aumenta proporzionalmente al grado di urbanizzazione del comune di residenza: questo sembrerebbe confermare che nelle città i ruoli di genere sono modellati in modo meno tradizionale. Non sembra, invece, confermata l’ipotesi che i padri più giovani siano più attivi, mentre quelli più istruiti presentano effettivamente un indice più alto, con differenze particolarmente evidenti tra chi ha un figlio tra zero e due anni. Le professioni di tipo impiegatizio, gli insegnanti e i quadri sono le categorie professionali associate ad un maggiore coinvolgimento paterno, forse perché caratterizzate da orari di lavoro più facilmente conciliabili con le attività di cura, per gli uomini, così come per le donne. Sono, invece, i lavoratori in proprio, insieme con alcune categorie residuali (ad es. i soci di cooperativa), che mostrano i più bassi indici di coinvolgimento, indipendentemente dall’età del figlio: è possibile che questa sia una tipologia occupazionale i cui orari di lavoro rendano particolarmente difficoltoso prendersi cura dei figli. Se ci soffermiamo, sulle caratteristiche della coppia, si nota che dove i partner sono entrambi istruiti, i padri sono molto più attivi. E’ interessante notare che, anche se la numerosità dei casi è assai ridotta, il livello più alto in assoluto dell’indice di attività paterna si incontra nelle coppie in cui la donna è laureata, mentre l’uomo è diplomato, tanto per chi ha figli piccoli quanto per chi li ha più grandi. Come ci si poteva attendere, molto differenziato è il grado di coinvolgimento paterno nelle coppie mono e bi-reddito: è molto probabile che per quest’ultima categoria sia la necessità che spinge i padri a collaborare più fattivamente alla cura dei bambini. 6.2.3 Quali padri sono più attivi? Un’analisi esplorativaVediamo adesso quali sono le caratteristiche maschili e di coppia
associate ad maggior o minore livello di partecipazione paterna, a parità
di altre condizioni. Le differenze di ripartizione territoriale emergono
sia per i padri di figli grandi e piccoli, ma con qualche lieve discrepanza: è
al Sud, che i padri si occupano meno dei figli sotto i tre
anni, mentre i padri di figli più grandi sono meno attivi nelle isole. La
significatività della dimensione del comune, si annulla quando inseriamo
l’orario di lavoro dei padri.
Prima facie, sembrerebbe non confermata l’ipotesi che, all’aumentare
del numero di figli, il padre accresca la sua collaborazione: dal modello,
infatti, risulta che il padre che ha un solo figlio sia più attivo di chi ne ha
due o più. Tale relazione, tuttavia, va interpretata con cautela dal momento
che non stiamo dando una valutazione dell’attività dei padri per i figli
nell’insieme, ma di quella relativa ad un figlio in una certa classe di età.
Un padre che ha più figli potrebbe “dividere” il suo tempo di cura tra
questi e, dunque, occuparsi meno di ciascuno, anche se nel complesso
dedica loro più tempo.
Sorprende notare che la presenza di aiuti esterni, retribuiti (come la
baby sitter) e non (i nonni), non sostituisce le cure paterne, ma anzi
laddove ci sono aiuti esterni, anche i padri sembrano più propensi a Per i figli più grandi, le categorie impiegatizie,
gli insegnanti e i quadri mostrano un maggiore livello di coinvolgimento.
I dirigenti, imprenditori e liberi professionisti sembrano occuparsi meno
dei figli e questo in contraddizione con la teoria di Halle e Le Menestrel
(2000), secondo cui il successo professionale degli uomini li renderebbe
più disponibili nei confronti dei figli. L’ipotesi che le coppie formate da coetanei, o in cui la
donna è più grande, siano caratterizzate da una maggiore simmetria di genere
pare confermata solo per quanto riguarda le attività paterne di cura dei figli
con meno di tre anni. 6.2.4. I padri con esperienze di separazione e divorzioSeppur mantenendosi su valori molto inferiori rispetto ad altri paesi
europei, negli ultimi anni il fenomeno dell’instabilità coniugale sta
comunque conoscendo in Italia una fase di rilevante aumento.
Considerando i dati sui valori assoluti nella seconda metà degli anni ’90
separazioni e divorzi sono aumentati di oltre un terzo.
Si tratta di eventi spesso traumatici, tali da modificare il corso di
vita dei soggetti direttamente e indirettamente coinvolti (coniugi, figli,
rete di parentela). Oltre che sulla situazione familiare tendono ad
incidere anche sulla situazione finanziaria e residenziale, in modo
spesso tanto problematico da portare in vari casi a forme di
impoverimento e a vulnerabilità economica.
Secondo i dati dell’indagine del 1998 sono poco meno di due
milioni le persone che hanno sperimentato la rottura di un’unione
coniugale. In circa tre casi su quattro la rottura riguardava coppie con
figli. Nel complesso tra le donne separate con figli solo una su quattro
non vive più con loro, mentre ciò avviene per oltre la metà degli uomini. 6.3 - In sintesiIl nostro lavoro si proponeva di valutare il livello di coinvolgimento
dei padri nelle attività di cura e di indagare se ci sono rilevanti
differenze nel grado di partecipazione paterna secondo specifiche
caratteristiche maschili e di coppia. 7.1 - Segnali di cambiamento contraddittoriIl dibattito sui cambiamenti dell’immagine e dell’identità paterna è divenuto recentemente molto vivace. Termini come simmetria e asimmetria dei ruoli familiari, persistenza e tramonto del patriarcato, padre coinvolto, “padre assente inaccettabile”, padre definito con il termine di Pà-Mà (Papà-Mamma) e “nuovi padri”, compaiono frequentemente sia nei resoconti di ricerche empiriche, sia nei libri di più ampia divulgazione o anche nelle pagine di inchieste giornalistiche. Dagli anni Ottanta l’interesse crescente per i cambiamenti della figura paterna si è trasferito dagli studi di natura psicologica e pedagogica, dove era stato in precedenza relegato, anche nell’ambito sociologico con gli studi sulla paternità. Dalla raccolta di una serie di contributi e riflessioni interdisciplinari (storiche, giuridiche, psicologiche, sociologiche, demografiche) elaborati in un seminario interno condotto presso il Centro Studi sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, Scabini rilevava come “…il padre resta il ‘nodo della normatività’ coniugale, genitoriale e familiare, ma in modo latente e, per così dire nascosto. Da un lato c’è il bisogno ineliminabile del padre, dall’altro il suo ruolo esplicito tende ad essere pallido, evanescente, ed incerto” Le tipologie su cui le madri si esprimono variano dal padre partecipe (coppie in cui entrambi i coniugi svolgono un’attività lavorativa extradomestica condividendo pienamente il menage familiare) al padre delegante (padre che delega alla compagna i compiti che riguardano sia la gestione della casa sia la crescita dei figli) passando per il padre teoricamente partecipe (coppia in cui si riconosce l’intercambiabilità dei ruoli rispetto ai figli e alla gestione della casa, ma che al tempo stesso deve far fronte all’assoluta poca disponibilità del marito in termini di tempo) e per il padre ospite (padre che affianca una donna-madre lavoratrice per un numero di ore non superiore alle sei ore giornaliere, che dichiara una generale disponibilità a giocare e ad accudire i bambini, ma che contemporaneamente delega alla compagna tutte le attività che riguardano i lavori di casa). Considerando che nella terza tipologia del padre ospite meglio definito come delegante, rientra la maggior parte delle coppie intervistate, è facile concordare chi vede la condivisione come un traguardo non ancora pienamente raggiunto. In effetti, anche dalle ricostruzioni dei padri di oggi rispetto ai padri di ieri, I resoconti sono decisamente a favore del cambiamento: i padri di oggi rispetto ai padri di ieri manifestano una maggiore disponibilità soggettiva; sembrano più coinvolti e dimostrano un interesse e un’attenzione maggiori per i problemi educativi; sono meno autoritari, meno rigidi, meno severi, ma anche emotivamente più fragili. Tuttavia quando si tratta di rispondere a domande più concrete come “chi accompagna il figlio”, “chi è maggiormente presente ai colloqui”, “chi partecipa di più alla vita del servizio”, le stesse operatrici descrivono una figura paterna più tradizionale e quindi meno presente su questioni di ménage quotidiano. Altri segnali di cambiamento si intravedono considerando il problema dei congedi di paternità in funzione di una più significativa presenza maschile nei primi anni di vita di figli e figlie. Si rileva una disponibilità dichiarata dalla maggior parte dei padri (52 per cento) ad usufruire del congedo parentale. Gli stessi padri si sono tuttavia mostrati meno disponibili (55,9 per cento contrari) rispetto ad un’altra forma di conciliazione (part-time reversibile), elencando tra le motivazioni contrarie all’utilizzo, lo svantaggio economico, le conseguenze sul percorso di carriera e la consueta motivazione legata alla naturale predisposizione femminile al lavoro di cura della prole (il 27,1 per cento dei padri ritiene che la madre sia più adatta a prendersi cura dei figli). Muovendosi su un fronte ancora diverso, curiosando tra i testi delle
canzoni di successo proposte alle giovani generazioni, si ritrovano altre
indicazioni circa l’idea di paternità espressa da uomini in età adulta. Dal
momento che i messaggi contenuti in questi testi di musica leggera
possono raggiungere quote molto alte di popolazione giovanile
attraverso radio, concerti, vendite di cd o suonerie di cellulari, può
essere saggio non trascurarli. Da una delle ultime canzoni prodotte dagli
Eiffel (“Viaggia insieme a me/ Io ti guiderò/ E tutto ciò che so te lo
insegnerò/ Finché arriverà il giorno in cui/ Tu riuscirai a fare a meno di 7.2 - Un role setting ancora prevalentemente asimmetricoDai brani di conversazioni fedelmente riportate, oltre che da colloqui e interviste con i bambini di tre anni compiuti frequentanti le scuole dell’infanzia coinvolte in un’indagine svolta a Modena, si legge: “il papà sa lavorare, la mamma non lavora…prepara la pasta” oppure “il papà fa i giochi con le ruote, la mamma no”; “il papà fa i lavori, la mamma fa il latte e poi anche la cucina e dopo mangia papà” o ancora: “la mia mamma fa i lavori, tanti tanti, poi pulisce la casa, va a lavorare e poi pulisce ancora”. Per aggiungere elementi alla comprensione del reale role setting non sarebbe poi così infelice l’idea di intervistare i bambini (necessariamente di età superiore ai tre anni) chiedendo loro, con il supporto delle insegnanti, di descrivere la giornata, quasi come se dovessero compilare un diario delle attività cui possono partecipare figure familiari diverse (ad esempio: chi ti prepara la colazione, chi ti accompagna a scuola, cosa fai quando esci da scuola, chi ti accompagna a casa, dagli amici, a basket, agli scout, etc.) I fattori che possono influenzare la partecipazione paterna
in alcune attività strumentali di cura dei figli (preparare i loro pasti,
accudirli se malati e giocare con loro) sono diversi fra i paesi considerati,
sottolineando che il ruolo della paternità risente in qualche modo degli spazi
che le società cui appartengono riservano ai padri. Ad esempio, in Italia
l’attribuzione dei ruoli risulta culturalmente piuttosto rigida, e la
responsabilità fisica e psicologica delle attività domestiche e di cura dei
figli ricade prevalentemente sulla madre, sia essa lavoratrice o meno. Da più
parti inoltre è segnalata la cronica assenza di strutture per una più facile
combinazione di maternità e lavoro per le donne. In Austria il recente dibattito
politico ha sottolineato la necessità di una più equa suddivisione delle
responsabilità fra uomini e donne, sia in ambito privato sia in ambito pubblico.
In Ungheria lo Stato fornisce un notevole supporto finanziario per le famiglie
con figli, ma le relazioni di genere sono di tipo piuttosto tradizionale. In
Ungheria la domanda di lavoro sia maschile sia femminile risultò fortissima nel
secondo dopoguerra, ma ciò non ha comportato un cambiamento nella suddivisione
delle attività domestiche verso una maggiore equità; sono state introdotte
politiche per facilitare la combinazione di lavoro e maternità per le donne
(soprattutto con l’introduzione di strutture pubbliche per la cura dei figli)
che difficilmente coinvolgevano in modo esplicito il partner. Perciò, a dispetto
di una sempre maggiore uguaglianza nel mondo del lavoro, le relazioni di genere
all’interno della coppia sono rimaste immutate. Sebbene nei tre paesi
l’atteggiamento più comune nella divisione di alcuni compiti di cura dei figli
sia il più tradizionale (cioè che il padre non partecipi affatto o lo faccia
solo nel gioco), ben dieci punti percentuali separano Italia, Austria e
Ungheria: il 71 per cento delle coppie italiane, il 63 per cento di quelle
austriache e il 53 per cento delle ungheresi ricadono in tale categoria. 7.3 - Le sfumature dell’asimmetriaLa prima analisi esplorativa del rapporto tra padri e figli proposta rielaborando i dati dell’Indagine Multiscopo Famiglie e Soggetti Sociali 1998 (Fss98, Istat, 2000) sulla vita quotidiana di bambini e ragazzi6 si sviluppa quindi sul presupposto che i modelli di organizzazione della famiglia italiana vedono ancora come protagonista indiscusso della scena la madre. Ci incuriosisce, tuttavia, approfondire le differenze di tonalità nell’asimmetria familiare, e soprattutto in quali situazioni questa asimmetria appaia più sfumata, come conseguenza di una più concreta presenza del padre nelle attività strumentali e di svago legate alla vita dei figli. L’asimmetria a sfavore delle donne del lavoro familiare di cura dei figli è particolarmente evidente tra coppie in cui al padre è riconosciuto il ruolo di unico percettore di reddito, permettendogli, in virtù di questo, di allontanarsi da una serie di attività che riguardano i figli, poiché la madre, specularmente, si assume quasi tutte le responsabilità Nei rapporti con gli insegnanti le differenze fra le due tipologie di coppie sono ancora più evidenti. Il coinvolgimento del padre – sia come unico delegato (16,5 per cento) ad interagire con gli insegnanti, sia a fianco della madre (18,3 per cento) – è maggiore laddove i genitori dei bambini sono entrambi occupati. Non bisogna comunque dimenticare che il livello di istruzione è tendenzialmente più alto tra le coppie bilavoro. In conseguenza di ciò la maggiore attenzione alla vita scolastica dei figli è spiegabile anche dalla diversa configurazione delle coppie in termini di titolo di studio sia del padre che della madre. L’unica attività in cui il padre appare coinvolto in eguale misura, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre è il gioco. Sebbene al crescere dell’età il processo di socializzazione tenda a svincolarsi dall’ambito strettamente familiare per proiettarsi verso l’esterno (nei giorni feriali gioca con amici e compagni più di un quarto dei bambini da 3 a 5 anni, il 57,2 per cento di quelli da 6 a 10 e ben il 70,1 per cento dei bambini di 11-13 anni), quando i genitori e i bambini giocano insieme, la grande maggioranza dei bambini condivide quotidianamente con la madre parte delle attività ludiche. Ben il 74,3 per cento dei bambini e delle bambine da 3 a 5 anni gioca con lei tutti i giorni. Il padre è invece presente nei giochi infantili con una frequenza ben più bassa (41,5 Per cento). Se si considerano invece i bambini che giocano almeno una volta a settimana, la distanza si riduce drasticamente (96,1 per cento con la madre e 84,6 per cento con il padre). Al crescere dell’età giocare con i genitori diventa un’attività meno frequente e la differenza tra padri e madri tende a ridursi, almeno per quanto riguarda il gioco condiviso tutti i giorni. Per quanto riguarda alcune delle attività svolte nel tempo libero come vedere la tv o le videocassette insieme al bambino, andare al parco, andare al cinema o a vedere spettacoli sportivi, non si osservano invece particolari asimmetrie dal momento che solitamente si tratta di attività organizzate e condivise dalla madre e dal padre per trascorrere un pomeriggio o una serata insieme con i bambini. Le attività che hanno a che fare con la musica, la lettura di fiabe e di racconti coinvolgono sempre più spesso le mamme, siano esse lavoratrici o meno. 7.5 -. Una visione di sintesi sul coinvolgimento del padreL’ipotesi che formuliamo in questo caso è
che l’impegno profuso dal padre nell’attività lavorativa - misurato
attraverso il numero delle ore lavorate fuori casa settimanalmente -
giochi un ruolo significativo nel plasmare l’immagine della paternità.
Più specificatamente riteniamo che la figura del “nuovo padre”
coinvolto attivamente nella cura dei figli e nell’organizzazione della vita
familiare sia più frequentemente diffusa tra padri che, non essendo
career oriented, investono meno nella vita professionale, dedicando ad
essa meno tempo. Dai grafici seguenti l’ipotesi sembra in effetti essere
sufficientemente convincente.
I bambini i cui padri lavorano con orario relativamente breve
(inferiore alle 40 ore settimanali) sono accuditi dai propri padri più
frequentemente rispetto alla media. Al crescere dell’orario lavorativo il
coinvolgimento paterno diminuisce. Esistono però alcune eccezioni,
dovute probabilmente alle particolari caratteristiche lavorative
(posizione nella professione e tipo di lavoro svolto) dei padri che hanno
un orario lavorativo più lungo. I padri con figli unici con orario
lavorativo superiore alle 60 ore sono infatti più frequentemente
dirigenti, quadri o imprenditori, mentre quelli che lavorano fra le 51 e le
60 ore sono più spesso liberi professionisti rispetto alla media. I padri di
due bambini sono più frequentemente imprenditori e lavoratori in
proprio rispetto alla media quando hanno un orario lavorativo superiore
alle 50 ore settimanali. Mentre per i dirigenti e i quadri l’impegno
lavorativo per quanto oneroso si esaurisce fuori casa, i liberi
professionisti possono essere più frequentemente impegnati con del
lavoro da svolgere in orari che non coincidono con la classica giornata
lavorativa e che quindi rischiano di sovrapporsi ai tempi di vita dei bambini
molto piccoli. Inoltre bisogna considerare che solo il 35 per cento delle partner di questi uomini lavora, contro una media generale del 43 per cento. Essi dunque usufruiscono di mogli e/o compagne molto presenti nella scena quotidiana, pronte ad una suddivisione dei ruoli particolarmente tradizionale. È quindi possibile che dietro la decisione di scegliere più o meno esplicitamente un modello lavorativo tipo part-time ci possano essere delle motivazioni non necessariamente legate al soddisfacimento dei bisogni di cura dei figli (come ad esempio situazioni disagiate di sottoccupazione). Si evidenzia come i bambini appartenenti a famiglie medie, in cui il padre è impiegato ed ha un orario lavorativo intermedio sono accuditi dal padre più frequentemente della media, risultato a cui si arriva anche con i dati Ffs. 7.6. Il gioco e l’accompagnamento a scuolaLe attività che rimangono fuori dalle precedenti misure sintetiche
sono comunque importanti. Alcune di queste sono ausiliarie alla
gestione della vita quotidiana (accompagnare e riprendere da scuola i
bambini), mentre altre sono connesse esplicitamente al gioco.
Abbiamo analizzato il comportamento paterno riguardo alle attività
associate alla vita scolastica del figlio per la fascia di età più opportuna,
quella dei bambini di 6-13 anni. Per i figli unici l’andamento della
percentuale di padri impegnati nell’andare a portare i figli a scuola e a
riprenderli, e nell’aiutarli a fare i compiti è molto sensibile all’orario
lavorativo del padre. I bambini i cui padri hanno orario
intermedio (41-45 ore settimanali) riportano una percentuale più elevata
di coinvolgimento del genitore nell’andare a scuola, mentre i bambini i
cui padri lavorano più a lungo non beneficiano della presenza del papà
nelle attività connesse alla vita scolastica. Nel caso di due figli la
percentuale di bambini accuditi decresce in corrispondenza di orari
lavorativi sempre più intensi (con eccezioni per l’orario lavorativo 51-
60), ma meno sensibile rispetto al caso precedente. Come già notato nel
paragrafo 7.5 è possibile che tali eccezioni negli andamenti degli
indicatori siano dovute a particolari caratteristiche della posizione
professionale del padre quando vengono considerati orari lavorativi non
usuali. Si può anche ipotizzare che il differente impegno del padre nella vita
di famiglia sia dovuto non solo alla posizione lavorativa e al tipo di lavoro
svolto, ma anche a fattori di matrice più culturale come l’attaccamento alla
famiglia, i valori di riferimento e gli ordini di priorità personali. 8.1 - Numero di figli ed impegno dei padriNelle ricerche sulla paternità sempre più spesso alle riflessioni sul ruolo paterno si accompagna l’aggettivo “responsabile”, riferito non solo alla scelta consapevole di avere un figlio e al suo mantenimento, ma anche alla condivisione continua con la madre delle cure fisiche ed emozionali al figlio. La traduzione operativa del concetto di “paternità responsabile” si è compiuta in letteratura attraverso la misura dell’impegno paterno (engagement) e dell’accessibilità paterna (accessibility), dove l’impegno paterno si esplica nelle attività di cura e gioco, mentre l’accessibilità è la presenza disponibile del padre anche senza l’impegno in alcuna attività specifica con il bambino.In uno studio sui padri americani, trovano un coinvolgimento medio paterno nell’attività di cura e gioco con bambini piccoli di 1,9 ore giornaliere durante la settimana e di 6,5 ore nel fine settimana. 8. La paternità nelle famiglie numeroseI padri, come le madri, sono maggiormente coinvolti quando i figli sono più piccoli, quando sono primogeniti o quando sono prematuri o hanno temperamenti difficili. A differenza delle madri, i padri sono più coinvolti nella cura dei figli maschi rispetto alle figlie femmine. Infine, rispetto al numero di figli, in alcuni studi non vi sarebbe alcuna associazione tra dimensione familiare e impegno paterno espresso in termini assoluti; in altri all’aumentare del numero di figli si rileva per i padri una maggiore accessibilità relativa. Altri, ancora, mostrano che l’impegno con il figlio minore è maggiore nelle famiglie a uno o due figli, nelle quali è anche più probabile è il mantenimento del coinvolgimento iniziale. Mentre, vi sarebbe una relazione negativa tra coinvolgimento paterno con il figlio maggiore e numerosità della famiglia. In questo lavoro fermeremo la nostra attenzione sull’esercizio della paternità, in termini di impegno, proprio all’interno delle famiglie “numerose”.
8.2 - Gioco e cure seraliDai dati dell’Indagine Multiscopo risulta che il 24 per cento dei padri tutti i giorni mette a letto il proprio bambino, il 19 per cento gli dà da mangiare, il 18 per cento gli cambia il pannolino, il 16 per cento lo veste, l’8 per cento gli fa il bagno. Disaggregando il dato per dimensione familiare e concentrandoci sulla cura al figlio piccolo, di età non superiore ai 5 anni, risulta che i padri di famiglia numerosa in misura minore si occupano con continuità del figlio più piccolo nelle ore serali, e lo stesso accade per l’attività di gioco. Si noti poi come i padri con tre figli o più si differenzino nell’impegno di cura e di gioco soprattutto dai padri con un solo figlio, mentre minore è lo scarto rispetto ai padri con due figli. Vale a dire, le maggiori difficoltà di impegno di cura sarebbero evidenti già a partire dal secondo figlio. Inoltre, qualunque sia il numero di figli, l’attività di gioco è decisamente preferita a quella di cura. Naturalmente, è possibile che il tempo dedicato ai figli dai
padri di famiglia numerosa sia nel complesso maggiore.
In tutti i modelli stimati, l’attività di cura paterna,
intesa come il mettere a letto il figlio minore, risulta più probabile nel
caso di un solo figlio rispetto a tre figli.
Tuttavia la dimensione familiare perde di significatività statistica
quando si considera nel modello l’età paterna - inferiore o superiore ai
40 anni. In altre parole, dietro le minori o maggiori
attenzioni parentali per numero di figli sembra esserci un possibile
effetto generazionale, che vede i padri più anziani (quelli che con
maggiore probabilità hanno tre figli) meno dediti alle attività di cura di
quanto lo siano i giovani, maggiormente esposti e permeabili ai
cambiamenti culturali in atto che procedono verso un modello genitoriale egalitario. 8.3 - I discorsi delle madriE’ possibile considerare i colloqui avuti con le madri di
famiglie numerose un accesso diretto alla loro esperienza della paternità.
Ne emergerebbe che il modello prevalente e accettato di organizzazione. Si noti inoltre come nel gioco emerga un modello settentrionale di paternità e
di come le
professionalità medie, già maggiormente coinvolte nelle cure serali, si
confermino nell’impegno
paterno. 1. simmetria nei ruoli di cura In questo studio si ha simmetria nei ruoli quando il padre
condivide pienamente e con continuità l’impegno di cura dei figli piccoli con la
madre, naturalmente per il tempo in cui è a casa. Qualora questo non si
verifichi, si ha asimmetria nei ruoli. Diciamo che... effettivamente se ho ridotto io i tempi di lavoro lui li ha aumentati, perché le esigenze poi economiche ci sono in una famiglia numerosa. Noi... è vero che abitiamo fuori, però... voglio dire... la scuola c'è per tutti, l'esig... noi spendiamo tantissimo per l'alimentazione, io non riesco a capire come mai, comunque proprio tanto (ride). In questo stralcio di intervista la donna sente il bisogno di giustificare la strategia familiare di impegno lavorativo importante del marito. Poi però nel corso del colloquio il tema della casa nuova che il marito sistemava nel tempo libero viene continuamente ripreso. Si dipanano allora le motivazioni di una crisi di coppia e la vera lettura della paternità, nella sua unica dimensione di impegno fuori casa “per il bene della famiglia”, emerge con chiarezza. Si è reso necessario per il marito di Amelia recuperare tempo per la famiglia affinché il disagio familiare si risolvesse. (...) effettivamente la seconda gravidanza è stata un po' difficile per me
e in più, appunto, con due bambine piccole, il lavoro, la casa da
sistemare... questa casa l'ha sistemata mio marito nel tempo libero,
quindi... anni veramente un po' difficili... per la famiglia, poco tempo da
dedicarci e quindi... il tempo era dedicato a questa casa e... io ero a
casa con le bambine piccole... (...) quello è stato il periodo peggiore, nel
senso che... quando c'era la M., la seconda figlia piccola e avevamo da
sistemare questa casa. Sono stati tre anni veramente duri, perché non
c'era il tempo, o meglio, il tempo lo si dedicava a questa casa pensando
che questo fosse il bene della nostra famiglia ...naturalmente, perché
venivamo ad abitare qui, ci ingrandivamo, era il nostro sogno.. Però
poi effettivamente non c'era il tempo materiale per coltivarci, ecco.
Però poi le cose sono cambiate radicalmente... (...) Siamo andati a fare
questa esperienza e poi abbiamo fatto un cammino insieme a queste Irrisolte invece le difficoltà per Liliana32 che risiede alla periferia di una grande città lombarda. All’inizio l’intervistata rileva la scarsa partecipazione all’accudimento dei figli della madre – la nonna – seppure cerchi di minimizzare. Mia mamma invece lavorava al tempo e quindi non avrei potuto chiederle niente. Adesso se ho bisogno qualche volta mia mamma viene, però io so che lei siccome è andata in pensione da poco ha piacere a fare altre cose. Quindi le chiedo se proprio ho strettamente bisogno. (...) Sì, a me piacerebbe che lei fosse più disponibile però so che non è la classica nonna che non vede l'ora di accudire un nipotino. Quindi rispetto questa cosa e mi organizzo in altro modo se posso. Emergono poi una ripartizione dei ruoli tra partners e una visione del ruolo materno di tipo tradizionale, assunte a norma, e quindi affiora una situazione di disequilibrio, senza contrattazione dei coniugi: Risp: Mio marito, sì, ha potuto continuare come prima, anche più di prima, chiaramente. (...) E... chiaramente lui ha potuto farlo sempre anche perché io ero a casa. Ma per un uomo è diverso... il lavoro per un uomo è al primo posto, non prima della famiglia, viene al primo posto...cioè sostenta la famiglia e in più deve piacere. Dom: Cioè sostenta la famiglia ed è un mezzo di realizzazione, più che
per la donna? Quando verso la fine del colloquio l’intervistatrice fa sintesi del quadro organizzativo familiare e chiede conferma alla donna, emergono “elementi valutativi” giustificativi del marito: Dom: Però sempre nel rapporto con il marito... si diceva anche prima...
non c'è stata una ridefinizione dei ruoli con l'arrivo dei figli o di un
figlio in particolare... Cioè non c'è stata una partecipazione maggiore,
proprio perché vi siete divisi il lavoro in modo così netto... La criticità della situazione è rilevata dalla donna unicamente nel rapporto con la madre che si vorrebbe più vicina, escludendo così a priori ogni tipo di aggiustamento con il marito, e mantenendo la questione del debito di aiuto su di un asse matriarcale. Dopo che è nata la mia seconda figlia io ho iniziato ad andare da una psicologa. (...) era stata più una crisi con mio marito. Ma proprio dovuta anche al fatto che c'erano anche i figli. La mancanza di stare insieme... in pratica ci siamo molto trascurati l'un l'altro e... siamo andati in crisi io e lui, siamo andati da uno psicologo di coppia, che però ha consigliato a me di farmi aiutare. Dom: Solo a lei? Dom: E il suo problema ha scoperto essere il desiderio di stare con suo
marito oppure è venuto fuori... Anche per altre donne, qui non menzionate, a caratterizzare una situazione di “asimmetria dei ruoli problematica e non contrattata” è quasi sempre una maternità precoce che diventa l’unico ruolo assunto dalla donna. Quanto dipenda dal modello culturale tradizionale di identità femminile – forse più forte per chi sceglie una famiglia numerosa - o il non avviamento ad una carriera lavorativa è difficile stabilirlo. Il rischio comunque per queste situazioni, che più frequentemente ricorrono nel caso di famiglia numerosa, è quello di un mancato o scarso coinvolgimento dei padri nell’impegno parentale. E’ utile a questo punto il confronto con situazioni pure asimmetriche e problematiche, ma in cui interviene una maggiore contrattazione e una consapevolezza dei disequilibri, è il caso di Gemma: Dom: Quindi avete ridefinito alcune cose con l'arrivo del terzo figlio.
Più complessivamente, come ménage familiare, ha richiesto una diversa
ripartizione dei compiti tra di voi, tra lei e suo marito? Dom: Tranne il primo? Dom: Era ancora possibile forse per lei gestirsi anche
professionalmente? Alla domanda sugli aggiustamenti lavorativi del marito così
risponde: 8.4 - In sintesiDiversi lavori in letteratura mostrano che il cambiamento degli atteggiamenti maschili sarebbe già in corso, anche se poi i comportamenti rimarrebbero ancorati ad un modello tradizionale di organizzazione familiare. Nei discorsi delle madri di famiglie numerose da noi riportati la giustificazione alle strategie male breadwinner dei padri è, allora, comprensibile, dal momento che avviene in un contesto che si sta muovendo verso una ripartizione più egalitaria dei compiti familiari. In questo studio si è rilevato che il cambiamento generazionale in atto riguarda, non solo gli atteggiamenti, ma anche i comportamenti dei padri. In particolare, l’attività di mettere a letto il figlio piccolo risulterebbe più frequente per le giovani generazioni a parità di altre condizioni (dimensione familiare, istruzione, condizione professionale dei coniugi e area geografica). Non la generazione, ma la dimensione familiare conterebbe invece
nell’attività di gioco con il figlio più piccolo. I momenti ludici tra il
padre e il figlio minore sono più frequenti quando il figlio è unico,
mentre le difficoltà di partecipazione paterna sembrano accomunare le
famiglie con due e tre figli. Tuttavia, nelle famiglie di diversa parità si
riducono le differenze nella frequenza dell’attività di gioco dei padri, se
si controlla nel modello statistico la condizione occupazionale della
madre. In altri termini, la più forte partecipazione al gioco dei padri con
un solo figlio sarebbe parzialmente spiegata dalla maggiore occupazione
femminile in tale tipologia familiare, che solleciterebbe il coniuge
all’impegno in casa. Appendice: Risultati dettagliati9.1 - IntroduzioneIl maggior numero di separazioni e divorzi con il conseguente aumento di famiglie monogenitoriali accresce l’interesse per le conseguenze di una relazione padre-figlio vissuta a distanza. D’altro canto, nelle famiglie bigenitoriali, l’aumento nella partecipazione femminile al mercato del lavoro richiede un maggiore coinvolgimento dei padri nel lavoro di cura e crea spazio per una ridefinizione dei tradizionali ruoli di genere all’interno della coppia e della famiglia nel suo complesso. A tali mutamenti di struttura si aggiungono mutamenti sociali e culturali nell’immagine stessa della paternità, oltre ai mutamenti comportamentali degli uomini nello svolgimento del loro ruolo di padri e nel nuovo modo in cui essi stessi intendono la paternità. È inoltre cresciuta la consapevolezza del ruolo che la figura paterna svolge nel processo di sviluppo del bambino. In altri termini, quello che una volta sembrava un modello “naturale” di ruoli genitoriali, secondo il quale i padri erano visti tutt’al più come helpers delle madri, sta ora cedendo il posto ad un modello di co-genitorialità, ovvero di progressiva uguaglianza nello svolgimento delle funzioni genitoriali. 9. 2 - I dati sull’uso del tempoL’unità di analisi scelta per studiare la partecipazione dei padri al lavoro familiare è rappresentata dai padri in coppia: sono dunque esclusi quanti vivono in nuclei monogenitoriali, in quanto affidatari dei figli, o quanti vivono distanti dai figli a seguito di una separazione o un divorzio, per le peculiarità che tali situazioni presentano. In particolare, si è scelto di concentrare l’attenzione sui padri tra i 25 e i 44 anni, ovvero nella fase del ciclo di vita in cui il rapporto genitoriale generalmente si forma e richiede il massimo impegno. Innanzitutto sono aumentate le famiglie in cui entrambi i partner lavorano ed avere una partner occupata è dimostrato che incide, accrescendolo, il coinvolgimento dei padri nel lavoro familiare. Al contempo, tra le coppie con figli è ulteriormente cresciuta la percentuale di coppie con un solo figlio: tuttavia, l’effetto di tale mutamento sulla partecipazione al lavoro familiare non è chiaro: una famiglia meno numerosa, in linea generale, potrebbe significare un minore investimento di tempo nel complesso, ma anche un investimento pro capite per ciascun figlio maggiore. Le forme della partecipazione dei genitori al lavoro familiare risentono anche dei mutamenti culturali che accompagnano quelli di struttura. La genitorialità è divenuta sempre più conseguenza di una scelta ponderata, e come tale trova i genitori più disponibili, spesso desiderosi, di investire il proprio tempo nel lavoro di cura. Anzi, probabilmente si decide di avere figli proprio perché si desidera sperimentare la genitorialità con tutte le sue conseguenze, compreso il dedicare tempo ai figli. 9.3 - L’articolazione delle 24 ore: i mutamenti conseguenti alla paternitàEssere padri comporta un calo del
tempo dedicato alle attività di svago e alle attività fisiologiche (11h12’
contro 11h20’). Mediamente, infatti, rinunciano a 35 minuti di tempo
libero (3h09’ contro 3h44’ dei non padri), e a 8 minuti di tempo per sé
(tra dormire, mangiare, cura della persona, eccetera). Anche il tempo
impiegato per gli spostamenti sul territorio subisce una contrazione
quando i maschi sono padri: si passa da 1h48’ a 1h37’. 9.4 - L’articolazione del lavoro familiare: tra cura dei figli e lavori domesticiIl tempo impiegato dai padri nella cura cresce in valori assoluti di
sabato e domenica: si passa infatti dai 42’ dei giorni feriali ai 48’ del
sabato e a 1h02’ della domenica. La percentuale varia dal 55,8
per cento del sabato al 61,8 per cento della domenica. Se si calcola
invece la percentuale di tempo dedicata al lavoro di cura dei figli sul
totale del tempo dedicato dai padri al lavoro familiare in ciascun tipo di
giorno, il quadro cambia: nei giorni feriali alla cura viene destinato il
46,6 per cento del tempo dedicato alla famiglia, questo valore scende al
30,8 per cento di sabato e risale al 44,3 per cento di domenica. Ciò accade perché l’abitudine di fare la spesa di sabato assorbe in
questo giorno un quarto del tempo mediamente dedicato al lavoro
familiare, mentre nei giorni feriali e festivi il peso di tale attività è più
contenuto (14,4 per cento dal lunedì al venerdì, 7 per cento di
domenica). Di domenica invece è più elevato il contributo dei padri alle
attività domestiche che coprono il 43 per cento del tempo per il lavoro
familiare (contro il 34 per cento dei giorni feriali e il 39,6 per cento del
sabato). La preferenza dei padri verso attività non routinarie o che comunque privilegiano la dimensione relazionale piuttosto che quella dell’accudimento, sembra confermata anche dall’analisi delle specifiche attività di cura dei figli. Mentre le mamme rispondono alle più diverse esigenze dei figli, e la gran parte del loro lavoro è rappresentato da cure fisiche o sorveglianza (dar da mangiare, vestire, fare addormentare il bambino o semplicemente tenerlo d’occhio), il lavoro di cura dei padri si esplicita per lo più in attività di interazione sociale con i figli. Oltre i due quinti del tempo di cura è impiegato per giocare con loro (20’), mentre le attività più onerose e routinarie di cura fisica e sorveglianza si collocano al secondo posto per tempo ad esse dedicate (13’). Seguono poi attività come il parlare con i figli, aiutarli nei compiti (2’), eccetera. Le frequenze di partecipazione confermano questa graduatoria nelle attività di cura preferite dai padri visto che il 34,1 per cento dichiara di giocare con i figli, il 29 per cento provvede a nutrirli, vestirli, sorvegliarli eccetera, il 15,3 per cento riporta attività di socializzazione, il 4 per cento li aiuta nei compiti. A fronte di un sovraccarico lavorativo di difficile gestione, ma non eludibile, negli ultimi anni le donne hanno da un lato ridotto il tempo complessivamente dedicato al lavoro familiare, dall’altro hanno adottato strategie di redistribuzione delle varie attività che ricadono all’interno di questa macro-categoria. Pur essendo molto vincolate dagli obblighi familiari nell’organizzazione dei tempi quotidiani, anche le donne lasciano intravedere un sistema di preferenze che riconosce al lavoro di cura la capacità di essere più gratificante: infatti è aumentato il tempo che dedicano alla cura dei figli ed è diminuito quello dedicato ai lavori domestici. 9.6 - L’importanza delle caratteristiche individuali e di contesto nella partecipazione dei padri al lavoro familiareLa partecipazione dei padri al lavoro familiare varia al variare di una serie di caratteristiche, sia dei padri sia del contesto familiare. Avere conseguito almeno la licenza media determina un incremento nel tempo medio condizionato dedicato al lavoro familiare (rispettivamente di 27 minuti per i laureati, 24 per i diplomati e 19 per chi ha terminato la scuola dell’obbligo) rispetto a quello di chi possiede la licenza elementare. Agli stessi titoli di studio si associa una maggiore probabilità (rispettivamente dell’8 per cento per i primi due e del 7 per cento per il terzo) di spendere parte del loro tempo nelle attività di lavoro familiare. Al crescere del livello di istruzione dunque aumenta la maggiore propensione al coinvolgimento dei padri. Ciò accade nonostante il tempo lavorativo dei più istruiti sia mediamente più invasivo del tempo dedicato al lavoro retribuito dai meno istruiti (si passa dalle 6h28’ dei laureati alle 5h48’ dei padri con licenza elementare). Se le ore di lavoro extra-domestico sono più elevate, quali tempi i padri istruiti comprimono per dedicarsi alla famiglia? In effetti, hanno meno tempo per dormire, mangiare, prendersi cura di sé (rispettivamente 11h02’ contro le 11h42’) e meno tempo da dedicare a hobby e svaghi (il tempo libero ammonta a 2h58’ contro le 3h39’).
In sintesi, essere istruiti, avere una partner occupata, avere sperimentato da poco una paternità, risiedere al Nord, lavorare alle dipendenze, avere solo figli maschi, fa sì che, per scelta o per necessità, i padri destinino al lavoro familiare e alla cura una quantità di tempo giornaliero più elevata e che siano anche più numerosi quanti dichiarano di farlo. Se questo maggiore coinvolgimento nella vita della famiglia renda migliore o meno la vita dei padri è difficile a dirsi. Tuttavia la soddisfazione da loro stessi espressa può considerarsi un indicatore della qualità della vita percepita. 9.8 - Riflessioni conclusiveProbabilmente in Italia è ancora presto per parlare di una “nuova paternità” o comunque non ci sono segnali in grado di giustificare ciò, stando almeno ai dati quantitativi esaminati. Tuttavia, emergono dei segnali importanti di mutamento nella partecipazione dei padri alla vita familiare e alla cura dei figli e del passaggio dalla figura di un padre solo breadwinner, lontano dai problemi familiari, ad un padre moderno coinvolto nel suo ruolo di co-genitore. Tali segnali infatti vanno essenzialmente nella direzione di un incremento del tempo speso dai padri nelle attività di lavoro familiare, indipendentemente e in aggiunta agli effetti dei mutamenti strutturali che pure hanno toccato la vita familiare negli ultimi anni. Ad ogni modo, i padri continuano a mostrare una forte capacità selettiva: cresce la propensione a partecipare alla cura dei figli, ma continuano a delegare volentieri alla partner la gestione del lavoro domestico, che li vede anche meno impegnati, in termini di tempo dedicato, che in passato. Ciò, a fronte di una progressione riduzione nel tempo per i lavori domestici operata anche dalle donne e che, solo in parte, possono essere spiegati da un più frequente ricorso a personale a pagamento (colf, eccetera).
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